V.I.A., opere pubbliche e infrastrutture: una convivenza difficile.
Dott. Andrea FUSARO

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Dott. Andrea Fusaro - consulente ambientale e patrocinatore
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È di recente pubblicazione, in una rivista specialistica nazionale, il commento di un autorevole giurista sulla “riforma” del T.U. Ambientale, in virtù della quale il Decreto Legislativo del 16 gennaio 2008, n. 4, apporta notevoli modifiche, tra le altre, alla seconda parte del Codice che disciplina la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) e la Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.).

L’intervento richiama alcune importanti correzioni introdotte nel regime della V.I.A., tra le quali spiccano il riconoscimento dell’efficacia sostitutiva e di coordinamento del provvedimento finale di compatibilità ambientale, il carattere preclusivo al rilascio di autorizzazioni e permessi, e la sanzione della sospensione dei lavori e della rimessione in pristino stato dei luoghi a cura e spese del responsabile in caso di inosservanza delle prescrizioni dettate dal provvedimento.

Quelle brevi ma importanti considerazioni stimolano ulteriori ed utili riflessioni, perchè è indubbio che la riforma del Codice abbia contribuito a stabilizzare, in un testo normativo rinnovato e finalmente caratterizzato da linearità e chiarezza espositiva, i principi cardine sui quali si innesta la procedura di verifica e di assoggettamento degli interventi a V.I.A..                  

Ma c’è da chiedersi se l’emendamento contribuisca a risolvere i problemi applicativi della V.I.A., riguardanti per lo più limiti di carattere procedurale che rendono vane le garanzie istruttorie apprestate dalla direttiva 85/337/CE nell’ambito delle opere pubbliche in genere, ed in particolare per i progetti di infrastrutture strategiche.

Il presente scritto si propone, con l’illustrazione di un caso concreto oggetto di una consulenza, di evidenziare le persistenti contraddizioni riscontrabili nella disciplina della V.I.A. relativa alla costruzione delle opere pubbliche e delle  infrastrutture strategiche.

 

* L’autore si assume la responsabilità degli errori, omissioni ed imprecisioni riscontrabili nel presente saggio.

 
              Premessa.
 

È indubbio che le direttive comunitarie in campo ambientale siano ormai orientate a una disciplina sistematica della prevenzione degli inquinamenti e della gestione delle risorse naturali. Si assiste, infatti, allo sviluppo del fenomeno delle direttive quadro, con le quali le istituzioni comunitarie intendono orientare gli Stati Membri verso il governo dell’impatto ambientale di talune attività antropiche, non più sulle singole fonti di inquinamento ma sugli ecosistemi. Il tentativo di operare, nel nostro sistema giuridico, un riordino delle principali norme che recepiscono le direttive più importanti in materia ambientale, per il tramite dell’approvazione di un Testo Unico Ambientale, è oggi il probabile sintomo positivo di una maggiore attenzione verso questa tendenza sia sotto il profilo sostanziale sia dal punto di vista procedurale.

 Assecondando questa nuova impostazione, il legislatore ha integrato la procedura di verifica di assoggettabilità (screening) nella procedura di V.I.A. (art. 5, comma 1, lett. b), rendendo così difficile alle amministrazioni sfuggire all’obbligo di controllo preventivo dei progetti. Con la conseguenza che la procedura di V.I.A. possa eseguirsi su progetti, anche non contemplati dagli allegati, qualora per dimensioni, natura e localizzazione siano suscettibili di creare modifiche rilevanti sull’ambiente e sui beni culturali (art. 6, comma 5). L’efficacia preclusiva al rilascio delle autorizzazioni, pareri e assensi, corollario del riconoscimento del carattere provvedimentale della V.I.A., determina, inoltre, nell’amministrazione competente ad approvare i progetti ed i programmi degli interventi proposti, obblighi più tassativi di controllo del rispetto delle prescrizioni alle quali subordinare l’esecuzione del progetto. Le nuove norme sulla V.I.A. appaiono, inoltre, maggiormente orientate verso un approfondimento della fase istruttoria dell’intero procedimento, che si traduce in un più incisivo obbligo delle amministrazioni di adottare il provvedimento di compatibilità integrando i pareri delle amministrazioni interessate con quanto emerso dalla consultazione del pubblico, secondo l’art. 8 della direttiva. 

Nonostante quest’opera di riforma meriti apprezzamento, si deve sottolineare come l’approccio sistematico della disciplina ambientale Comunitaria non sarebbe sufficiente a superare le diverse impostazioni procedurali alla V.I.A. e l’eccesso di discrezionalità decisionale delle amministrazioni degli Stati Membri nel processo di implementazione. L’analisi che segue dimostra, infatti, nel quadro dell’esperienza empirica delle opere pubbliche, come l’omissione della verifica di assoggettabilità a V.I.A. dei progetti (screening), il frazionamento della procedura di approvazione dei progetti delle opere pubbliche, e le carenze istruttorie interne ed esterne al procedimento vanifichino le garanzie istruttorie apprestate dalla direttiva comunitaria.

 
 
 
 
La “via” della V.I.A. comunitaria.
 

La Valutazione di Impatto Ambientale è stata concepita, nel diritto statunitense (dal testo del NEPA), come una procedura il cui scopo è di rendere intelligibile, alle amministrazioni competenti ad approvare progetti e programmi di opere ed impianti suscettibili di avere impatti ambientali rilevanti, i rischi di danno che conseguirebbero all’esecuzione. Tale impostazione è stata mutuata, dopo circa venti anni, nel sistema comunitario. La V.I.A. ha, quindi, assunto la funzione di strumento decisionale grazie al quale le amministrazioni europee sono in grado di discernere i rischi dell’esecuzione di un’opera dalle opportunità e, quindi, di prevenire ovvero mitigare i danni ambientali.   

La direttiva Comunitaria n. 337 sulla V.I.A. è stata adottata nel 1985, con il fine di uniformare tutte le leggi degli Stati Membri agli obiettivi della prevenzione e della mitigazione dei danni all’ambiente dovuta all’esecuzione di programmi di sviluppo o di progetti contemplati negli allegati I e II. L’impostazione per allegati (c.d. shopping list), alla quale gli Stati Membri avrebbero dovuto conformarsi entro il 1988, avrebbe richiesto alle rispettive amministrazioni di approntare adeguate istruttorie per l’approvazione dei progetti e dei programmi, perché sebbene non vi fossero dubbi che la V.I.A. fosse obbligatoria  per tutte le opere descritte nell’allegato I, gli Stati Membri tendevano a non sottoporre ad esame i progetti di minore rilevanza classificati nell’allegato II. Il fenomeno era indotto da un eccesso di discrezionalità manifestato dalle amministrazioni degli Stati Membri che, in seguito alla revisione dell’applicazione della norma Comunitaria, eseguita da alcuni esperti di fama internazionale su incarico della Commissione a partire dal 1990, si realizzò fosse dovuta in parte al combinato disposto dell’articolo 2 con l’articolo 4 della direttiva.

L’interpretazione del combinato disposto, secondo cui “[...]i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto[...]” “quando gli Stati membri ritengono che le loro caratteristiche lo richiedano” sulla base di criteri di soglia adottati da ciascuno Stato Membro riferibili ai progetti di cui all’allegato II, determinava gli Stati Membri e le rispettive amministrazioni, a ridurne le soglie dimensionali o a prevenirne l’inserimento negli allegati delle leggi o dei regolamenti di attuazione, ovvero a scinderne l’esecuzione in più progetti non assoggettabili ma appartenenti al medesimo comparto. Acquisiva credito, in Europa, la tesi secondo la quale questi sotterfugi avrebbero inficiato il potenziale valutativo e tecnico della V.I.A, in quanto avrebbero consentito alle amministrazioni degli Stati Membri di escludere dal vaglio tecnico istruttorio aspetti rilevanti dei progetti suscettibili di impatto ambientale significativo.

L’apporto decisivo della CGE che la Commissione riportò la procedura di V.I.A. degli Stati Membri nella giusta direzione.  Nelle pronunce Kraaijeveld, Commissione/Repubblica d’Irlanda e WWF/Autonome Provinz Bozen, infatti, l’interpretazione di stretto diritto delle norme citate veniva riconosciuta esplicitamente quale freno alla discrezionalità degli Stati Membri nello stabilire, con provvedimenti nazionali, i criteri di assoggettabilità a V.I.A. dei progetti elencati nell’allegato II. Le sentenze sancivano definitivamente il sussistere di un divieto, valido nei confronti di tutte le amministrazioni europee, di dimezzare i progetti delle opere di un medesimo comparto per sfuggire all’obbligo di V.I.A., e di sottoporre comunque a verifica preliminare (screening) tutti i progetti ed i programmi, anche se non assimilabili a quelli descritti nell’allegato II della direttiva, per appurarne o meno l’assoggettabilità.

Le sentenze Comunitarie, ed il contributo degli esperti internazionali di cui si è già detto, fornirono un impulso decisivo anche ad una riforma complessiva della direttiva. L’emenda, intervenuta con la direttiva 97/11, ebbe il merito di abrogare il generico inciso dell’art. 4, comma 2 “I progetti appartenenti alle classi elencate nell'allegato II formano oggetto di una valutazione [...] quando gli Stati membri ritengono che le loro caratteristiche lo richiedano”, al quale si aggiunse il criterio delle valutazioni caso per caso alternativo alle soglie dimensionali. Si chiarì, inoltre, quale fosse la scansione necessaria delle fasi in cui si deve sostanziare l’intera procedura di V.I.A., ritenendosi, pertanto, che lo screening e lo scoping, cioè l’istruttoria che coinvolge le amministrazioni interessate dalla realizzazione del progetto o del programma, finalizzata alla redazione dello studio di impatto ambientale (S.I.A.), e l’adozione del parere conclusivo dovessero realizzarsi nei confronti di un progetto non più suscettibile di modificazione (progetto definitivo). Ciò in quanto l’esperienza di implementazione della V.I.A. da parte di Stati Membri, quali Francia e Olanda, avevano dimostrato che l’esperimento della V.I.A. successivamente all’approvazione del progetto esecutivo delle infrastrutture, avrebbe reso vana oppure troppo onerosa l’imposizione di prescrizioni.

 
 
 
 
 
Le lacune procedurali Italiane.
 

Gli avanzamenti Comunitari, tuttavia, non trovavano un immediato riscontro negli Stati Membri e, in maniera più evidente, in Italia. Non solo nel nostro paese gli evidenti ritardi di trasposizione della direttiva avrebbero limitato la portata applicativa della V.I.A. ma si accompagnavano ad un’impostazione procedurale poco coerente con gli obiettivi della norma sovranazionale. Una lettura coordinata dei regolamenti di recepimento Italiani, coeva e successiva agli interventi di riforma citati, farebbe pertanto emergere un’impostazione procedurale dell’istruttoria della procedura di V.I.A. per tutte le opere pubbliche, anche strategiche, contrastante con l’impostazione comunitaria. Occorre, dunque, procedere ad una breve disamina introduttiva delle norme.

Un primo riferimento è alla abrogata L. 11 febbraio 1994, n. 109, “Legge Quadro in materia di lavori pubblici”, modificata da più interventi legislativi, ed al vigente D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici”. I rassegnati interventi normativi, riconoscono una collocazione autonoma della procedura di V.I.A. all’interno del procedimento di approvazione dei progetti di opere pubbliche. La legge quadro, in particolare, all’articolo 7, comma 8, e agli articoli 14, comma 6 e 16, comma 4, richiedevano che il S.I.A. fosse accompagnato al progetto preliminare, ove richiesto dalla legge nazionale e dalle disposizioni comunitarie. Il comma 3 dell’articolo 16 statuiva inoltre che “il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni [...]anche con riferimento ai profili ambientali”. Dispone quindi il regolamento di attuazione che la verifica di prefattibilità ambientale ( 21, comma 2 ) e lo screening siano svolti sul progetto preliminare delle opere e che, in particolare, ques’ultima sub-procedura venga effettuata in sede di convalida progettuale da parte del responsabile del procedimento (art. 47, comma 1, lett. h)). Le norme testé citate operavano, inoltre, un implicito rimando alla disciplina nazionale.  A tal proposito si rileva che anche il regolamento n. 377/88, consentiva un “arretramento” dell’esame valutativo al progetto di massima delle infrastrutture, prima di essere inoltrato alle autorità competenti per i pareri (articolo 2, comma 1), mentre al D.P.R. del 12 aprile 1996 (“regolamento di coordinamento”) si doveva imputare, in via interpretativa, l’adeguamento alle leggi quadro citate. Questa impostazione è, ad oggi, rimasta invariata per le opere pubbliche e strategiche. In virtù degli art. 3, comma 7 del D.lgs. n. 190/2002, ed attualmente dell’art. 165, comma 7 D.lgs. n. 163/2006, il CIPE approva il progetto preliminare di un’opera pubblica determinandone contestualmente la compatibilità ambientale.

Come si dirà più avanti, le ragioni per ravvisare un contrasto con gli obiettivi comunitari non traggono spunto da meri rilievi normativi. La giurisprudenza della CGE, lo studio pre-riforma della direttiva citato in precedenza, e gli osservatori internazionali hanno, infatti, evidenziato come lo schema in esame favorirebbe in astratto un deficit valutativo nell’esame tecnico del progetto operato dalle amministrazioni. Dalle motivazioni delle sentenze pronunciate nei confronti dell’Italia Lotto Zero e Porto Turistico di Fossacesia, emerge, infatti, che le amministrazioni italiane persistono nel non censurare il mancato svolgimento dello screening dei progetti preliminari, esentandone di fatto V.I.A.. La sentenza Santa Caterina Valfurva dimostra che anche nelle ipotesi in cui venissero imposte prescrizioni sui progetti preliminari, le modifiche eseguite sui progetti definitivi, senza la rinnovazione della procedura di V.I.A., ne renderebbero vano il rispetto nella fase esecutiva. L’Organizzazione Giuridica Internazionale per l’Ambiente e lo Sviluppo ha, inoltre, rimarcato in un report del 2003, che sebbene la legge c.d. Obiettivo non abbia esentato la V.I.A. obbligatoria per le opere pubbliche, abbia di fatto ridotto le garanzie istruttorie delle procedura previste dalla direttiva Comunitaria.

Contrariamente a questi orientamenti, taluni commentatori hanno, tuttavia ritenuto, prendendo spunto dai principi interpretativi emersi in alcune sentenze amministrative, che l’arretramento delle valutazioni (screening e V.I.A.) nel regime delle opere pubbliche e, successivamente, delle infrastrutture strategiche di cui alla L. 443/2001 sia comunque compensato dal maggior dettaglio del progetto preliminare e da ragioni di semplificazione amministrativa. Questa affermazione, benché in teoria rispondente alle aspettative dell’articolo 16, comma 3 dell’abrogata legge quadro dei lavori pubblici può essere messa in crisi col raffronto di un caso in concreto oggetto dell’analisi che segue.

     

 

Un caso concreto: la Tangenziale Ovest di Lecce

 

Le lacune procedurali illustrate si rinvengono nel caso in commento, oggetto di una consulenza “postuma” sull’approvazione di una variante in viadotto di un tracciato in rilevato, passante attraverso la proprietà boscata di una villa storica soggetta a vincolo naturalistico ambientale. Il percorso era stato già precedentemente approvato nel 1983, in variante ad un tracciato originario che non avrebbe interferito con la villa.

Il progetto preliminare del tracciato della Tangenziale Ovest, fu redatto dall’A.N.A.S. di Bari su incarico del Comune di Lecce. Accadeva che la Sovrintendenza dei Lavori Pubblici (S.LL.PP.) della Regione Puglia, non avesse mai sottoposto allo screening e, successivamente, alla V.I.A, i procedimenti di approvazione, compiutisi in circa venti anni, delle varianti degli stralci del primo lotto.

E fu solo nel 1996, quando divenne evidente che l’opera avrebbe interferito con la villa storica oggetto di vincolo, che le richieste di chiarimenti sull’assoggettabilità a V.I.A. dell’opera vennero avanzati. Tra l’A.N.A.S. e la S.LL.PP., ci fu una corrispondenza di meri riscontri negativi, che non si basavano sulle previsioni di impatto ambientale di quello stralcio, ma sul vuoto della disciplina nazionale sulla V.I.A.. Ciò fu possibile anche grazie ad un escamotage progettuale.

Il progetto definitivo del primo lotto dell’opera, infatti, descriveva un anello di sole due corsie. Le caratteristiche del progetto, quindi, non soddisfacevano i limiti di soglia minimi stabiliti nel regolamento 377/88, in base all’interpretazione operata dalla Circolare del Ministero dell’Ambiente del 1 dicembre 1992, che imponeva la V.I.A. per le sole strade extraurbane principali a due corsie per ogni senso di marcia suddivise da spartitraffico.

Successivamente l’A.N.A.S. proponeva varianti progettuali plano-altimetriche e strutturali in corso d’opera che, a partire dal 1998, venivano approvate in sede di conferenza di servizi.          Una variante in viadotto in alternativa al rilevato venne proposta dalla Sovrintendenza dei BB.AA.AA.CC. alla S.LL.PP. Regionale per il rilascio del provvedimento di deroga, al vincolo apposto sulla villa limitatamente alla superficie occupata dalla sede stradale. La costruzione di un ponte a campata unica e con pilastri veniva addotto a presupposto per il rilascio del provvedimento di deroga. Il dipartimento di Studi Ambientali dell’Università di Lecce condivise la proposta, sul rilievo che la soluzione configurata avrebbe consentito di mantenere intatta la continuità biologica del bosco.

Anche il progetto di variante venne proposto in assenza di screening, nonostante al tempo dell’istruttoria della conferenza, indetta per l’approvazione del progetto preliminare della variante del viadotto, la giurisprudenza nazionale e comunitaria ne avessero sancito l’obbligo e sebbene nel gennaio 1996 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nell’esaminare lo schema di riforma del regolamento 377/88, puntualizzava la necessità di ammettere, tra le opere oggetto di V.I.A. obbligatoria, tutte le strade extraurbane, comprese quelle secondarie, con due corsie per ogni senso di marcia separate da spartitraffico. Convocata nel febbraio 2000, la conferenza dei servizi approvava la variante del viadotto passante sulla villa. I lavori dello stralcio terminarono nel 2004 con l’espianto di quasi mille individui di specie vegetazionali di altissimo pregio.

È degno di nota rilevare che, prima che il passante venisse realizzato in corrispondenza del bosco, nel 2001, le balaustre per il contenimento della sede stradale erano state costruite per contenere una strada a due corsie per ogni senso di marcia: cioè quattro in totale. Questo escamotage progettualevenne svelato con l’inserimento del progetto nell’allegato 2 della Delibera CIPE n. 121/2001. Fu allora evidente che la variante esterna della tangenziale Ovest di Lecce si componeva di quattro corsie e non di due. Sullo stralcio dell’opera già costruito interveniva, come su un “vecchio morente”, il parere della commissione speciale V.I.A. del Ministero dell’Ambiente che, nel novembre 2004, ne sanciva la compatibilità ambientale, congiuntamente al secondo lotto in via di realizzazione.

  
 
Discussione.
 

Il caso appena illustrato descrive, è vero, una condotta “estrema” delle amministrazioni, ma comprova le contraddizioni della procedura della V.I.A. per le opere pubbliche e per le infrastrutture strategiche. Si evidenzia, infatti, come la violazione del principio di legalità del procedimento, resti in secondo piano, rispetto alla totale mancanza di una condotta conforme al principio di leale collaborazione, buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, come richiesta dalla giurisprudenza comunitaria, e che garantisca l’efficace svolgimento dell’istruttoria tecnica sul progetto degli interventi.

L’analisi fattuale ha, quindi, consentito di configurare un nodo critico nella procedura di V.I.A. per le opere pubbliche in genere: quello di non rendere agevole una procedura che tenga effettivamente conto delle esigenze istruttorie di progetti spesso molto complessi e, alla luce di quelle, la necessità dell’amministrazione di identificare, in maniera adeguata, gli opposti interessi alla loro realizzazione. L’evidenza acquista maggiore peso quando si constata che la direttiva sulla V.I.A. appresti solo uno strumento di rappresentazione del rischio ambientale per le amministrazioni al fine delle decisioni, che non impone agli Stati Membri di esprimere il diniego all’approvazione di un progetto o di un programma nell’ipotesi di valutazione  negativa. Quest’ultimo rilievo metterebbe in crisi l’esperimento della V.I.A. per le opere pubbliche e per le opere strategiche, rendendo vano il tentativo del legislatore di integrare la disciplina della V.I.A. nel nuovo T.U. degli appalti dei lavori pubblici (D.Lgs. 163/2006).  

 
         

L’integrazione “forzata” della V.I.A. nel regime delle opere strategiche.

 

Le considerazioni da ultimo esposte vengono validate dall’esame dal vigente regime sulle opere pubbliche strategiche e dal raffronto con la nuova procedura di V.I.A. del T.U. Ambientale. La disciplina dell’approvazione dei progetti di infrastrutture strategiche, dettata dal D.Lgs 163/2006 (T.U. Lavori Pubblici), è strutturata su due schemi fondamentali. Il primo dispone che la dichiarazione di compatibilità ambientale dell’opera, espresso successivamente al raggiungimento dell’intesa con le regioni e le province autonome sulla localizzazione delle opere, sia contestuale all’approvazione del progetto preliminare da parte del CIPE (art. 165, c. 7 T.U. Lavori Pubblici) e che, in caso di parere negativo del Ministero dell’Ambiente, espresso sul S.I.A. previa consultazione con la commissione speciale V.I.A., e dei BB.AA.CC. nel caso di opere ricadenti su aree soggette a vincolo paesaggistico, intervenga l’approvazione del Consiglio dei Ministri (art. 183, comma 6 T.U. Lavori Pubblici). Il secondo prevede che per i progetti di infrastrutture strategiche di carattere internazionale, interregionale e di preminente interesse nazionale, il parere negativo rilasciato dalle regioni e delle province autonome sul SIA sia superato con il parere reso dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sul quale si innesta l’approvazione del CIPE, la cui composizione è integrata dai presidenti delle regioni e delle province autonome. Nell’ipotesi di dissenso dei rappresentanti degli enti citati anche in questa sede, il progetto viene approvato con d.P.R. previa deliberazione del Consiglio dei Ministri sentita la commissione parlamentare per le questioni regionali (art. 165, comma 7 T.U. Lavori Pubblici).

Lo schema in commento parrebbe, in definitiva, integrare aspetti valutativi di tipo tecnico-discrezionale in un ambito di pianificazione e aggiudicazione delle opere caratterizzato da un esercizio del potere amministrativo finalizzato al contemperamento di interessi pubblici tra loro configgenti. Devono, pertanto, respingersi quei rilievi critici che intravedono nella procedura di V.I.A. per le opere pubbliche il prevalere di, considerazioni politiche. Un’interpretazione più aderente alla realtà interpretativa delle norme, così come tracciata negli ultimi anni dalla Corte Costituzionale, muove, al contrario, dalla pregiudiziale dell’applicazione flessibile del principio di sussidiarietà, deducibile dall’art. 117 e 118 della costituzione che, per addivenire alla necessità di rendere uniformi gli obiettivi di sviluppo socio-economico nel nostro paese, è inteso ad attrarre le competenze amministrative in ambito della V.I.A. alla sfera statale onde soddisfarne le relative esigenze. Il limite fondamentale della procedura di V.I.A., nell’ambito dell’approvazione dei progetti per le opere strategiche, che rimane irrisolto, è semmai ancora riscontrabile in un gap del tutto procedurale, tale da ridurre le garanzie istruttorie approntate dalla direttiva e dal T.U. Ambiente recentemente emendato.

ll progetto di riforma del T.U. Ambiente, anteriore all’approvazione definitiva del D.Lgs. n. 4/2008, all’articolo 26, comma 8 disponeva che “La procedura di valutazione d'impatto ambientale delle opere relative a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi di cui al Decreto legislativo n.163 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni, si conclude, previa consultazione condotta ai sensi dell'art .24, con un provvedimento, espresso e motivato, che ha per oggetto il progetto definitivo”. Già da quella proposta, si desume che il tentativo di integrazione delle due discipline si sarebbe esposto ad una prima evidente ed intrinseca contraddizione. Si specificava, difatti, che: “La procedura [...] si conclude, [...] con un provvedimento, espresso e motivato, che ha per oggetto il progetto definitivo”. La proposta, ritirata in sede di approvazione definitiva del D.lgs. 4/2008 di emenda, farebbe legittimamente pensare che il legislatore non è riuscito a rendere coerente il procedimento della VIA, alimentando confusione sulle modalità di svolgimento, né a sopire l’interesse della Commissione nei confronti dell’Italia, che ha intrapreso una nuova procedura di infrazione nei confronti del nostro paese.

La critica è decisiva con riguardo alle garanzie istruttorie apprestate dalla direttiva. Da una prospettiva meramente interna al procedimento, emerge, infatti, che il provvedimento di compatibilità ambientale per le opere strategiche, non assumerebbe quella efficacia sostitutiva espressamente riconosciuta dal T.U. Ambiente per altri progetti, e che, peraltro, consentirebbe di ravvisare un momento di sintesi coerente tra la valutazione tecnica, in sé considerata, e le prescrizioni che trovano compiuta realizzazione in un progetto non più soggetto a modifiche qual è quello definitivo. Nel procedimento di V.I.A. per le opere strategiche si ravviserebbe, al contrario, una frattura tra il momento valutativo e quello prescrittivo. E non è certo, però, che gli enti locali e gli uffici tecnici competenti possano sempre avere un peso decisionale determinante in quello spazio, al fine di rimediare, con le garanzie dell’imparzialità, buon andamento e leale collaborazione del procedimento amministrativo, alla violazione delle prescrizioni imposte dalla commissione tecnica in sede di V.I.A. con la redazione del progetto definitivo.

A tal proposito, costituisce un ragguardevole avanzamento che la sentenza 303/2003 della Corte Costituzionale abbia riconosciuto che le regioni e le province autonome non godrebbero più di un ruolo meramente consultivo in seno al CIPE nell’approvazione dei progetti definitivi. È, tuttavia, degno di attenzione rilevare che ai sensi dell’art. 166, comma 3 del T.U. Lavori Pubblici le proposte di adeguamento, le prescrizioni sul progetto definitivo possano rivelarsi effettive in sede di approvazione CIPE, solo qualora non comportino una diversa localizzazione dell’opera e rispettino i limiti di spesa, le caratteristiche prestazionali e funzionali. In ogni caso, l’art. 166, comma 5 dispone che sia rimessa alla discrezionalità del predetto comitato integrare o meno quelle proposte in sede di approvazione del progetto definitivo che avviene con il voto della maggioranza dei componenti.

Dovendo, quindi, azzardare un bilancio, tra le garanzie riconoscibili nella procedura di approvazione del progetto preliminare e di quello definitivo, si può osservare il sussistere di un paradosso. In sede di approvazione di un progetto preliminare di interesse strategico di carattere internazionale o interregionale, le regioni interessate possono sempre censurare in sede giurisdizionale amministrativa il d.P.R. di approvazione del progetto con il quale si è superato il loro dissenso, qualora leda il principio di leale collaborazione. Nell’ipotesi dei progetti di infrastrutture strategiche di interesse concorrente, inoltre, il CIPE può procedere all’approvazione per d.P.R. o alla sospensione dell’infrastruttura, previa una nuova valutazione del programma delle opere, solo dopo avere raggiunto l’intesa con la/le regioni dissenzienti. Al contrario, in sede di approvazione del progetto definitivo, è pur sempre attribuita alla discrezionalità del solo Ministero dell’Ambiente, previa consultazione con la commissione speciale VIA, ha la facoltà di richiedere al CIPE di sospendere l’esecuzione dell’opera o il rinnovo dell’istruttoria, ma solo qualora le differenze con il progetto preliminare o la violazione delle prescrizioni espresse in sede di V.I.A. siano suscettibili di una “significativa” modificazione dell’impatto ambientale globale, lasciando la determinazione dell’entità delle conseguenze derivanti dall’esecuzione dell’opera ancora ad un giudizio meramente discrezionale privo di appigli tecnici opponibili dai controinteressati.

Sempre da un punto di vista interno alla procedura, si rileva che la procedura di V.I.A. regolata dal T.U. Ambiente, conformemente agli articoli 5, paragrafi 2 e 4, e 6, paragrafo 1 della direttiva 85/337, agevola il coinvolgimento del soggetto proponente l’opera nella fase istruttoria, con la facoltà di determinare, nel corso dell’attività di progettazione e di screening, le modalità di redazione ed il contenuto del S.I.A. attivando un <> non solo con l’amministrazione procedente, ma anche con altre amministrazioni interessate e competenti negli ambiti di intervento dell’opera.

Nel quadro della V.I.A. per le opere pubbliche e strategiche, la procedura di scoping è rinvenibile nell’articolo 21, comma 2 del regolamento di esecuzione della legge quadro lavori pubblici. La norma, tuttavia, fa solo riferimento generico a “le informazioni necessarie allo svolgimento della fase di selezione preliminare dei contenuti dello studio di impatto ambientale” che, in relazione agli articoli 47 e 48 devono essere integrate e verificate, con l’ausilio dell’ufficio ovvero degli organismi di controllo. La disposizione in rassegna non prevede, quindi, un obbligo del responsabile del procedimento di istruire lo S.I.A. raccogliendo le informazioni utili in possesso di altri uffici esterni al proprio ambito operativo, riducendo di fatto l’efficacia dello scoping.  

La procedura di V.I.A. per le opere strategiche sconta anche limiti procedurali che ne inficiano le garanzie istruttorie verso l’esterno. La procedura di approvazione dei progetti preliminari delle infrastrutture strategiche si deve svolgere entro un range temporale di 180 giorni dalla presentazione dei progetti da parte dei soggetti (pubblici o privati) aggiudicatari delle offerte relative alle opere sulle quali si è raggiunta l’intesa Stato-Regione. Si sarebbe, quindi, in presenza di uno stretto margine temporale, per cui la metà del procedimento verrebbe dedicata al rilascio dei pareri tecnici sulle infrastrutture da parte delle regioni e delle province autonome ed eventualmente allo svolgimento dello screening e dello scoping della V.I.A. di loro competenza per infrastrutture e impianti spesso molto complessi. Nell’ulteriore termine di novanta giorni, nel caso di opere da sottoporre a VIA statale il Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministerro dei BB.AA.CC. nel caso di opere che ricadano su aree sottoposte a vincolo di tutela culturale o paesaggistica, devono pronunciare il parere non vincolante per il CIPE sulla compatibilità ambientale dell’opera. Si aggiunga che il tentativo, operato dall’articolo 24, comma 5 del T.U. Ambiente in combinato con l’articolo 165, comma 3 del D.Lgs. n. 163/2006, di integrare la partecipazione del pubblico nella fase istruttoria per l’approvazione del progetto preliminare rischierebbe di essere del tutto vanificato dai tempi ristretti della procedura di approvazione. L’osservazione sarebbe pregnante, anche laddove il Ministero dell’Ambiente imponesse all’aggiudicatario dell’opera l’adeguamento del progetto definitivo alle prescrizioni o alle modifiche determinate sul preliminare.  

Nel T.U. Ambiente, il termine di 60 giorni previsto dall’articolo 24, comma 4, e commi da 6 a 9 entro il quale il pubblico interessato può prendere visione del progetto e della relazione di I.A., consente di attivare uno spazio conoscitivo verso l’esterno proporzionato alla complessità dell’opera e grazie al quale, nelle ipotesi in cui le osservazioni del pubblico possano determinare un condizionamento nell’esecuzione dell’opera, il termine a disposizione dell’amministrazione per approvare il progetto potrebbe ampliarsi.

 
 
Conclusioni.
 

L’avere commentato le problematiche relative alla disciplina della V.I.A. per le opere pubbliche e le infrastrutture strategiche, con l’illustrazione di un caso concreto, ha reso agevole evidenziarne le perduranti contraddizioni che la sottrarrebbero alle garanzie istruttorie della direttiva comunitaria, nonostante la maggiore attenzione alla prevenzione dei danni agli ecosistemi manifestata dal legislatore nazionale.

L’approvazione dei progetti di opere pubbliche, da sempre oggetto di un’intensa attività di sorveglianza della Commissione, è stata da taluni Stati Membri considerata sotto un rigore normativo diverso rispetto ad altri interventi. L’Italia, tuttavia, non ha saputo approfittare degli avanzamenti giurisprudenziali e normativi in materia esponendosi a nuove procedure di infrazione. La disciplina dei lavori pubblici ed oggi, in maniera più evidente, quella delle infrastrutture strategiche appare troppo ispirata all’esigenza di semplificazione amministrativa tesa ad accelerare l’esecuzione di infrastrutture, limitando le garanzie apprestate dalla direttiva comunitaria 85/337. Tale caratteristica rende il momento valutativo frazionato rispetto all’approvazione del progetto definitivo, perché eseguito solo sul progetto preliminare. Con la conseguenza che l’applicazione delle prescrizioni sul progetto definitivo, ed il conseguente controllo del rispetto delle prescrizioni si rivelerebbe in alcuni casi troppo oneroso e dispendioso, ovvero soggetto alla censura discrezionale del Ministero dell’Ambiente che potrebbe disporre la sospensione dei lavori o il rinnovo dell’istruttoria solo nel caso di modifiche che implichino una significativa modificazione o variazione dell’impatto globale dell’opera.

Il T.U. Ambiente, di recente modifica, mostra, rispetto alla disciplina per le infrastrutture strategiche, un approccio alla valutazione di progetti non emendabili, con un’implementazione delle prescrizioni non limitata alla discrezionalità degli enti competenti ed al budget dei lavori. La V.I.A. del T.U. favorisce un’attenzione maggiore all’integrazione, nel procedimento, di istanze provenienti dal pubblico, dei pareri, delle autorizzazioni e degli ulteriori permessi rilasciati dalle amministrazioni competenti, tanto da assorbirle e coordinarle con il provvedimento di compatibilità ambientale. Con l’ulteriore, è più importante, possibilità di configurazione di un dialogo istruttorio, tra amministrazioni e soggetti proponenti, finalizzato alla determinazione del contenuto del S.I.A. redatto dal proponente.

Il contrasto tra due impostazioni, così diverse tra loro, denota come il tentativo di integrare la disciplina della V.I.A. nell’ambito delle opere pubbliche, apprestato dalla proposta di inserimento dell’articolo 26, comma 4 nel progetto di D.lgs. n. 4/08, poi stralciato in sede di approvazione definitiva, sia contraddittorio già a partire dal tenore letterale della norma. Ed anche escludendo che lo schema procedurale della V.I.A. per le opere pubbliche favorirebbe una valutazione degli interessi in gioco basato esclusivamente su considerazioni politiche, è pur vero, però, che un’impostazione che non consenta una valutazione approfondita alle amministrazioni competenti a gestire le risorse e gli impatti ambientali (attraverso le competenze delle regioni e degli uffici tecnici provinciali e comunali in coordinamento tra loro) è, evidentemente, contraria ad un approccio integrato alla prevenzione degli inquinamenti e della perdita degli ecosistemi, che richiede alle amministrazioni competenti di sottoporre a controllo tutte le fasi di implementazione del progetto. Se ne deve dedurre, quindi, che l’implementazione della disciplina della V.I.A., caratterizzata oggi da un approccio ecosistemico, nell’ambito dell’approvazione di progetti di opere strategiche, si scontri con un limite di ispirazione essenzialmente procedurale, tale da mettere in crisi, proprio in considerazione degli impatti ambientali rilevanti, quel disegno comunitario unitario.

 
 
 
Bibliografia
 
 
Autori
 
 

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Valeri, S., Brevi considerazioni sul provvedimento di V.I.A. secondo il nuovo codice dell’Ambiente, in Lexitalia, n. 9, 2006;

 
 
Giurisprudenza:
 
Consiglio di Stato, Parere n. 2757/95, 25 gennaio 1996;
 
Consiglio di Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917;
 
Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2002, n. 3917;
 

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 10 giugno 2004, causa C-87/02; 

 
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 11 agosto 1995,  causa C-431/92;
 

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 16 settembre 1999, causa C-435/97;

 

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 20 settembre 2007, causa C-304/05;

 

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 21 settembre 1999, causa C-392/96;

 

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 24 ottobre 1996, causa C-72/1995;

 

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 2 giugno 2005, causa C-83/03;

 

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 9 agosto 1994, causa C-396/92;

 

T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, sentenza n. 710, 9 maggio 2002;

 
T.A.R. Lazio - Roma, sezione III, 8 agosto 2006, n. 7098;
 
T.A.R. Lazio - Roma, sezione III-ter, 4 gennaio 2006, n. 82;
 
 
Altri documenti
 

Circolare 1 dicembre 1992, n. 8840/VIA/A.O.13.1, G.U. n. 104 del 6 maggio 1993;

 

COM(93) 575 final, 16.3.94: Report from the Commission of the Implementation of Directive 85/337/CE;

 

Commission report shows inadeguate implementation of environment Directive, IP/03/876, 2003;

 

Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 4 giugno 2003, dichiarazione di notevole interesse pubblico del parco di Villa Tuzzo sito nel comune di Lecce (in gazz. uff., 27 febbraio, n. 48);

 

Ministero dei Lavori Pubblici, Lettera Not. Prot. n. 2801, 13 dicembre 1996; A.N.A.S.,

 
Lettera Prot. n. 12054 del 17 dicembre 1995;
 
Procedura di Infrazione 2002/5170.
 
 
 
 
 
 


Butti, L., Ambiente. Rifiuti, bonifiche, V.I.A., acque: la riforma del D.Lgs. n. 152 apre una nuova stagione, in Ambiente&Sicurezza, n. 4, 2008, pagg. 56-59;

Così Fonderico, F., Sesto Programma d’Azione UE per l’Ambiente e << Strategie Tematiche >>, Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 5, 2007, Milano, Giuffrè editore;

Commission report shows inadeguate implementation of environment Directive, IP/03/876, 2003

Fonderico, F., ibidem;

Macrory, R., Environmental Assessment: Critical Legal Issues on Implementation, in Vaughan, D. (Ed.), Environment and Planning Law, 1991, pagg. 31-43;

Lambrechts, C., Environmental Impact assessment, in Winter, G. (Ed.), European Environmental Law: A Comparativge Perspective, 1996, pag. 74-76;  

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 24 ottobre 1996, causa C-72/1995;

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 21 settembre 1999, causa C-392/96;

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 16 settembre 1999, causa C-435/97;

Sheate, W.R., Amending the E.C. Directive (85/337/EC) on Environmental Impact Assessment, Environmental Law Network International Newsletter, n. 2, 1994, 17-18; COM(93) 575 final, 16.3.94: Report from the Commission of the Implementation of Directive 85/337/CE;

Milone, A., Valutazione di Impatto Ambientale Regionale. Impianto di Gestione Rifiuti e Porto Turistico, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, n. 12, 2003, note 33-35; L’adeguamento della normativa Italiana, iniziato con il regolamento 377/88, e seguito con il regolamento di coordinamento si è, infatti, realizzato dopo più di dieci anni e altrettante procedure di infrazione promosse dalla Commissione nei confronti del nostro paese.

Così con un’espressione suggestiva, Tamburino, M.L., in AA.VV, Codice dei Contratti Pubblici - Commentario al D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 - Codice dei Contratti Pubblici relativi a Lavori, Servizi e Forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, 2007, Giuffrè, pag. 1454;

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Italiana,sentenza del 10 giugno 2004, causa C-87/02; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Italiana, sentenza del 20 settembre 2007, causa C-304/05; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Italiana, sentenza del 2 giugno 2005, causa C-83/03;

Cfr. anche Gratani, A., La VIA deve precedere i provvedimenti nazionali autorizzativi e dichiarativi di P.U., in Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 2, 2004: l’autrice, commentando una recente sentenza della CGE, aderisce all’interpretazione finalistica e di stretto diritto che la Commissione ha costantemente mantenuto sull’art. 2(1) della Direttiva.   

Sikabonyi, M.E., Country Report. Italy, in European Environmental Law Review, n. 12 pag. 227;

Tamburino, M.L., cit., pag. 1460-1461; Gratani, A., AA.VV, Codice dei Contratti Pubblici - Commentario al D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, cit., pag 1609-1610;

Consiglio di Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917; T.A.R. Lazio - Roma, sezione III, 8 agosto 2006, n. 7098; T.A.R. Lazio - Roma, sezione III-ter, 4 gennaio 2006, n. 82;

Ministero dei Lavori Pubblici, Lettera Not. Prot. n. 2801, 13 dicembre 1996; A.N.A.S., Lettera Prot. n. 12054 del 17 dicembre 1995;

Circolare 1 dicembre 1992, n. 8840/VIA/A.O.13.1, G.U. n. 104 del 6 maggio 1993;

I progetti erano approvati con conferenze di servizio indette ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.P.R: 18 aprile 1994, n. 383 “Regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale” i cui provvedimenti finali erano caratterizzati da contenuto sostitutorio, poiché derogavano i piani urbanistici comunali. 

Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 4 giugno 2003, dichiarazione di notevole interesse pubblico del parco di Villa Tuzzo sito nel comune di Lecce (in gazz. uff., 27 febbraio, n. 48);

T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, sentenza n. 710, 9 maggio 2002;

Consiglio di Stato, Parere n. 2757/95, 25 gennaio 1996, 9-10;

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Bund Naturschutz in Bayern eV, Richard Stahnsdorf e altri contro Freistaat Bayern, sentenza del 9 agosto 1994, causa C-396/92;

Davies, P., European Union Environmental Law. An Introduction to Key Selected Issues, Ashgate, 2004, pag. 167;

Cfr. Basile, F., Decisionalità politica e snellimento procedimentale nel nuovo modello di conferenza di servizi, Rivista Giuridica dell’Edilizia, n. 2, 1998, pagg. 442-443; Iannello, C., cit., pagg. 1124 e ss.; Lenzi, S., La pianificazione dei trasporti e il Primo programma delle infrastrutture strategiche, in www.peraltrestrade.it/download/La_pianificazione_dei_trasporti__lenzi_sett_06.pdfpag. 1;

Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, Sentenza 25 settembre - 1° ottobre 2003, n. 303, pubblicata su G.U. 8/10/2003, rinvenibile in http://www.cortecostituzionale.it;

Procedura di Infrazione 2002/5170.

Così Ponte, D., Sulla <> la disciplina diventa unitaria, in Guida al Diritto, n. 3, pag. 160;

Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, cit., par. 6.2 motivazione;

Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, cit., par. 24 motivazione;