Corte costituzionale n. 105 del 13 giugno 2024
Oggetto: Industria - Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e confisca - Previsione che quando il sequestro ha a oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore giudiziario - Denunciata disciplina che impone al giudice di autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva al solo ricorrere di misure di bilanciamento adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico - Prevalenza della continuità dell’attività produttiva, nella specie di un impianto di depurazione che appare inidoneo strutturalmente a trattare i reflui industriali, rispetto alle esigenze di tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori e delle popolazioni interessate - Difetto di un ragionevole bilanciamento tra i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione - Mancato rinvio a prescrizioni puntuali da rispettare in modo da valorizzare i principi di prevenzione, precauzione alla fonte, informazione e partecipazione che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale - Difetto di un efficace sistema di controlli - Violazione dei principi a tutela della vita e della salute - Lesione della tutela dell’ambiente - Violazione del principio che garantisce l’iniziativa economica privata che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana.
Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale

Misure governative che impongono la prosecuzione di attività produttive di rilievo strategico per l’economia nazionale o la salvaguardia dei livelli occupazionali, nonostante il sequestro degli impianti ordinato dall’autorità giudiziaria, sono costituzionalmente legittime soltanto per il tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale

SENTENZA N. 105

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 104 bis, comma 1-bis.1 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 6 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Siracusa con ordinanza del 12 dicembre 2023, iscritta al n. 8 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti gli atti di costituzione di ISAB srl, di Versalis spa e di Sonatrach raffineria italiana srl, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 maggio 2024 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi gli avvocati Giovanni Grasso per ISAB srl, Giovanni Paolo Accinni e Stefano Grassi per Versalis spa, Teodora Marocco e Alessandro Gentiloni Silveri per Sonatrach raffineria italiana srl e gli avvocati dello Stato Salvatore Faraci e Ruggero Di Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 7 maggio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 dicembre 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Siracusa ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 9, 32 e 41, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 6 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17.

1.1.– Dall’ordinanza di rimessione e dagli atti e documenti prodotti dalle parti nel giudizio innanzi a questa Corte risulta:

– che sul territorio dei Comuni di Siracusa, Augusta, Priolo Gargallo e Melilli insiste un complesso di stabilimenti industriali (costituenti il cosiddetto polo petrolchimico siracusano) principalmente dediti alla raffinazione del petrolio, alla trasformazione dei suoi derivati e alla produzione di energia;

– che i cosiddetti grandi utenti industriali del polo, tra cui le società ISAB srl, Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa convogliano i propri reflui industriali – sia direttamente, sia indirettamente, mediante un impianto sito in Melilli e gestito dalla società Priolo Servizi scpa – in un depuratore biologico consortile sito in Priolo Gargallo e gestito da Industria acqua siracusana (IAS) spa, nel quale confluiscono anche reflui civili;

– che il 13 maggio 2022 il giudice rimettente ha disposto, ai sensi dell’art. 321 del codice di procedura penale, il sequestro preventivo dell’impianto di depurazione gestito da IAS spa e del 100 per cento delle quote di tale società, nell’ambito di un procedimento penale iscritto a carico, tra gli altri, di figure apicali di IAS spa, ISAB srl, Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa (nonché delle stesse società, ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300») e relativo a plurime ipotesi di reato, tra cui il delitto di disastro ambientale aggravato previsto dall’art. 452-quater del codice penale;

– che con il provvedimento di sequestro il GIP ha nominato un amministratore giudiziario, incaricato di limitare il funzionamento dell’impianto di depurazione ai reflui civili, escludendo il conferimento di reflui industriali;

– che l’11 luglio 2022 il Dipartimento dell’ambiente – Assessorato del territorio e dell’ambiente della Regione Siciliana (ARTA) ha rilasciato all’impianto di depurazione consortile sequestrato un’autorizzazione integrata ambientale (di seguito: AIA) contenente una serie di prescrizioni rivolte al gestore, tra cui la realizzazione di una sezione di pretrattamento chimico-fisico in testa all’impianto biologico, che consentisse il rispetto, allo scarico finale, dei valori limite indicati nelle best available techniques (di seguito: BAT) di settore e nella Tabella prevista dall’AIA medesima; la copertura delle sezioni impiantistiche responsabili di emissioni odorigene diffuse e il convogliamento e trattamento delle arie esauste ivi aspirate, in modo da raggiungere all’uscita dei nuovi punti di emissione i valori limite di emissione (VLE) indicati nell’AIA stessa; la realizzazione di una nuova sezione di trattamento dei fanghi prodotti dall’impianto;

– che il 29 agosto 2022 il giudice a quo ha disposto l’adozione di un «cronoprogramma» per l’interruzione in sicurezza dei conferimenti di reflui industriali nell’impianto di depurazione;

– che il 26 ottobre 2022 l’amministratore giudiziario di IAS spa ha indirizzato all’ARTA un’istanza di sospensione dei termini di attuazione delle prescrizioni contenute nell’AIA; tale istanza – inizialmente rigettata – è stata accolta con provvedimento sospensivo del 9 dicembre 2022, successivamente prorogato fino al 27 marzo 2023;

– che frattanto, il 16 novembre 2022, il rimettente ha disposto un incidente probatorio, tuttora in corso, onde accertare, tra l’altro, le capacità di depurazione dell’impianto gestito da IAS spa e la conformità delle modalità di trattamento dei reflui alla normativa vigente e alle BAT applicabili; la quantità di sostanze inquinanti immesse dal depuratore nelle matrici aria e acqua; la sussistenza di una compromissione o deterioramento significativo e misurabile di tali matrici, o di un’offesa alla pubblica incolumità; le condotte che avrebbero potuto o dovuto essere adottate, nel periodo oggetto dell’accertamento penale, per limitare l’emissione di sostanze inquinanti; le condotte attuabili per «ridurre al minimo sostenibile, anche proseguendo le attività produttive, l’impatto inquinante derivante dai reflui immessi nel depuratore»;

– che, successivamente, è stato emanato il decreto-legge 5 dicembre 2022, n. 187 (Misure urgenti a tutela dell’interesse nazionale nei settori produttivi strategici), convertito, con modificazioni, nella legge 1° febbraio 2023, n. 10, il quale, «[i]n considerazione del carattere emergenziale assunto dalla crisi energetica», ha prescritto alle «imprese che gestiscono a qualunque titolo impianti e infrastrutture di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nel settore della raffinazione di idrocarburi» di garantire «la sicurezza degli approvvigionamenti, nonché il mantenimento, la sicurezza e l’operatività delle reti e degli impianti, astenendosi da comportamenti che possono mettere a rischio la continuità produttiva e recare pregiudizio all’interesse nazionale» (art. 1, comma 1);

– che il 5 gennaio 2023 è stato emanato il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, il cui art. 6 ha introdotto nell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. il comma 1-bis.1 in questa sede censurato, il quale prevede che «[q]uando il sequestro [preventivo] ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario [...]. Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità. Le disposizioni di cui al primo […] e terzo periodo non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione. Il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso i provvedimenti emessi dal giudice ai sensi dei periodi precedenti, anche se negativi, sono trasmessi, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica»;

– che il successivo d.P.C.m. 3 febbraio 2023, nel dichiarare di interesse strategico nazionale gli stabilimenti della società ISAB srl (art. 1), ha riconosciuto l’impianto di depurazione consortile gestito da IAS spa sito in Priolo Gargallo (nonché l’impianto gestito da Priolo Servizi scpa sito in Melilli) quale infrastruttura necessaria ad assicurarne la continuità produttiva, disponendo l’applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, come convertito (art. 2), e demandando a un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da adottarsi di concerto con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, sentiti i Ministri della salute, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali, e l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), di definire «le misure attraverso le quali è realizzato […] il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente» e di disporre, d’intesa con la Regione Siciliana, «le misure di coordinamento a livello regionale in relazione agli interventi eventualmente necessari per dare soluzione alle questioni ambientali inerenti gli impianti di depurazione» (art. 3);

– che su questa base è stato infine adottato il decreto interministeriale 12 settembre 2023, con cui sono state definite le «misure attraverso le quali è realizzato, in relazione al complesso degli stabilimenti di proprietà della società ISAB S.r.l. […], il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione, e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente» (art. 1, comma 1) e le «misure di coordinamento in relazione agli interventi necessari per dare soluzione alle questioni ambientali inerenti gli impianti di depurazione consortile gestiti dalla […] I.A.S. S.p.A. […] sito in Priolo Gargallo e dalla Società Priolo Servizi S.C.p.A. sito in Melilli» (art. 1, comma 2);

– che ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.interm. 12 settembre 2023 «[i] gestori degli stabilimenti ISAB S.r.l. per lo scarico S2 dell’impianto IGCC e della Società Priolo Servizi S.C.p.A. […] per gli scarichi P2 e P2bis, che convogliano le acque per recapitarle al Depuratore Consortile gestito da […] I.A.S. S.p.A. […], mediante specifiche azioni gestionali, nelle more della conclusione degli interventi di adeguamento, assicurano il rispetto dei Valori Limite di Emissione (VLE) per i metalli riportati in Tabella 3, colonna “Scarico in rete fognaria” dell’allegato 5 alla Parte Terza del D. Lgs. 152/2006, nonché per i parametri di cui alla Tabella 5 del medesimo allegato, così come riportato nella tabella sotto riportata. La conformità dei VLE è verificata come media mensile dei valori ottenuti da ciascun campione composito giornaliero»;

– che l’art. 2, comma 2, del predetto decreto interministeriale prescrive, «[f]ermo restando il rispetto dei valori limite di emissione in concentrazione riportati in tabella, per gli scarichi P2 e P2bis di Priolo Servizi per i parametri Idrocarburi Totali, Fenoli e Solventi Organici Aromatici», il rispetto di valori limite massici annuali, da definirsi nei provvedimenti di riesame delle AIA degli stabilimenti ISAB srl;

– che ai sensi del successivo art. 2, comma 3, «[g]li interventi impiantistici necessari per l’adeguamento degli impianti TAS [trattamento di acque di scarico] nonché per la realizzazione degli impianti finalizzati al riutilizzo delle acque reflue devono essere completati da ISAB S.r.l. e Priolo Servizi S.C.p.A. entro 36 mesi dall’entrata in vigore del presente provvedimento»;

– che ai sensi dell’art. 3 del medesimo decreto interministeriale l’ISPRA, con il supporto dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) della Regione Siciliana, in contraddittorio con le imprese interessate, assicura il costante monitoraggio delle misure e delle attività previste nei provvedimenti di cui all’art. 2;

– che il decreto interministeriale in parola stabilisce infine che gli impianti di depurazione continuino l’esercizio «nel rispetto delle autorizzazioni ambientali regionali» (art. 4, comma 1) e individua nel Presidente della Regione Siciliana il soggetto «preposto al coordinamento delle attività finalizzate al finanziamento, alla progettazione ed alla realizzazione delle opere necessarie ad ottemperare alle prescrizioni dell’AIA» rilasciata a IAS spa l’11 luglio 2022 «e a quelle eventualmente imposte in sede di riesame della stessa, in relazione all’evolversi della situazione e alle concorrenti azioni medio tempore svolte dai grandi utenti industriali sui propri impianti» (art. 4, comma 2);

– che il 10 novembre 2023 l’amministratore giudiziario di IAS spa ha chiesto al rimettente di indicare, tra l’altro, se, alla luce dell’entrata in vigore del d.interm. 12 settembre 2023, debbano seguirsi le modalità di controllo e monitoraggio e rispettarsi i valori limite di emissione indicati in tale atto, oppure quelli prescritti dalla Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte III del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) (istanza da cui origina l’incidente di costituzionalità);

– che la Procura della Repubblica, nel proprio parere del 27 novembre 2023, ritenendo che il giudice, dopo l’entrata in vigore del predetto decreto interministeriale, sia obbligato ad autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva, ha espresso dubbi sulla legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 76, 77, 101, secondo comma, 9 e 41, secondo comma, Cost. – dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., su cui il decreto interministeriale si fonda.

1.2.– Il giudice a quo, ricostruito il quadro fattuale e normativo di riferimento e richiamate diffusamente le sentenze n. 85 del 2013 e n. 58 del 2018 di questa Corte, afferma anzitutto la propria legittimazione a promuovere l’incidente di costituzionalità, poiché, in pendenza del procedimento penale nel cui ambito sono stati disposti il sequestro preventivo del depuratore gestito da IAS. spa e l’incidente probatorio in corso, «l’istanza rivolta al giudice dall’Amministratore Giudiziario e la richiesta sollevata dalla Procura di promuovere un incidente di costituzionalità costituisc[ono] un giudizio all’interno del quale può sollevarsi una questione di legittimità costituzionale». Il procedimento si svolgerebbe infatti sotto la direzione del GIP, che ha emesso il provvedimento cautelare ed è deputato ad autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva degli impianti riconosciuti di interesse strategico nazionale.

1.3.– In merito alla rilevanza delle questioni sollevate, il rimettente osserva che il sequestro disposto il 13 maggio 2022 sull’impianto di depurazione gestito da I.A.S. spa aveva natura impeditiva, essendo «volto ad evitare la prosecuzione delle attività illecite e l’immissione nell’ambiente delle sostanze inquinanti non adeguatamente depurate» e che, coerentemente, sarebbe stato definito un cronoprogramma di interruzione del conferimento di reflui industriali nel depuratore.

Successivamente al sequestro, tuttavia, l’entrata in vigore del «blocco di norme» costituito a) dal d.l. n. 187 del 2022, come convertito, b) dal d.l. n. 2 del 2023, come convertito, c) dal d.P.C.m. 3 febbraio 2023 e d) dal d.interm. 12 settembre 2023 avrebbe «fortemente inciso» sui poteri cautelari del GIP, condizionandoli e limitandoli. E invero, «[s]e […] l’Amministratore Giudiziario, coerentemente all’esecuzione di un sequestro c.d. impeditivo, continuasse a chiedere ai c.d. Grandi Utenti l’osservanza del cronoprogramma volto all’interruzione dei reflui industriali, si porrebbe in contrasto con la disposizione che impone la prosecuzione dell’attività produttiva in presenza di un bilanciamento adottato all’interno della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale»; bilanciamento appunto realizzato dal d.interm. 12 settembre 2023.

In questo mutato quadro, sarebbe «evidente» la rilevanza delle questioni sollevate, «dovendo il giudice stabilire se autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva, quantomeno in relazione ai reflui immessi da [ISAB srl]».

1.4.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente non condivide il dubbio della Procura della Repubblica relativo a una ipotetica lesione degli artt. 76 e 77 Cost., osservando che «[l]a fattispecie normativa […] sembra ripetere lo schema della c.d. combinazione tra atto normativo e atto amministrativo, in relazione al quale la Consulta ha già chiarito la formale compatibilità con la Costituzione» (è citata la sentenza n. 85 del 2013).

Sarebbero, invece, violati gli artt. 2, 32, 9 e 41, secondo comma, Cost.

Il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, consentendo la prosecuzione dell’attività produttiva pur a fronte dell’inidoneità del depuratore condotto da IAS spa a trattare i reflui industriali, avrebbe «sancito la prevalenza della continuità dell’attività produttiva, in un settore nevralgico come quello degli idrocarburi, rispetto ai beni giuridici dell’ambiente e della salute, sia dei lavoratori sia della popolazione vicina alle aree su cui insiste l’inquinamento», senza realizzare alcun effettivo bilanciamento tra i contrapposti interessi di rilievo costituzionale.

Il caso di specie differirebbe, d’altra parte, da quello oggetto della sentenza n. 85 del 2013 di questa Corte, che ha dichiarato non fondate alcune questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 24 dicembre 2012, n. 231, sollevate dal GIP del Tribunale ordinario di Taranto in relazione alla dichiarazione di interesse strategico nazionale dell’impianto siderurgico Ilva di Taranto.

Le norme allora censurate – nota il giudice a quo – consentivano la prosecuzione dell’attività produttiva, nonostante il sequestro dell’impianto, per soli trentasei mesi e nel rispetto delle prescrizioni impartite in sede di riesame dell’AIA, queste ultime «adottate nell’ambito di un procedimento con caratteristiche di pubblicità e partecipazione finalizzato proprio a individuare un punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e dalla gestione dei rischi».

Diversamente, nel caso ora in esame, l’AIA rilasciata a IAS spa, «prevedendo una serie di prescrizioni del tutto inesigibili da parte del gestore dell’impianto di depurazione, è già stata sospesa», sicché non vi sarebbero «concrete misure gestionali adottabili al fine di mitigare il rischio per la salute e per l’ambiente derivante dall’immissione di reflui industriali in un depuratore privo di un sistema di pretrattamento e di un sistema di convogliamento delle emissioni diffuse».

In questa situazione, il legislatore si sarebbe «limitato ad alzare i limiti dei Valori Limite di Emissione» derogando «del tutto discrezionalmente» a quelli previsti dal d.lgs. n. 152 del 2006.

A questo proposito, il rimettente lamenta che il d.interm. 12 settembre 2023 introduca «significative deroghe rispetto alla Tabella 3, colonna Scarico in rete fognaria, dell’allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152/2006», rispetto ai parametri fenoli, idrocarburi totali e solventi organici aromatici, comparando analiticamente i valori determinati dal decreto interministeriale e quelli indicati nella citata Tabella 3 del d.lgs. n. 152 del 2006; ed evidenzia altresì che, secondo il decreto interministeriale, la verifica di conformità dei valori limite di emissione è operata con il criterio della media mensile.

Il monitoraggio dell’amministratore giudiziario – osserva ancora il giudice a quo – avrebbe peraltro evidenziato plurimi «sforamenti significativi» dai valori limite di emissione consentiti dal d.interm. 12 settembre 2023, come emergerebbe dai dati riportati in stralcio nell’ordinanza di rimessione.

Costituirebbe poi una mera «misura formale» l’attribuzione all’ISPRA, ai sensi dell’art. 3 del d.interm. 12 settembre 2023, del «costante monitoraggio delle misure e delle attività» previste dalla «tabella derogatoria» ivi riportata. E invero, lo stesso ente, nella relazione tecnica sullo schema di decreto interministeriale, presentata il 4 agosto 2023 al Ministero delle imprese e del made in Italy, avrebbe evidenziato che il monitoraggio con il criterio della media mensile dei valori ottenuti da ciascun campione composito giornaliero costituisce «solo una misura minima di contenimento per i rischi ambientali soprattutto per quanto riguarda la contaminazione di metalli, idrocarburi e solventi» e che esso «richiederebbe l’installazione di autocampionatori», con precise caratteristiche in difetto delle quali la verifica di conformità sarebbe «operativamente inapplicabile». Si tratterebbe dunque di un «parere negativo» sulle modalità di monitoraggio dei valori limite di emissione poi adottate nel d.interm. 12 settembre 2023.

In definitiva, l’art. 104-bis, comma 1.bis.1, norme att. cod. proc. pen. non avrebbe operato «un ragionevole bilanciamento tra i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione», non rinviando a «prescrizioni puntuali da rispettare in modo da valorizzare i princìpi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale», né introducendo alcun «efficace sistema di controlli».

La disposizione censurata, imponendo al giudice di autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva «al solo ricorrere di misure di bilanciamento adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico», in difetto di «una effettiva combinazione tra una norma di legge ed un atto amministrativo in grado di determinare le condizioni e i limiti della liceità della prosecuzione di un’attività per un tempo definito», si porrebbe dunque in contrasto con: a) gli artt. 2 e 32 Cost., che tutelano la vita e la salute umana; b) l’art. 9 Cost., che tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni; c) l’art. 41, secondo comma, Cost. che garantisce l’iniziativa economica, ma impone che essa non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana, atteso che «[i] beni giuridici tutelati dalle richiamate disposizioni costituzionali appaiono compromessi irrimediabilmente da una decisione del legislatore che non ha osservato i parametri di proporzione, ragionevolezza ed equilibrio che devono informare la materia del c.d. bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti in conflitto».

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.

2.1.– L’interveniente si sofferma anzitutto sull’importanza strategica della continuazione delle attività produttive del polo petrolchimico siracusano, osservando come a tale polo afferiscano più di mille aziende operanti nell’indotto, con circa settemila lavoratori direttamente o indirettamente coinvolti e una «capacità di raffinazione di 27.500.000 tonnellate annue di greggio che si sono tradotte, a livello nazionale, in un apporto del 31,70% del totale».

In queste condizioni, l’interruzione dell’attività produttiva degli stabilimenti – determinata dalla necessità di ottemperare al divieto, disposto dal GIP, di convogliare reflui industriali nel depuratore di Priolo Gargallo oggetto di sequestro preventivo – sarebbe suscettibile di «coinvol[gere] a cascata altri settori produttivi nazionali e servizi essenziali per la Regione Sicilia», poiché Sonatrach raffineria italiana srl sarebbe il principale fornitore di combustili degli aeroporti di Palermo e di Catania, mentre Isab srl assicurerebbe il 46 per cento del fabbisogno di carburante per autotrazione della Regione Siciliana e Versalis spa produrrebbe etilene «per gli stabilimenti ENI di Porto Torres, Porto Marghera, Ferrara, Ravenna e Mantova».

Sempre in punto di fatto, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che ISAB srl e Priolo Servizi scpa hanno «elaborato progetti di potenziamento degli impianti di trattamento reflui esistenti» e che i grandi utenti industriali che utilizzano il depuratore gestito da IAS spa hanno «intrapreso autonome iniziative progettuali per gestire le future esigenze di trattamento dei propri reflui con tempi di realizzazione che si stima possano essere conclusi entro la fine del 2026».

2.2.– Tanto premesso, l’interveniente ritiene le questioni manifestamente inammissibili.

2.2.1.– Il giudice a quo muoverebbe anzitutto da un erroneo presupposto interpretativo, poiché la disposizione censurata non gli imporrebbe di autorizzare in ogni caso la prosecuzione dell’attività produttiva, consentendogli invece di valutare l’idoneità delle misure adottate in sede di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale ad assicurare un effettivo bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione da un lato, e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, dall’altro lato. Il giudice potrebbe infatti dettare ulteriori prescrizioni necessarie, tenuto anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi adottati dalle autorità competenti (art. 104-bis, comma 1-bis.1, terzo periodo, norme att. cod. proc. pen.), oppure negare l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività quando da essa derivi un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione (art. 104-bis, comma 1-bis.1, quarto periodo, norme att. cod. proc. pen.). Proprio la possibilità per il giudice di emettere provvedimenti anche di segno negativo spiegherebbe perché la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica siano legittimati a impugnare il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato la prosecuzione dell’attività, nonostante le misure adottate nell’ambito del procedimento di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale (art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen.).

2.2.2.– Erronea sarebbe, altresì, l’individuazione dei parametri costituzionali asseritamente violati, avendo il rimettente lamentato l’indebita limitazione delle proprie prerogative a opera dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., omettendo però di articolare una corrispondente censura di violazione del principio di separazione tra poteri dello Stato (artt. 102, 104 e 111 Cost.).

2.2.3.– Nemmeno avrebbe il giudice a quo tentato un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata (sono richiamate le sentenze n. 172 del 2021, n. 189 del 2019, n. 262 e n. 221 del 2015 e n. 356 del 1996 di questa Corte).

2.2.4.– Sarebbe poi insufficiente la motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, essendosi il rimettente limitato ad affermare in modo assertivo la contrarietà della disposizione censurata agli artt. 2, 9, 32 e 41, secondo comma, Cost.

2.2.5.– Il giudice a quo avrebbe altresì errato nell’identificare l’atto oggetto del sindacato di costituzionalità: pur denunciando formalmente l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., egli avrebbe di fatto appuntato le proprie censure sulla dichiarazione di interesse strategico nazionale degli impianti operata dal d.P.C.m. 3 febbraio 2023 e sulle indicazioni relative ai valori limite di emissione contenute nel d.interm. 12 settembre 2023. Tali atti, tuttavia, non sarebbero sindacabili da questa Corte, potendo il giudice disapplicare il decreto interministeriale se contrario alla legge, ma «non certo, ritenutane l’illegittimità, farne derivare il dubbio di illegittimità costituzionale della norma di legge di cui costituisce attuazione».

2.2.6.– Le questioni, infine, sarebbero prive di uno specifico petitum, non avendo il rimettente indicato quale frammento della disposizione censurata sospetti di illegittimità costituzionale, né precisato se l’auspicato intervento di questa Corte debba avere natura «ablativa o manipolativa», e in quale soluzione compatibile con la Carta costituzionale esso debba consistere.

2.3.– Nel merito, le questioni sarebbero manifestamente infondate.

2.3.1.– Intervenendo in un contesto nel quale «l’approvvigionamento di petrolio è vitale» e «gli esiti di blocco del polo industriale di cui trattasi sarebbero esiziali, sia per la Sicilia che per il Paese», il comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. avrebbe realizzato un ragionevole bilanciamento tra «i valori giuridici protetti dalle norme penali e l’interesse nazionale all’approvvigionamento dei beni e servizi prodotti dall’impresa oggetto di sequestro che riguardano tutto il territorio nazionale», nel pieno rispetto dei principi enunciati da questa Corte nelle sentenze n. 85 del 2013 e 58 del 2018.

Da un lato, le disposizioni così introdotte non si applicherebbero se la prosecuzione dell’attività determini un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione. Dall’altro lato, il giudice autorizzerebbe tale prosecuzione in presenza di misure di bilanciamento tra i diversi interessi in gioco, adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale.

La normativa censurata non autorizzerebbe invece «la continuazione pura e semplice dell’attività, alle medesime condizioni che avevano reso necessario l’intervento repressivo dell’autorità giudiziaria», ma imporrebbe «nuove condizioni, la cui osservanza deve essere continuativamente controllata con tutte le conseguenze giuridiche previste dalle leggi vigenti per i comportamenti illeciti lesivi della salute e dell’ambiente».

2.3.2.– Quanto agli atti amministrativi attuativi della disposizione censurata, l’interveniente osserva che la ritenuta conformità delle misure introdotte dall’art. 2, comma 1, del d.interm. 12 settembre 2023 alle disposizioni dell’Allegato 5 alla Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, che stabiliscono i limiti di emissione degli scarichi idrici, si fonderebbe sulla valutazione tecnica effettuata, in fase istruttoria, dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute. Il decreto interministeriale non solo definirebbe valori limite di emissione inferiori rispetto a quelli previsti nei contratti di utenza tra ISAB srl e IAS spa, ma richiederebbe, quale «ulteriore e necessaria misura di cautela», il monitoraggio continuo da parte dell’ISPRA con il supporto dell’ARPA della Regione Siciliana, sotto la vigilanza del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

3.– Si è costituita in giudizio ISAB srl, evidenziando anzitutto la propria qualità di parte del giudizio costituzionale: sia quale indagata (per l’illecito amministrativo dipendente da reato di cui all’art. 25-undecies del d.lgs. n. 231 del 2001) nel procedimento penale in cui sono stati disposti il sequestro preventivo del depuratore di Priolo Gargallo e l’incidente probatorio in corso; sia in quanto proprietaria di parte delle quote di IAS spa, sequestrate insieme all’impianto; sia, infine, quale destinataria della dichiarazione di interesse strategico nazionale, da cui sono scaturite la censurata modifica dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. e le previsioni del d.interm. 12 settembre 2023.

3.1.– In relazione al quadro normativo di riferimento, ISAB srl sostiene che l’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, come convertito, andrebbe letto in stretta connessione con l’art. 1 del d.l. n. 187 del 2022, come convertito, che ha fatto obbligo alle imprese che gestiscono a qualunque titolo impianti e infrastrutture di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nel settore della raffinazione di idrocarburi di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, nonché il mantenimento, la sicurezza e l’operatività delle reti e degli impianti.

La definizione di «impianto» o «stabilimento di interesse strategico nazionale» sarebbe poi fornita dall’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito. Tale disposizione ha previsto la possibilità, per il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di autorizzare, in sede di riesame dell’AIA, la prosecuzione dell’attività produttiva degli impianti e stabilimenti in parola per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi, a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame; e ciò anche in presenza di provvedimenti giudiziari di sequestro. Disciplina, questa, giudicata compatibile con la Costituzione dalla sentenza n. 85 del 2013.

Il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, si porrebbe in continuità con il d.l. n. 207 del 2012, come convertito, colmandone una lacuna, e in particolare regolando la prosecuzione dell’attività degli impianti di interesse strategico nazionale in presenza di un provvedimento di sequestro e in pendenza della conclusione del procedimento di riesame dell’AIA, in modo conforme ai principi espressi da questa Corte nelle sentenze n. 85 del 2013 e n. 58 del 2018. Il legislatore sarebbe ora intervenuto con «una scelta, discrezionale e di natura politica, coerente con le ragioni della prevedibilità e della ragionevolezza», affidando il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti «ad un procedimento amministrativo, tecnico, che individui misure immediate da porsi a tutela degli interessi coinvolti nell’ambito della dichiarazione di un impianto di interesse strategico nazionale».

Dunque ai sensi dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., come introdotto dal d.l. n. 2 del 2023, come convertito, l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività «è senz’altro data se (e solo se), nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate» misure «immediate e tempestive atte a rimuovere prontamente la situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori […] o, in ogni caso [per la] salute pubblica» «da parte dell’autorità amministrativa, alla quale viene demandato il predetto bilanciamento».

3.2.– Tanto premesso, ISAB srl eccepisce l’inammissibilità delle questioni.

3.2.1.– Esse sarebbero anzitutto irrilevanti: l’AIA rilasciata l’11 luglio 2022 al depuratore di IAS spa, benché inizialmente sospesa, sarebbe, a decorrere dal 27 marzo 2023, «pienamente valida ed efficace», tanto che il d.interm. 12 settembre 2023 avrebbe stabilito la continuazione dell’attività del depuratore «nel rispetto delle autorizzazioni ambientali regionali», designando il Presidente della Regione Siciliana quale soggetto preposto al coordinamento degli interventi finalizzati al funzionamento, alla progettazione e alla realizzazione delle opere necessarie ad ottemperare alle prescrizioni dell’AIA e a quelle eventualmente imposte in sede di riesame. La Regione Siciliana avrebbe altresì nominato, il 14 febbraio 2024, un «Commissario per l’attuazione dell’AIA». In questo quadro, sarebbe irrilevante il dubbio di costituzionalità circa la sussistenza dell’obbligo del giudice di autorizzare la prosecuzione dell’attività dell’impianto di depurazione, non essendo necessaria alcuna autorizzazione, atteso che lo stesso decreto interministeriale già prevedrebbe che tale attività prosegua e che i grandi utenti industriali possano continuare a ivi conferire i propri reflui.

3.2.2.– Le doglianze del rimettente si appunterebbero poi precipuamente sul d.P.C.m. 3 febbraio 2023 e sul d.interm. 12 settembre 2023, ossia su atti non sindacabili nel giudizio di legittimità costituzionale.

3.2.3.– Le questioni non raggiungerebbero, infine, la «soglia minima di chiarezza», non comprendendosi per quale motivo una norma di legge – unico atto scrutinabile da questa Corte – che «si limita a prevedere che al ricorrere di determinate e precise condizioni […] il Giudice autorizzi la prosecuzione dell’attività» possa ledere i parametri costituzionali evocati nell’ordinanza di rimessione.

3.3.– Nel merito, le questioni sarebbero manifestamente infondate.

3.3.1.– Alla luce delle sentenze n. 85 del 2013 e n. 58 del 2018 di questa Corte, in fattispecie come quella in esame sarebbe «del tutto appropriato ridurre i poteri del GIP e dare spazio ai qualificati interventi dell’Autorità amministrativa».

Il sequestro preventivo sarebbe funzionale non all’accertamento di un fatto di reato, ma alla neutralizzazione del rischio dell’aggravamento delle sue conseguenze o della commissione di altri reati. La misura cautelare, dunque, guarderebbe «all’oggi e al futuro», e involgerebbe, in casi di particolare complessità, valutazioni di natura tecnico-scientifica, da demandarsi a «istituzioni che possano assumersi la responsabilità, in senso ampio politica, di autorizzare o meno attività che potrebbero essere, ma non si sa se siano, effettivamente ed in che misura, pericolose».

Il sequestro sarebbe inoltre disposto sulla base del mero fumus criminis, ossia di uno standard probatorio ben distante da quello richiesto per l’affermazione della responsabilità penale, e comunque inferiore a quello necessario per l’adozione di misure cautelari personali. Sarebbe dunque del tutto ragionevole prevedere «condizioni e limiti» all’adozione del sequestro «in ottica precauzionale», affidando all’autorità amministrativa «la gestione degli interessi in gioco e di situazioni che seguano alla commissione di un reato». Si tratterebbe di un approccio già sperimentato con il d.l. n. 207 del 2012, come convertito, e avallato da questa Corte nella sentenza n. 85 del 2013, poi ripreso dall’attuale formulazione dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1 norme att. cod. proc. pen. L’affidamento del bilanciamento all’autorità amministrativa – e non invece allo «stesso imprenditore privato» – differenzierebbe inoltre la fattispecie in esame da quella oggetto della sentenza n. 58 del 2018 di questa Corte.

La piena conformità ai precetti costituzionali della disciplina censurata emergerebbe plasticamente nel caso di specie: a fronte di un sequestro preventivo disposto sulla base delle valutazioni dei soli consulenti tecnici della Procura della Repubblica, peraltro smentite sia dagli elementi prodotti dalle parti processuali, sia dalle risultanze dell’incidente probatorio in corso, sarebbe del tutto ragionevole la scelta di consentire la continuazione dell’attività produttiva, interrompere la quale «determinerebbe questa volta sì, l’annientamento di certi interessi a vantaggio di altri, rispetto ai quali non vi è allo stato alcuna certezza […] rispetto all’effettiva incisione».

3.3.2.– La circostanza che l’AIA rilasciata al depuratore di IAS spa sia, a decorrere dal 27 marzo 2023, «in piena vigenza», e che sia addirittura stato nominato, in data 14 febbraio 2024, un Commissario per l’esecuzione degli interventi necessari ad attuarne le prescrizioni, renderebbe del tutto ingiustificato il promovimento dell’incidente di costituzionalità, dal momento che il rimettente avrebbe dovuto, semmai, «assumere i necessari provvedimenti (anche di rimozione e sostituzione) nei confronti dell’Amministratore nominato (il quale, dapprima ha chiesto la sospensione dell’AIA in ragione della pendenza dell’incidente probatorio e successivamente, almeno a partire dal 27 marzo 2023, non ne ha ottemperato le prescrizioni)».

3.3.3.– Nemmeno sarebbe corretto sostenere che la disciplina non fissi alcun limite temporale alla prosecuzione dell’attività produttiva. Il riferimento al d.l. n. 207 del 2012, come convertito, contenuto nell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., consentirebbe di ritenere che l’attività possa continuare, in ottemperanza alle prescrizioni dettate dal decreto interministeriale, per non oltre trentasei mesi, nelle more della revisione dell’AIA, secondo i principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 85 del 2013.

Anche il d.interm. 12 settembre 2023 prescriverebbe a ISAB srl e a Priolo Servizi scpa di completare «[g]li interventi impiantistici necessari per l’adeguamento degli impianti TAS nonché per la realizzazione degli impianti finalizzati al riutilizzo delle acque reflue» entro trentasei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento (art. 2, comma 3) e stabilirebbe che i procedimenti di riesame dell’AIA aventi ad oggetto gli stabilimenti di ISAB srl siano «conclusi a termine di legge» (comma 5).

3.3.4.– In definitiva, la prosecuzione dell’attività produttiva sarebbe autorizzata, pur in presenza del sequestro preventivo, in situazioni – non regolate dal d.l. n. 207 del 2012, come convertito – di «assenza di AIA» o di pendenza del procedimento di riesame della stessa, a fronte dell’«immediata adozione di misure atte a rimuovere quegli aspetti dell’esercizio dell’attività che si pongano in contrasto con gli altri valori costituzionalmente rilevanti entro un arco di tempo estremamente limitato», con un provvedimento amministrativo che prevede «l’adozione delle migliori tecniche disponibili atte a tutelare la salute dei lavoratori ed al rispetto dell’ambiente sotto il controllo delle istituzioni preposte».

3.3.5.– Eventuali vizi del d.P.C.m. 3 febbraio 2023 e del d.interm. 12 settembre 2023 sarebbero denunciabili «in modo opportuno con le apposite procedure», ma non potrebbero dar luogo all’illegittimità costituzionale della disposizione censurata. Né – secondo la sentenza n. 85 del 2013 – le scelte di merito compiute dalle amministrazioni competenti potrebbero «essere sostituite da altre nella valutazione discrezionale delle misure idonee a tutelare l’ambiente ed a prevenire futuri inquinamenti, quando l’esercizio di tale discrezionalità non trasmodi in un vizio denunciabile nelle sedi giurisdizionali competenti». Del resto, l’eventuale scorretto esercizio del potere della pubblica amministrazione, anche per inattendibilità della valutazione tecnico-scientifica che ne è alla base, non sarebbe suscettibile di riverberarsi in un vizio della norma di legge, potendo al più determinare l’illegittimità dell’atto amministrativo (è citata la sentenza n. 171 del 2023 di questa Corte).

4.– Si è altresì costituita in giudizio Sonatrach raffineria italiana srl, evidenziando la propria legittimazione quale parte del giudizio costituzionale (in quanto indagata ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 nel procedimento a quo) e precisando di essere «titolare di un procedimento di riesame AIA attualmente pendente innanzi al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica»; procedimento che, ai sensi del d.interm. 12 settembre 2023, deve essere «coordinato», tra l’altro, con il riesame delle AIA rilasciate a ISAB srl.

4.1.– Anche Sonatrach raffineria italiana srl eccepisce l’inammissibilità delle questioni.

4.1.1.– Il rimettente non avrebbe anzitutto chiarito se per «giudizio a quo» debba intendersi il segmento procedimentale introdotto dall’istanza dell’amministratore giudiziario del 10 novembre 2023, né avrebbe indagato se tale segmento possa ritenersi di natura giurisdizionale, e se ivi si debba fare applicazione della normativa censurata. Le questioni difetterebbero quindi di incidentalità (è citata la sentenza n. 224 del 2020 di questa Corte).

4.1.2.– Sarebbe altresì insufficiente e oscura la motivazione sulla rilevanza, essendosi il giudice a quo limitato a denunciare il «blocco di norme» costituito dall’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., dal d.P.C.m. 3 febbraio 2023 e dal d.interm. 12 settembre 2023, senza specificare se oggetto di censura sia la norma di legge, oppure «la scelta di definire delle infrastrutture di rilevanza strategica per l’interesse nazionale», o ancora «le modalità concrete del bilanciamento» operato dal decreto interministeriale. In riferimento alla disposizione di legge, il rimettente non avrebbe peraltro spiegato «come e in che modo […] la norma contestata, di per sé, possa influire sul giudizio in corso (quale che sia il giudizio)». Quanto al d.P.C.m. 3 febbraio 2023 e al d.interm. 12 settembre 2023, essi costituirebbero atti amministrativi non sindacabili da parte di questa Corte.

4.1.3.– Ove il giudice a quo avesse inteso contestare tout court la decisione del legislatore di consentire – in presenza di misure di bilanciamento – la continuazione dell’attività produttiva, tale doglianza sarebbe inammissibile, in quanto involgerebbe scelte di natura politica, come tali sottratte al sindacato giurisdizionale.

4.1.4.– Le questioni sarebbero altresì inammissibili per mancato esperimento di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina censurata.

4.1.5.– Il rimettente non avrebbe peraltro nemmeno sciolto il nodo interpretativo circa il carattere vincolato o meno dell’autorizzazione giudiziale alla prosecuzione dell’attività produttiva, in presenza delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo.

Le questioni sarebbero, peraltro, inammissibili, che si prescelga l’una o l’altra opzione interpretativa.

E invero, nella prima ipotesi, esse sarebbero irrilevanti, potendo il giudice scegliere se accordare o meno l’autorizzazione in questione.

Nella seconda, a venire in contestazione non sarebbe «la previsione del bilanciamento in sé quanto la relativa attuazione mediante atti amministrativi». La relativa censura sarebbe, tuttavia, inammissibile, avendo il GIP escluso la violazione degli artt. 76, 77 e 101 Cost. e riconosciuto l’ammissibilità di un intervento fondato sulla «combinazione tra atto normativo e amministrativo», secondo quanto affermato dalla sentenza n. 85 del 2013 di questa Corte.

4.1.6.– Le questioni sarebbero inoltre affette da «difetto di motivazione e contraddittorietà assoluta sui requisiti di non manifesta infondatezza»: il rimettente avrebbe escluso il vulnus agli artt. 76, 77 e 101, secondo comma, Cost. paventato dalla Procura della Repubblica – mostrando dunque di non ritenersi vincolato dalle valutazioni dell’autorità amministrativa in ordine alla prosecuzione dell’attività produttiva – salvo poi contraddittoriamente lamentare che l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, gli imponga di autorizzare tale prosecuzione, in presenza delle misure di bilanciamento adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico.

4.2.– Nel merito, le questioni sarebbero comunque non fondate.

4.2.1.– Esse riposerebbero anzitutto su una valutazione di inidoneità dell’impianto di depurazione gestito da IAS spa al trattamento dei reflui industriali e di sussistenza di un pericolo per l’ambiente e la salute dei lavoratori e della popolazione. Tali assunti sarebbero tuttavia smentiti da una pluralità di dati documentali (segnatamente, da una relazione tecnica trasmessa dall’amministratore giudiziario all’ARTA, dai risultati delle analisi effettuate dallo stesso amministratore nel mese aprile 2023 e dalla documentazione pubblicata dalla Regione Siciliana sul portale «Valutazioni Ambientali», da cui risulterebbe che IAS spa «rispetta certamente» i limiti previsti dalla legge per lo scarico in mare).

4.2.2.– Non sarebbe poi ravvisabile alcun vulnus all’art. 41, secondo comma, Cost.

Dalla complessiva lettura dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. risulterebbe che «presupposto dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività» è la sussistenza di «un effettivo bilanciamento tra i diversi interessi (continuità dell’attività produttiva versus salvaguardia dell’occupazione, tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente)», sicché il giudice che non ritenga corretto tale bilanciamento potrebbe negare l’autorizzazione oppure dettare «le prescrizioni necessarie tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità», emettendo anche provvedimenti di segno negativo. Il legislatore non avrebbe dunque dato prevalenza all’interesse alla continuazione dell’attività produttiva, avendo semmai «chiaramente indicato che in caso di pericolo prevalgono gli altri diritti (salute sicurezza e ambiente)».

4.2.3.– Parimenti insussistenti sarebbero le allegate violazioni degli artt. 2, 32 e 9 Cost., essendo la disciplina censurata addirittura più restrittiva di quella recata dal d.lgs. n. 152 del 2006.

Prima dell’adozione del d.interm. 12 settembre 2023, infatti, i grandi utenti industriali avrebbero conferito i reflui della propria attività – in forza di contratti di utenza basati sull’effettiva capacità di depurazione dell’impianto consortile – mediante una fognatura cosiddetta di seconda categoria, a norma della legge della Regione Siciliana 15 maggio 1986, n. 27 (Disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli scarichi degli insediamenti civili che non recapitano nelle pubbliche fognature e modifiche alla legge regionale 18 giugno 1977, n. 39 e successive modificazioni ed integrazioni).

In via cautelativa, il d.interm. 12 settembre 2023 avrebbe considerato, quali limiti al conferimento di reflui da parte di ISAB srl e Priolo Servizi scpa, quelli relativi allo scarico nelle pubbliche fognature cosiddette di prima categoria regolamentate dalla legge reg. Siciliana n. 27 del 1986 e previsto altresì l’introduzione di limiti massici annuali, non contemplati dal d.lgs. n. 152 del 2006. Quest’ultimo, peraltro, consentirebbe la fissazione di «limiti diversi sia per quanto attiene ai valori riportati in Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte Terza del D. Lgs. 152/2006 sia per quanto attiene ai valori di Tabella 5 (fatta eccezione per i parametri inderogabili di cui alla nota 2 della stessa Tabella 5)».

L’ISPRA, dal canto suo, non avrebbe espresso alcun parere negativo sul sistema di monitoraggio dell’impianto di depurazione preconizzato dal decreto interministeriale, avendo invece rilevato che lo stesso «appare utile a garantire la definizione di una disciplina più organica sulla materia». I grandi utenti industriali dell’impianto disporrebbero poi di «campionatori in continuo dei propri scarichi» tali da consentire agli enti competenti di effettuare in qualsiasi momento le necessarie verifiche.

La Regione Siciliana avrebbe rilasciato un’AIA per la gestione dell’impianto di depurazione consortile, e sarebbero oggetto di riesame, proprio ai sensi della disciplina in contestazione, le AIA dei grandi utenti industriali che conferiscono i propri reflui nell’impianto in questione, in vista di «una ridefinizione di tutto l’assetto degli scarichi» di tali impianti industriali.

Contrariamente a quanto apoditticamente asserito dal rimettente, le prescrizioni dell’AIA rilasciata dalla Regione Siciliana sarebbero pienamente attuabili, tanto che la Regione stessa, a fronte dell’inerzia dell’amministratore giudiziario nell’ottemperarle, avrebbe nominato un Commissario per la realizzazione dei necessari interventi.

L’intervento normativo contestato, in definitiva, rispetterebbe i criteri di necessità, sufficienza e proporzionalità ritraibili dalla giurisprudenza di questa Corte, contemperando in modo equilibrato la tutela dell’ambiente, della salute, della libertà di iniziativa economica e del lavoro, in un sistema che prevedrebbe un «fattivo coinvolgimento del [Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica] nel riesame di tutti i provvedimenti di AIA» e «l’effettuazione di controlli da parte di ISPRA», non derogando, comunque, ai limiti di legge per lo scarico di reflui.

5.– Si è infine costituita in giudizio Versalis spa.

5.1.– In punto di fatto, la parte rappresenta:

– di essere titolare, per l’esercizio degli impianti produttivi siti in Priolo Gargallo, di un’AIA rilasciata dal Ministero dell’ambiente il 1° aprile 2021 e attualmente oggetto di riesame parziale, con specifico riferimento alla gestione dei reflui, giusta procedimento amministrativo avviato il 1° dicembre 2022;

– di essere, nel procedimento a quo, indagata per l’illecito amministrativo dipendente da reato di cui agli artt. 21 e 25-undecies, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 231 del 2001, in relazione al delitto di disastro ambientale connesso al deterioramento delle matrici aria ed acqua (art. 452-quater cod. pen.).

Versalis spa osserva, inoltre, che il d.interm. 12 settembre 2023 avrebbe «pre[so] atto delle iniziative autonomamente adottate dalle Società per il distacco dei propri stabilimenti dagli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, riservandosi tuttavia la possibilità di introdurre limiti specifici per le sostanze Fenoli, Idrocarburi totali e Solventi organici aromatici con riferimento sia agli scarichi gestiti da Priolo Servizi sia ai reflui in uscita dagli impianti produttivi delle coinsediate»; e che tale decreto non risulta essere stato impugnato da alcuno, né innanzi alla giurisdizione amministrativa, né con ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica.

5.2.– Anche questa parte eccepisce l’inammissibilità delle questioni.

5.2.1.– Sarebbe anzitutto carente la motivazione sulla rilevanza: il rimettente non avrebbe chiarito se egli si ritenga o meno titolare del potere di autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale e di definizione dei criteri di bilanciamento; né avrebbe valutato in modo adeguato «il rapporto tra gli atti amministrativi contenenti le prescrizioni dirette al bilanciamento dei valori in questione ed il potere del giudice di valutare il rilascio dell’autorizzazione in presenza o meno di un concreto pericolo per la salute e l’incolumità pubblica, ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori, non evitabile con alcuna prescrizione».

5.2.2.– Il giudice a quo sarebbe altresì incorso in un’aberratio ictus, avendo censurato non tanto il disposto dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. – solo formalmente oggetto del dubbio di legittimità costituzionale – quanto piuttosto le scelte di bilanciamento compiute dal d.interm. 12 settembre 2023. Uno scrutinio su di esse sarebbe tuttavia precluso, atteso che «le opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposizione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente, rispetto alla futura attività di un’azienda, attribuendo in partenza una qualificazione negativa alle condizioni poste per l’esercizio dell’attività stessa, e neppure ancora verificate nella loro concreta efficacia» (è citata la sentenza n. 85 del 2013 di questa Corte);

5.2.3.– Sarebbe infine insufficiente la motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, perché il giudice a quo avrebbe «confuso i contenuti della norma legislativa e quelli dell’atto amministrativo, addebitando alla prima ciò che, in effetti, è proprio del secondo» e non spiegando, di conseguenza, i motivi per cui l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. sarebbe contrario ai parametri costituzionali evocati.

5.3.– Nel merito, Versalis spa ritiene le questioni non fondate.

5.3.1.– L’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. esprimerebbe una corretta ripartizione di competenze tra poteri pubblici nell’individuazione del bilanciamento tra gli interessi coinvolti, rimettendo peraltro all’autorità giudiziaria «la decisione ultima in ordine alla correttezza in concreto del bilanciamento di interessi operato nell’esercizio delle funzioni amministrative affidate alle sedi ministeriali competenti».

Da un lato, il legislatore non avrebbe conferito agli organi ministeriali alcuna «delega in bianco» ad autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva, ma avrebbe invece «vincolato l’azione ministeriale» ad esigenze di bilanciamento. Dall’altro lato, la disposizione censurata non introdurrebbe alcun obbligo per il giudice «di avallare ipso iure il bilanciamento operato in sede ministeriale e di autorizzare necessariamente la continuazione dell’attività». Dall’ultimo periodo del comma 1-bis.1 e dal comma 1-bis.2 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. si evincerebbe che, pur a fronte dell’adozione di misure di bilanciamento nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, il giudice può negare l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, laddove ritenga comunque sussistente un «concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione». La sussistenza di tale facoltà risulterebbe comprovata dalla previsione della legittimazione dei ministeri competenti a impugnare il provvedimento di esclusione o di revoca dell’autorizzazione.

5.3.2.– Inoltre, la disciplina censurata sarebbe pienamente conforme ai principi ritraibili dalle sentenze n. 85 del 2013 e n. 58 del 2018 di questa Corte, atteso che il d.interm. 12 settembre 2023 non avrebbe autorizzato la prosecuzione dell’attività da parte di ISAB srl e di IAS s.p.a alle medesime condizioni che avevano determinato il sequestro, ma l’avrebbe sottoposta a vincoli e verifiche più stringenti rispetto a quelli già previsti dalla vigente disciplina generale.

Segnatamente:

– l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività risulterebbe limitata al periodo di trentasei mesi ritenuti necessari per gli interventi di adeguamento degli «impianti TAS, nonché per la realizzazione degli impianti finalizzati al riutilizzo delle acque reflue» da parte di ISAB srl e Priolo Servizi scpa (art. 2, comma 3, del decreto interministeriale in parola);

– ISAB srl sarebbe tenuta a rispettare i valori limite di emissione per i metalli riportati nella Tabella 3, colonna “scarico rete fognaria”, dell’Allegato 5 alla Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 e i parametri di cui alla Tabella 5 del medesimo Allegato, con solo alcune limitate deroghe per fenoli, idrocarburi totali e solventi organici aromatici (parametri per i quali sarebbe prevista la fissazione, in sede di AIA, di un limite massico annuo);

– sarebbero state introdotte verifiche di rispetto dei valori limite di emissione con il criterio della media mensile dei valori ottenuti da ciascun campione giornaliero, imponendosi altresì l’introduzione di valori massici annuali (art. 2, commi 1 e 2);

– sarebbe affidato all’ISPRA, con il supporto dell’ARPA della Regione Siciliana, il costante monitoraggio delle misure e delle attività previste (art. 3);

– sarebbe prescritta la prosecuzione dell’attività degli impianti di depurazione nel rispetto delle autorizzazioni ambientali regionali (art. 4), sicché IAS spa sarebbe obbligata a garantire l’attuazione delle prescrizioni recate dall’AIA dell’11 luglio 2022;

– il Presidente della Regione Siciliana sarebbe preposto al coordinamento delle attività finalizzate al finanziamento, alla progettazione ed alla realizzazione delle opere necessarie ad ottemperare alle prescrizioni dell’AIA dell’11 luglio 2022, e a quelle eventualmente imposte in sede di riesame (art. 4, comma 2).

In definitiva, il legislatore e le amministrazioni competenti avrebbero «individuato un bilanciamento e costruito una situazione di equilibrio non irragionevole», ciò che escluderebbe la possibilità di operare «un “riesame del riesame”, che non compete ad alcuna autorità giurisdizionale» (è citata la sentenza n. 85 del 2013).

6.– Il 12 aprile 2024, ISAB srl ha depositato una memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di inammissibilità o non fondatezza delle questioni, per le ragioni già sostenute nell’atto di costituzione.

6.1.– La società soggiunge che l’asserita inefficienza dell’impianto sequestrato sarebbe smentita dalla nota redatta dai consulenti tecnici nominati da ISAB srl nell’incidente probatorio in corso, in cui – valutati i dati relativi ai trattamenti depurativi per gli anni 2022-2024 forniti dall’amministratore giudiziario di IAS spa – si conclude che l’impianto offre «adeguate prestazioni in termini di rese depurative» e che «la qualità dello scarico dell’impianto gestito da I.A.S. [è] tale da rispettare i vincoli imposti dalla Normativa».

La situazione di compromissione ambientale sulla cui base il giudice a quo ha disposto il sequestro non troverebbe dunque «riscontro nei fatti e nelle risultanze che via via stanno emergendo nel corso del procedimento penale» sicché, in queste condizioni, si profilerebbe «il rischio concreto di impedire il proseguimento di attività che interessano migliaia di lavoratori e che risultano strategiche per l’economia e la produzione dello Stato».

6.2.– In relazione ai procedimenti di riesame delle AIA rilasciate a ISAB srl, la società rappresenta che, con nota del 3 aprile 2024, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica ha comunicato la convocazione, in data 22 aprile 2024, della conferenza di servizi avente ad oggetto il riesame parziale dell’AIA rilasciata all’impianto di gassificazione a ciclo combinato (IGCC).

7.– Versalis spa ha parimenti depositato, il 15 aprile 2024, una memoria illustrativa, insistendo nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione e riprendendo le argomentazioni ivi esposte.

In riferimento agli sviluppi successivi all’ordinanza di rimessione, la società rappresenta di avere ottenuto dal Comune di Melilli, in data 27 marzo 2024, il permesso di costruire un nuovo impianto di trattamento delle acque reflue da realizzarsi all’interno dello stesso complesso industriale della società, onde consentire entro il 2025 uno scarico diretto a mare, senza ulteriore necessità di utilizzazione dell’impianto condotto da IAS spa.

Su tali interventi si sarebbe medio tempore espressa la Commissione istruttoria ministeriale con un parere istruttorio conclusivo (PIC) del 28 febbraio 2024, poi aggiornato in data 3 aprile 2024. Il 22 aprile 2024 sarebbe inoltre stato inviato alla società il piano di monitoraggio e controllo (PMC) redatto da ISPRA, poi aggiornato in data 8 aprile 2024, a seguito dell’aggiornamento del PIC.

Il 10 aprile 2024 si sarebbe infine tenuta la conferenza di servizi che – sulla base dei pareri favorevoli delle amministrazioni dello Stato e degli enti locali – ha formulato parere favorevole al riesame parziale dell’AIA di Versalis spa.

L’incidente probatorio disposto dal GIP del Tribunale di Siracusa sarebbe tuttora in corso, con la prossima udienza fissata il 12 settembre 2024.

Le «modalità e la tempestività» del procedimento di riesame dell’AIA di Versalis spa giustificherebbero «il carattere transitorio della disciplina individuata dall’Amministrazione ministeriale», la quale fissa in trentasei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento il termine per l’attuazione di tutti gli interventi prescritti.

8.– In data 6 maggio 2024, a seguito della formulazione di quesiti alle parti ai sensi dell’art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, Versalis spa ha depositato il decreto del 3 maggio 2024 del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica di riesame parziale dell’AIA della società in relazione alla gestione dei reflui.

Parimenti, in data 7 maggio 2024, Sonatrach raffineria italiana srl ha depositato il parere conclusivo della commissione istruttoria AIA-IPPC, rilasciato il 22 aprile 2024 nel procedimento di riesame parziale dell’AIA della società.

9.– In risposta ai predetti quesiti, all’udienza del 7 maggio 2024 l’interveniente e le parti hanno sostenuto che, pur in presenza delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, il giudice potrebbe negare l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, ai sensi del quarto periodo della disposizione, in caso di concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione, e che egli potrebbe disapplicare il decreto interministeriale contenente le misure di bilanciamento, nei limiti individuati nella sentenza n. 85 del 2013 di questa Corte; con conseguente inammissibilità delle questioni, per non avere il rimettente esplorato tali opzioni.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il GIP del Tribunale di Siracusa ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., come introdotto dall’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, come convertito.

In particolare, il rimettente appunta le proprie censure sul quinto periodo di tale disposizione, ai termini del quale, in caso di sequestro preventivo di stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, «[i]l giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi».

Ad avviso del rimettente, la disciplina censurata non rispetterebbe le condizioni alle quali questa Corte, nella sentenza n. 85 del 2013, ha ritenuto compatibile con la Costituzione la prosecuzione dell’esercizio dell’attività di stabilimenti di interesse strategico nazionale, pur in presenza di provvedimenti di sequestro dell’autorità giudiziaria (segnatamente, l’osservanza di puntuali prescrizioni stabilite dall’autorità amministrativa all’esito di un procedimento con caratteristiche di pubblicità e partecipazione, finalizzato a individuare un punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi dell’attività; l’effettività del controllo e monitoraggio sulla prosecuzione dell’attività; la durata limitata nel tempo della prosecuzione stessa).

La disciplina in parola, pertanto, violerebbe gli artt. 2 e 32 Cost., che presidiano la vita e la salute umana; l’art. 9 Cost., che tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni; l’art. 41, secondo comma Cost., che vieta che l’iniziativa economica privata possa dispiegarsi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana. Ciò in quanto il legislatore non avrebbe garantito un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco, facendo prevalere incondizionatamente l’interesse alla continuità dell’attività produttiva e comprimendo eccessivamente i beni della vita, della salute e dell’ambiente.

2.– Vanno esaminate – in ordine di priorità logico-giuridica – le numerose eccezioni di inammissibilità delle questioni, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri e dalle società ISAB srl, Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa.

2.1.– Sonatrach raffineria italiana srl ha eccepito il difetto di legittimazione del giudice a quo a promuovere l’incidente di costituzionalità e la carenza di incidentalità delle questioni.

L’eccezione deve essere rigettata sotto entrambi i profili.

2.1.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per aversi un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte Costituzionale) e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), è sufficiente che ricorra «il requisito oggettivo dell’esercizio “di funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge”, da parte di organi […] “posti in posizione super partes”» (sentenza n. 138 del 2019, nonché, nello stesso senso, sentenze n. 237 del 2022 e n. 244 del 2020).

Tale requisito certamente ricorre nel caso di specie, in cui l’incidente di costituzionalità origina dal procedimento cautelare relativo al sequestro preventivo del depuratore condotto da IAS spa. Nell’ambito di tale procedimento, sono insorte questioni – introdotte dall’istanza dell’amministratore giudiziario del 10 novembre 2023 – concernenti la gestione del bene in sequestro e segnatamente alla necessità di rilevare, monitorare e valutare i valori limite di emissione tollerabili dell’impianto alla stregua delle prescrizioni impartite dal d.interm. 12 settembre 2023, in prospettiva della prosecuzione del conferimento di reflui industriali in tale depuratore; e ciò a fronte di un sequestro originariamente disposto, il 13 maggio 2022, in funzione impeditiva di tale conferimento.

2.1.2.– Sussiste anche il requisito dell’incidentalità delle questioni, da ritenersi integrato «“ogniqualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi” (sentenza n. 4 del 2000 e ordinanza n. 103 del 2022; di recente, nello stesso senso, sentenze n. 161 del 2023 e n. 169 del 2022)» (sentenza n. 49 del 2024).

Lo scrutinio di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. sollecitato dal rimettente risulta infatti non già fine a sé stesso, ma funzionale al vaglio dell’istanza dell’amministratore giudiziario, e segnatamente alla necessità di indicare a quest’ultimo se e come ottemperare alle disposizioni del d.interm. 12 settembre 2023, che nella disposizione di legge censurata trova la sua base legale.

2.2.– L’Avvocatura generale dello Stato e ISAB srl eccepiscono che il rimettente avrebbe solo formalmente denunciato di illegittimità costituzionale l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., appuntando però in effetti le proprie doglianze sui contenuti del d.P.C.m. 3 febbraio 2023 e del d.interm. 12 settembre 2023, i quali tuttavia costituirebbero atti non sindacabili da parte di questa Corte.

La stessa eccezione è in sostanza svolta da Versalis spa, pur dall’angolo visuale dell’aberratio ictus in cui sarebbe incorso il giudice a quo, per avere di fatto censurato le scelte di bilanciamento compiute dal d.interm. 12 settembre 2023; e da Sonatrach raffineria italiana srl, la quale ritiene che il GIP del Tribunale di Siracusa non abbia neppure compiutamente chiarito se oggetto di censura sia l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., oppure il d.P.C.m. 3 febbraio 2023, o ancora il d.interm. 12 settembre 2023.

Tali eccezioni, nel loro complesso, non sono fondate.

È pur vero che il rimettente si sofferma diffusamente sul contenuto delle misure di bilanciamento recate dal d.interm. 12 settembre 2023, in particolare sostenendo che tale provvedimento introduca significative deroghe alla disciplina recata dal d.lgs. n. 152 del 2006 (segnatamente, ai valori limite di emissione indicati nella Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte III cod. ambiente). Tuttavia, la doglianza fondamentale articolata dal giudice a quo si indirizza contro l’art. 104-bis, comma 1.bis.1, norme att. cod. proc. pen., che nella sua prospettiva conterrebbe una “delega in bianco” – di durata illimitata, priva di prescrizioni puntuali, non accompagnata da un sistema di controlli e in definitiva non rispettosa dei requisiti enunciati nella citata sentenza n. 85 del 2013 – a favore dell’amministrazione per l’adozione di misure di bilanciamento, al cui solo ricorrere il giudice penale sarebbe obbligato ad autorizzare la prosecuzione dell’attività di stabilimenti oggetto di sequestro preventivo.

Oggetto delle censure del rimettente è, dunque, l’art. 104-bis, comma 1.bis.1, norme att. cod. proc. pen., ossia una disposizione di rango primario.

2.3.– Secondo ISAB srl, le questioni sarebbero irrilevanti, poiché – essendo da un lato l’AIA rilasciata l’11 luglio 2022 al depuratore gestito da IAS spa «pienamente valida ed efficace», e prevedendo dall’altro lato l’art. 4, comma 4, del d.interm. 12 settembre 2023 che l’attività di tale impianto possa proseguire – il giudice a quo non sarebbe chiamato ad autorizzare alcunché.

L’eccezione non è fondata.

Infatti, a fronte di un provvedimento di sequestro preventivo che ordinava l’interruzione del conferimento di reflui industriali nel depuratore condotto da IAS spa, la semplice presenza nell’ordinamento di una disposizione di rango secondario (l’art. 4, comma 4, del d.interm. 12 settembre 2023), che prescrive la continuazione dell’attività del depuratore stesso, sarebbe di per sé insufficiente a rimuovere ipso iure il vincolo apposto dal giudice in sede cautelare. È invece la stessa disposizione legislativa censurata a prevedere che, in presenza di misure di bilanciamento, il giudice «autorizza» la prosecuzione dell’attività produttiva: evidenziando così la necessità di un apposito provvedimento del giudice in proposito (a prescindere, qui, dalla questione – di cui subito si dirà – se si tratti di provvedimento di natura vincolata o discrezionale).

2.4.– Un nutrito gruppo di eccezioni attiene alla correttezza del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente.

2.4.1.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, erroneamente il giudice a quo si riterrebbe vincolato ad autorizzare la prosecuzione dell’attività del depuratore sotto sequestro a fronte dell’adozione del d.interm. 12 settembre 2023. La disciplina censurata gli consentirebbe, invece, di valutare l’idoneità delle misure adottate nella procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale ad assicurare l’effettivo bilanciamento tra i diversi interessi in gioco; e gli consentirebbe, inoltre, di intervenire sia dettando ulteriori prescrizioni necessarie (art. 104-bis, comma 1-bis.1, terzo periodo, norme att. cod. proc. pen.), sia negando l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività in caso di concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione (art. 104-bis, comma 1-bis.1, quarto periodo, norme att. cod. proc. pen.). Ne sarebbe riprova che il comma 1-bis.2 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. legittima la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica a impugnare il provvedimento di esclusione, revoca o diniego della prosecuzione dell’attività, adottato in presenza di misure di bilanciamento.

2.4.2.– L’eccezione è in sostanza sollevata anche da Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa, le quali peraltro ritengono che il rimettente non abbia nemmeno chiarito se si ritenga vincolato o meno ad autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva in presenza delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni.

2.4.3.– Anche ISAB srl, all’udienza pubblica del 7 maggio 2024, ha sostenuto l’inammissibilità delle questioni per non avere il rimettente considerato la possibilità di applicare il quarto periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1.

2.4.4.– Le eccezioni non sono fondate.

Il giudice a quo muove inequivocabilmente dal presupposto interpretativo di essere vincolato ad autorizzare la continuazione dell’attività (id est, la ricezione di reflui industriali) del depuratore condotto da IAS spa, a fronte dell’adozione del d.interm. 12 settembre 2023. Egli osserva, infatti, che l’entrata in vigore della disciplina censurata ha «fortemente inciso» sui poteri cautelari del GIP, condizionandoli e limitandoli, poiché «[s]e […] l’Amministratore Giudiziario, coerentemente all’esecuzione di un sequestro c.d. impeditivo, continuasse a chiedere ai c.d. Grandi Utenti l’osservanza del cronoprogramma volto all’interruzione dei reflui industriali, si porrebbe in contrasto con la disposizione che impone la prosecuzione dell’attività produttiva in presenza di un bilanciamento adottato all’interno della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale»; e che tale disciplina «impone al giudice di autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva al solo ricorrere di misure di bilanciamento».

Tale presupposto interpretativo non solo supera agevolmente il vaglio di non implausibilità che questa Corte opera in fase di valutazione dell’ammissibilità delle questioni, ma appare anche – per le ragioni che saranno più innanzi illustrate (infra, punto 4.3.) – del tutto conforme alla volontà del legislatore.

2.5.– Per la medesima ragione, non sono fondate anche le eccezioni, sollevate dall’Avvocatura dello Stato e da Sonatrach raffineria italiana srl, di inammissibilità delle questioni per omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata.

Anche a supporre che l’interpretazione conforme propugnata sia nel senso che, pur a fronte dell’adozione delle misure di bilanciamento previste dall’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, il giudice potrebbe non autorizzare la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti o impianti sequestrati, deve reiterarsi come, alla luce del complessivo tenore letterale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1 e delle verosimili intenzioni del legislatore (su cui infra, punto 4.3.), non possa rimproverarsi al rimettente di non avere ritenuto possibile una simile lettura della disciplina censurata.

Secondo l’ormai costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini dell’ammissibilità della questione di legittimità è sufficiente che il giudice abbia motivatamente escluso la possibilità di una interpretazione conforme della disposizione censurata, attenendo poi al merito della questione la verifica della effettiva impraticabilità di tale interpretazione (ex multis, di recente, sentenze n. 6 del 2024, punto 5 del Considerato in diritto; n. 202 del 2023, punto 2 del Considerato in diritto; n. 139 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto).

2.6.– L’Avvocatura generale dello Stato ha poi sostenuto che il giudice avrebbe potuto al limite disapplicare il d.interm. 12 settembre 2023 se contrario alla legge, ma «non certo, ritenutane l’illegittimità, farne derivare il dubbio di legittimità costituzionale della norma di legge di cui costituisce attuazione».

Anche le parti, all’udienza del 7 maggio 2024, in risposta ai quesiti loro rivolti ai sensi dell’art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, hanno affermato che il giudice potrebbe disapplicare il decreto interministeriale, nei limiti consentiti dalla legge e individuati dalla sentenza n. 85 del 2013 di questa Corte.

Tali considerazioni non sono peraltro ostative all’esame del merito delle questioni, che risultano sotto questo profilo ammissibili, poiché dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione risulta che il presupposto da cui – non implausibilmente, alla luce del tenore letterale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen. – muove il rimettente è quello di essere vincolato a rispettare le misure di bilanciamento contenute nel d.interm. 12 settembre 2023.

2.7.– Un ulteriore gruppo di eccezioni attiene all’insufficienza della motivazione circa la non manifesta infondatezza delle questioni.

2.7.1.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il rimettente si sarebbe limitato ad asserire la contrarietà della disposizione censurata agli artt. 2, 9, 32 e 41, secondo comma, Cost., senza in alcun modo spiegare «per quali ragioni ed in quali termini la procedura prevista dalla […] disposizione relativa agli stabilimenti dichiarati di interesse strategico nazionale e agli impianti necessari ad assicurarne l’attività produttiva violi i parametri costituzionali citati».

Ad avviso di Versalis spa, il giudice a quo, avendo «confuso i contenuti della norma legislativa e quelli dell’atto amministrativo, addebitando alla prima ciò che, in effetti, è proprio del secondo», non avrebbe spiegato i motivi per cui l’art. 104-bis, comma 1-bis.1 sarebbe contrario ai parametri costituzionali evocati.

L’eccezione è in sostanza svolta anche da ISAB srl, la quale, pur declinandola come mancanza della «soglia minima di chiarezza» delle questioni, anch’essa lamenta che il GIP non avrebbe spiegato perché l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., il quale «si limita a prevedere che al ricorrere di determinate e precise condizioni […] il Giudice autorizzi la prosecuzione dell’attività», rechi un vulnus agli artt. 2, 9, 32 e 41, secondo comma, Cost.

2.7.2.– Le eccezioni risultano complessivamente infondate.

Il rimettente ha estesamente richiamato la sentenza n. 85 del 2013, sostenendo che l’art. 104-bis, comma 1-bis.1 norme att. cod. proc. pen. non sia conforme alle condizioni alle quali questa Corte ha ritenuto compatibile con la Costituzione la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, pur in presenza di un sequestro giudiziario emesso in un procedimento per reati ambientali. Secondo il giudice a quo la disposizione censurata, a differenza di quella che veniva in considerazione nella sentenza n. 85 del 2013, «[n]on ha introdotto un ragionevole bilanciamento tra i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione», poiché essa «[n]on rinvia a prescrizioni puntuali da rispettare in modo da valorizzare i principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale» e «[n]on ha introdotto un efficace sistema di controlli», sicché «[n]on vi è stata nel caso concreto una effettiva combinazione tra una norma di legge ed un atto amministrativo in grado di determinare le condizioni e i limiti della liceità della prosecuzione di un’attività per un tempo definito».

Il giudice a quo ritiene dunque che l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., imponendo la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti o impianti oggetto di sequestro preventivo, senza definire puntualmente le condizioni di liceità di tale prosecuzione, non abbia effettuato un corretto bilanciamento tra beni costituzionali concorrenti richiesto dalla sentenza n. 85 del 2013, sacrificando eccessivamente i valori della vita, della salute umana e dell’ambiente tutelati dagli artt. 2, 32 e 9 Cost. e travalicando i limiti cui l’art. 41, secondo comma, Cost. subordina l’iniziativa economica privata.

Risulta dunque chiaramente intelligibile il senso delle censure del rimettente.

2.8.– L’Avvocatura generale dello Stato ha, ancora, eccepito l’erronea individuazione dei parametri costituzionali asseritamente violati, per avere il giudice a quo da un lato lamentato l’indebita limitazione delle proprie prerogative in materia di sequestro preventivo a opera dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, ma dall’altro lato omesso di articolare una corrispondente censura di violazione del principio di separazione tra poteri dello Stato (artt. 102, 104 e 111 Cost.).

Un’eccezione di segno sostanzialmente analogo è articolata da Sonatrach raffineria italiana srl, secondo cui si sarebbe in presenza di un «difetto di motivazione e contraddittorietà assoluta sui requisiti di non manifesta infondatezza». Il rimettente avrebbe escluso il vulnus agli artt. 76, 77 e 101, secondo comma, Cost. paventato dalla Procura della Repubblica, salvo poi contraddittoriamente lamentare che l’art. 104-bis, comma 1-bis.1 gli imponga di autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva, in presenza delle misure di bilanciamento di cui al quinto periodo della disposizione.

Nemmeno queste eccezioni sono fondate.

Il rimettente non contesta la scelta legislativa di disporre la continuazione dell’attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale o impianti ad essi strumentali oggetto di sequestro, demandando alla pubblica amministrazione il bilanciamento degli interessi in conflitto. Egli riconosce, anzi, che tale modus procedendi è stato ritenuto compatibile con la Costituzione dalla sentenza n. 85 del 2013. Il giudice a quo lamenta piuttosto che il rinvio operato dalla legge all’atto amministrativo non sia accompagnato da quei limiti che la sentenza in questione aveva individuato come funzionali all’equilibrato bilanciamento tra i beni costituzionali in gioco, e che dunque si determini un’eccessiva compressione dei valori della vita, della salute e dell’ambiente; valori che sono presidiati dagli artt. 2, 32, e 9 Cost., e al cui rispetto deve conformarsi anche la libera iniziativa economica, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, Cost.

Deve dunque escludersi l’inconferenza dei parametri evocati rispetto alle censure articolate dal rimettente.

2.9.– L’Avvocatura generale dello Stato ha infine eccepito che le questioni sarebbero prive di uno specifico petitum, non avendo il rimettente indicato quale frammento della disposizione censurata sia sospettato di illegittimità costituzionale, né precisato se l’auspicato intervento di questa Corte debba avere natura «ablativa o manipolativa» e in quale soluzione compatibile con la Carta costituzionale esso debba consistere.

Anche quest’ultima eccezione non è fondata.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure» (da ultimo, sentenza n. 54 del 2024; sentenze n. 136 del 2022, n. 150 e n. 123 del 2021, n. 176 del 2019, n. 175 del 2018).

Come già notato (punto 1 del Considerato in diritto), il rimettente, pur avendo formalmente denunciato l’intero art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., ha appuntato le proprie censure sul quinto periodo della disposizione, secondo cui il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività di stabilimenti di interesse strategico nazionale o impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, pur oggetto di sequestro preventivo, se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi.

Dal tenore complessivo della motivazione dell’ordinanza di rimessione risulta evidente che il rimettente invochi un intervento ablativo di questa Corte sulla disposizione da ultimo richiamata, concepita come derogatoria rispetto a quelle dei periodi precedenti dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, che riconoscono in capo al giudice il potere di dettare prescrizioni per la prosecuzione dell’attività e di negarla in caso di concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione.

2.10.– In conclusione, tutte le censure prospettate dal rimettente superano il vaglio di ammissibilità.

3.– Prima di procedere all’esame del merito, è opportuno svolgere una premessa di ordine generale, che attiene al carattere, per così dire, ibrido della disposizione censurata: la cui introduzione è strettamente connessa alla specifica vicenda giudiziaria che interessa il depuratore di Priolo Gargallo (infra, punto 3.1.), ma la cui portata precettiva trascende tale vicenda, assumendo così carattere generale, potenzialmente applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi (infra, punto 3.2.).

3.1.– L’occasione che ha determinato il Governo a emanare la disposizione censurata, con il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, è rappresentata, dichiaratamente, dalla ritenuta «straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure anche di carattere processuale e procedimentale finalizzate ad assicurare la continuità produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale»: stabilimenti tra i quali, con l’appena successivo d.P.C.m. 3 febbraio 2023, sarebbero stati classificati quelli di proprietà di ISAB srl, mentre l’impianto di depurazione di IAS spa di Priolo Gargallo sarebbe stato riconosciuto dal medesimo d.P.C.m. come «infrastruttur[a] necessari[a] ad assicurare la continuità produttiva» degli stabilimenti di ISAB srl.

Tanto le figure apicali di ISAB srl quanto quelle di IAS spa (nonché le stesse società, ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001) sono in effetti sottoposte a indagini – come più dettagliatamente riferito al punto 1.1. del Ritenuto in fatto – in un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di Siracusa e relativo a plurime ipotesi di reato, tra cui quella di disastro ambientale aggravato.

Nell’ambito di tale procedimento, il GIP del Tribunale di Siracusa ha disposto, il 13 maggio 2022, il sequestro preventivo dell’impianto di depurazione di Priolo Gargallo gestito da IAS spa, nominando un amministratore giudiziario con l’incarico di limitare il funzionamento dell’impianto di depurazione ai reflui civili, con esclusione del conferimento dei reflui industriali.

Il successivo 11 luglio 2022 è stata rilasciata l’AIA regionale all’impianto di depurazione in parola, che conteneva numerose prescrizioni ma era comunque funzionale alla prosecuzione del conferimento nell’impianto stesso dei reflui provenienti dagli stabilimenti produttivi del polo petrolchimico siracusano, ivi compresi quelli di ISAB srl. Il 29 agosto 2022, tuttavia, il GIP di Siracusa ha disposto l’adozione di un «cronoprogramma» per l’interruzione in sicurezza dei conferimenti di reflui industriali nell’impianto di depurazione in parola, ritenendo evidentemente tale impianto non idoneo ad assicurare un adeguato trattamento dei reflui provenienti dal polo petrolchimico.

Su questo sfondo fattuale si inserisce l’intervento normativo che ha introdotto la disposizione ora censurata. In assenza di alternative immediatamente praticabili per lo smaltimento dei reflui industriali, l’interruzione della loro ricezione da parte del depuratore sequestrato avrebbe comportato la necessità di interrompere la stessa attività produttiva del polo petrolchimico siracusano, con le conseguenze economiche e occupazionali agevolmente desumibili dai dati riportati dall’Avvocatura generale dello Stato nel proprio atto di intervento nel presente giudizio (punto 2.1. del Ritenuto in fatto).

Dopo che il d.l. n. 187 del 2022, come convertito, aveva prescritto in via generale alle «imprese che gestiscono a qualunque titolo impianti e infrastrutture di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nel settore della raffinazione di idrocarburi» di garantire «la sicurezza degli approvvigionamenti, nonché il mantenimento, la sicurezza e l’operatività delle reti e degli impianti, astenendosi da comportamenti che possono mettere a rischio la continuità produttiva e recare pregiudizio all’interesse nazionale», il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, ha introdotto, al Capo II, una serie di «[d]isposizioni in materia penale relative agli stabilimenti di interesse strategico nazionale».

All’art. 5 sono, in particolare, previste varie modifiche al d.lgs. n. 231 del 2001 in materia di responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, miranti nel loro complesso ad assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva di tali stabilimenti, anche nell’ipotesi in cui sia disposta una misura cautelare a carico dell’ente ovvero una sanzione interdittiva.

L’art. 6 dispone l’introduzione, all’art. 104-bis norme att. cod. proc pen., del nuovo comma 1-bis.1, in questa sede censurato, nonché del successivo comma 1-bis.2, che attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica la legittimazione a proporre appello, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., avverso il provvedimento con cui il giudice abbia comunque escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva «nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale», individuando come giudice competente per la decisione sull’impugnazione il Tribunale ordinario di Roma in composizione collegiale.

Infine, l’art. 7 prevede la non punibilità per chi abbia agito «al fine di dare esecuzione ad un provvedimento che autorizza la prosecuzione dell’attività di uno stabilimento industriale o parte di esso dichiarato di interesse strategico nazionale», e in conformità alle «prescrizioni dettate dal provvedimento dirette a tutelare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici».

Durante la discussione al Senato sul disegno di legge governativo di conversione del decreto-legge, si è espressamente sottolineato che l’art. 6 – introduttivo della disposizione qui censurata – «ha permesso di risolvere una tematica inerente al depuratore del polo petrolchimico di Priolo» (seduta n. 40 del 21 febbraio 2023). Ciò conferma la stretta connessione esistente tra la genesi della disposizione in parola e la specifica vicenda giudiziaria relativa al depuratore medesimo.

Nel frattempo, il d.P.C.m. 3 febbraio 2023 aveva già provveduto a dichiarare di interesse strategico nazionale – ai sensi del d.l. n. 207 del 2012, come convertito – gli stabilimenti della società ISAB srl e a riconoscere l’impianto di depurazione gestito da IAS spa quale infrastruttura necessaria ad assicurarne la continuità produttiva, rendendo così applicabile il complesso della nuova disciplina introdotta con il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, al procedimento cautelare pendente avanti al GIP di Siracusa e avente ad oggetto l’impianto di depurazione stesso.

Sulla base poi di quanto previsto dall’art. 3 del d.P.C.m., il d.interm. 12 settembre 2023 – adottato dal Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, sentiti i Ministri della salute, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali, e l’ISPRA – ha infine indicato le concrete «misure» con le quali è stato attuato il «bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione, e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente» in relazione al complesso degli stabilimenti di proprietà della società ISAB srl, nonché il «coordinamento a livello regionale in relazione agli interventi eventualmente necessari per dare soluzione alle questioni ambientali inerenti» l’impianto di depurazione di Priolo Gargallo gestito da IAS spa (oltre che l’impianto di Melilli gestito da Priolo Servizi scpa).

Tale decreto interministeriale rende, in particolare, applicabile nella vicenda giudiziaria oggetto del procedimento a quo la previsione del quinto periodo del nuovo art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen., nei cui confronti si indirizzano le censure del rimettente.

3.2.– Tuttavia, nonostante lo stretto legame esistente con la vicenda giudiziaria che ne rappresenta l’occasio, la disposizione censurata non costituisce una legge-provvedimento, ma detta una disciplina generale e astratta, e dunque potenzialmente applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi.

Essa si inserisce, in effetti, all’interno dell’articolato disposto dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., relativo all’amministrazione dei beni sottoposti a sequestro o a confisca da parte del giudice penale, dettando regole riferite alla specifica ipotesi in cui il sequestro abbia ad oggetto «stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale» ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito (il cosiddetto “decreto Ilva”), ovvero «impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva».

Sino all’entrata in vigore del d.l. n. 2 del 2023, tale ipotesi era parzialmente regolata soltanto dall’art. 1, comma 4, del “decreto Ilva”, ai sensi del quale le disposizioni relative all’autorizzazione della prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale contenute nell’art. 1, comma 1, del medesimo decreto «trovano applicazione anche quando l’autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento», aggiungendo che tali provvedimenti «non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell’autorizzazione, l’esercizio dell’attività di impresa».

Il complesso delle disposizioni di cui all’art. 1 del “decreto Ilva” – già giudicate da questa Corte nella sentenza n. 85 del 2013 non incompatibili con i molti parametri costituzionali allora evocati – in sostanza sanciscono che, quando uno stabilimento sia individuato da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri come «di interesse strategico nazionale», il Ministro dell’ambiente [e della sicurezza energetica] possa «autorizzare, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale [AIA], la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili». In tal caso, resta esclusa la possibilità che altre autorità – compresa l’autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro – possano dettarne di ulteriori, subordinando ad esse l’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, ovvero possano addirittura imporre la cessazione dell’attività stessa.

L’art. 1 del “decreto Ilva” non è tuttavia applicabile a sequestri preventivi come quello oggetto del procedimento a quo, per almeno due ragioni. Da un lato, la disposizione si riferisce testualmente ai soli «stabiliment[i] di interesse strategico nazionale», e non anche agli impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, come nel caso degli impianti di depurazione che trattano i reflui provenienti da tali stabilimenti. Dall’altro, essa presuppone un provvedimento di «riesame» dell’AIA adottato dal Ministro dell’ambiente, il quale però non è l’unica autorità competente al rilascio di tali autorizzazioni: tant’è vero che, nel caso dell’impianto di depurazione oggetto di sequestro nel procedimento a quo, l’autorità competente al rilascio dell’AIA è l’Assessorato del territorio e dell’ambiente della Regione Siciliana (ARTA), il quale – peraltro – nel caso di specie aveva, per la prima volta nel 2022, rilasciato a IAS spa un’AIA, che non risulta, allo stato, oggetto di alcun riesame.

Il nuovo comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., introdotto dal d.l. n. 2 del 2023, come convertito, intende colmare queste lacune, e istituire una disciplina generale – non a caso collocata stabilmente tra le norme di attuazione del codice di rito – destinata a regolare i poteri di amministrazione spettanti al giudice del sequestro penale su stabilimenti (o parti di essi) dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del “decreto Ilva”, nonché sugli impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, con particolare riguardo al profilo cruciale dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività.

È dunque sulla sostenibilità costituzionale di questa disciplina generale e astratta alla luce dei parametri evocati dall’ordinanza di rimessione – e non già sulla correttezza del bilanciamento effettuato dal Governo, attraverso le misure prescritte dal d.interm. 12 settembre 2023, nello specifico caso oggetto del procedimento a quo – che questa Corte è, oggi, chiamata a pronunciarsi.

4.– In via ancora preliminare allo scrutinio del merito delle questioni, occorre sciogliere un nodo esegetico sulla disciplina di cui al nuovo comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., su cui si sono incentrate numerose delle eccezioni in precedenza esaminate e su cui si è, altresì, ampiamente discusso durante l’udienza pubblica, anche in risposta ai quesiti formulati da questa Corte ai sensi dell’art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

4.1.– Come a suo tempo evidenziato (supra, punto 2.4.4.), il presupposto interpretativo da cui inequivocabilmente muove il giudice a quo è che il quinto periodo della disposizione censurata lo vincoli ad autorizzare la prosecuzione dell’attività – nel caso di specie, di ricezione dei reflui industriali da parte dell’impianto di depurazione sequestrato – una volta che, «nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale», siano state adottate «misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento» tra i vari interessi in conflitto. Misure che, nel caso concreto oggetto del procedimento a quo, sono state adottate a mezzo del d.interm. 12 settembre 2023 più volte citato.

4.2.– Tanto l’interveniente Avvocatura generale dello Stato quanto le parti hanno invece sostenuto che il nuovo comma 1-bis.1, letto nel suo complesso, consentirebbe al giudice di valutare l’idoneità di tali misure ad assicurare il corretto bilanciamento tra gli interessi in gioco, o comunque di non autorizzare la prosecuzione dell’attività – ai sensi di quanto disposto dal quarto periodo – «quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione».

Proprio a fronte di tale possibilità, secondo l’interveniente e le parti il sesto periodo della disposizione in esame prescriverebbe al giudice di trasmettere l’eventuale provvedimento negativo sulla prosecuzione dell’attività alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, sì da consentire a tali autorità di impugnare il provvedimento stesso avanti al Tribunale di Roma ai sensi del successivo comma 1-bis.2 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen., pure introdotto dall’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, come convertito.

4.3.– Questa Corte ritiene, invece, che un attento esame della successione logica dei diversi periodi del comma 1-bis.1 confermi la correttezza del presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente.

Il primo periodo di tale disposizione prevede la regola generale secondo cui, quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario, che l’art. 104-bis, comma 1, norme att. cod. proc. pen. prevede del resto sia nominato in tutti i casi di sequestro di aziende.

Il secondo periodo detta una regola speciale relativa all’ipotesi in cui l’impresa sia già stata ammessa all’amministrazione straordinaria, prevedendo che – in tal caso – la prosecuzione dell’impresa sia affidata al commissario già nominato in quella procedura.

Il terzo periodo dispone poi che, «[o]ve necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità».

Il quarto periodo – su cui si appuntano molti degli argomenti spesi dall’interveniente e dalle parti – prevede che «[l]e disposizioni di cui al primo, secondo e terzo periodo non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione».

Dunque: il giudice ordinariamente detta – avvalendosi per l’esecuzione del proprio provvedimento dell’amministratore giudiziario dell’azienda sequestrata (primo periodo), ovvero del commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria (secondo periodo) – disposizioni che consentano la prosecuzione dell’attività, in esito a un bilanciamento, a lui stesso affidato, tra i diversi interessi in gioco; e ciò «tenendo anche conto de[i]» (ma non essendo vincolato ai) provvedimenti amministrativi autorizzativi già esistenti che riguardano l’attività dell’azienda (terzo periodo). Soltanto nell’ipotesi in cui il giudice stesso ritenga che dalla prosecuzione dell’attività possa derivare un «concreto pericolo» per la salute o l’incolumità pubblica, ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori, non evitabile con alcuna prescrizione, le disposizioni dei primi tre periodi «non si applicano»: espressione, quest’ultima, che può essere ragionevolmente intesa soltanto nel senso di autorizzare il giudice a ordinare l’interruzione dell’attività, in esito a una valutazione – ancora di sua esclusiva competenza – sulla sussistenza di una situazione di concreto pericolo per i beni giuridici menzionati, derivante dalla prosecuzione dell’attività e che egli non ritiene schermabile mediante alcuna misura contenitiva (quarto periodo).

Il quinto periodo, oggetto delle censure del rimettente, riguarda però un’ipotesi ancora diversa: e cioè quella in cui, «nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale» regolata dal “decreto Ilva”, «sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento» tra i vari beni giuridici in gioco (in particolare, continuità dell’attività produttiva e salvaguardia dell’occupazione, oltre ai beni già elencati nel quarto periodo appena esaminato). Tali misure sono, all’evidenza, adottate dal Governo a valle dell’individuazione, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dello stabilimento in questione come di interesse strategico nazionale, secondo lo schema procedimentale disegnato dallo stesso “decreto Ilva”; e sono, altrettanto evidentemente, distinte dai «provvedimenti amministrativi» autorizzativi di cui parla il terzo periodo, e dei quali il giudice deve semplicemente “tener conto”.

In questa diversa ipotesi, il linguaggio della legge diviene perentorio: il giudice «autorizza la prosecuzione dell’attività», senza poter più svolgere un autonomo bilanciamento tra gli interessi in gioco, evidentemente alle condizioni stabilite dal provvedimento governativo che stabilisce le «misure» di bilanciamento in questione. E senza potere, nemmeno, disporre l’interruzione dell’attività nel caso in cui apprezzi un «concreto pericolo» per la salute o l’incolumità pubblica, ovvero la salute o la sicurezza dei lavoratori, dal momento che il precedente quarto periodo deroga soltanto al primo, al secondo e al terzo periodo, ma non – appunto – al quinto, ora all’esame. In questa fase, l’apprezzamento della sussistenza o meno di tale concreto pericolo spetta dunque al solo Governo, nell’ambito della procedura avviata con la dichiarazione di interesse strategico nazionale dello stabilimento.

La previsione, nel sesto periodo, di un obbligo di trasmissione del provvedimento «ai sensi dei periodi precedenti» (dal primo al quinto, dunque), «anche se negativ[o]» (e cioè preclusivo della prosecuzione dell’attività), alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, sottende poi la volontà legislativa di assicurare a tali autorità governative – tutte a vario titolo coinvolte nella procedura disciplinata dal “decreto Ilva” – una piena e tempestiva conoscenza delle determinazioni del giudice, nell’ambito del procedimento di sequestro, relative all’azienda in questione.

E ciò sia al fine di consentire a tali autorità di calibrare le adottande «misure» di cui al quinto periodo rispetto alla concreta situazione dell’azienda, tenendo conto anche del bilanciamento già operato dal giudice sulla base dei dati da questi raccolti; sia – nell’ipotesi specifica in cui il giudice abbia negato la prosecuzione dell’attività nonostante l’avvenuta adozione delle «misure» predette da parte del Governo – onde permettere alle autorità in parola di impugnare il provvedimento di diniego alla prosecuzione dell’attività innanzi al Tribunale di Roma, ai sensi del nuovo comma 1-bis.2 norme att. cod. proc. pen.

Quest’ultima previsione sembra dunque operare, nella logica – invero, non proprio cristallina – del legislatore, come una sorta di “freno di emergenza” nell’ipotesi in cui il giudice, nonostante l’adozione da parte del Governo delle «misure» di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1, concepite quali vincolanti per l’autorità giudiziaria, abbia comunque negato l’autorizzazione a proseguire l’attività.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’interveniente e dalle parti costituite, non può però desumersi dalla previsione dell’appello di cui al comma 1-bis.2 che il giudice conservi un qualche residuo potere di bilanciare discrezionalmente gli opposti interessi in gioco: e di dettare così misure che si discostino da quelle stabilite dal Governo ai sensi del quinto periodo del comma 1-bis.1, o addirittura di vietare la prosecuzione dell’attività sulla base di un discrezionale apprezzamento relativo ad un «concreto pericolo» di pregiudizio per i beni collettivi di cui ragiona il quarto periodo.

Al contrario, la logica seguita dal legislatore è, per quanto si è sin qui argomentato, chiara: una volta che il Governo, nell’ambito della procedura di cui al “decreto Ilva”, abbia dettato le misure di bilanciamento, al cui rispetto è condizionata la prosecuzione dell’attività, non residua più in capo al giudice del sequestro alcun margine di discrezionalità nella valutazione degli interessi in gioco, e nelle determinazioni conseguenti. Il giudice è, a questo punto, vincolato ad autorizzare la prosecuzione dell’attività, alle condizioni stabilite dal Governo.

5.– Tanto precisato con riguardo all’interpretazione della disposizione censurata, e in particolare del suo quinto periodo, possono finalmente vagliarsi nel merito le doglianze del rimettente.

In estrema sintesi, come si rammenterà, il giudice a quo lamenta che questa disciplina non assicuri un bilanciamento adeguato tra il complesso degli interessi di rilevanza costituzionale in gioco, e determini pertanto una lesione degli artt. 2 e 32 Cost., che tutelano la vita e la salute umana; dell’art. 9 Cost., che tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi; nonché dell’art. 41, secondo comma, Cost., che garantisce l’iniziativa economica, imponendo però che essa non si svolga in contrasto con la salute, l’ambiente, la sicurezza, la libertà e la dignità umana.

Tali censure sono parzialmente fondate, nei termini di seguito chiariti.

5.1.– Il punto di riferimento naturale, nell’esame delle presenti questioni, è rappresentato dai precedenti di questa Corte sulla vicenda Ilva, e in particolare dalla sentenza n. 85 del 2013, con cui non a caso il rimettente si confronta estesamente.

Peraltro, due fondamentali profili differenziali tra le questioni oggetto della sentenza n. 85 del 2013 e quelle odierne debbono essere, in limine, posti in evidenza.

5.1.1.– In primo luogo, le questioni decise con la sentenza n. 85 del 2013 erano in larga parte incentrate su parametri costituzionali estranei al presente giudizio: il principio di eguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; gli artt. 101, 102, 103, 104, 107 e 111 Cost., in relazione all’asserita indebita incidenza del “decreto Ilva” su provvedimenti giudiziari già assunti e passati in “giudicato cautelare”, attraverso norme prive del carattere di generalità e astrattezza; gli artt. 25, 27 e 112 Cost., in relazione alle pretese deroghe, introdotte dalla normativa censurata, ai principi costituzionali dettati in materia di responsabilità penale ed esercizio dell’azione penale.

Di nessuno di tali profili si duole l’odierno rimettente, che – in particolare – non contesta la possibilità, in linea di principio, che il legislatore disciplini dettagliatamente i poteri del giudice nel caso in cui sia stato disposto il sequestro di uno stabilimento industriale dichiarato di interesse strategico nazionale, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva.

Le doglianze del GIP del Tribunale di Siracusa sono, invece, assai più circoscritte: esse assumono, in sostanza, che la disciplina in concreto dettata dal legislatore con il nuovo comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. non offra adeguata tutela alla vita e alla salute umana, nonché all’ambiente, alla biodiversità e agli ecosistemi, privilegiando in modo eccessivo l’interesse alla continuità produttiva di impianti, per quanto considerati di interesse strategico nazionale.

5.1.2.– Censure analoghe, invero, erano state proposte – accanto alle molte altre sopra menzionate – anche nel caso deciso con la sentenza n. 85 del 2013; ed erano state in quell’occasione ritenute non fondate, per le ragioni illustrate ai punti 9 e 10 del Considerato in diritto di quella sentenza, imperniate attorno all’idea della necessità di un «ragionevole bilanciamento», riservato in linea di principio al legislatore, «tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso» (punto 9 del Considerato in diritto).

In relazione a queste censure va segnalato però il secondo, rilevante profilo di distinzione tra le questioni odierne e quelle esaminate con la sentenza n. 85 del 2013, che attiene al mutamento, nel frattempo intervenuto, nella stessa formulazione dei parametri costituzionali sulla base dei quali deve essere condotto lo scrutinio di questa Corte.

La legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente) ha, in effetti, attribuito espresso rilievo costituzionale alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni (art. 9, terzo comma, Cost.); e ha inserito tra i limiti alla libertà di iniziativa economica menzionati nell’art. 41, secondo comma, Cost. le ragioni di tutela dell’ambiente, oltre che della salute umana.

Invero, già da epoca anteriore alla riforma dell’art. 117, secondo comma, Cost. – la cui lettera s) affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, facendone per la prima volta oggetto di menzione espressa nel testo costituzionale – questa Corte aveva riconosciuto l’esistenza di un «diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività» alla salvaguardia dell’ambiente, precisando che esso «comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale», intesi tutti quali «valori che in sostanza la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32 Cost.)» (sentenza n. 210 del 1987 punto 4.5. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 641 del 1987, punto 2.2. del Considerato in diritto, nonché, più di recente, sentenza n. 126 del 2016, punto 5.1. del Considerato in diritto).

La riforma del 2022 consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela dell’ambiente, inteso come bene unitario, comprensivo delle sue specifiche declinazioni rappresentate dalla tutela della biodiversità e degli ecosistemi, ma riconosciuto in via autonoma rispetto al paesaggio e alla salute umana, per quanto ad essi naturalmente connesso; e vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa.

Peculiare è, altresì, la prospettiva di tutela oggi indicata dal legislatore costituzionale, che non solo rinvia agli interessi dei singoli e della collettività nel momento presente, ma si estende anche (come già, del resto, prefigurato da numerose pronunce di questa Corte risalenti a epoca anteriore alla riforma: sentenze n. 46 del 2021, punto 8 del Considerato in diritto; n. 237 del 2020, punto 5 del Considerato in diritto; n. 93 del 2017, punto 8.1. del Considerato in diritto; n. 22 del 2016, punto 6 del Considerato in diritto; n. 67 del 2013, punto 4 del Considerato in diritto; n. 142 del 2010, punto 2.2.2. del Considerato in diritto; n. 29 del 2010, punto 2.1. del Considerato in diritto; n. 246 del 2009, punto 9 del Considerato in diritto; n. 419 del 1996, punto 3 del Considerato in diritto) agli interessi delle future generazioni: e dunque di persone ancora non venute ad esistenza, ma nei cui confronti le generazioni attuali hanno un preciso dovere di preservare le condizioni perché esse pure possano godere di un patrimonio ambientale il più possibile integro, e le cui varie matrici restino caratterizzate dalla ricchezza e diversità che lo connotano.

Per altro verso, la tutela dell’ambiente – nell’interesse, ancora, dei singoli e della collettività nel momento presente, nonché di chi ancora non è nato – assurge ora a limite esplicito alla stessa libertà di iniziativa economica, il cui svolgimento non può «recare danno» – oltre che alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, come recitava il testo previgente dell’art. 41, secondo comma, Cost. – alla salute e all’ambiente.

Di tali chiare indicazioni del legislatore costituzionale – lette anche attraverso il prisma degli obblighi europei e internazionali in materia – questa Corte è chiamata a tenere puntualmente conto, nel vagliare le censure del rimettente.

5.2.– Quest’ultimo si duole, essenzialmente, del venir meno – per effetto della disposizione censurata – di ogni potere discrezionale dell’autorità giudiziaria nella gestione dello stabilimento sottoposto a sequestro, una volta che l’autorità governativa abbia indicato le «misure» di bilanciamento cui allude il quinto periodo della disposizione censurata. Ciò appare al rimettente incongruo, al metro dei parametri costituzionali evocati, ogniqualvolta le misure predette risultino insufficienti ad offrire adeguata tutela all’ambiente, o addirittura alla vita e alla salute delle persone su cui potenzialmente ricadono le conseguenze nocive dell’attività produttiva.

Nel caso oggetto del giudizio a quo, ad esempio, il rimettente ritiene che il decreto interministeriale con cui sono state adottate le «misure» di cui al quinto periodo della disposizione censurata si sarebbe limitato a innalzare i parametri di accettabilità degli scarichi di varie sostanze nocive per la salute umana nelle matrici aria e acqua da parte del depuratore di Priolo Gargallo, prevedendo altresì un sistema a suo avviso inefficace di monitoraggio del rispetto di tali limiti.

Come poc’anzi rammentato, la sentenza n. 85 del 2013 ha ritenuto non fondate doglianze analoghe rivolte nei confronti della disciplina dettata dal “decreto Ilva”, che parimenti vincola l’autorità giudiziaria che ha disposto il sequestro alle prescrizioni dettate dal potere esecutivo, e più precisamente – in quello schema normativo – dal provvedimento del Ministro dell’ambiente che chiude la procedura di riesame dell’AIA.

Questa Corte ha in quell’occasione sottolineato che il provvedimento di riesame dell’AIA – successivo alla constatazione dell’inefficacia delle prescrizioni contenute nell’AIA originaria – «indica un nuovo punto di equilibrio, che consente […] la prosecuzione dell’attività produttiva a diverse condizioni, nell’ambito delle quali l’attività stessa deve essere ritenuta lecita nello spazio temporale massimo (36 mesi), considerato dal legislatore necessario e sufficiente a rimuovere, anche con investimenti straordinari da parte dell’impresa interessata, le cause dell’inquinamento ambientale e dei pericoli conseguenti per la salute delle popolazioni» (punto 10.2. del Considerato in diritto).

Tale punto di equilibrio – ha proseguito la sentenza n. 85 del 2013 – «deve presumersi ragionevole, avuto riguardo alle garanzie predisposte dall’ordinamento quanto all’intervento di organi tecnici e del personale competente; all’individuazione delle migliori tecnologie disponibili; alla partecipazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell’iter formativo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere, con mezzi comunicativi, politici ed anche giudiziari, nelle ipotesi di illegittimità, i loro punti di vista» (punto 10.3. del Considerato in diritto).

La sentenza ha concluso che il punto di equilibrio così raggiunto non avrebbe potuto essere contestato dal giudice del sequestro, al quale non spetta in ogni caso un potere di «riesame del riesame» circa il merito dell’AIA, sul presupposto di una insufficienza delle prescrizioni dettate dall’autorità amministrativa (ancora, punto 10.3. del Considerato in diritto). Con conseguente non fondatezza delle questioni allora prospettate, sotto il profilo della allegata violazione del diritto alla salute e ad un ambiente salubre.

5.3.– Come osserva l’odierno rimettente, tuttavia, la disposizione ora all’esame – e in particolare il suo quinto periodo – si discosta in maniera non marginale dallo schema normativo di cui all’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito, esaminato dalla sentenza n. 85 del 2013.

Anzitutto, essa non indica quale sia l’autorità amministrativa competente ad adottare le «misure» di bilanciamento alle quali il giudice sarà poi vincolato (infra, punto 5.3.1.).

In secondo luogo, essa non chiarisce in quale rapporto si collochino tali misure con l’AIA degli stabilimenti industriali suscettibili di essere indicati di interesse strategico nazionale (ovvero necessari ad assicurarne la continuità produttiva), né con l’eventuale procedimento di riesame dell’AIA medesima (infra, punto 5.3.2.).

In terzo luogo, essa non prevede alcun termine finale per la sua operatività, a differenza di quanto invece accade nello schema normativo disegnato dall’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito (infra, punto 5.3.3.).

5.3.1.– Per ciò che concerne, anzitutto, l’autorità competente ad adottare le «misure» in questione, deve ritenersi che essa sia indirettamente individuabile tramite il riferimento, contenuto nel quinto periodo del comma 1-bis.1, alla «procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale», a sua volta disciplinata dal d.l. n. 207 del 2012, come convertito. Questa procedura, ai sensi dell’art. 1, comma 1, di tale decreto-legge, prende avvio con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale lo stabilimento viene individuato come di interesse strategico nazionale. Ciò comporta, di necessità, il coinvolgimento – in ragione dell’elevato rilievo dell’attività dello stabilimento per l’economia nazionale e la salvaguardia dei livelli occupazionali – del massimo livello di governo nelle decisioni che riguardano lo stabilimento, a prescindere poi dalla possibilità, per lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, di delegare a uno o più ministri l’adozione concreta delle misure cui dovrà essere condizionata la prosecuzione dell’attività produttiva stessa.

Il che è, del resto, quanto è puntualmente accaduto nel caso oggetto del giudizio a quo, in cui il d.P.C.m. del 3 febbraio 2023 ha demandato a un successivo «decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da adottarsi di concerto con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, sentiti i Ministri della salute, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA)», la definizione delle misure in questione.

5.3.2.– Più problematico, dal punto di vista della sostenibilità costituzionale della scelta legislativa, è però il segnalato difetto di qualsiasi indicazione, da parte della disposizione censurata, circa il procedimento da seguire per l’individuazione delle misure.

La sentenza n. 85 del 2013 ha ritenuto compatibile con le ragioni di tutela della salute e dell’ambiente una disciplina che vincola il giudice alle prescrizioni cristallizzate nell’AIA riesaminata: e cioè in un provvedimento «di derivazione europea» (sentenza n. 233 del 2021, punto 3.1. del Considerato in diritto) che «costituisce l’esito della confluenza di plurimi contributi tecnici ed amministrativi in un unico procedimento, nel quale […] devono trovare simultanea applicazione i princìpi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale. Il procedimento che culmina nel rilascio dell’AIA, con le sue caratteristiche di partecipazione e di pubblicità, rappresenta lo strumento attraverso il quale si perviene, nella previsione del legislatore, all’individuazione del punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi, che derivano dall’attività oggetto dell’autorizzazione» (sentenza n. 85 del 2013, punto 10.1. del Considerato in diritto).

In effetti, il procedimento destinato a sfociare nell’AIA o nel suo riesame – procedimento oggi regolato dagli artt. 4 e 5 e da 29-bis a 29-quattuordecies del d.lgs. n. 152 del 2006, in conformità alle dettagliate indicazioni della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) – è caratterizzato da un procedimento imperniato, tra l’altro:

– sul principio di un «approccio integrato alla prevenzione e alla riduzione delle emissioni nell’aria, nell’acqua e nel terreno, alla gestione dei rifiuti, all’efficienza energetica e alla prevenzione degli incidenti», al fine di evitare che «[a]pprocci distinti nel controllo delle emissioni nell’atmosfera, nelle acque o nel terreno possono incoraggiare il trasferimento dell’inquinamento da una matrice ambientale all’altra anziché proteggere l’ambiente nel suo complesso» (considerando n. 3 della direttiva 2010/75/UE);

– sulla prescrizione di «tutte le misure necessarie per assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso e per assicurare che l’installazione sia gestita conformemente ai principi generali degli obblighi fondamentali del gestore», compresa la fissazione di valori limite di emissione per le sostanze inquinanti, sulla base delle migliori tecniche disponibili (BAT) (considerando n. 12 della direttiva 2010/75/UE);

– sul principio della partecipazione effettiva dei cittadini al processo decisionale in materia ambientale (considerando n. 27 della direttiva 2010/75/UE), a sua volta derivato dai principi sanciti dalla Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998, ratificata e resa esecutiva con legge 16 marzo 2001, n. 108: principi, quest’ultimi, puntualmente declinati a livello nazionale dall’art. 29-quater del d.lgs. n. 152 del 2006, che prevede ampie forme di pubblicità al procedimento destinato a sfociare nell’AIA, consentendo a tutti i soggetti interessati di presentare osservazioni e di conoscere le determinazioni finali, e prevedendo la convocazione di un’apposita conferenza di servizi, oltre che gli interventi dell’ISPRA e delle competenti ARPA regionali e provinciali.

I profili della necessaria pubblicità e partecipazione dei cittadini in genere, e comunque di tutti i soggetti interessati al procedimento destinato a sfociare nell’AIA, unitamente alla necessità di accurate analisi della situazione fattuale sulle quali deve essere basata ogni decisione autorizzativa di attività, sono d’altra parte costantemente sottolineati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di tutela dell’ambiente, che – essa pure ispirandosi largamente ai principi enunciati dalla Convenzione di Aarhus – deduce tali profili “procedimentali” dagli obblighi positivi di tutela del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU (grande camera, sentenza 9 aprile 2024 Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri contro Svizzera, paragrafo 539, e ivi ampie citazioni ai precedenti pertinenti).

La disposizione censurata non condiziona, invece, la prosecuzione dell’attività dello stabilimento o impianto sequestrato al rispetto delle prescrizioni dell’AIA riesaminata, come l’art. 1 del “decreto Ilva”, bensì all’osservanza di generiche «misure» di bilanciamento, senza chiarire in esito a quale procedimento tali misure debbano essere adottate – e con quali garanzie di pubblicità e di partecipazione del pubblico, oltre che delle diverse autorità locali a vario titolo competenti in materia ambientale e di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro –; e senza chiarire, nemmeno, se ed eventualmente in quale misura i valori limite di emissione possano discostarsi dalle BAT di settore, al fine di consentire la prosecuzione dell’attività.

5.3.3.– Infine, e soprattutto, la disposizione censurata non contiene alcun termine finale per la sua operatività, a differenza, ancora, di quanto previsto dall’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito, scrutinato con la sentenza n. 85 del 2013.

Essa finisce così per autorizzare, potenzialmente senza alcun limite di durata, un meccanismo basato su un’autorizzazione che proviene direttamente dal Governo nazionale e il cui effetto è quello di privare indefinitamente il giudice del sequestro di ogni potere di valutazione sull’adeguatezza delle misure medesime rispetto alla tutela dell’ambiente e della salute pubblica, e mediatamente rispetto alla tutela della stessa vita umana.

5.4.– Ritiene questa Corte che taluni dei profili critici appena evidenziati possono essere superati attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata (infra, punto 5.4.1.), che deve invece essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede alcun termine finale per la sua operatività (infra, punto 5.4.2.).

5.4.1.– Occorre anzitutto osservare che, in una situazione di crisi determinata dalla necessità di assicurare continuità produttiva a uno stabilimento di interesse strategico nazionale che sia stato attinto da un sequestro penale – a sua volta disposto sulla base del fumus di una violazione in atto di normative penalmente sanzionate, con pregiudizio potenziale per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori –, non può considerarsi di per sé incompatibile con la Costituzione la previsione di un meccanismo che consenta allo stesso Governo nazionale di intervenire a dettare, in via interinale, misure che consentano nell’immediato di contenere il più possibile tali rischi, vincolando al contempo il giudice a consentire la prosecuzione dell’attività.

In una simile ipotesi, gli ordinari poteri del giudice – riconosciuti e disciplinati dallo stesso art. 104-bis, comma 1.bis.1, terzo periodo, norme att. cod. proc. pen., in connessione con le finalità e la logica del sequestro cosiddetto “impeditivo” di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. – di dettare prescrizioni miranti a impedire l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze di verosimili condotte criminose in atto possono essere temporaneamente compressi, in forza di una lex specialis che riservi al potere esecutivo il compito di indicare le misure che assicurino il complesso bilanciamento tra tutti i delicati interessi in conflitto, inclusi quelli sottesi alla prosecuzione dell’attività degli stabilimenti in questione, e conseguentemente alla salvaguardia dei livelli occupazionali presso gli stabilimenti medesimi.

Resta fermo tuttavia che il nuovo testo dell’art. 41, secondo comma, Cost. vieta che l’iniziativa economica privata si svolga «in modo da recare danno» alla salute o all’ambiente: e nessuna misura potrebbe legittimamente autorizzare un’azienda a continuare a svolgere stabilmente la propria attività in contrasto con tale divieto.

Vale, qui, quanto già affermato da questa Corte in un’altra pronuncia concernente la vicenda Ilva, con riferimento agli interessi menzionati nel testo previgente dell’art. 41, secondo comma, Cost.: «[r]imuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce […] condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona» (sentenza n. 58 del 2018, punto 3.3. del Considerato in diritto). Esigenze basilari della persona (delle persone oggi esistenti, e di quelle che saranno) tra cui si annovera ora, esplicitamente, anche la tutela dell’ambiente.

Ed allora, le misure legittimamente adottabili dal Governo allo scopo di consentire provvisoriamente la prosecuzione di un’attività di interesse strategico nazionale dovranno, semmai, essere funzionali all’obiettivo di ricondurre gradualmente l’attività stessa, nel minor tempo possibile, entro i limiti di sostenibilità fissati in via generale dalla legge in vista – appunto – di una tutela effettiva della salute e dell’ambiente. In altre parole, le misure in questione – che dovranno naturalmente mantenersi all’interno della cornice normativa fissata dal complesso delle norme di rango primario in materia di tutela dell’ambiente e della salute – dovranno tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinata dall’attività delle aziende sequestrate. E non già, invece, a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni.

L’adozione delle misure (individuate da un provvedimento che resta di natura amministrativa, e come tale soggetto agli ordinari controlli giurisdizionali sotto il profilo della sua legittimità) dovrà, inoltre, essere preceduta – conformemente alle indicazioni derivanti dalle fonti internazionali sopra ricordate – da adeguata attività istruttoria, e dovrà essere sorretta da una congrua motivazione, che dia conto tra l’altro delle risultanze dell’istruttoria, ai sensi di quanto previsto in via generale dall’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Infine, l’effettiva osservanza delle misure medesime dovrà essere adeguatamente verificata, con le modalità indicate nello stesso provvedimento governativo, attraverso il costante monitoraggio da parte delle autorità competenti ai sensi della legislazione ambientale in vigore.

5.4.2.– Peraltro, una disposizione come quella all’esame – distinta dalle ordinarie procedure (supra, punto 5.3.2.), dirette ad assicurare la compatibilità dell’attività d’impresa con i limiti della tutela della salute e dell’ambiente, così come della salute e sicurezza dei lavoratori – potrebbe trovare legittimazione costituzionale soltanto in quanto si presenti come disciplina interinale, che consenta di non interrompere un’attività produttiva ritenuta di rilievo strategico per l’economia nazionale o per la salvaguardia dei livelli occupazionali, nel tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale e riattivare gli ordinari meccanismi procedimentali previsti dal d.lgs. n. 152 del 2006. E ciò, in particolare, attraverso il riesame delle AIA esistenti, che si siano rivelate insufficienti rispetto ai loro scopi.

La mancata fissazione di un termine massimo di durata di operatività della previsione del quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. finisce, invece, per configurare un sistema di tutela dell’ambiente parallelo a quello ordinario, e affidato a una disposizione dai contorni del tutto generici: come tali inidonei ad assicurare che, a regime, l’esercizio dell’attività di tali stabilimenti e impianti si svolga senza recare pregiudizio alla salute e all’ambiente.

Ne consegue l’illegittimità costituzionale, sotto lo specifico profilo della mancata previsione di un termine di durata del regime individuato dall’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 9, 32 e 41, secondo comma, Cost., con assorbimento della censura riferita all’art. 2 Cost.

6.– La reductio ad legitimitatem di tale disposizione può essere effettuata attraverso una pronuncia additiva che introduca un termine di durata massima delle misure indicate dalla disposizione all’esame, individuato quale soluzione costituzionalmente adeguata (ex multis, sentenze n. 91 del 2024, punto 10 del Considerato in diritto; n. 5 del 2024, punto 4.1. del Considerato in diritto) tra quelle, già esistenti nell’ordinamento, che regolano situazioni simili.

In particolare, un punto di riferimento significativo è costituito dalla previsione dell’art. 1, comma 1, del più volte menzionato “decreto Ilva” (il d.l. n. 207 del 2012, come convertito), il quale pure risponde all’analoga esigenza di assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, in particolare nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento. Tale previsione consente al Ministro dell’ambiente [e della sicurezza energetica] di autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva per un termine massimo di trentasei mesi.

Un termine, non rinnovabile, di trentasei mesi appare congruo anche rispetto allo scopo di fissare un limite massimo di operatività delle misure di bilanciamento interinalmente individuate dal Governo ai sensi della disposizione censurata, in pendenza del quale occorrerà in ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità riscontrate in sede di sequestro e il ripristino degli ordinari meccanismi autorizzativi previsti dalla legislazione vigente, in conformità alle indicazioni discendenti dal diritto dell’Unione europea.

Non è un caso, del resto, che nella vicenda oggetto del procedimento a quo, il Governo abbia comunque ritenuto – nel dare attuazione alla disposizione censurata, e nonostante il silenzio della stessa sul punto – di fissare il termine di trentasei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento perché siano realizzati gli interventi prescritti dal d.interm.12 settembre 2023.

L’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen. deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che le misure ivi indicate si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 6 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17, nella parte in cui non prevede che le misure ivi indicate si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2024