La verità ecologica sul clima: come arrestare la produzione di energie fossili

di Amedeo POSTIGLIONE

Amedeo Postiglione

Fondatore e Direttore della Fondazione ICEF

Presidente On . Agg. Corte Suprema di Cassazione

Cofondatore del Forum UE Giudici per l’Ambiente

La verità ecologica sul clima:

come arrestare la produzione di energie fossili

  1. Il concetto di “verità”applicato al clima e all’ambiente

a. La ricerca della verità nel diritto

Qualche spunto culturale più ampio, a carattere solo propositivo e dialettico, può consentire che, anche a livello giuridico, si faccia strada l’assoluta esigenza di chiarezza e trasparenza, cioè di “verità”, con riferimento al clima.

Il concetto di verità sembra debba entrare anche nella riflessione giuridica in parallelo con l’aggravarsi della crisi ecologica e di una maggiore interiorizzazione dei problemi dell’impatto umano sulla natura 1.

Le conseguenze del mutamento climatico in atto toccano, infatti, l’interesse supremo della vita dell’ecosistema terrestre nei suoi equilibri fondamentali.

b. Il concetto di clima e la sua stabilizzazione

A differenza di altri problemi globali, il concetto di clima abbraccia tutte le componenti della natura unitariamente (“atmosfera, idrosfera, biosfera e geosfera con le loro interazioni”, v. art.1 Convenzione quadro delle N.U. sui cambiamenti climatici, Rio de Janeiro, 1992) ,sicchè il mutamento riguarda un “sistema” nel suo complesso, compresa la parte più delicata cioè la biosfera.

La risposta istituzionale a livello globale deve rispecchiare questo dato di fatto della natura, essere comprensibile e trasparente e soprattutto chiara ed efficace.

Le implicazioni economiche e politiche (pur gravi e reali) delle urgenti scelte da compiere per “stabilizzare” il clima come “sistema”, domandano di essere ispirate al concetto di “verità”, considerando i valori umani e sociali in discussione.

c. La proponibilità della questione della interdizione della produzione e non solo del consumo

Solo la reale “verità ecologica” (natura, entità, accelerazione e gravissime conseguenze già evidenziate) del mutamento climatico in atto, dovuto al tipo di economia praticato in tutti i Paesi (produttori ed utilizzatori di energie fossili), può consentire la “proponibilità” già da ora, a tutti i livelli, della questione della finale e generale interdizione della produzione, cioè della stessa estrazione delle energie fossili.

La interdizione della produzione delle energie di origine fossile in una data certa condivisa deve in primo luogo essere motivata da esigenze ambientali comuni, considerando realisticamente nel periodo transitorio le disuguaglianze esistenti tra Paesi detentori e Paesi fruitori nel mondo intero, le disuguaglianze tecnologiche, le disuguaglianze nell’accesso all’energia quale bene comune per la soddisfazione di standard accettabili di vita dignitosa in molte aree del Pianeta.

La interdizione, con opportune misure internazionali, deve non solo accompagnare, ma precedere logicamente quella dei consumi per evitare il pericolo di una dilatazione ulteriore incontrollata dei medesimi: è difficile contrastare gli interessi geopolitici dei Paesi detentori, ma è egualmente difficile definire uno standard dei diritti umani universali da garantire comunque con una quantità di energia accessibile e disponibile.

In tale logica, le energie di origine fossile - che pur hanno dato un contributo positivo nella prima fase dello sviluppo - dovrebbero essere considerate illegittime in base al diritto internazionale come è già avvenuto per i clorofluorocarburi e per gli idrofluorocarburi ed altre sostanze pericolose, con conseguente divieto di produzione, commercio e consumo.

d. La linea politica dei Governi

Questa, secondo il nostro punto di vista, è la questione di fondo non affrontata formalmente e direttamente dalle ultime due Conferenze ONU di Parigi 2015 e Marrakesck 2016, da discutere con coraggio e realismo con tutti i soggetti di una necessaria “governance globale”, economica e ambientale, non più differibile.

Questo è il tema che viene proposto, come spunto di riflessione, nel presente contributo.

Per il clima si impone la necessità ed urgenza di una “governance” nuova, adatta all’ importanza dell’interesse da gestire, che ne individui finalità e strategia e che abbia come riferimento il valore primario non solo culturale ma giuridico della sostenibilità della vita dell’ecosistema terrestre, già ora minacciato da questa tipologia di energie, divenute oggettivamente dannose per la vita terrestre in tutte le sue componenti.

Si tratta di energie, che stando il ritardo della de-carbonizzazione dell’economia, già pongono gravi problemi di giustizia e seri rischi di conflitti anche militari tra competitori (conflitti diretti o mascherati come con ISIS), conflitti destinati ad acuirsi per il deterioramento delle condizioni climatiche in vaste aree geografiche del Pianeta e per le dolorose scelte da compiere per rispondere all’aggravamento climatico in corso.

e. Priorità alla difesa della vita dell’ecosistema complessivo terrestre

Si osa perciò affermare con chiarezza che, anche sotto il profilo giuridico, lo sviluppo umano futuro, pur necessario, deve ora essere subordinato strutturalmente e prioritariamente all’ambiente e non viceversa.

Nessuno sviluppo sociale ed economico è concepibile e concretamente possibile in un mondo sconvolto dal mutamento climatico, cioè senza vita (almeno nelle forme attuali che conosciamo).

Questo non è catastrofismo, ma realismo.

Se si vuole davvero evitare lo sconvolgimento ulteriore del “sistema climatico terrestre” (si noti la parola “ sistema”, un formidabile , complesso e delicato meccanismo creato dalla natura in milioni di anni) ed evitare che diventi irreversibile ed incontrollabile (perfino sul piano tecnologico), un divieto assoluto di estrazione di petrolio, gas naturale e carbone va posto all’ordine del giorno come necessità politica e giuridica: questo problema deve essere inserito nell’agenda dei Governi e delle Istituzioni internazionali, essendo un palliativo il cosiddetto “adattamento”, senza rimuovere le cause.

f. L’adattamento non è la soluzione

L’adattamento (nella duplice forma di mitigazione delle emissioni e di mitigazione delle conseguenze sul territorio) è già una resa alla sfida, pur di perpetuare (per quanto?) l’attuale modello economico non più sostenibile ed oggettivamente dannoso e non solo pericoloso per il clima terrestre.

Anzi l’adattamento – comunque necessario per un periodo ristretto - mirante a contenere e mitigare gli effetti, può prolungare la crisi e diventare sempre più gravoso economicamente e socialmente, anche sotto il profilo tecnico, se il fenomeno continua ad operare nelle sue cause.

g. I Paesi più vulnerabili

Ed il danno colpirà in maniera più forte i Paesi vulnerabili:

  • piccoli paesi insulari;

  • paesi in zone costiere basse;

  • paesi con zone aride e semiaride ;

  • zone del Sahel che si sta trasformando in grande Sahel;

  • zone comunque soggette a deforestazione, siccità e desertificazione;

  • zone soggette a frequenti catastrofi naturali;

  • paesi con ecosistemi naturali fragili in montagna o nelle pianure e zone umide;

  • paesi con città particolarmente vulnerabili per l’aumento del livello dei mari;

  • città colpite da inquinamento atmosferico diffuso e continuo per milioni di esseri umani (es. Pechino ed altre numerose metropoli mondiali).

h. Necessità di una coerenza di tutte le Convenzioni ambientali e loro effettività

Nel metodo poi, la filosofia che fissa solo obiettivi e cerca di ridurre consensualmente le emissioni, senza toccare la produzione, con controlli solo interni di tipo nazionale, introdotta nelle COP, riunioni delle parti (ultimamente Parigi 2015; Marrakech 2016; e prossimamente Isole Figi 2017; Polonia, 2018), non sembra adeguata.

L’UNEP a livello globale doveva garantire un ruolo unitario congiunto di controllo della implementazione di tutte le Convenzioni ambientali, con una lettura integrata (compresa la Convenzione sul clima), assicurando la coerenza ed effettività del diritto internazionale dell’ambiente unitariamente considerato, ma il Progetto ONUE è fallito, come è noto, nella Conferenza Rio+20 del 2012.

L’attuale meccanismo di implementazione settoriale di tipo nazionale appare lento, disarticolato , di difficile gestione anche burocratica: esso introduce meccanismi troppo discrezionali negli adempimenti, tocca gli effetti e non le cause e comunque introduce solo dei limiti di difficile controllo, stante la disarticolazione della comunità politica ed economica mondiale e la preminenza di potenti interessi economici e finanziari a livello globale interessati a perpetuare l’attuale modello economico (che operano addirittura in modo autonomo, scavalcando la stessa sovranità degli Stati).

Gli impieghi delle energie di origine fossile sono entrati in tutti i gangli della attuale economia insostenibile ed è difficile che la cura possa essere assicurata dallo stesso malato, senza un intervento forte e decisivo della Comunità internazionale nella sua unità che assuma su di sé la responsabilità primaria di difendere la vita della Terra, liberando l’economia dalle “componenti tossiche e pericolose” (linguaggio solo in parte figurato) 2.

Le posizioni, in relazione al loro sviluppo sociale ed economico, dei Paesi delle Nazioni Unite sono molto diverse nei vari continenti per molteplici ragioni e riesce estremamente difficile individuare il contributo al mutamento climatico dei territori interessati.

i. Nuovi tipi di obbligazioni giuridiche

Le obbligazioni giuridiche degli Stati, invece, in relazione ad un problema globale ed unitario come il clima, devono essere precise, unitarie ed inscindibili:

- obbligazioni erga omnes per loro natura;

- cogenti;

- esigibili da tutti i soggetti;

- da far valere a nome della Comunità internazionale, davanti ad organi amministrativi e di giustizia internazionale che assicurino la loro effettività.

Diversamente la realtà naturale ignora i sistemi politici e giuridici perché inadeguati e procede secondo la sua logica.

Come sta avvenendo per il mutamento climatico in atto che non si riesce ad arrestare: i fenomeni di accumulo e di accelerazione della crisi sono allarmanti. E’ del tutto evidente che la continuazione del consumo delle energie fossili avviene dovunque per esigenze economiche data l’attuale struttura dell’economia globalizzata e quindi anche da parte dei Paesi non produttori di tali energie: il consumo presuppone la “produzione” come causa.

Si ripete, per controllare davvero il fenomeno, occorre eliminare la causa, indicando comunque una data certa comune, coinvolgendo i Paesi produttori e le Multinazionali del vasto settore.

Le energie fossili (petrolio, gas naturale e carbone), presenti sul Pianeta da milioni di anni, vanno dunque eliminate sia nella produzione che nell’impiego: vanno colpite con nuove norme internazionali anche le potenti compagnie (circa 100 nel mondo) che, senza un reale rischio economico, le estraggono dalla terraferma o dal mare.

La filosofia attuale, che mira a ridurre le emissioni senza toccare la “produzione”, sembra insufficiente e non realistica.

Intanto occorre considerare che chi estrae e produce energie fossili deve venderle, favorirne il trasporto e l’impiego e soprattutto destinare risorse per una “rassicurazione” diffusa economica, sociale e culturale sulla indispensabilità di tali energie per lo sviluppo umano globale: verranno invocati i principi di sostenibilità economica e sociale pur in presenza della evidenza della “insostenibilità” reclamata dalla natura.

l. La cosiddetta inesigibilità e sua irrilevanza

Per perpetuare produzione e utilizzo di energie fossili si continuerà ad invocare una serie di cause di inesigibilità, di ordine politico ed anche giuridico e soprattutto economico per escludere ogni responsabilità e sottrarsi agli obblighi comuni:

  • inesigibilità economica per costi eccessivi delle nuove tecnologie e delle energie non fossili;

  • inesigibilità sociale per assicurare la continuità di lavorazioni ed impieghi dei lavoratori in imprese che utilizzano carbone, petrolio e gas naturale, nonostante danni alla loro salute ed all’ambiente comune;

  • inesigibilità politica per l’imperare dei dogmi della sovranità in generale e della “sovranità sulle proprie risorse” in particolare da parte degli Stati, nonostante l’operare parallelo delle multinazionali e della finanza internazionale svincolate da regole adeguate 3.

La semplice” proponibilità” della questione della interdizione della stessa “produzione” di energie fossili, come si fa nel presente contributo, potrebbe essere considerata a torto da taluni come una “provocazione”, apparendo utopica allo stato attuale una economia de-carbonizzata.

Non si chiede certo la immediatezza di un cambio radicale dell’economia perché non realistico, ma neppure si può lasciare campo libero ai poteri forti di mettere a rischio la sostenibilità complessiva dell’ecosistema terrestre, perpetuando senza limiti temporali e sostanziali la produzione e l’utilizzo di energie chiaramente climalteranti.

Occorre una data certa di inibizione non solo per ragioni ecologiche, ma anche economiche dovendo il mercato globale avere dei punti certi di riferimento e dovendo gli operatori economici più avveduti investire nel medio e lungo periodo in altri tipi di energia.

Chiarito questo aspetto, non deve sorprendere che i paladini della protezione della natura e del rispetto dei suoi equilibri fondamentali verranno additati falsamente a romantici cultori della decrescita.

Quest’opera di mistificazione è già in atto, cerca e trova coperture nei Parlamenti e Governi dei singoli Paesi: gli stessi Ministeri per l’Ambiente creati in molti Paesi nella prima fase di sensibilizzazione ecologica e risposta istituzionale, sembrano piegati anche culturalmente alla filosofia dello “ adattamento” ed alla rassegnazione e non potranno reggere alle pressioni economiche e politiche dei poteri forti legati a petrolio, gas naturale e carbone, che neppure i Governi nazionali riescono a contenere.

E questo si è visto chiaramente anche in Italia con i diversi orientamenti in relazione ad alcune questioni energetiche: referendum sulle trivelle lungo la fascia costiera dell’Adriatico; proteste per lo sbocco in Puglia di un gasdotto dal lontano Azerbagian; accettazione acritica di ulteriori finanziamenti pubblici alle energie fossili, benché climalteran e silenzio di stampa e TV.

m. La strada ineludibile dei diritti umani

Paradossalmente bisogna invocare - senza violenza ed arroganza - i diritti umani universali (come si è dovuto fare nella prima fase di costruzione di un diritto ambientale) invocando non solo il diritto umano alla salute, ma addirittura quello alla stessa vita, anche contro gli Stati per una riforma radicale delle Istituzioni.

Questo è un modo di rispettare le stesse Istituzioni nel loro ruolo insostituibile.

Il diritto umano all’ambiente, nella sua dimensione procedimentale e sostanziale, tende a riproporsi come priorità non solo dottrinaria ma politica (sono ancora attuali i primi scritti curati da IUCN sul diritto umano all’ambiente, raccolti in un volume di documentazione dal Gruppo di Lavoro “Ecologia e Territorio” del CED, Corte Suprema di Cassazione nel lontano 1986 a cura di Amedeo Postiglione e dello stesso Autore il volume “Il diritto all’ambiente”, Jovene, Napoli, 1984).

Gli stessi diritti umani procedimentali di informazione, partecipazione ed accesso (Convenzione di Aarhus in Danimarca del 23-25 giugno 1998; Convenzione Espoo, Finlandia del 25 febbraio 1991) devono allargarsi alla dimensione internazionale, stante il loro contenuto comunicativo e partecipativo legato al ruolo ed alla dignità umana di ogni persona anche singola, oltre che ovviamente alla dimensione collettiva e sociale: la dottrina ha sottolineato anche la valenza sostanziale di tali diritti (v. Francesco Francioni, “Access to Justice as a Human Rigth”, Oxford University, 2007).

Ed è quello che già avviene da parte di popoli indigeni ed ONG in molte aree del Pianeta compromesse dallo sfruttamento massiccio - e senza rispetto dei diritti umani - di energie di origine fossile. La produzione di energie di origine fossile è difesa come “prerogativa nazionale strategica” dai Paesi sviluppati detentori sul loro territorio e dai Paesi sviluppati che si servono di Multinazionali per il loro approvvigionamento.

Intanto i Paesi poveri ed in via di sviluppo possessori delle stesse energie sono letteralmente depredati dalle Multinazionali, abbandonati dopo lo sfruttamento ed esposti al mutamento climatico.

Le obbligazioni troppo generiche dei Paesi più sviluppati a favore dei Paesi più svantaggiati (di finanziamento e trasferimento di tecnologie) pur previste dalla Convenzione di Rio (art 4, punto 10) sono rimaste in buona parte inattuate.

n. Il ruolo dei giudici

La stessa magistratura nazionale nei singoli Paesi incontra limiti e difficoltà e potrà operare solo in parte, mancando un modello giurisdizionale sovranazionale integrato, chiamato specificamente ad applicare con autorità il diritto non nazionale, ma internazionale, quello proprio della Comunità internazionale nel suo insieme: il diritto infatti può operare con efficacia se i fenomeni interessati sono affrontati in modo coordinato ed integrato a tutti i livelli con pari effettività, sia con le norme che con organi specifici e permanenti (per un quadro comparato v. “ The Role of the Judiciary in the Implementation and Enforcement of Environmental Law ”, Bruylant, 2008, a cura della Fondazione ICEF, Amedeo Postiglione, ed).

Il modello stesso delle Nazioni Unite per un tema così fondamentale come il clima tende ad essere modificato, perché l’emergenza climatica globale costituisce già ora causa di nuovi conflitti legati alle risorse naturali indispensabili alle popolazioni colpite ed alla loro permanenza sul loro territorio (soprattutto nell’area sub Sahariana ed in numerose isole minori).

o. Un nuovo concetto di sicurezza

Il concetto di responsabilità per la sicurezza e la pace si allarga per poter dare una risposta di protezione (v.art. 24 Carta delle N.U.; art 39 sulle competenze del Consiglio di Sicurezza; art 99 sul ruolo del Segretario Generale).

Questo in prospettiva, ma finora le N.U. non sono riuscite ad essere efficaci: si tratta di un segnale ulteriore della crisi di questa grande Istituzione, che si spera possa essere superata.

Si può dunque comprendere perchè la “verità ecologica” sul clima e connessi problemi globali ambientali sia sottaciuta, mistificata e sottostimata dalle potenti lobby dei settori delle energie fossili in ogni Paese del mondo: ciò avviene per evitare che si producano meccanismi istituzionali più forti, capaci di imporre regole agli stessi Governi ed alle multinazionali o almeno per ritardare questa necessaria ed inevitabile evoluzione.

  1. I produttori di energie fossili

  1. Reticenze e menzogne

Secondo alcune fonti, i produttori di energie fossili conoscono da anni i pericoli connessi alla loro produzione ed utilizzazione diffusa nel mondo, ma si sono guardati dal farne partecipe la società civile 4.

Recentemente tutti sono venuti a conoscenza che gli stessi limiti di accettabilità delle emissioni in atmosfera sono stati dolosamente alterati e manomessi da potenti industrie automobilistiche (tra tutte la Volkswaghen): trattasi di crimini internazionali che rimangono impuniti (salva una class action limitata agli USA). E’ a tutti noto che il settore dei trasporti reca purtroppo un contributo decisivo all’inquinamento ed al mutamento climatico con il suo apporto di CO2 ed altre sostanze.

La Exxon è sotto inchiesta a New York per finanziamenti illeciti ai negazionisti del mutamento climatico.

  1. Produttori principali

Chi sono i “produttori” principali di energie fossili?

Un rapido sguardo alla mappa geopolitica consente di avere un’idea di massima:

  • America del Nord: Stati Uniti e Canada;

  • America Centrale: Messico;

  • America del Sud: Brasile, Venezuela, Colombia;

  • Africa: Algeria, Libia, Sudan, Nigeria, Angola;

  • Medio Oriente: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi del Golfo, Oman, Kuwait, Iran, Irak, Kazakistan, Uzbekistan;

  • Asia: Cina, India, Indonesia, Russia, Australia;

  • Europa: Norvegia, Regno Unito;

Come si stanno comportando questi Paesi in materia di clima? Esiste una straregia unitaria? Esiste una strategia in ordine ad un periodo comune di transizione? Vale la regola del solo mercato o sono invocabili anche principi di solidarietà e responsabilità?

  1. Ruolo delle multinazionali

Va subito precisato che i Paesi operano anche indirettamente, attraverso una rete imponente di multinazionali che si occupano di estrazione, trasporto, vendita di carbone, gas naturale e petrolio.

Ad esempio: Arabia Saudita, Aramco; Quatar, QP; Oman, PDO; Kuwait, KPC ; Emirati Arabi Uniti, Adnoc; Iran, NIOC; Cina, CNPC, Sinopec; India, ONGC ; Indonesia, Pertamina; Malaysia, Petronas; Australia, BHP Billiton; Russia (Gazprom; Lukoil; Novatek); Canada, Suncor, CNR; USA (Exxon Mobil; Chevron; ConocoPhilips; Anadarco; Devon Energy; Apache; Occidnal; Chesapeache; Fog); Messico, Pemex; Venezuela, PDVSA; Brasile, Petrobas; Argentina, YPF; Colombia, Ecopetro; Algeria, Sonatrach; Libia, Libyan NOC; Egitto, EGPC; Nigeria, Nnpc; Irak, Inoc; Uzbekistan, Utzbekneftgas; Kazakistan, Kazmunaigas; Norvegia, Statoil; Regno Unito, BP; Olanda, Shell; Francia, Total; Italia, ENI; Austria, OM ; Spagna, Repsol.

La questione della responsabilità giuridica delle multinazionali è molto discussa nella dottrina e può trovare soluzione nel riconoscere in modo solidale il loro ruolo autonomo e quello degli Stati coinvolti nel caso di danni all’ambiente comune, dovunque si verichino.

Sembra realistico aprire l’accesso alla giustizia contro le Multinazionali non solo davanti ai Giudici nazionali, ma anche davanti ad Organi specifici e permanenti di giustizia internazionale, perché sia coperta ogni dimensione del danno ambientale dovunque prodotto, comprese le aree fuori della giurisdizione dei singoli Stati.

  1. Gli inevitabili conflitti poco conosciuti

E’ significativo e realmente documentato che il possesso di energie di origine fossile ha già dato origine a molti conflitti interni ed esterni, che potremmo inserire in senso lato nella categoria dei “conflitti ambientali”.

La competizione internazionale per il controllo delle risorse energetiche soprattutto di petrolio e gas naturale è fortemente influenzata dalla finanza e dal commercio internazionale e da fattori politici e militari: essa utilizza tutti i mezzi, compresi quelli militari, con sostanziale violazione dei principi di leale cooperazione e collaborazione tra Paesi.

Sono ormai migliaia i “conflitti ambientali” nel mondo, legati al prelievo ed all’uso delle risorse sul territorio di molti Paesi nei vari continenti (conflitti su petrolio, gas naturale, carbone, minerali, acqua, terreni fertili, boschi e biodiversità, pesca,ecc.).

I conflitti sono reali, legati al territorio come risorsa economica, sociale ed appartenenza culturale, ma sono anche il frutto di appetiti dei più forti Paesi esterni, soprattutto in Africa 5.

Tutti i conflitti evocano concretamente il concetto di “verità” e “giustizia”, contro la violenza in varie forme.

Molti di questi conflitti sono vere e proprie “guerre locali” che hanno avuto come causa sotterranea reale il possesso di energie fossili ritenute strategiche.

In questi casi bisognava mettere le mani sulla estrazione, cioè sulla produzione delle energie da sfruttare altrove nell’economia globalizzata alle condizioni più favorevoli.

Come si vede il fenomeno della “produzione”, cioè della estrazione ad opera di altri Stati o di Multinazionali, precede il consumo e l’utilizzo e li condiziona in ogni angolo del mondo.

Non si può fare finta di non vedere, considerando la produzione solo un ovvio antecedente, un presupposto da non evidenziare rispetto alle emissioni legate al consumo.

La produzione delle energie fossili è un fenomeno distinto ed autonomo, anche se ha per finalità la utilizzazione economica ulteriore: va esaminato in sé come fenomeno economico con le sue logiche, le sue scelte, le sue strategie, le sue coperture anche politiche e militari.

Esiste un legame tra domanda ed offerta in tema di energie fossili ma in una condizione di reale squilibrio e disuguaglianza: i “produttori”(Paesi possessori e Mutinazionali) costituiscono un cartello che controlla e gestisce tutti i momenti, i tempi, le quantità, le modalità, i prezzi, gli investimenti del grande settore e le loro proiezioni nel tempo senza vere regole di trasparenza e concorrenza; la domanda è invece determinata da un numero indefinito di fruitori ed intermediari nel mondo intero e presenta caratteri di rigidità e dipendenza per la pluralità dei consumi interessati.

Il cartello detta legge e si avvale di potenti coperture nella finanza internazionale senza regole enegli stessi Enti economici internazionali (Banca Mondiale, WTO, Fondo Monetario Internazionale), che significativamente sono fuori del modello delle N.U.

I Paesi produttori stabiliscono strategie nel loro interesse e considerano il clima come un problema molto importante perché è in grado di condizionare le loro aspettative: sono in grado di condizionare intere economie e mercati, scegliere nuove aree di ricerca anche ai Poli e sui fondali marini o in zone a rischio e di costituire immense riserve per condizionare la domanda.

Non è perciò vero che disciplinando solo le emissioni viene meno automaticamente il problema della estrazione delle energie fossili e delle relative riserve: se chi estrae non viene fermato continuerà ad estrarre dal sottosuolo o dal mare, confidando nello sbocco del consumo e nella relativa domanda.

Il conflitto con i dati scientifici e con la reazione preoccupata del corpo sociale è messo in conto e coperto, come si è accennato, con una capillare opera finanziata di “rassicurazione” attraverso i mezzi di comunicazione sociale e le coperture politiche assicurate da alcuni partiti.

Perfino i conflitti sono strumentalizzati a fini interpretativi per evitare che emerga quella parte di “verità ecologica” pur presente in essi.

Qualche esempio di conflitti ambientali consente di aggiungere maggiore concretezza al nostro esame:

- in Marocco, il conflitto per il possesso del Sahara Occidentale che rivendica la sua indipendenza e lotta con il Fronte Polisario inizia nel 1979 ed è determinato anche dalle risorse petrolifere e minerarie della vastissima area contesa (280 mila Kmq);

- in Algeria, il possesso delle grandi risorse di gas naturale e petrolio ha certo influito e ritardato la fine di una lunga guerra di indipendenza dalla Francia (che considerava l’immenso territorio come metropolitano) chiusa con gli Accordi di Evian del 1962, siglati da Charles De Gaulle;

- in Libia, ricca di grandi risorse petrolifere, gli eventi conflittuali conclusi con l’uccisione di Gheddafi ad opera di Francia ed Inghilterra, con la copertura degli USA, sono stati giustamente discussi nella loro legittimità non solo formale, anche alla luce della destabilizzazione successiva;

- in Egitto, la decisione di Nasser nel 1952 di nazionalizzare il Canale di Suez, contrastata militarmente da Francia e Regno Unito, fu accettata politicamente dalle superpotenze USA e Unione Sovietica dietro garanzia della libertà di circolazione internazionale di merci, compreso il petrolio. Le stesse superpotenze USA e Russia hanno sostenuto prima Mubarak e poi defenestrato Morsi, legato ai Fratelli Musulmani, a favore del generale Al Sisi, un militare interessato ad una politica di mediazione con Israele e a sviluppare ricerche importanti petrolifere anche nel Mediterraneo;

- in Sudan, si sono verificati lunghi e violenti conflitti per complessi motivi tra cui anche interessi petroliferi: il Sud Sudan cristiano, ricco di petrolio si è separato dal Nord musulmano nel 2011 a seguito di una lunga guerra di liberazione (Sudan People’s Liberation Army). Anche i conflitti in Darfur e ad Abei hanno avuto in parte una componente energetica come causa;

- in Chad, i conflitti tra musulmani e cristiani e con varie etnie si sono mescolati ad interessi petroliferi, nonostante la povertà del Paese e la desertificazione che avanza: interessante è una legge del 1999 che destina il 10 per cento dei proventi petroliferi alle generazioni future;

- in Nigeria, soprattutto per le immense risorse petrolifere del Sud, si sono scatenati conflitti geopolitici e guerre del radicalismo islamico: il danno ambientale è stato portato davanti alle Corti di Giustizia nazionali contro la Shell Petroleum;

- in Angola, Paese molto vasto ricco di risorse naturali tra cui petrolio, si sono avute ben tre Missioni di pace ONU per conflitti di varia natura;

- in Canada, il possesso di grandi risorse naturali, come petrolio, carbone, energia idroelettrica, non ha comportato grandi difficoltà con il Paese vicino (USA, soprattutto nella Regione dei Grandi Laghi) e con la Comunità internazionale (passaggio di Nord-Ovest), perché la stabilità democratica ed un certo equilibrio lo hanno consentito;

-in USA, come è noto, il petrolio ha giocato un ruolo importante nello sviluppo economico soprattutto nella prima fase (giacimenti del Texas); successivamente la politica americana ha favorito l’utilizzo degli scisti bituminosi, con notevoli implicazioni ambientali (shale gas); grandi compagnie petrolifere hanno operato ed operano come multinazionali in Medio Oriente ed in altri continenti;

- in Messico, grande Paese ricco di risorse anche petrolifere, esiste una notevole sensibilità ambientale anche per i mutamenti climatici: v. legge 4-9-2013;

- in Brasile, le risorse energetiche anche fossili sono utilizzate per lo sviluppo,ma manca una cornice sovranazionale di protezione dell’immensa biodiversità dell’Amazzonia che ha una funzione positiva vitale per l’assorbimento di CO2 dall’atmosfera;

- in Venezuela, anche recentemente si sono ripetute rivolte sociali che il possesso di risorse di origine fossile ha acuito e non certo impedito; analoghi problemi si sono presentati in Perù, Bolivia, Colombia, Cile e Argentina: il problema della sostenibilità climatica si pone per lo sviluppo di tutto il Sud America, anche a fini di giustizia in quanto le risorse sono appannaggio soprattutto delle Multinazionali estere nei vari Paesi interessati e non mancano gravi conflitti sociali anche recenti;

- in Medio Oriente, le energie fossili hanno avuto ed hanno un ruolo geopolitico enorme, noto ed evidente, emblematico soprattutto nei conflitti in Siria, Irak, Afganistan, Iran, Arabia Saudita ed altri Paesi del Golfo, con implicazioni culturali, religiose e politiche per tutto il mondo: basta solo sottolineare che la rigida dottrina Wahabbita in Arabia Saudita, ricca di petrolio, trova un canale finanziato di diffusione mondiale di principi contrari ai diritti umani, sostanzialmente violenti, fenomeno gravemente sottovalutato dagli USA e dall’Europa per assecondare l’interesse alle forniture di petrolio: un’arma di ricatto che si spera di eliminare presto se si arriva all’interdizione per tutti della stessa produzione per ragioni climatiche.

- in Russia, Cina, India ed altri Paesi dell’Asia, le risorse energetiche fossili giocano un ruolo decisivo nel periodo transitorio verso una nuova economia e solo la trasparenza, collaborazione e solidarietà potranno aiutare nell’invertire l’attuale modello del sviluppo.

  1. disastri ambientali

Questi brevi cenni non devono inoltre far dimenticare che produzione e trasporto di energie di origine fossile hanno già cagionato molti gravi disastri alla natura:

  • sulla terraferma: Seveso 1976; Bhopal 1984; Sandoz 1988; Chernobyl 1976; pozzi petroliferi nella Guerra del Golfo, 1991,ecc;

  • lungo i fiumi: caso Gabcikovo-Nagimaros relativo al Danubio; caso fiume Uruguay,2010;

  • nel mare: Torrey Canyon,1967; Amoco Candiz, 1978; Atlantic Express, 1979; Bahia Paraiso, 1989 ; Exxon Valdez, 1989 ; Haven, 1991; Golfo del Messico, 2010; ecc

In questi disastri il ripristino ambientale o almeno il risarcimento ha incontrato un deficit di protezione ed effettività a tutti noto, ma accettato dalla cultura dominante quasi come una necessaria fatalità. L’esatta verità ecologica dell’impatto anche economico con le componenti naturali è stata spesso ostacolata.

  1. La rete di gasdotti

Un altro problema grave, che coinvolge interessi geopolitici rilevanti, riguarda la rete di gasdotti ed elettrodotti utilizzati su scala continentale, che avvolgono il Pianeta (gasdotti dalla Russia verso l’Europa via Ucraina o verso il Mar Nero ed i Balcani; gasdotti dall’Algeria verso l’Italia; gasdotti dal Nord Canada attraverso gli USA; ecc): quale è il loro destino se le energie fossili saranno interdette, come è necessario?

Che senso ha moltiplicare, con enormi investimenti tecnici ed economici, questa “rete” strutturale universale per energie destinate ad essere escluse dal ciclo economico? Quale ottica temporale viene utilizzata?

Non è questo il segno evidente che concettualmente (ed economicamente) i Paesi produttori vogliono conservare le mani libere rispetto alla utilizzazione economica diffusa sia al loro interno, sia verso tutte le aree del mondo globalizzato?

Gli Stati importatori sono condizionati economicamente e socialmente; politicamente trovano difficoltà a ridurre le emissioni nei vari comparti dell’industria, dei servizi, dell’agricoltura, nei trasporti, nella vita concreta dei loro cittadini (automobili,consumi elettrici domestici per lavatrici, frigoriferi, TV, condizionatori, computer, telefoni, ecc.).

  1. Produzione e consumo in aumento

La produzione delle energie fossili rimane la vera causa del mutamento climatico in atto, perché è l’origine del processo economico attuale, finalizzato alla moltiplicazione dei consumi di massa.

Il consumo mondiale di energia da petrolio, gas naturale e carbone secondo i dati della IAE International Energy Agency e di numerosi altri Organismi è in aumento e rimane enorme, nonostante il contributo parziale delle fonti rinnovabili e dell’energia nucleare civile.

Il contributo dei nuovi consumatori in vertiginosa crescita economica come Cina ed India rispecchia un andamento crescente, anche se si registra una diminuzione di estrazione di carbone in questi Paesi. La nuova Presidenza Trump in USA ripropone l’utilizzo del carbone, invocando ragioni sociali.

La crescita dei consumi (davvero abnorme negli USA per lo stile di vita degli abitanti )interessa ormai anche i Paesi in via di sviluppo in ogni continente, in parallelo con l’aumento della popolazione e la nuova domanda delle giovani generazioni.

Giustamente negli strumenti giuridici internazionali si fa strada il concetto di dover coinvolgere l’intera comunità mondiale e quindi tutti gli Stati, superando l’articolazione differenziata della Convenzione sul clima del 1992 e del Protocollo di Kyoto del 1997.

Purtroppo il modello di coinvolgimento dei Paesi sviluppati con quelli in via di sviluppo nella difesa del clima come bene comune non ha funzionato finora adeguatamente e rischia di non funzionare per il futuro, se persiste l’attuale pervasivo e generalizzato approccio insostenibile del processo economico.

I Paesi meno sviluppati non possono solo ricevere generiche assicurazioni di finanziamenti e tecnologie per essere associati alla comune difesa dell’ambiente: meglio stabilire per tutti obblighi sostanziali verso la Comunità internazionale, incidendo sui Paesi industrializzati con obblighi di nuovo tipo (compresa una tassa universale per costituire un Fondo comune di cooperazione e solidarietà).

Il divieto di produzione di energie fossili, la misura più radicale inevitabile, colpirà al cuore i Paesi possessori di tali energie e gioverà indirettamente anche ai Paesi meno sviluppati, consentendo di valorizzare le risorse del proprio territorio.

  1. Il periodo transitorio

Diventa decisivo discutere in concreto e con precisione nel periodo transitorio su:

  • il risparmio energetico: deve divenire strutturale ed obbligatorio, coinvolgendo i fornitori e gli utilizzatori finali, a parte i gesti individuali di diligenza (spegnimento luci superflue, nuove tipologie di lampade, diminuzione della temperatura dei lavaggi, dei termostati negli impianti di riscaldamento o di condizionamento,ecc.).

  • l’efficienza energetica: consente una molteplicità di applicazioni: coibentazione termica degli edifici, certificazione non solo burocratica degli stessi, auto ibride, linee di trasmissione di energia elettrica,diversa pianificazione urbana, sistema automatico di distacco di apparecchiature in stand-by; ecc.

  • il controllo del settore dei rifiuti: perché essi possano svolgere un ruolo utile con operazioni di recupero.

  • benefici fiscali e sostegno alle energie alternative: (solare fotovoltaico; solare termico; energia eolica; energia geotermica; biomasse; mini-idroelettrico; moto ondoso; ecc.)

  • ricerca del nucleare da fusione;

  • una data certa di interdizione della produzione :

  • a livello europeo tentare di introdurre il principio della interdizione a data finale certa della produzione ed importazione di energie fossili;

  • a livello internazionale introdurre una nuova disciplina giuridica specifica per l’estrazione delle energie fossili dal sottosuolo o dal mare, che preveda una data finale certa e definitiva di interdizione e tappe intermedie verificabili: una disciplina che coinvolga gli Stati e le Multinazionali del settore.

  1. benefici” della rivoluzione industriale nella prima fase

  1. La prima rivoluzione industriale ed il ruolo delle energie fossili

Ritornando per un momento all’evoluzione relativamente recente dello sviluppo industriale, si può ricordare che l’utilizzo del carbone, soprattutto in Inghilterra, ha preceduto quello delle altre energie fossili.

La prima Compagnia petrolifera in Usa (Exxon Mobil) fu creata nel Texas da Rockefeller nel lontano 1870, mentre in Russia la Gazprom fu creata nel 1989 a seguito della scoperta di enormi giacimenti di gas in Siberia.

In termini generali si possono riassumere alcuni punti:

- le energie di origine fossile hanno accompagnato e favorito la rivoluzione industriale con i relativi vantaggi , costituendo la base strutturale di un modello di economia e finanza che si è universalizzato e che ormai comprende oltre il Nord America e l’Europa, grandi Paesi come India, Cina, Russia, Brasile,…;

- significativamente nello stesso periodo si è registrata nel mondo una crescita demografica molto rapida e forte con oltre 6 miliardi di persone, perché lo sviluppo economico ha favorito la soddisfazione di alcuni bisogni fondamentali: cibo ,acqua, igiene, lavoro, istruzione, mobilità, ecc. anche se persistono aree di povertà e squilibri gravi.

Il riscaldamento globale del Pianeta ed il pericolo concreto di una sua destabilizzazione - tema tipico della questione ambientale - si è affacciato nella coscienza collettiva e nel diritto nazionale, comunitario ed internazionale solo in un secondo momento.

  1. La prima risposta dei sistemi giuridici: assenza di una visione integrata

Nella prima fase i sistemi giuridici, condizionati dall’economia, erano interessati a “mitigare” gli effetti dell’inquinamento in atmosfera (anche nei rapporti transfrontalieri), nelle acque (sia interne , sia di grandi fiumi interessanti più Paesi) con limiti agli scarichi, nel suolo con la disciplina de i rifiuti (sia interni, sia trasportati in altri Paesi) e contestualmente a proteggere, in una visione settoriale, in modo sostanzialmente volontario, alcune specie animali e vegetali ed isole della biodiversità, anche con lo strumento dei Parchi Naturali ed in Europa della Rete 2000, nella certezza che lo sviluppo economico avrebbe trovato al suo interno le necessarie correzioni, assorbendo i disvalori ambientali nel suo processo.

A livello internazionale, si sviluppava un diritto tendente ad includere la considerazione del valore nuovo dell’ambiente considerato in ogni suo aspetto (per un quadro più articolato, v. Amedeo Postiglione, “Diritto internazionale dell’Ambiente”, Aracne Editrice, 2015).

Dopo alcune Convenzioni relative alla protezione di alcune specie e di alcune aree (soprattutto la Convenzione CITES , Washington 3 marzo 1973 sul commercio internazionale di specie di fauna e flora minacciate di estinzione e la Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale di Ramsar del 2 febbraio 1971), una disciplina giuridica organica condivisa arrivava nel 1982, con l’apposita Convenzione di Montego Bay nel grande settore del diritto del mare (una parte di tale Convenzione è dedicata alla protezione ambientale con alcune importanti acquisizioni, come i fondali marini e la loro protezione).

Sempre a livello internazionale una risposta giuridica positiva arrivava anche per la protezione della fascia di ozono (interessata da un numero limitato di sostanze pericolose, i clorofluorocarburi) nel 1985 con la Convenzione di Vienna e nel 1987 con il Protocollo di Montreal (solo recentemente con l’Accordo di Kigali del 2016 sono stati interdetti anche gli idrofluorocarburi, che hanno effetti anche sul clima).

Il diritto internazionale, condizionato dall’economia dominante bisognosa di espansione:

  • non valorizzava in modo concreto e sostanziale il legame tra biodiversità e clima, trascurando la funzione vitale di assorbimento di CO2 delle foreste e dei grandi polmoni verdi del Pianeta: la cultura terzomondista impediva di introdurre strumenti internazionali obbligatori di salvaguardia della natura per ragioni socio-economiche (anche reali), ma senza correttivi compensativi adeguati a livello nazionale, sicchè sembra corretto riproporre la problematica per proteggere un bene comune universale come il clima che domanda solidarietà a tutti i Paesi (sviluppati e non);

  • non valorizzava adeguatamente il problema globale della risorsa acqua, fondamentale per la vita che il mutamento climatico in atto condiziona in modo drammatico, il cui accesso appare assolutamente necessario per ogni persona umana almeno per i bisogni fonfamentali;

  • non dava risposte sostanziali al rischio nucleare anche dopo Chernobyl (salvo gli obblighi di cooperazione, notifica ed assistenza);

  • non offriva soluzioni complete per i grandi rischi industriali e per la produzione e commercio delle sostanze pericolose: vi sono tuttavia Regolamenti internazionali per le merci pericolose ed il loro trasporto via strada (ADR), via ferrovia(RID), per vie navigabili interne (RIN), via mare (IMDG), via trasporto aereo (ICAO) e sono migliorate le norme internazionali sul trasporto di rifiuti; più definito è il quadro europeo: direttive Seveso 1, Seveso bis e Seveso ter per gli incidenti rilevanti e Regolamento n.1907\2006 sulle sostanze chimiche (Reach);

  • lasciava sullo sfondo - per intuibili e precise cause economiche e politiche - la sanzione del danno ambientale sovranazionale quasi questo danno fosse estraneo all’economia ( a livello internazionale, nonostante alcuni progressi nella dottrina e nella giurisprudenza, esiste il problema di individuare e codificare ulteriormente i principi della responsabilità giuridica degli Stati per danno ambientale, con una apposita Convenzione-quadro mondiale; a livello europeo, sia pure con ritardo, si sono fatti progressi con la Direttiva 2004\35\CE sul danno ambientale e con la Direttiva Ecocrime sui reati ambientali , Direttiva 2008\99\Ce), mentre a livello nazionale esiste una tendenza rafforzativa del ruolo del diritto penale (introduzione della categoria di alcuni delitti in aggiunta alle contravvenzioni,tra cui in Italia la figura del c.d.disastro ambientale);

  • non sanzionava neppure i grandi crimini ecologici commessi da singole persone (esistono precise proposte di vari organismi tra cui ICEF per inserire nella competenza della Corte Penale Internazionale, con la maggioranza dei due terzi delle Parti, anche la competenza relativa a tali crimini come suggerito anche dal compianto Presidente Giovanni Conso).

Il diritto internazionale dimostrava, in importanti settori, carenza di “effettività”, tipica di ogni vero diritto (questa questione è stata affrontata con molta competenza e coerenza già vari anni fa, come risulta, tra gli altri contributi, dal volume: Claude Imperiali, “L’effectivité du droit international de l’environment”, con prefazione di Alexander Kiss, Centre d’Etudes et de Recherches Internationales et Communautaires, Université d’Aix-Marseille III, Economica, 1998).

Il diritto internazionale, per concludere, cercava di affrontare la questione ambientale per alcuni aspetti settoriali, senza una visione davvero integrata. Il clima oggi non consente più questo approccio per cui lo stesso diritto internazionale unitariamente inteso è obbligato a cambiare.

  1. Ritardo di una vera governance

Questo avveniva per una precisa scelta di tipo politico ed economico: una scelta unitaria di “Governance Ambientale Globale” presuppone una visione e strategia nuova egualmente unitaria ed integrata contro il modello di economia dominante, assumendo come prioritario il valore ambiente ed imponendo un tipo di economia davvero sostenibile 6.

Varie iniziativei sono state prodotte nel tempo a favore di una governance globale ambientale, finora senza risultati:

  • Dichiarazione de L’Aia dell’11 marzo 1989 di 24 Governi a favore di una “Alta Autorità internazionale per l’Ambiente”;

  • Dichiarazione finale della Conferenza internazionale di Roma del 21-24 aprile 1989 sul tema della “Effettività del diritto internazionale dell’ambiente”, patrocinata dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla Corte di Cassazione italiana: è il vero inizio del Progetto proseguito dalla Fondazione ICEF diretto a creare sia una Agenzia internazionale dell’Ambiente sia una Corte internazionale dell’Ambiente (v. A.Postiglione, “Per un Tribunale dell’Ambiente”, Giuffré, Milano, 1990);

  • Dichiarazione alla Conferenza di Washington, 29 aprile-2 maggio 1990, dell’Unione Interparlamentare Mondiale a favore di un Tribunale internazionale dell’Ambiente e di un Consiglio di Sicurezza per l’Ambiente in ambito ONU;

  • Presa di posizione politica di H.D.Gensher, Ministro degli Esteri tedesco, nel 1991, all’Assemblea delle N.U. a favore di una International Cour of Justice per i crimini internazionali contro l’ambiente;

  • Dichiarazione finale della Conferenza internazionale ICEF di Firenze del 10-12 maggio 1991, promossa dalla Corte di Cassazione italiana, dal Comune di Firenze, dalla Provincia e dalla Regione Toscana sempre a favore di una governance globale bilanciata ambientale;

  • Creazione nell’ambito della Corte di Cassazione italiana di una apposita Segreteria Scientifica il 24 settembre 1991 per la promozione di un “Tribunale internazionale dell’Ambiente”, su iniziativa autonoma del Presidente Antonio Brancaccio;

  • Risoluzione del Parlamento Europeo a favore della creazione di un Tribunale internazionale dell’Ambiente adottata in vista della Conferenza ONU di Rio del 1992 e riproposta dallo stesso Parlamento Europeo in data 29 settembre2011, in vista della Conferenza Rio+20 del 2012: la prima risoluzione ebbe come primo firmatario Alex Langer , la seconda il Prof . Romano Prodi;

  • Persistenza e serietà di un filone sociale molto sensibile ad tema della giustizia climatica: si è detto dell’ICEF, ma occorre sottolineare che già alla COP sul clima a Berlino nel 1996, tutte le ONG tedesche ed austriache rivendicarono un “Internationales Klima Tribunal” nella grande sala della Haus der Kulteren in der Welt in occasione di una importante Conferenza sostenutada Eurosolar e dai Verdi tedeschi, in collaborazione anche con la Fondazione ICEF, specificamente invitata;

  • Sensibilizzazione diretta dei Governi e dei Capi di Stato ad opera della Fondazione ICEF per ottenere una iniziativa politica a favore della proposta “Governance Globale Ambientale” con una serie di risposte interessanti non valorizzate purtroppo dai mezzi di comunicazione (vedi comunque le Pubblicazioni ICEF al riguardo anche per iniziative successive in Italia ed altri Paesi);

  • Nuova proposizione della problematica il 20-21 maggio 2010 presso la sede del Ministero degli Esteri Italiano con la Conferenza internazionale aperta anche ai Governi ed all’UNEP sul tema “Global Environmental Governance” (vedi volume ISPRA con lo stesso titolo). Il Ministro Franco Frattini dichiarava: “l’ICEF propone prudentemente l’inizio di un percorso politico che possa avere come interlocutori alcuni Governi e Fori internazionali già esistenti: la proposta di creare un Gruppo di Studio sulla problematica è quindi ragionevole e interessante, perché devono essere valutate tutte le implicazioni per ottenere un risultato condiviso rispetto all’attuale modello. Formulo in conclusione i miei migliori auguri all’ICEF per il prosieguo delle sue attività, anche alla luce della fruttuosa collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri che, ono certo, potrà proseguire anche in occasione di iniziative future”;

  • Riproposizione in Campidoglio di un’analoga iniziativa alla vigilia della nuova Conferenza ONU Rio+20 del 2012 in collaborazione con il Comune di Roma, con la partecipazione anche del Parlamento Europeo e della Corte Penale Internazionale.

  1. La seconda fase: presa di coscienza della insostenibilità dello sviluppo

a. Le ambiguità del concetto di sviluppo sostenibile

La nozione di” sviluppo sostenibile” mostrava tutta la sua fragilità concettuale (anche per le sue molteplici definizioni), allorquando si evidenziò il fenomeno globale del mutamento del clima terrestre ( inteso come integrazione di geosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera): la politica ambientale ora non poteva più mitigare, ma doveva intervenire sulle cause profonde della crisi, che si evidenziava come strutturalmente profonda ed integrata di tipo economico e sociale.

b. La questione climatica è divenuta la questione ambientale di fondo

In questa logica occorre esaminare oggi senza fondamentalismi, ma con verità ed obiettività, la questione della insostenibilità dei combustibili fossili per gli equilibri climatici vitali: questa non è una delle questioni globali ambientali, ma la questione ambientale di fondo 7.

Ci si domanda se nella fase di transizione ad una nuova economia senza combustibili fossili, gli Stati che hanno queste risorse abbiano o meno in base al diritto internazionale degli obblighi giuridici particolari rispetto agli utilizzatori e come possa essere immaginata questa loro responsabilità. Ad esempio la responsabilità di proteggere ( Responsability to Protect) a carico degli Stati per i propri cittadini, dovrebbe estendersi alle persone come tali , quale che sia lo Stato di appartenenza: il clima evoca un problema di sicurezza vitale per tutti.

c. Una revisione profonda dei principi

A tale scopo, sia pure brevemente, potrà essere utile rappresentare l’urgenza di una “revisione profonda dei principi che hanno regolato finora i rapporti internazionali”, come auspicava Papa Giovanni Paolo II 20 febbraio 1989 in Roma, parlando del principio di mondialità in relazione anche al “degrado ambientale”.

Dal nostro punto di vista - se davvero le energie fossili danneggiano il sistema vivente terrestre - una revisione profonda dei principi internazionali passa attraverso strumenti giuridici nuovi di vera e propria interdizione della stessa loro estrazione dovunque nel mondo e da parte di chiunque.

  1. La verità ecologica sul clima

Quella che noi chiamiamo verità ecologica sul clima implica una ricerca storica obiettiva ed approfondita della situazione anteriore all’inizio della rivoluzione industriale: popolazione ed attività sui territori; energie utilizzate; condizioni dei grandi ecosistemi; ritmi delle stagioni; temperature; ecc.

In quella fase la componente umana sul clima era modesta, considerata la popolazione interessata ed il tipo tradizionale di economia utilizzato.

Il secondo esame riguarda proprio l’inizio ed il percorso della rivoluzione industriale,caratterizzato da un aumento anche della popolazione e da un nuovo tipo di economia: il contributo alle emissioni in atmosfera soprattutto del carbone, energia distribuita in parecchi Paesi; poi il contributo del petrolio scoperto successivamente ma posseduto da un numero limitato di Paesi ed il suo duttile impiego nei trasporti, nella produzione industriale e poi in ogni settore economico; e poi il contributo del gas naturale con i Paesi produttori e quelli utilizzatori.

La durata della rivoluzione industriale va esaminata a ritroso per verificare l ‘apporto delle emissioni e per determinare gli effetti prodotti sulle componenti naturali (effetti locali, regionali e globali; effetti sull’atmosfera, sulla geosfera e soprattutto sul suolo; effetti su laghi, fiumi, mari ed oceani; effetti su tutta la vita immensa vegetale, sulla vita animale, sui pesci, sull’uomo e la sua salute; ecc)..

La rivoluzione industriale si proietta in avanti, verso il futuro, soprattutto nel settore informatico, delle comunicazioni, delle nuove tecnologie e dello spazio, richiedendo nuovi tipi di energia.

La complessità del lavoro di ricerca (verso il passato e verso il futuro con modelli appropriati) i dati raccolti, la loro reciproca relazione, i modelli utilizzati e gradualmente perfezionati, tutto questo appartiene già ad un impegno tecnico e scientifico dell’intera comunità internazionale durato vari decenni.

Questo lavoro di ricerca per sua natura dinamico e trasparente, si accompagna a verifiche in ogni settore della natura ed al mutare della percezione sociale (v.per ulteriore documentazione e bibliografia i cap. 3 e 4 del volume “Verso la cultura della responsabilità”di P.Pozzati e F.Palmieri, Edizioni Ambiente, 2007).

Le ricerche sul clima e l’incidenza del ruolo umano, sono in realtà anche la ricerca sull’ambiente e sull’economia sociale.

Di seguito si danno solo alcune, molto essenziali, informazioni, indicando le fonti, cercando di sottolineare i dati certi giuridici dalle pur legittime aspettative culturali.

  1. Il 5° Rapporto IPCC-ONU Climate Change 2014

Nel Rapporto di Sintesi si legge:

  • il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile (pag.2);

  • i cambiamenti osservati negli ultimi 50 anni sono senza precedenti su scala temporale (pag.2);

  • la temperatura atmosferica superficiale degli ultimi trenta anni è stata la più calda (pag 3);

  • anche gli oceani si sono riscaldati rispetto ai decenni precedenti (pag 6);

  • il mutamento climatico nella sua unitarietà e nelle sue interconnessioni interessa tutte le componenti naturali (atmosfera, oceani, criosfera cioè i ghiacciai, il suolo, il ciclo dell’acqua, il livello del mare, il ciclo del carbonio e gli altri cicli biogeochimici);

  • le calotte glaciali di Groenlandia e Antartide hanno perso la loro massa (pag 7);

  • il livello medio del mare è cresciuto di 0,19 m. negli ultimi 100 anni (pag.9);

  • sono stati sconvolti il ciclo del carbonio e gli altri cicli biogeochimici: 40 per cento in più di anidride carbonica rispetto all’epoca preindustriale “per le emissioni legate all’uso dei combustibili fossili e per le emissioni legate al cambio di uso del suolo” (pag 9);

  • l’influenza umana sul sistema climatico è chiara (pag 13);

  • le continue emissioni di gas serra causeranno un ulteriore riscaldamento e cambiamenti in tutte le componenti del sistema climatico;

  • limitare il cambiamento climatico richiederà una riduzione sostanziale e prolungata nel tempo delle emissioni di gas serra (pag.16);

  • l’oceano continuerà a riscaldarsi: il calore penetrerà dalla superficie fin nell’oceano profondo e influenzerà la circolazione oceanica (compresa la corrente de Golfo): pag22;

  • il livello medio del mare continuerà ad aumentare..per effetto del riscaldamento e dell’incremento della perdita di massa dei ghiacciai e calotte polari (pag 23);

  • la stabilizzazione del clima richiederà “parecchi secoli anche se le emissioni di CO2 saranno fermate”, in considerazione degli effetti cumulativi e di accumulo (pag.25).

Queste sono affermazioni testuali inequivocabili di un Organismo tecnico e scientifico delle Nazioni Unite, che si avvale da oltre 20 anni del contributo di centinaia di esperti molto qualificati e scienziati nelle diverse discipline e di apparati di controllo sia sulla terraferma che dallo spazio.

Viene fornita una “verità scientifica e tecnica”, molto autorevole, sul clima terrestre non di un Governo o di una Lobby, ma della più rappresentativa Organizzazione internazionale.

Non si tratta di verità” assoluta”, perché sono possibili integrazioni e modifiche alla luce di nuove ricerche, ma sembra saggio e realistico prendere atto delle linee fondamentali sopra indicate.

La prima considerazione riguarda il ruolo della componente umana, destinata a crescere con l’aumento esponenziale della popolazione e dei correlativi consumi energetici.

L’influenza umana secondo il Rapporto ONU è “chiara” soprattutto per due ragioni: uso dei combustibili fossili e cambio di uso del suolo.

Il Rapporto precisa (pur senza nominare la parola “produzione”) che: “Limitare il cambiamento climatico richiederà una riduzione sostanziale e prolungata nel tempo delle emissioni di gas serra”.

Si sottolinea anche che: “La stabilizzazione del clima richiederà molto tempo, parecchi secoli, anche se le emissioni di CO2 saranno fermate”: fermare le emissioni equivale a fermare la stessa produzione di energie fossili. Un problema che si pone comunque ai fini della stabilizzazione.

  1. L’esperienza diretta

La verità ecologica del mutamento climatico è documentata non solo dai Rapporti IPCC delle N.U., ma anche dalla esperienza diretta sociale come vissuta dalle popolazioni in ogni continente e come riscontrata dalla stampa e da altri mezzi di informazione e anche dallo spazio:

  • fenomeni imponenti e diffusi di desertificazione soprattutto nel Sud-Sahara (una intera fascia di Paesi dall’Atlantico al Mar Rosso ed Oceano Indiano) ed anche in alcune aree dell’Asia;

  • cambiamenti di destinazione d’uso dei suoli impoveriti nello strato più delicato superficiale e resi non più idonei per l’agricoltura e perfino per la pastorizia (sul punto si segnala il lavoro di studio e di proposta di vari organismi scientifici italiani ed anche del Forum per la Scienza e la Tecnologia di supporto all’ICEF, diretto dal dr.Ugo Fraddosio, già dirigente FAO in Burkina Faso);

  • riduzione della disponibilità di acqua dolce e conseguenti problemi di accesso all’acqua potabile, fondamentale diritto umano (sul punto si segnala l’iniziativa del Comitato italiano Contratto Mondiale-ONLUS, diretto dal Prof. Rosario Lembo, che ha promosso un nuovo Protocollo internazionale per il riconoscimento del diritto umano all’acqua, in collaborazione con il Prof. Tullio Scovazzi e con il sostegno anche della Fondazione ICEF);

  • spostamenti di popolazione per conseguenti necessità ambientali (c. d. rifugiati ambientali, che non hanno ancora uno statuto giuridico definito a livello internazionale);

  • squilibri nelle stagioni nella durata, nei fenomeni con intensificazione degli eventi metereologici estremi (precipitazioni nevose e freddo intenso prolungato, piogge concentrate e violente, alluvioni e frane, effetti sulle culture, caldo torrido prolungato…);

  • ritiro dei ghiacciai e della stessa neve da molte catene montuose in ogni continente, con conseguente gravissima ripercussione sulle falde e riserve di acqua dolce;

  • effetti notevoli su tutte le componenti della natura, piante, pesci, animali, persone, dovute alle necessità di adattamento (nuove malattie soprattutto allergiche, specie aliene che si spostano nei mari e sulla terraferma, scioglimento delle barriere coralline, mutamento delle correnti oceaniche, alterazione delle catene alimentari nei mari anche in profondità e sulla terraferma,…);

  • vulnerabilità delle coste, città costiere ed aree con rischio idrogeologico e sismico;

  • speciale vulnerabilità dell’Artide per il ritiro imponente dei ghiacciai ed ancor più per le mire di sfruttamento di idrocarburi e gas dai fondali poco profondi;

  • speciale vulnerabilità del sistema Mediterraneo-Mar Nero (una considerazione unitaria dell’ecosistema fu suggerita dal prof Mario Pavan, già Ministro per l’Ambiente e membro del Comitato scientifico ICEF, come dimostra il volume “ The Protection and Sustainable Development of the Mediterranean-Black See Ecosystem ”, Bruylant, 2008, curato da A. Postiglione che raccoglie gli Atti della Conferenza internazionale della Fondazione ICEF tenutasi a Venezia il 24-26 maggio 2007);

  • speciale vulnerabilità del modello sociale delle grandi conurbazioni urbane in conseguenza dello sconvolgimento climatico con effetti su milioni di persone bisognose di spazi, aria pulita e respirabile , qualità di vita e lavoro accettabile, mobilità sostenibile…;

  • problemi reali già in atto per molti arcipelaghi e per un gran numero di isole dell’Oceano Indiano e del Pacifico per effetto dell’innalzamento del livello dei mari: sono ben 43 i Paesi interessati con milioni di persone coinvolte bisognose di assistenza ed aiuto concreto della Comunità internazionale. Si tratta di questione importante e molto grave ed appare significativo che vari Paesi abbiamo sentito il bisogno fin dagli anni 90 di comunicare alla Fondazione ICEF in Roma la loro adesione al Progetto di una Corte Internazionale per l’Ambiente (es. Maldives, Malè, 9 maggio 1996; Mauritius, Port Luis, 9 gennaio 1998; Seychelles, Victoria, 3 maggio 1996 (v. Amedeo Postiglione, “ Global Environmental Governance”, Bruylant, 2010, pagg. 219 e segg e Alliance of Small Island States- AOIS , che reclama giustizia dalla Comunità internazionale ed ha avuto un ruolo anche politico nella Conferenza di Marrakech).

  1. Quali nuovi principi giuridici internazionali per l’ambiente ed in particolare per il clima

  1. Nuovi principi

Il diritto internazionale generale già conosce da molti anni alcuni principi di base. Nella evoluzione della unitarietà del diritto internazionale si inseriscono nuovi problemi come l’ambiente: ad esempio il concetto di sicurezza si allarga al cibo, alla natura, alla sostenibilità delle risorse, all’acqua, alla biodiversità, al clima e domanda un ruolo diverso degli Stati e dell’economia in un mondo globalizzato.

La questione del riscaldamento del Pianeta per effetto dell’attività umana è una di quelle questioni in grado di cambiare la natura stessa e la funzione di tutto il diritto internazionale generale: se cambia l’economia, anche il diritto deve cambiare con essa.

La possibile via per superare il periodo “transitorio” verso la nuova economia mondiale senza più energie di origine fossile è quella di rafforzare alcune linee di tendenza e principi già presenti nel diritto internazionale generale ed in quello ambientale in particolare.

Nella dottrina giuridica internazionalista più recente viene considerata non solo la figura dello Stato, ma anche quello della persona singola, dei popoli, della Comunità internazionale nel suo insieme (ad esempio in Italia, tra gli altri, Umberto Leanza e Ida Caracciolo, “Il diritto internazionale: diritto per gli Stati e diritto per gli individui”, Giappichelli Editore, Torino, 2010). E’ significativo lo spazio maggiore dato a temi globali come l’ambiente. Anzi cominciano a moltiplicarsi le trattazioni specifiche di diritto internazionale dedicate all’ambiente ( es, David Hunter, James Salzman e Durwood Zaelke, “Internatinal Environmental Law and Policy”, Univerity Casebook Series, New York, 1998 ed ivi ampia bibliografia; in Italia tra altri, Amedeo Postiglione, “Diritto internazionale dell’ambiente”, Aracne editrice, Roma,2015).

Va sottolineato in parallelo il grande filone della elaborazione e codificazione dei diritti umani su base nazionale (a livello costituzionale), continentale (Europa, Africa, Americhe, Asia) ed internazionale con nuovi strumenti giuridici caratterizzati da un necessario sbocco istituzionale: l’accesso alla giustizia è un connotato ineludibile e questo vale ovviamente anche per il diritto umano all’ambiente. Perfino la cultura araba ed islamica ha sentito il bisogno di confrontarsi con la problematica (v. A. Postiglione, “I diritti dell’uomo nell’Islam”, Aracne ed., 2017).

In sintesi si possono così riassumere i principi da considerare:

  • Priorità del principio della sostenibilità della vita sulla Terra rispetto al principio pur importante dello sviluppo umano integrale: la sostenibilità va riferita alla natura terrestre intesa globalmente, sicchè è la natura a dover dire ciò che è sostenibile, non l’economia;

  • Priorità di una Global Environmental Governance rispetto al diritto allo sviluppo delle persone e dei popoli: la rivendicazione del diritto allo sviluppo, accanto ad alcuni benefici sociali, ha moltiplicato i problemi ambientali globali stante l’attuale modello di economia, finanza e commercio internazionale, intrinsecamente insostenibile 8.

  • Priorità del principio dell’ambiente come diritto-dovere fondamentale di ogni persona umana: superare la visione solo procedimentale dei diritti umani di informazione, partecipazione ed accesso per la sua sostanziale marginalità rispetto alle scelte economiche (tipi di produzione, modi di produzione, luoghi di produzione, energie solo rinnovabili, risparmio energetico, risparmio di ogni risorsa, zero rifiuti…). Estendere comunque alla dimensione internazionale i principi di informazione, partecipazione ed accesso, comprese le istanze internazionali di giustizia.

  • Ancorare il principio di equità e solidarietà tra generazioni presenti e rispetto delle generazioni future alla responsabilità politica e giuridica della Comunità internazionale quale autonomo soggetto sovraordinato del diritto internazionale: il clima tocca la vita stessa delle generazioni future ed ha bisogno oggi di una entità distinta dagli Stati, che possa imporre l’osservanza di rigide regole di condotta con effettività.

  • Estendere il concetto di bene comune e patrimonio comune dell’umanità a tutta la natura terrestre, oltre le acquisizioni concettuali e giuridiche già acquisite per alcune categorie: spazio; fondali oceanici, Artide; Antartide; singole specie naturali ed animali e relativi habitat; singole categorie di beni culturali. Trovare e valorizzare a tale scopo le categorie giuridiche più opportune a livello nazionale ed internazionale secondo un principio di integrazione rispetto ai tradizionali diritti sui beni (proprietà privata e sua funzione sociale; proprietà collettive; usi civici; beni comuni e patrimoni comuni dell’umanità; ecc).

  • Considerare giuridicamente il clima come bene comune dell’umanità comporta responsabilità per tutti i soggetti ed ai vari livelli, non potendo i produttori chiamarsi fuori dal dovere di una gestione delle energie secondo un criterio di equità e solidarietà e non solo di profitto.

  • Valorizzare il principio di prevenzione a livello internazionale per tutti i rischi, compreso ora quello davvero enorme legato al mutamento climatico: in questa logica, non può apparire eccessiva la introduzione di una data certa per la totale interdizione della estrazione delle energie di origine fossile da parte dei Paesi detentori di esse.

  • Valorizzare il principio di precauzione in tema di biodiversità, clima, protezione delle acque dolci e protezione di mari ed oceani: la mancanza della assoluta certezza scientifica non deve impedire le necessarie scelte prudenziali. Per il clima, oltre le scelte di mitigazione e interdizione delle energie fossili, si impongono scelte molto dolorose nella fase transitoria dell’adattamento ai fenomeni in corso.

  • Valorizzare nel segno della effettività il principio già esistente a carico degli Stati della responsabilità giuridica per danno ambientale sia all’interno delle aree soggette alla loro giurisdizione, sia in quelle esterne, creando un Fondo comune mondiale di compensazione.

  • Considerare la solidarietà come un dovere non solo etico ma giuridico, poiché l’ambiente ha strutturalmente una dimensione non solo personale ma collettiva. I Paesi che posseggono risorse energetiche oggi hanno una speciale e rafforzata responsabilità politica e giuridica per arrestare il mutamento climatico evitando la totale destabilizzazione e l’irreversibilità.

  • La sovranità sulle proprie risorse (rivendicata giustamente in una prima fase da molti Paesi dopo la decolonizzazione) deve essere intesa solo come equilibrata e prudente collaborazione con tutti i Paesi che non riescono ancora ad assicurare per tutti alcuni bisogni minimi (acqua per bere, cibo, medicinali, istruzione, ecc): per questi Paesi il periodo transitorio dovrebbe consentire l’utilizzo di limitate energie di origine fossile, fino alla conversione delle economie sostenibili in loco.

  1. Alcune scelte urgenti

Alla luce dei principi sopra sommariamente accennati, sembra opportuno in materia di clima fare alcune scelte di medio e lungo periodo:

  • Allargare la protezione giuridica a tutte le aree della biodiversità per la funzione preziosa di assorbimento di anidride carbonica: la politica” insulare” della prima fase di creazione di parchi e riserve naturali non è più sufficiente, perché occorre evitare l’occupazione di nuovi spazi di natura sul territorio, con nuovi strumenti. La battaglia per stabilizzare il clima si combatte insieme con la natura, cercando di salvaguardare il maggior numero di spazi liberi per il futuro e non solo guardando alle emissioni delle attività umane. Questo filone integrato biodiversità-clima è presente solo astrattamente, ma non nella normativa che rimane sostanzialmente separata: il clima obbliga ad includere la protezione della biodiversità terrestre già esistente come priorità della protezione climatica.

  • Vietare subito ogni finanziamento relativo alle energie fossili : finanziare ancora le energie fossili è da irresponsabili, sicchè occorre un divieto drastico a livello internazionale, comunitario e nazionale come segnale concreto di una vera svolta;

  • Vietare altresì subito nuove ricerche di idrocarburi,gas naturale e carbone dalla terraferma e dal mare : non si riesce a comprendere perché queste istanze debbano essere solo degli ambientalisti e non anche di tutti i soggetti della “governance”, compresi gli operatori economici;

  • A livello internazionale occorre proseguire gli sforzi già operati in Antartide con iniziative di interdizione per l’Artico, area di speciale vulnerabilità;

  • Sviluppare e favorire le energie rinnovabili (solare, eolica, geotermica, da maree, da fusione nucleare appena disponibile);

  • Introdurre criteri più rigidi di efficienza e risparmio energetico in ogni settore;

  • Fissare una data certa di interdizione della stessa “produzione” di energie fossili: questa non è una sfida impossibile se la pubblica opinione aiutata dalla scienza indipendente prende posizione e davvero coscienza dei pericoli che gravano sull’umanità.

  • Rafforzare il sistema di osservazione sistematica del clima terrestre in sintonia con la scienza, facendo partecipe la comunità umana dei risultati con apposite iniziative, come sottolineato a Marrakech nel 2016;

  • Tenere conto dellaconnessione fra cibo ed energia nella produzione agricola soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e della trasformazione industriale di prodotti agricoli per la produzione di biocarburanti (etanolo dal mais e biodisel da olio di palma e soia), come suggerito da vari organismi internazionali come FAO ed OCSE (v. anche“Terra e Cibo”, a cura del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Libreria Vaticana, 2015, n.37, pag 39 e segg.).

  1. La gente comune come percepisce la situazione?

Proprio perché gli effetti del mutamento climatico riguardano la vita dell’ecosistema vivente, che è ad esso intimamente legato, ci si domanda se non sia necessario ed urgente anticipare al massimo la interdizione della produzione e consumo delle energie fossili: si tratta di una conclusione logica per non aggravare un male che già esiste.

Di questo non sembra avvertita a sufficienza la pubblica opinione per carenza di corrette informazioni, anzi per l’operare sottile di un’opera di disinformazione.

Probabilmente vi sono ragioni più profonde.

Ci si adagia psicologicamente sulla sicurezza offerta da milioni di anni dalla nostra atmosfera a tutte le forme di vita sembrando assurdo ed eccessivo che il riscaldamento aggiuntivo prodotto dall’attività umana in epoca recente possa squilibrare addirittura l’ecosistema complessivo e la vita umana in esso.

La gente comune vuole per il momento lo sviluppo, il benessere, il consumo secondo un’etica diffusa e stili di vita non avvertiti come insostenibili.

Basta considerare la quantità immane di beni superflui e di rifiuti che non vengono riutilizzati e comunque reinseriti nei cicli naturali.

Basta considerare lo spreco di energia nella vita quotidiana e nel modello sociale delle città,con particolare riferimento ai trasporti.

La corsa al consumismo sfrenato ed allo spreco, l’esibizione del possesso e della ricchezza, le mode volgari elevate a status symbol, enfatizzate dal cinema e dalla TV e dai mass media e dalla pubblicità e sorrette da grandi gruppi finanziari e commerciali internazionali, trovano nella parte “animale” dell’uomo solo in parte una spiegazione, perché hanno purtroppo un fondamento diffuso in una vera e propria” cultura”, caratterizzata da un deficit dei valori spirituali di dignità, sobrietà, equità, solidarietà, giustizia. Gli animali sono invece più essenziali e stabili nei loro bisogni rispetto agli uomini.

Nelle persone, una illimitata interpretazione dei bisogni in economia e della libertà economica, ha spalancato le porte alla produzione di massa, al consumo di massa, senza alcuna considerazione dei valori ambientali ed umani coinvolti: il profitto per il profitto vuole lo spreco delle risorse per rinnovare senza limiti produzione e consumo in una spirale assurda, che trasforma la persona in “consumatore” e passivo recettore di una continua pubblicità di convincimento a nuovi consumi.

La fiducia eccessiva nella tecnologia salvifica come ultima istanza dell’umanità, si è trasferita a livello dell’uomo comune, mentre la vera scienza indipendente ammonisce - per ora senza risultati apprezzabili - al rispetto della natura, all’umiltà ed alla prudenza: in una parola alla “responsabilità”. In un tale contesto, come può essere percepito un tema così lontano e potenzialmente” disturbante” come il mutamento del clima?

Già l’uomo comune vede il danno ambientale soprattutto quando è diretto e colpisce la sua salute, la sua famiglia, la sua casa, i suoi beni (ossia quando ne ha una percezione diretta come avviene negli animali) e rimuove sostanzialmente quel danno ambientale che è diffuso e riguarda gli altri e la collettività in modo indistinto; con un meccanismo psicologico in apparenza opposto, nello stesso uomo comune, il consumo eccessivo di beni anche superflui da parte dei propri simili non è censurato e fa scattare la voglia di emulazione, per non rimanere inappagato. Questo sembra essere tipico dell’uomo moderno evoluto, nevrotizzato dal possesso di sempre nuovi beni rassicuranti, compreso il cibo e l’energia.

Nel parlare di mutamento climatico un po’ di realismo appare perciò necessario, perché non può essere vinta una battaglia per il clima se non viene percepita come necessaria ed urgente dalla coscienza sociale, a seguito di una profonda revisione educativa e culturale. Sono le Istituzioni a dover fornire informazioni corrette ed a imporre le scelte necessarie per il bene comune: il clima è da considerare appunto un “bene comune universale”. Il resto sarà fornito dalla esperienza dolorosa con i mutamenti in corso nella natura.

8. Conclusione

  1. La nuova economia: responsabilità e solidarietà

La nuova economia, ispirata alla responsabilità e solidarietà, è necessaria e coinvolge tutti, compresi i consumatori.

Questa economia mira a ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali, ad introdurre criteri di efficienza e risparmio, a valorizzare il principio del riciclo e riutilizzo, secondo una visione circolare analoga a quella naturale, ad utilizzare al massimo energie rinnovabili escludendo radicalmente quelle fossili dalla estrazione al consumo in ogni settore economico e sociale. Questa rivoluzione economica ha bisogno del contributo della scienza e della tecnica, ma ancor più della convinta partecipazione sociale.

La posizione critica contro petrolieri, società e Stati che ricercano ed utilizzano energie di origine fossile risponde alle esigenze della realtà ma trova ostacoli molto forti, spesso nascosti e sotterranei anche nella politica e nelle istituzioni a tutti i livelli: di qui la necessità assoluta di un’etica della responsabilità sociale diffusa, senza violenza, ma di estrema durezza.

  1. Un’etica della responsabilità

Un’etica della responsabilità che si estenda anche agli utilizzatori ed ai loro stili di vita nel settore energetico è divenuta ineludibile.

La “verità” scientifica dei Rapporti delle N.U e di varie altre Organizzazioni internazionali come OMS, WMO, FAO e di molteplici Centri di Ricerca, non è contestata con prove ed argomenti scientifici e tecnici adeguati, ma criticata in modo strumentale essendo non gradita.

Queste nostre posizioni, comuni a molte persone di buon senso, non ubbidiscono a pulsioni emotive o ad atteggiamenti antieconomici o antitecnologici.

Riteniamo che sia giusto che la pubblica opinione sia informata e che possa decidere responsabilmente anche con stili di vita diversi e coerenti.

I valori guida da considerare sono la verità e la giustizia. E’ triste dover constatare che questi valori purtroppo non sono incarnati dalle attuali istituzioni. Esse, alla ricerca del consenso a breve per finalità politiche, hanno finora assecondato in modo strutturale e continuo lo sviluppo economico fondato sulle energie fossili, senza stabilire regole adeguate. Ed appaiono ora disorientate.

E’ venuto il momento di riconoscere obiettivamente che la risposta giuridica e politica dei Governi alla crisi climatica non si è ancora verificata.

  1. Il principio di precauzione e le scelte conseguenti

  • Il principio di precauzione

Che senso ha spostare alla fine del 2100 l’obiettivo di una economia de carbonizzata (neutralità carbonica)? Ubbidisce questa scelta temporale ad un principio di precauzione?

Che senso ha lo scadenzario (2020; 2030; 2050 )per l’assunzione di nuovi obblighi internazionali e per la riduzione delle emissioni, se il fenomeno della “produzione”di energie fossili non ha date di riferimento?

Quello che conta è fissare obiettivi vincolanti ed osservarli: per l’UE la riduzione del 40% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 costituisce già un obiettivo vincolante (per arrivare all’80% nel 2050).

Ridurre le emissioni, a livello globale, del 50% rispetto ai livelli del 1990 è certamente necessario, ma sarà sufficiente?

Sembra che sia venuto il momento di distinguere nettamente le esigenze economiche della attuale economia dalle esigenze della natura,facendone partecipe la pubblica opinione.

La razionalità economica con i suoi tempi può non corrispondere alla razionalità dei fenomeni naturali, sicchè i tempi del periodo transitorio vanno stabiliti con le esigenze della natura e non viceversa, anche se questo appare ed è doloroso.

Ci si domanda anche se etica e religione possano offrire un “contributo” a livello di principi ed ancor più sul piano operativo, per superare le difficoltà di scelte politiche estremamente complesse 9 .

  • Il ruolo delle Nazioni Unite

Se si rilegge il testo della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano di Stoccolma del lontano 1972, si nota che non si parla di” clima”.

Nel principio n. 5 c’è un riferimento alle risorse non rinnovabili (tra cui vanno ricomprese quelle fossili), ma solo per sottolineare la necessità di un uso prudente “tale da non rischiare il loro esaurimento” con la sottolineatura interessante del valore della solidarietà, “in modo che i vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione siano condivisi da tutta l’umanità”. Sorprende la visione improntata ad ottimismo nel rapporto economia-ambiente nel Preambolo, punto 6: “Esistono ampie prospettive per il miglioramento della qualità dell’ambiente e la creazione di una vita più felice.Quello che occorre è un’entusiastica ma calma disposizione d’animo ed un intenso ed ordinato lavoro”.

Ben diversa è la posizione dei Governi a distanza di 20 anni alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Nella Convenzione sui cambiamenti climatici, adottata in quella data, il problema del “clima”è affrontato per la prima volta specificamente, riconoscendosi che “le attività umane hanno provocato un notevole aumento delle concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera” e che “ tale aumento intensifica l’effetto serra naturale, comportando in media un riscaldamento aggiuntivo della superficie terrestre e dell’atmosfera che potrà avere effetti negativi sugli ecosistemi naturali e sull’umanità” (Preambolo).

Si parla di :

  • “preoccupazione comune dell’umanità”;

  • “portata planetaria dei cambiamenti climatici”;

  • “salvaguardia delle generazioni future”;

In palese contraddizione concettuale e giuridica, si dà preminenza agli strumenti giuridici solo nazionali:

  • “ il principio di sovranità degli Stati deve informare la cooperazione internazionale volta a fronteggiare i cambiamenti climatici”;

  • “tocca agli Stati adottare legislazioni ambientali efficaci”;

  • gli Stati hanno “il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse secondo le loro politiche ambientali e di sviluppo”.

Pur dandosi atto della giustezza dell’obiettivo della “stabilizzazione” ( art 2), coraggiosamente enunciato, ma senza un preciso riferimento temporale, il modello di protezione giuridica rimane quello solo nazionale.

Il tema di una speciale responsabilità dei Paesi produttori non è affrontato specificamente.

Neppure è affrontato il problema della responsabilità delle Multinazionali per ricerche ed estrazioni di fossili in altri Paesi o negli spazi fuori giurisdizione.

  • La Convenzione sul clima e le COP successive

Cominciano dopo l’entrata in vigore nel 1994 della Convenzione di Rio sul clima, le riunioni annuali delle Parti (COP) per discutere della applicazione e della implementazione: prima Berlino nel 1995; poi Ginevra nel 1996; poi Kyoto in Giappone nel 1997, ove è approvato un Protocollo vincolante almeno per i Paesi più sviluppati. Ma questo Protocollo entra in vigore molto tardi, il 12 febbraio 2005.

Un cammino difficile per la diversa posizione di partenza dei Paesi interessati e la necessità (così ritenuta) dei Paesi non sviluppati di poter utilizzare energie di origine fossile necessarie al proprio sviluppo, senza sottostare ai vincoli della Convenzione e del Protocollo.

In pratica uno strumento internazionale per proteggere il bene comune del clima grava solo su un numero limitato di Paesi (una riduzione delle emissioni del 5% rispetto ai livelli del 1990).

Questo modello non viene modificato sostanzialmente neppure dalle successive COP ( Bali, 2007; Copenhagen 2009; Cancun 2019; Durban 2011; Doha 2012; Varsavia 2013; Lima, 2014).

Finalmente a Parigi nel 2015, qualcosa cambia: viene fissato un obiettivo comune per tutti i Paesi di contenere l’aumento della temperatura al di sotto del 2% rispetto al livello preindustriale e di ridurre del 50% rispetto ai livelli del 1990 le emissioni entro il 2050.

Rimane purtroppo Il modello solo “nazionale” di difesa del clima.

E’ lo stesso modello anche delle Conferenze generali ambiente ONU di Johannesburg del 2002 e di Rio+20 del 2012:

  • nella prima Conferenza tra i punti prioritari affidati alle politiche nazionali vi è quello della promozione di nuove politiche energetiche con eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili.

  • nella seconda Conferenza Rio+20, il Documento dei Governi intitolato “L’Avvenire che vogliamo” contiene alcune utili indicazioni (tra cui il divieto di sussidi ai fossili) ma non ha valore cogente (per un commento v. Amedeo Postiglione, “Diritto internazionale dell’ambiente”, Aracne Editrice, Roma, 2014 , pagg. 119-128).

Come si è detto le cose non sono mutate in modo significativo neppure con le COP 21 di Parigi 2015 e COP 22 di Marrakech del 2016, nonostante qualche progresso nel coinvolgimento di tutti i Governi sul tema del mutamento climatico: lo schema rimane sempre quello orizzontale dei Governi con i loro adempimenti parcellizzati, sostanzialmente discrezionali, pur nella condivisione di principio di alcuni obiettivi comuni.

Le economie dei singoli Paesi non sono omogenee ed ubbidiscono a logiche particolari, difficilmente integrabili per finalità comuni.

L’energia di origine fossile non può essere gestita con un tale modello, se è destinata ad essere scartata perché dannosa per il clima terrestre.

Nel periodo transitorio ciascun Paese avanzerà esigenze diverse, anche reali (come puntualmente emergerà dai Rapporti Nazionali biennali), per ottenere rinvii nell’adempimento degli impegni sottoscritti.

  • Necessità di un nuovo Trattato

Si rende necessario insistere sull’idea di una Governance sovranazionale, volutamente non affrontata finora, che contempli alcune precise obbligazioni giuridiche nel loro contenuto e nei tempi e definisca gli strumenti per la loro effettività: un nuovo Trattato od Accordo il più presto possibile (senza attendere il 2020) e comunque per il periodo successivo dovrebbe muoversi su queste linee innovative.

Proprio nel nuovo Trattato dovrà trovare spazio il problema giuridico di una speciale responsabilità dei Paesi possessori di energie fossili e delle Multinazionali del mercato globale dell’energia: la governance riguarda soprattutto questi soggetti.

Questa integrazione giuridica e politica a livello internazionale non mortifica i Governi nel loro ruolo fondamentale secondo il principio di sussidiarietà, ma consente all’economia strutturalmente di non danneggiare i beni comuni universali dell’umanità (clima, biodiversità, risorse idriche, suolo fertile, ecc) nel medio e lungo periodo.

Anzi il valore ambiente potrà aiutare la stessa economia a correggere gli attuali squilibri 10.

Appendice: “Per una conversione ecologica”

Per chi ha un sentimento religioso sincero ed aperto, Dio stesso, autore della Creazione, è “Spirito di verità.”

Egli può aiutare tutti ed anche le Istituzioni a guardare nel medio e lungo periodo e soprattutto ad assecondare la verità scientifica per il bene comune della sostenibilità della vita, messa in pericolo dal mutamento climatico.

La verità scientifica non è estranea all’opera della creazione e consente di leggere il libro aperto dell’universo infinito.

Un futuro oscuro sembra minacciare le coscienze se vengono anticipate in noi le più che probabili conseguenze catastrofiche dello sconvolgimento del clima terrestre, se non si arriva al più presto ad una stabilizzazione con una nuova economia e nuovi stili di vita..

Sia la Bibbia, sia i Vangeli, sia il Corano, ispirati o dettati da Dio, insegnano la verità di Dio, custode della vita, la bontà della natura da Lui creata e protetta e la verità dell’uomo.

La stessa” obbedienza della fede” nelle religioni monoteiste è un riflesso di Dio concepito come la Verità stessa . Dio infatti è “Colui che è”, la pienezza dell’Essere, senza origine e senza fine, perché Amore assoluto e Verità assoluta.

Egli è il senso dell’universo.

Ci si attende dalle Religioni una speciale percezione del tempo, una gratitudine a Dio per la vita attuale ricevuta ed un impegno non generico per preservare la vita contro minacce create proprio dalle attività di “dominio” e di non rispetto della natura, unico patrimonio comune del genere umano.

L’apertura alla trascendenza sarebbe concepita giustamente dallo spirito laico moderno come una illusione pericolosa se non accompagnata dai credenti dal rispetto ed amore concreto verso la comune madre Terra.

Nella Religione Ebraica la verità occupa un ruolo fondamentale: la verità di Dio è la sua sapienza che regge tutto l’ordine della creazione e del governo del mondo (Sap. 13,1-9; Sal 115,15; Sam 7,28).

La verità è anche legge morale nei 10 Comandamenti affidati a Mosè, che comprendono anche lo specifico e grave obbligo di non dare falsa testimonianza.

Nel Cristianesimo la verità , dono prezioso dello Spirito , cioè di Dio stesso, costituisce qualcosa di più di un obbligo religioso e morale, perché impegna non ad una dottrina ma ad una fede in una Persona, Gesù Cristo :

- la “Verità” è “Logos” che si fa addirittura carne ed entra misteriosamente e direttamente nella storia per una redenzione radicale dal male ,che coinvolge l’uomo e la stessa natura.

-la verità è “libertà”: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” , Giovanni, 8,32.

-la verità è “luce”: “Voi siete la luce del mondo”, Matteo, 5,15.

-la verità è” testimonianza”: “Il mio Regno non è di questo mondo. Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”, Giovanni, 18,36-39.

- la verità non è una domanda sospesa che rimane senza risposta, caratterizzata da scetticismo e relativismo, come sembra suggerire Pilato :”Che cosa è la verità?”, Giovanni 18,25-38.

-la verità è “tutta intera”, Giovanni 16,13.

-la verità è dono dello Spirito: ”Ma voi chi dite che io sia?. Rispose allora Simon Pietro: “Tu sei il Messia ,il Figlio del Dio vivente”. E Gesù a lui: “Beato sei tu, Simone Bar-Jona, perché non carne e sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”, Matteo, 16,17.

-la verità è linguaggio essenziale: “Si o No”.

-la verità è servizio al prossimo e mai falsa testimonianza contro gli altri.

-la verità è la “coscienza morale” in ognuno di noi, che impone la scelta del bene: una voce del cuore ed un giudizio della ragione contro la realtà del male.

- la verità è coraggio: l’esempio dei Profeti nel vecchio Testamento, di Giovanni Battista, dello stesso Cristo sulla croce, di tanti martiri non solo dei primi secoli dimostra che la verità può costare molto per chi la testimonia.

-la verità è mistero: la emblematica tentazione del primo uomo di poter diventare simile a Dio presenta una drammatica attualità riguardando il “ dominio” tecnologico della natura disancorato dal vero Dio, dal vero Spirito e dal vero Bene: il primato dell’etica sulla tecnica, il primato della persona sulle cose, la superiorità dello spirito sulla materia sono valori decisivi anche per la “verità” ecologica.

Da questi grandi principi nella realtà storica non è derivato sempre un rapporto corretto con la natura, come conseguenza della fede nell’unico Dio, tanto che Papa Francesco parla della necessità di una “conversione ecologica” (Laudato SI, 216-221) con riferimento all’attuale grave crisi ecologica della Terra.

Il termine conversione è molto forte, ma rende l’idea.

Egli richiama giustamente le grandi figure storiche che hanno testimoniato concretamente come sia necessario collegare l’amore per Dio creatore con l’amore per tutte le creature: San Benedetto, San Francesco.

Senza peccare di pessimismo, occorre riconoscere che lo spirito di verità anima anche la grande scienza indipendente e pacifica del mondo di oggi aperto al futuro, che è presente in ogni Paese e che è pronta a testimoniare la verità sulla evoluzione dei fenomeni naturali, compreso il clim..

La scienza oggi chiede speranza e rispetto degli equilibri fondamentali della natura ed una cultura della responsabilità a tutti i livelli.

1 La filosofia (“amore della saggezza”) è ricerca della “verità”. La scienza in fondo ha la stessa grande finalità, sia pure con metodi diversi. Le grandi Religioni identificano Dio stesso con la “Verità”. Il diritto, ponendo regole comuni di condotta e perseguendo il bene comune sociale, pur nella sua autonomia, non può prescindere da un dovere etico di rispetto per la “verità”, in una prospettiva di interesse generale anche nel medio e lungo periodo. Spunti interessanti si trovano nel volume: di Piero Pozzati e Felice Palmieri, “Verso la cultura della responsabilità”, Edizioni Ambiente, Milano, 2007 (con riguardo alla questione climatica).

2 Per una sintesi dello “Accordo di Parigi sul clima del 2015” v. un mio contributo in www.osservatorioagromafie.it ; www.tuttoambiente.it

3 La categoria giuridica della cosiddetta” inesigibilità” di origine tedesca, invocata dai difensori degli imputati per escludere la responsabilità penale di reati ambientali, è stata sistematicamente esclusa autorevolmente, quale causa di giustificazione, con continuità di indirizzo, dalla giurisprudenza dalla Corte Suprema di Cassazione, sia per la pretesa inesigibilità economica per costi eccessivi, sia per la pretesa inesigibilità sociale derivante da problemi di conservazione dei posti di lavoro in imprese inquinanti, dandosi sempre rilievo alla legalità (v. tra gli altri contributi, il mio: “Il ruolo della giurisprudenza internazionale, comunitaria, italiana costituzionale, ordinaria ed amministrativa, in materia ambientale”, pagg. 177-201, in Nuovo Manuale di Diritto e Gestione dell’Ambiente, a cura di Alberto Pierobon, Maggioli Editore, 2012). La inesigibilità è invocata anche a livello politico per giustificare scelte in tema di ambiente molto controverse: ad es in Italia il cosiddetto sistema emergenziale di gestione -o non gestione - dei rifiuti regolato da norme in contrasto con quelle comunitarie.

4 Si occupano di clima a vario titolo: dal 1974 il Worldwatch Institute, fondato da Lester Brown che pubblica dei Report annuali; l’Intergovernmental Panel on Climate Change –IPCC, fondato nel 1988 dalle N.U., che raggruppa più di 2500 esperti di molti Paesi e che ha pubblicato 4 Report a partire dal 1990; l’UNEP, l’UNDP, la FAO, l’UNESCO , il WMO ed anche famose ONG come IUCN, organismi di controllo dallo spazio come la NASA; in Italia, il Ministero dell’Ambiente, del Territorio e del Mare, ENEA, ISPRA, Istituto Geografico De Agostini, ENI, ENEL e varie Associazioni come WWF, Greenpeace, Legambiente, Fondazione Sviluppo Sostenibile.

5 Interessanti dati possono essere rinvenuti nella Rete ELIOT ( Environmental Justice Organisation Liabilities and Trade) curata dall’UNEP, nei Reports pubblicati dalla università di Heidelberg, Heidelberg Insitute for International Conflict Research) ed in Italia nell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo, a cura di Raffaele Crocco, Terra Nuova Edizioni, 2014 e nel mio “Ambiente, Giustizia e Pace”, Aracne, ed. 2015, pag. 155 e segg.

6 La gestione dell’ambiente secondo i principi di una “governance” (termine inglese invalso nell’uso a livello europeo ed internazionale) significa più semplicemente superare il metodo tradizionale di command and control fondato solo su alcune leggi e sul ruolo di controllo delle Istituzioni pubbliche sulla osservanza di alcuni limiti mitigatori minimi comuni: la finalità della governance è invece più ampia e positiva, cioè proteggere complessivamente le risorse naturali secondo un criterio di sostenibilità nell’interesse anche delle generazioni future, coinvolgendo nelle scelte tutti i soggetti compresi quelli economici e sociali. La gestione unitaria e razionale dell’ambiente presuppone la definizione precisa dei ruoli e delle responsabilità. Per una prima informazione sul tema si rinvia a: M. Montini e M. Alberton, “La governance ambientale europea in transizione”, Giuffrè, Milano, 2008; A.Postiglione e S.Maglia, “Diritto e gestione dell’ambiente“, Irnereo Ed., 2013, cap 10; A. Postiglione, “Global Environmental Governance”, Bruylant, 2010, per i profili internazionali.

7 Un approccio profondo e realistico alla problematica è offerto dalla nota Enciclica “Laudato SI” di Papa Francesco. Partendo dal concetto unitario della Terra come casa comune, il clima stesso è definito un “bene comune” di tutti e per tutti: un sistema complesso “in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana”. Dandosi atto che “esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico”, realisticamente si denuncia (punto 26 ) che “molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto sul mascherare i problemi e nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi dei cambiamenti climatici”. Di qui l’auspicio di una “drastica riduzione” delle emissioni di combustibili fossili e dello sviluppo di energie rinnovabili.

8 Quando si parla di Governance Globale Ambientale l’accento è spostato sulla dimensione internazionale politica, economica e giuridica, nel senso di definire la risposta insieme con tutte le istituzioni per una gestione corretta dell’ambiente. Quali Istituzioni? Secondo l’opinione ormai condivisa il ruolo degli Stati nazionali è importante per il principio di integrazione e sussidiarietà, ma non sufficiente, perché occorre assicurare al valore ambiente una duplice protezione internazionale: attraverso le norme e attraverso organi specifici e permanenti distinti e sovraordinati rispetto agli Stati e agli altri soggetti di diritto internazionale, organi nuovi riferibili alla Comunità internazionale quale unitario soggetto del diritto internazionale, vero responsabile della governance in ordine alla gestione dei problemi globali come clima, acque, biodiversità.

9 Siano consentite alcune riflessioni che di regola esulano dai contributi giuridici: si veda l’appendice.

10 Un importante documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace(“Energia, Giustizia e Pace”, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pag 97) ripropone con forza e lungimiranza la necessità di una “governance internazionale” e di una “vera autorità politica mondiale” per l’ambiente ed in particolare per l’energia”:…i tempi per concepire istituzioni con competenza universale arrivano quando sono in gioco beni vitali e condivisi dell’intera famiglia umana, che i singoli Stati non sono in grado di promuovere e proteggere da soli”. Le risorse energetiche rimangono essenziali per lo sviluppo umano: oggi per tutelare il clima come bene comune universale anche a favore delle generazioni future occorre assicurare la sostenibilità ambientale complessiva e scegliere quelle energie davvero compatibili. Si tratta di una sfida che può essere vinta solo sulla base di un’etica forte della responsabilità.