CONFORMITÀ LEGISLATIVA IN UN SISTEMA DI GESTIONE AMBIENTALE: PRE-REQUISITO ED OBIETTIVO   di Simona Ghirardini (*) DECISIONE 2000

 

 

SOMMARIO

 

1.      INTRODUZIONE

  1. IDENTIFICAZIONE E REGISTRAZIONE DELLE PRESCRIZIONI LEGISLATIVE E REGOLAMENTARI

3.      PRINCIPALE NORMATIVA AMBIENTALE CHE LE IMPRESE DEVONO RISPETTARE

4.      AUDIT DI CONFORMITÀ LEGISLATIVA: TIPOLOGIA DI “AUDIT AMBIENTALE”

5.      REQUISITI MINIMI DA TENER CONTO NELLA VERIFICA DELLA CONFORMITÀ LEGISLATIVA

6.      RESPONSABILITÀ DEI VERIFICATORI

7.      CONCLUSIONI

 

1. INTRODUZIONE

La salvaguardia dell’ambiente è cresciuta costantemente in questi ultimi anni, grazie ad una maggiore sensibilità da parte di tutti i soggetti interessati. Anche il mondo industriale si è reso conto dell’importanza della tutela ambientale ed in quest’ottica cerca di gestire le proprie attività.

Infatti, le strategie adottate dalle imprese si sono modificate progressivamente passando da una strategia difensiva, diretta a ridurre al minimo l'informazione disponibile sull'impatto ambientale e costretta però a subire le pressioni esterne, ad una strategia di anticipazione attiva, diretta a realizzare una corretta e trasparente informazione verso l'esterno e promuovere un comportamento rispettoso delle norme. Questa evoluzione ha accompagnato e favorito la trasformazione dell'approccio delle imprese nei riguardi della questione ambientale, che oggi risulta fortemente diversificato.

Gli approcci fondamentali sono quattro cui seguono altrettante strategie, naturalmente questa classificazione è semplificativa in quanto nella realtà possono sussistere variegate posizioni intermedie.

L'impresa passiva subisce le pressioni esterne e le normative come un'indebita ingerenza nei propri affari, non modifica in alcun modo la sua organizzazione. Essa introduce impianti di abbattimento a valle degli impianti produttivi ed invita i tecnici a limitarsi all'adeguamento degli stessi alle normative, rispettando il vincolo della minimizzazione dei costi a breve periodo che costituisce il principale obiettivo di questa tipologia d'impresa.

L'impresa adattativa associa all'impiego di tecnologie di abbattimento a valle l'impiego di tecnologie di processo standardizzate offerte da fornitori specializzati. La responsabilità della gestione ambientale è di solito affidata al responsabile tecnico di produzione, la cui nomina dipende più dalle dimensioni dell'impresa che da una esplicita selezione di priorità, affiancato da una consulenza legale interna o esterna per la verifica del rispetto delle norme esistenti e per le eventuali controversie. La sensibilità in questo tipo di imprese è sicuramente superiore a quella dell'impresa passiva, anche se non sempre sono evidenti gli effetti sul piano organizzativo.

L'impresa reattiva ha invece iniziato il processo di incorporazione dell'obiettivo di salvaguardia ambientale nell'ambito degli obiettivi aziendali ritenendolo una necessità. L'impresa percepisce gli stimoli dei consumatori sensibili alle tematiche ambientali, si adegua alle normative sviluppando processi a basso impatto ambientale e prodotti puliti; a ciò si aggiunge lo sviluppo di un sistema informativo ambientale rudimentale, in grado comunque di fornire al top management le indicazioni rilevanti ai fini del controllo di gestione e degli adempimenti normativi. L'organizzazione è più complessa e le responsabilità ambientali sono affidate ad un numero crescente di funzioni e soggetti interni all'azienda. Obiettivo di queste imprese è lo sviluppo qualitativo del sistema di gestione ambientale, minimizzando i rischi di incidenti e di infrazioni alle norme, favorendo uno sviluppo organico delle loro attività attraverso un'ottica che vada al di là del breve periodo.

L'impresa proattiva ha percepito l'importanza della questione ambientale come opportunità di crescita ed ha interiorizzato gli obiettivi di tutela dell'ambiente a tutti i livelli aziendali. Guarda con interesse allo sviluppo della politica ambientale internazionale mirando ad anticiparne l'evoluzione o ad orientarne lo sviluppo attraverso l'introduzione di tecnologie e prodotti puliti d'avanguardia. Per questo tipo di impresa, la gestione dell'ambiente, pur rappresentando un costo, offre opportunità di sviluppo verso nuovi mercati o di ampliamento di quelli esistenti mediante la promozione di prodotti verdi. Tutte le funzioni aziendali sono sensibilizzate a tal fine, in particolare la ricerca e sviluppo mira a realizzare innovazioni originali e non solo ad adattare ciò che esiste all'esterno. Gli obiettivi strategici dell'impresa incorporano pienamente quelli ambientali e proprio l'ambiente è considerato fattore competitivo di primaria importanza. Il grado di complessità delle funzioni può in alcuni casi divenire molto alto.

Nella mia relazione focalizzo l’attenzione proprio su quest’ultima tipologia di impresa ed in particolare sulla conformità legislativa, obbligo dell’impresa ma nello stesso tempo pre-requisito determinante in caso di adozione volontaria di un Sistema di Gestione Ambientale (SGA).

Quest’ultimo è uno strumento comprendente la struttura organizzativa, la responsabilità, la prassi, le procedure, i processi e le risorse a disposizione di un’impresa (denominata, appunto, proattiva) per definire ed attuare la politica ambientale la quale costituisce il quadro prefissare gli obiettivi ed i target ambientali.

Tra gli obiettivi fissati dalla politica ambientale è compresa anche la conformità a tutte le norme ed i regolamenti pertinenti al tipo d’impresa presa in considerazione.

Essa, infatti, non deve sussistere soltanto inizialmente (quindi pre-requisito), ma deve essere mantenuta nel tempo (quindi obiettivo della politica ambientale).

L’esistenza ed il suo mantenimento vengono verificati con un periodico “audit di conformità legislativa” (del quale parlerò ampiamente in un paragrafo successivo).

 

2. IDENTIFICAZIONE E REGISTRAZIONE DELLE PRESCRIZIONI LEGISLATIVE E REGOLAMENTARI

Il rispetto della legislazione ambientale applicabile alle proprie attività è un requisito fondamentale per poter aderire ad Emas.

Infatti il Regolamento 1836/1993 (EMAS I) stabiliva: “Questo sistema non pregiudica le vigenti disposizioni di legge comunitarie e nazionali o le norme tecniche, relative ai controlli ambientali, né pregiudica i doveri delle imprese derivanti da tali disposizioni di legge e norme” (art. 1.3), oggi sostituito con il Regolamento 761/2001 (EMAS II) che all’art. 10, comma 1 recita:

“L’EMAS non pregiudica:

a)      la normativa comunitaria, o

b)      le leggi nazionali o le norme tecniche non disciplinate dal diritto comunitario, né

c)      i doveri delle organizzazioni derivanti da tali leggi e norme relativamente ai controlli ambientali.”

La legislazione in questo campo, infatti, è molto frammentata e disomogenea.

È molto importante, in sede di analisi ambientale, che non si trascuri nulla e che vengano individuate tutte le prescrizioni di legge che devono essere ottemperate dall’impresa sia in fase di autorizzazione che di controllo.

Le disposizioni legislative possono presentarsi sotto varie forme:

-         quelle specifiche per l’attività;

-         quelle specifiche per i prodotti ed i servizi dell’organizzazione;

-         quelle specifiche per il settore industriale dell’organizzazione;

-         le leggi sull’ambiente di applicazione generale;

-         le autorizzazioni, le licenze, i permessi.

Per identificare le leggi in materia ambientale e le loro modifiche in corso si possono consultare varie fonti ad esempio autorità di vario livello, gruppi o associazioni industriali, raccolte di dati pubblicate, servizi professionali.

Si dovrebbe arrivare alla compilazione di un registro delle disposizioni legislative riguardanti l’ambiente che riporti la normativa comunitaria, nazionale e regionale applicabile alle attività svolte nel sito.

L’impresa può anche decidere di fissare dei criteri di prestazione interni che vadano oltre quanto richiesto dalle leggi.

Tali criteri possono essere d’aiuto all’azienda nel definire i propri obiettivi e traguardi ambientali.

Nel registro dovrebbero essere riportate, ad esempio, le autorizzazioni in campo ambientale, gli inventari di sorgenti di emissione e di scarichi, gli elenchi di sostanze pericolose, i limiti di legge previsti, linee guida di qualità ambientale, i protocolli o convenzioni con autorità, gli accordi volontari ecc..

È importante ricordare che l’identificazione delle prescrizioni legislative e regolamentari non si esaurisce in sede di analisi ambientale iniziale, ma rappresenta un processo continuo che deve essere svolto e riesaminato periodicamente.

Anche il registro deve essere quindi aggiornato continuamente in base alle nuove norme emanate ed alle scadenze periodiche successive.

Dovrebbero essere evidenziate anche le prevedibili variazioni della legislazione in modo da privilegiare, in sede di individuazione delle possibili aree di miglioramento, le azioni finalizzate al preventivo adeguamento.

È utile segnalare che la creazione del registro può costituire un ulteriore elemento di pianificazione laddove lo si utilizzi anche come scadenzario per le verifiche del soddisfacimento delle prescrizioni.

È fondamentale specificare fin d’ora che il rispetto della legge è un pre-requisito, senza il quale non è possibile ottenere il certificato dì conformità alla norma lSO l400l[1] (come si è visto per Emas I – II).

Infatti al punto 4.3.2 "Prescrizioni legali e altre", la ISO 14001 stabilisce: “L’organizzazione deve stabilire e mantenere attiva una procedura che consenta di identificare e di accedere alle prescrizioni legali e di altro tipo sottoscritte dall’organizzazione che riguardano gli aspetti ambientali delle sua attività, prodotti e servizi”.

In altre parole non è sufficiente archiviare tutte le Gazzette Ufficiali emanate per esempio negli ultimi tre anni, ma si deve elaborare una procedura che permetta:

-         di individuare quali siano le leggi da rispettare in base alle attività, prodotti e servizi dell'organizzazione;

-         che le leggi individuate siano trasmesse ai responsabili delle singole attività, prodotti e servizi con un riscontro oggettivo dell'avvenuta trasmissione;

-         che i responsabili verifichino il rispetto o meno della legge informando il responsabile del sistema di gestione ambientale.

Devono essere quindi elaborati degli strumenti di supporto alla procedura che dimostrino oggettivamente che i tre punti sopracitati siano effettivamente rispettati. Per facilitare l'individuazione delle leggi si può elaborare una scheda in cui si colleghino gli aspetti ambientali alle attività, prodotti, servizi e ai singoli responsabili, destinatari della legge individuata.
Individuato il destinatario è importante l'esistenza di un documento che attesti il ricevimento della legge e la data del ricevimento.

Di certo non è sufficiente dimostrare di aver individuato e trasmesso la legge a chi di competenza per essere sicuri del rispetto della stessa e soprattutto se la legge è stata effettivamente letta o riposta in un cassetto. Per tale motivo è necessaria l'elaborazione di una scheda tecnica in cui il destinatario informi il responsabile del sistema di gestione ambientale su come l'azienda si pone nei confronti della legge, per esempio nel caso di nuovi limiti per le emissioni, verificare se vi è attualmente il loro rispetto.

Sebbene non sia esplicitamente richiesto dalla norma ISO 14001, è consigliabile redigere un registro delle prescrizioni di legge (come per Emas) a cui è soggetta l'organizzazione. E' importante che tale registro venga aggiornato.

Le informazioni che dovrebbero rientrare in tale registro sono:

identificazione del documento;

data di pubblicazione;

data di entrata in vigore;

data di abrogazione;

documenti collegati;

attività, prodotto, servizio interessato;

responsabile.

 

3. PRINCIPALE NORMATIVA AMBIENTALE CHE LE IMPRESE DEVONO RISPETTARE

Settore Aria

La legislazione italiana in materia di inquinamento atmosferico, nonostante si tratti di una delle problematiche ambientali più importanti, è stata per lungo tempo inadeguata; l'attuale normativa vigente deriva dal recepimento delle direttive emesse dalla Comunità Europea, in particolare a  partire dal 1988, anno in cui veniva  pubblicato il DPR  203, la "legge quadro" sull'inquinamento atmosferico, che si è rilevata uno strumento fortemente innovativo nei contenuti e nelle procedure autorizzative:

-         definizione di linee guida per il contenimento delle emissioni;

-         conferimento alle regioni di un  ruolo di controllo e di vigilanza e di competenze quali, la fissazione di valori limite di qualità dell'aria anche inferiori ai valori guida imposti dalle norme nazionali;

-         modalità e iter autorizzativi diversificati per i nuovi impianti e  per quelli esistenti, in sostituzione in parte di quanto previsto dalla Legge 615 del 1966, che è rimasta  in vigore solo per quel che riguarda gli impianti termici e dal DPR 322 del 1971;

-         sanzioni penali per le inadempienze procedurali e per il superamento dei valori di emissione.

Nel 1989 venne  emanato il  DPCM 21/07/89 per integrare ed interpretare il DPR 203/88 e per fare una distinzione  nel dettaglio tra impianto nuovo ed esistente. Per una completa attuazione del DPR 203 era stata prevista l'uscita di un successivo decreto, per  consentire alle imprese di definire gli interventi di adeguamento degli impianti ai limiti di emissione nei tempi previsti dal DPR 203 stesso; questo decreto è uscito solo nel luglio del 1990 (DM del 12/7/90: "Linee guida al contenimento delle emissioni inquinanti degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione), per cui si rese necessaria una proroga dei termini per la presentazione delle domande  e dei progetti di adeguamento. I  decreti successivi al 1989 più significativi sono stati:

-         DPR 25/07/91 che ha specificato quali sono le attività che non necessitano di autorizzazione alle emissioni  (attività ad inquinamento poco significativo) e quelle che possono essere sottoposte ad una procedura semplifica (attività a ridotto inquinamento atmosferico);

-         DPCM 02/10/95 emanato per  disciplinare le caratteristiche dei combustibili da usare negli impianti;

-         DM 15/04/94 e DM 25/11/94 che hanno introdotto i livelli di attenzione e di allarme, allo scopo di fornire uno strumento per l'individuazione e la gestione di episodi acuti di inquinamento nelle aree urbane.

Un discorso a parte vale per gli impianti di incenerimento e coincenerimento i cui limiti di emissione, i criteri tecnici costruttivi e le cui domande di autorizzazione sono disciplinati dal DM n. 503 del 1997, dal DM n° 124 del 2000 e dagli articoli 27 e 28 del Dlgs n°22 del 1997 (1° "Ronchi").

 

Settore Rifiuti

Negli ultimi anni la legislazione sui rifiuti è stata oggetto di continue discussioni da parte degli operatori del settore, in quanto si è cercato di riformare tale legislazione, con una nuova norma generale, il D.Lsvo  5 Febbraio 1997, n°22 - altrimenti detto "decreto Ronchi", con il quale sono stati assunti nuovi criteri che mettono in primo piano la protezione dell'ambiente e le responsabilità di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di vita dei prodotti.

Il decreto Ronchi è stato successivamente modificato ed integrato dal D.Lgs. 8 Novembre 1997, n° 389 (noto come "Ronchi bis") e dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426 recante "Nuovi interventi in campo ambientale" ("Ronchi ter").

Sinteticamente, i punti più importanti nel Ronchi sono:

  • Definizione di rifiuto e classificazione

L'art. 6 del Ronchi definisce il rifiuto come "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi".
Per quanto riguarda la classificazione con la nuova legge i rifiuti vengono distinti a seconda dell'origine (urbani o speciali) e a seconda delle caratteristiche (pericolosi o non pericolosi)

  • Regime autorizzatorio

Vengono definite tutte le pratiche necessarie, sia per chi produce rifiuti sia per chi li tratta        come attività professionale

  • Responsabilità
    L'imprenditore che produce rifiuti, per quanto concerne il loro smaltimento, deve assolvere i suoi obblighi tramite autosmaltimento, conferimento a terzi autorizzati o conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti.La responsabilità del produttore decade completamente nel secondo caso e nel terzo caso non appena egli abbia ricevuto il formulario d’identificazione datato e firmato dal destinatario finale dei rifiuti.
  • Trasporto
    I trasportatori di rifiuti per conto terzi devono essere iscritti all'Albo Nazionale e l'iscrizione va rinnovata ogni 5 anni. L'obbligo d’iscrizione vale anche per chi effettua trasporti in proprio se in quantità superiori a certi limiti fissati.
  • Autosmaltimento
    Non serve più l'autorizzazione per l'autosmaltimento, purché siano rispettate alcune condizioni (deve essere effettuato nel luogo di produzione, i rifiuti devono essere non pericolosi, il loro trattamento non deve comportare la gestione di una discarica e vanno comunque rispettate le norme tecniche relative)

Il D.Lgs. 22/1997 è una sorta di legge-quadro, che rimanda ad altre normative di attuazione (sono previsti 71 decreti).

Inoltre, tale decreto e le successive modifiche ed integrazioni, definisce i soggetti tenuti a comunicare, annualmente, alle Camere di Commercio i rifiuti prodotti o gestiti in termini di quantità e tipologie;
Tale comunicazione annuale deve essere effettuata secondo le modalità stabilite dalla L.N. 70/1994, istitutiva del Modello Unico di Dichiarazione - MUD - entro il 30 aprile di ogni anno.
Per quanto riguarda la denuncia del 1999 si deve utilizzare la modulistica contenuta nel D.P.C.M. 31 marzo 1999 "Approvazione del nuovo modello unico di dichiarazione ambientale per l'anno 1999", pubblicato sulla Gazzetta ufficiale - Supplemento ordinario n. 70 del 14 aprile 1999.

Una grande novità introdotta dal decreto Ronchi riguarda la tassazione sui rifiuti, che verrà sostituita da una tariffa definita dai Comuni. L'avvio di tale sistema è stato rimandato al 1 Gennaio 2000 dalla legge 426/1998.

 

Settore Acque

La normativa sull'inquinamento idrico ha come legge quadro il Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, recentemente modificata dal DLgs n. 258 del 18/8/00. Con questo decreto vengono abrogati la legge "Merli" (L. 319/1976) ed altri provvedimenti, tra cui il D.Lgs. 130/1992 (qualità delle acque dolci), il D.Lgs. 132/1992 (acque sotterranee) e il D.Lgs. 133/1992 (scarichi di sostanze pericolose).
Il nuovo decreto legislativo oltre a recepire le direttive comunitarie 91/271/CEE (acque reflue urbane) e 91/626/CEE (inquinamento da nitrati in agricoltura) riordina tutta la materia dell'inquinamento idrico e si configura come un testo unico di riferimento. Rimanda comunque a sei ulteriori decreti attuativi.

Nel D.Lgs 11 maggio 1999, n. 152 viene inoltre data la definizione di scarico che mancava nella legge Merli (v. Art. 2 della legge).

I limiti di emissione sono fissati sia a livello nazionale (allegato 5), che a livello regionale in base ai piani di tutela e agli obiettivi di qualità regionali.

L'allegato 5 sostituisce le tabelle A e C della legge Merli, pertanto i nuovi scarichi dovranno essere conformi ai limiti ivi previsti e gli scarichi esistenti dovranno adeguarsi entro i termini stabiliti.

Per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche la normativa di riferimento è la Legge 36 del 5 Gennaio 1994 ( "legge Galli") che definisce l'organizzazione del servizio idrico integrato, la costituzione degli ambiti territoriali ottimali, le forme societarie per la gestione del servizio e l'istituzione delle tariffe.

Per la qualità delle acque destinate al consumo umano la legge principale è il D.P.R. 236 del 24 maggio 1988.

Per l'inquinamento marino dovuto ad idrocarburi si fa riferimento alle Convenzioni Internazionali che vengono ratificate dallo Stato Italiano.

Per la difesa del mare si veda la L. 979 del 31 Dicembre 1982 e la L. 220 del 28 Febbraio 1992. Per gli scarichi termici in mare: L. 502 del 6 dicembre 1993.

Per l'eutrofizzazione: L. 283 del 4 Agosto 1989, D.M. 295 del 22 Giugno 1989.

Per le costruzioni idrauliche restano in vigore il R.D. 523/1904 (Testo unico sulle opere idrauliche) e il R.D. 1775/1933 (testo unico sulle acque e gli impianti elettrici).

 

4. AUDIT DI CONFORMITÀ LEGISLATIVA: TIPOLOGIA DI “AUDIT AMBIENTALE”

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, è necessario spiegare cosa s’intende con “audit ambientale” e chiarire fin d’ora che le definizioni di audit date dalle diverse fonti europee ed internazionali si discostano l’una dall’altra.

Infatti, per il Regolamento 1836/1993[2](Emas I all’art. 2f) l’audit consiste in “uno strumento di gestione comprendente una valutazione sistematica, documentata, periodica ed obiettiva dell’efficienza dell’organizzazione, del sistema di gestione e dei processi destinati alla protezione dell’ambiente, al fine di:

-         facilitare il controllo di gestione delle prassi che possono avere un impatto sull’ambiente;

-         valutare la conformità alle politiche ambientali aziendali.

La norma ISO 14001 definisce “audit del sistema di gestione ambientale” come:

“Processo di verifica sistematico e documentato per conoscere e valutare, con oggettiva evidenza, se il sistema di gestione ambientale di un’organizzazione è conforme ai criteri definiti dall’organizzazione stessa per l’audit del sistema di gestione ambientale e per comunicare i risultati di questo processo alla direzione”.

Mentre la norma ISO 14010  definisce “audit ambientale” come:

“Processo di verifica, sistematico e documentato, per conoscere e valutare con oggettiva evidenza se specificate attività, avvenimenti, condizioni, sistemi di gestione riguardanti l’ambiente o le informazioni che vi si riferiscono, sono conformi ai criteri di audit e per comunicare al cliente i risultati di questo processo”.

In base alle loro finalità, gli audit ambientali si possono classificare in quattro diverse tipologie:

audit di gestione;

audit di conformità legislativa;

audit di rischio:

audit di acquisizione.

 

Una verifica obbligatoria per l’implementazione di un S.G.A.

Oggetto di tale capitolo è l’audit di conformità legislativa che rappresenta uno strumento essenziale per quelle aziende (definite “proattive” nella distinzione fatta nell’introduzione) che decidono di implementare un Sistema di Gestione Ambientale che permetta di certificare l’organizzazione secondo la ISO 14001 o di registrarla secondo il Regolamento 761/01 (Emas II) o secondo il Regolamento Emas1836/93 (in Emas I non si parla di organizzazione ma di impresa), tale decisione richiede come pre-requisito la conformità alla legislazione vigente.

L’audit di conformità legislativa deve comprendere tutti i diversi livelli di legislazione, cioé a livello Comunitario, Nazionale, Regionale, Provinciale, Comunale individuando quali siano le leggi che riguardano l’organizzazione e successivamente verificando il rispetto dei limiti imposti dalle stesse.

Vi deve essere, ad esempio, una verifica puntuale dei limiti nelle emissioni in atmosfera, negli scarichi idrici, nelle soglie di rumore, del corretto trattamento e/o smaltimento dei rifiuti, della redazione dei piani di emergenza e/o delle valutazioni di rischio, della validità dei propri permessi e/o autorizzazioni rilasciate dagli organi competenti.

 

Una verifica necessaria per l’impresa in regola con l’ambiente.

Oltre ad essere una verifica obbligatoria sia per Emas che per ISO 14001, l’audit di conformità legislativa rappresenta una verifica necessaria per l’impresa “in regola con l’ambiente”.

In altre parole, tale tipo di audit è lo strumento idoneo per garantire nel tempo la conformità normativa, evitando così pesanti sanzioni.

Un esempio tratto dalla recente normativa in materia di rifiuti può chiarire tale concetto.

Si consideri il problema riguardante la responsabilità del produttore dei rifiuti per le attività di smaltimento illecito effettuate da terzi cui i rifiuti stessi siano stati conferiti.

Al riguardo, l’art. 10 del Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22 prevede che il conferimento dei propri rifiuti industriali ad un terzo autorizzato non sia sufficiente per escludere ogni responsabilità del produttore o detentore dei rifiuti in relazione ad attività illecite di smaltimento effettuate dalla ditta cui i rifiuti sono stati consegnati.

Il produttore, infatti, per andare esente da responsabilità, entro tre mesi dal conferimento al trasportatore, deve aver ricevuto il formulario di identificazione introdotto e disciplinato dall’art. 15 del Decreto Ronchi, in alternativa, aver comunicato alla provincia la mancata ricezione del predetto formulario.

Dunque, sulla base dell’art. 10 del Decreto Ronchi, la responsabilità del produttore di rifiuti non si esaurisce con la semplice consegna dei medesimi al trasportatore, ma nemmeno deve seguire i rifiuti “dalla culla alla tomba”.

Ma tale responsabilità permane sul produttore fino allo scadere dei tre mesi dalla consegna dei rifiuti al trasportatore, termine entro il quale quest’ultimo deve restituire il formulario di identificazione con la prova della successiva legittima destinazione dei rifiuti.

Soltanto adottando all’interno dell’impresa un valido sistema di gestione ambientale, il produttore può disporre procedure idonee a garantire che la verifica della corretta e tempestiva restituzione del formulario, con la prova della successiva regolare destinazione dei rifiuti, venga sempre effettuata e che, in caso di mancata regolare restituzione entro il termine, vengano adottate le necessarie azioni correttive (segnalazione alla provincia in esecuzione dell’obbligo previsto dall’art. 10 del Dlgs 22/1997 e contestazione dell’inadempimento al fornitore).

È evidente che l’effettuazione di controlli tanto accurati e specifici può essere garantita nel tempo solo dall’esistenza di una specifica procedura, concepita nel quadro di un sistema di gestione ambientale che consenta di verificarne la costante applicazione e che preveda in caso contrario idonee azioni correttive.

 

Una verifica utile per l’impresa proattiva.

È opinione comune tra coloro che operano, con responsabilità di elevato livello, nel mondo dell’impresa che una verifica attenta e precisa della conformità legislativa porta molti vantaggi.

Si pensi alla responsabilità individuale e dell’organizzazione; infatti, per un’impresa, rispettare le leggi vuol dire ridurre in modo consistente il rischio di incorrere in sanzioni, le quali incidono (ovviamente in senso negativo) pesantemente sia in termini economici che di immagine dell’impresa stessa.

Senza escludere come le conseguenze negative di un processo, avente per oggetto un reato derivante dalla violazione di una norma ambientale, potrebbero incidere pesantemente sia sulle decisioni dell’impresa che su quelle dell’autorità pubblica.

Infine, un’impresa che controlla nel tempo la conformità legislativa può sfruttare altre opportunità, come concludere contratti più convenienti (appalti e gare che prediligono imprese con una gestione “ecocompatibile”), avere un’immagine positiva che costituisce un elemento importante per attirare nuovi clienti e acquistare maggior forza concorrenziale verso le altre imprese non “ambientalmente proattive”

 

 

5. REQUISITI MINIMI DA TENER CONTO NELLA VERIFICA DI CONFORMITÀ LEGISLATIVA

Secondo l’opinione prevalente, il verificatore, per emettere un giudizio favorevole, deve conoscere in modo preciso e dettagliato le attività svolte dall’azienda per adeguarsi ai requisiti cogenti imposti dalle norme ambientali da rispettare e quindi per mantenere la conformità legislativa, pre-requisito per l’adozione di un Sistema di Gestione Ambientale da parte di un’impresa.

Di conseguenza il verificatore deve tener conto di requisiti minimi individuati (almeno dovrebbero essere individuati) dall’ente di certificazione; essi sono:

1)      presenza di personale (interno od esterno) dotato di qualificazione specifica (esperto legislativo) in tutte le attività di verifica finalizzate alla certificazione di SGA ( in alternativa, in tutte le attività finalizzate alla certificazione che eccedano una soglia preventiva di complessità calcolata in giornate-uomo);

2)      indicazione preventiva all’azienda della documentazione necessaria per la verifica di conformità legislativa (autorizzazioni, certificati di analisi, registri, denunce obbligatorie, registro della normativa applicabile, contratti sottoscritti dall’organizzazione che riguardino gli aspetti ambientali delle sue attività, prodotti e servizi, ecc.);

3)      espressa richiesta all’azienda di comunicare tutti i “reclami ambientali” verificatisi negli ultimi anni (intendendosi per tali, le sanzioni irrogate, i procedimenti penali aperti, gli esposti, le azioni tendenti al risarcimento di danni ambientali, ecc.);

4)      preventiva predisposizione (e effettiva utilizzazione da parte degli esperti legislativi) di adeguate liste di controllo (check-list) specificatamente miranti alla verifica di conformità legislativa.

Per la costruzione di una check-list veramente adeguata, devono essere tenute in considerazione  due tipi di norme.

Un primo gruppo di norme sono conoscibili anche in un momento che precede la visita in azienda:

leggi ordinarie;

atti aventi forza di legge adottati dal Governo (decreti legislativi, decreti legge);

norme secondarie e tecniche nazionali (pubblicate in G.U.);

norme legislative regionali;

norme secondarie e tecniche regionali (pubblicate nel B.U.R.);

norme vincolanti ma non pubblicate sulla G.U. o sul B.U.R. (ad esempio le delibere dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti).

Un’altra categoria di norme è invece conoscibile soltanto in seguito ad una visita in azienda:

-         prescrizione di autorizzazione;

-         vincoli contrattuali sottoscritti dall’organizzazione che riguardino gli aspetti ambientali delle sue attività, prodotti e servizi.

In conclusione ogni Ente di certificazione dovrebbe verificare la congruità delle previsioni del proprio Manuale e delle prassi operative, quanto meno rispetto alla presenza dell’esperto legislativo durante le attività di verifica, all’indicazione preventiva all’azienda della documentazione necessaria, all’espressa richiesta all’azienda di comunicare tutti i reclami ambientali verificatisi negli ultimi anni e alla predisposizione ed utilizzazione di adeguate check-list.

Di seguito presento, solo a titolo di esempio tre check-list dei principali adempimenti gravanti sull’impresa ai sensi, relativi rispettivamente al D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, al Dlgs del 5 febbraio 1997 n. 22, al Dlgs   11 maggio del 1999 n. 152.

 

CHECK-LIST N. 1: D.P.R. 24 MAGGIO 1988 N. 203

 

AREA D’INDAGINE

VALUTAZIONE

NOTE

Impianti soggetti alla disciplina del D: P. R. n. 203/1988

 

 

Quanti sono presenti in azienda?

 

 

Quanti e quali, fra questi impianti, sono da considerarsi “nuovi” ?

 

 

Impianti nuovi

 

 

Quanti e quali possono considerarsi compresi nell’elenco delle attività ad inquinamento atmosferico poco significativo di cui al D. P. R. 25 luglio 1991, come tali non soggetti ad obbligo di autorizzazione?

 

 

Impianti “esistenti”

 

 

Quanti e quali possono considerarsi esistenti?

 

 

Quanti e quali possono considerarsi compresi nell’elenco delle attività ad inquinamento atmosferico poco significativo di cui all’allegato 1 del D.P.R. 25 luglio 1991, come tali non soggetti ad obbligo di richiedere l’autorizzazione?

 

 

Impianti “nuovi” non riguardanti attività ad inquinamento atmosferico poco significativo.

 

 

È stata richiesta autorizzazione ai sensi dell’art. 6 del D. P. R. n. 203 del 1988 ed in quale data?

 

 

È stata ottenuta tale autorizzazione?