Consiglio di Stato Sez. IV n. 179 del 13 gennaio 2015
Ambiente in genere. Accesso ad informazioni ambientali

E' legittimo il diniego opposto ad un'istanza di accesso ad informazioni ambientali, ove dall'istanza stessa emerga che l'interesse che si intende far valere non è un interesse ambientale e che lo scopo del richiedente è quello di acquisire dati commerciali riguardanti un operatore concorrente

Pubblicato il 13/01/2025

N. 00179/2025REG.PROV.COLL.

N. 04505/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4505 del 2024, proposto da Colombo Biagio s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Invernizzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Cem Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Ferraris, Enzo Robaldo, con domicilio eletto presso lo studio Enzo Robaldo in Milano, piazza Eleonora Duse n. 4;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 00619/2024.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cem Ambiente S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;


FATTO

La Colombo Biagio s.r.l opera nell’ambito dei servizi ambientali di raccolta e trasporto dei rifiuti ed è particolarmente attiva nelle province di Milano e di Monza, ed attualmente è titolare – in ATI con altro operatore del settore – di un contratto di appalto di gestione dei rifiuti stipulato con CEM Ambiente s.p.a., società in house, totalmente partecipata dalla Provincia di Monza e da circa settanta comuni di quattro province della Lombardia.

La Colombo Biagio s.r.l, dopo avere avuto notizia dell’avvenuta pubblicazione del piano industriale di CEM Ambiente s.p.a. per il periodo 2023-2026, presentava a quest’ultima un’articolata domanda di accesso agli atti, richiamando a sostegno della richiesta sia la legge n. 241 del 1990 sull’accesso documentale, sia il d.lgs. n. 33 del 2013 sull’accesso civico generalizzato, sia il d.lgs. n. 195 del 2005 sull’accesso alle informazioni in materia ambientale (cfr. doc. 1 della ricorrente).

La domanda di accesso risultava articolata in undici distinti punti, taluni dei quali a loro volta suddivisi in ulteriori partizioni e comprendeva un numero elevatissimo di atti e di documenti, provenienti da CEM Ambiente s.p.a. o dagli enti locali soci.

A titolo meramente esemplificativo, la richiesta di accesso comprendeva, senza indicare alcun intervallo temporale:

i) sia gli eventuali patti parasociali stipulati fra gli enti-soci, sia tutti gli atti istruttori posti in essere da CEM Ambiente s.p.a. per adottare il proprio piano industriale;

ii) le valutazioni di ciascun Ente locale socio nel procedere all’affidamento in house a CEM, antecedenti all’aggiudicazione dei servizi ambientali a Colombo;

iii) le valutazioni di ciascun Ente locale socio nel mantenere la gestione in house;

iv) le valutazioni, di ciascun Ente locale socio, di efficienza economica, tutela della concorrenza e sostenibilità finanziaria del prescelto modello in house, con particolare riferimento alla fase costitutiva di CEM, all’ingresso di nuovi Enti Locali soci nonché al controllo sulla gestione effettuato da ciascun Ente Locale;

v) le deliberazioni degli organi competenti degli Enti locali soci che hanno approvato la costituzione o l’ingresso e la successiva permanenza in CEM;

vi) i documenti afferenti all’esercizio del controllo analogo effettuato dagli Enti Locali soci, in particolare quello esercitato ex ante (approvazione degli atti fondamentali di CEM, individuazione degli obiettivi strategici, approvazione dei piani di investimento e sviluppo), quello esercitato in itinere (convenzioni e 6 patti parasociali sul rapporto di indirizzo e controllo tra CEM e i singoli Enti Locali soci, le relazioni periodiche sull’andamento gestionale trasmesse da CEM a ciascun Ente socio, le verifiche sul raggiungimento degli obiettivi prefissati, ogni altro atto sul monitoraggio effettuato da ciascun Ente) e quello esercitato ex post (diffide, note interne, atti riguardanti l’approvazione del rendiconto gestionale);

vii) la documentazione che attesti eventuali interlocuzioni formali e informali tra CEM, gli Enti locali soci e altre autorità indipendenti, in relazione alla verifica di sussistenza e di permanenza dei presupposti del modello in house;

viii) i documenti sui rapporti interni tra gli Enti locali soci e le eventuali convenzioni stipulate per la gestione coordinata dei servizi;

ix) i documenti che mostrino le attività di direzione e esercizio del controllo politico-amministrazione degli Enti soci (con un’elencazione a titolo esemplificativo di 5 distinti gruppi di atti); -

x) il Piano industriale, con tutte le versioni (testo originario e successivi emendamenti);

xi) gli atti anche interni propedeutici alla redazione del Piano Industriale (assegnazione dell’incarico di redazione del Piano, analisi di consulenti esterni, provvedimenti di CEM e degli Enti Locali soci che abbiano approvato tali atti, atti dell’istruttoria del procedimento); xii) la corrispondenza, completa di tutti gli allegati, tra CEM Enti locali soci e ogni altra amministrazione e operatori terzi in vista della stipulazione di accordi commerciali funzionali alla redazione del Piano Industriale

Con provvedimento del 2 novembre 2023 CEM Ambiente s.p.a. negava l’accesso richiesto, reputandolo infondato per molteplici ragioni.

Contro il predetto diniego la società interessata proponeva ricorso dinanzi al T.a.r Lombardia, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. amm..

A sostegno del ricorso la ricorrente evidenziava di avere avuto notizia, a seguito della lettura del sito internet della CEM Ambiente s.p.a., dell’intendimento di quest’ultima di ampliare l’affidamento “in house” mediante l’ingresso di nuovi comuni nella compagine societaria. Tale ampliamento, ad avviso della ricorrente, avrebbe potuto ridurre il mercato nella quale la medesima opera, con eventuali effetti distorsivi sulla concorrenza.

Il T.a.r. Lombardia, con sentenza 4 marzo 2023, n. 619, ha respinto il ricorso ritenendo che la richiesta di accesso:

i)incorra nel divieto di cui all’art. 24 comma 3della legge n. 241 del 1990, che non consente l’esercizio del diritto di accesso se finalizzato ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni:

ii) in relazione alla richiesta di accesso civico generalizzato, che essa non possa essere impiegata in maniera distorta e divenire causa di intralcio all’azione della pubblica amministrazione, in contrasto con il principio di buona fede previsto in via generale dall’art. 1175 del codice civile (da leggersi alla luce del parametro di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione).

La società ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.

La Colombo Biagio s.r.l. ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.

Si è costituita nel presente giudizio CEM Ambiente s.p.a, chiedendo di dichiarare l’appello infondato.

All’udienza pubblica del 10 ottobre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, il Collegio rileva che può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalla società resistente, con la memoria del 24 settembre 2024, stante l’infondatezza nel merito dell’appello.

Con un primo mezzo di gravame la società appellante deduce: “Violazione degli artt. 2, 3, 116 e 39 cpa, anche in rapporto agli artt. 112 e 276 cpc e all’art. 118 disp. att. cpc; violazione degli artt. 1, 3, 6, 10, 22 e 24 l. 241/1990, 1, 2, 2 bis, 3, 5 e 5-bis dlgs 33/2013, 1 l. 190/2012, 3, 17 e 31 dlgs 201/2022, 4, 5, 16 e 22 dlgs 175/2016, anche in relazione agli artt. 24 e 97 cost.; 3 e 9 dpr 62/2013; violazione del principio di trasparenza, imparzialità e buon andamento; travisamento dei presupposti di fatto e diritto; difetto di motivazione; sviamento”.

La società appellante deduce, in particolare, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato come massiva l’istanza di accesso civico generalizzato sulla base di un esame soltanto formale e globale della istanza, senza valutare in concreto l’accessibilità dei documenti richiesti.

Il motivo non è fondato.

In via preliminare, il Collegio rileva che l’accesso civico generalizzato (o proattivo), costituisce un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.

L’accesso civico “generalizzato” consente a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (art. 5, comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).

La natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato rinviene, infatti, fondamento, oltre che nella Carta costituzionale (artt. 1, 2, 97 e 117) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 42), anche nell’art. 10 della CEDU, in quanto la libertà di espressione include la libertà di ricevere informazioni e le eventuali limitazioni, per tutelare altri interessi pubblici e privati in conflitto, sono solo quelle previste dal legislatore, risultando la disciplina delle eccezioni coperta da riserva di legge.

L’accesso civico generalizzato si traduce nel diritto della persona a ricercare informazioni, quale diritto che consente la partecipazione al dibattito pubblico e di conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire.

La conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, infatti, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese.

Ai fini dell’accesso civico generalizzato, inoltre, non occorre verificare, così come per l’accesso documentale, la legittimazione dell’accedente, né è necessario che la richiesta di accesso sia supportata da idonea motivazione.

L’accesso civico “generalizzato”, infatti, consente, contrariamente a quello documentale, a “chiunque” di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (articolo 5, comma 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).

Per effetto dell’adesione dell’ordinamento al modello di conoscibilità generalizzata delle informazioni amministrative proprio dei cosiddetti sistemi FOIA (Freedom of information act), l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cosiddetto “right to know”), non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge, mentre l’accesso documentale( e ancor di più quello difensivo) risponde al paradigma del “need to know”.

Dalle considerazioni che precedono emerge la netta distinzione, sul piano strutturale e funzionale, tra l’istituto dell’accesso documentale e quello civico generalizzato, da cui ulteriormente discende la legittima facoltà di azionare il secondo anche quando non sussistono (o non sussistono più) i presupposti per esercitare il primo.

L’accesso civico generalizzato è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse, concreto e attuale in relazione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazioni in tal senso (tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 2021, n. 60; sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861). E’ stato precisato (Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861), al riguardo, che con l’accesso civico generalizzato il legislatore ha inteso superare il divieto di controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni, su cui è incentrata la disciplina dell’accesso di cui agli artt. 23 e ss., l. 7 agosto 1990, n. 241, così che l’interesse individuale alla conoscenza è protetto in sé, ferme restando le eventuali contrarie ragioni di interesse pubblico o privato di cui alle eccezioni espressamente stabilite dalla legge a presidio di determinati interessi ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico.

Tanto premesso, il Collegio rileva che, pur costituendo l’accesso civico generalizzato uno strumento di tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e di promozione della loro partecipazione all’attività amministrativa, nondimeno esso non può essere impiegato in maniera distorta e divenire causa di intralcio all’azione della pubblica amministrazione.

Al riguardo, il Consiglio di Stato, riunito nella sua più autorevole composizione, ha individuato nel divieto di abuso del diritto un limite invalicabile rispetto al possibile utilizzo distorto dell’accesso civico generalizzato (cfr. Consiglio di Stato, adunanza Plenaria n.10/2020).

Secondo la definizione più accreditata anche in giurisprudenza (a partire dalla sentenza della Cassazione 20106/2009) l’abuso del diritto è configurabile allorché il titolare di un diritto (anche fondamentale come ricorre nel caso in esame) pur in assenza di divieti formali, lo eserciti al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali il diritto è stato attribuito dall’ordinamento e/o con modalità non necessarie e irrispettose del dovere di correttezza e buona fede causando uno sproporzionato e ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, al fine di conseguire risultati diversi e ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti.

L’analisi dei precedenti giurisprudenziali conferma le conclusioni esposte.

Come anticipato, l’adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n.10/2020, proprio con riferimento ai limiti dell’accesso civico generalizzato, ha avuto modo di osservare che “l’accesso, finalizzato a garantire, con il diritto all’informazione, il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.).

36.5. Il diritto di accesso civico generalizzato, se ha un’impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione solidaristica, nel senso che l’apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica per informare correttamente i cittadini ed evitare il propagarsi di pseudoconoscenze e pseudocoscienze a livello diffuso, in modo – come è stato efficacemente detto – da «contribuire a salvare la democrazia dai suoi demoni, fungendo da antidoto alla tendenza […] a manipolare i dati di realtà».

36.6. Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche (v., sul punto, Circolare FOIA n. 2/2017, par. 7, lett. d; Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2019, n. 5702), contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi”.

Di recente la Sezione ha altresì precisato che “seguendo le coordinate teoriche delineate nel tempo dalla giurisprudenza, l’abuso del diritto costituisce una particolare declinazione del principio di buona fede, il quale, a sua volta, è attuazione del principio fondamentale di solidarietà politica, economica e sociale enunciato dall’art. 2 Cost. (Cons. Stato, Sez. IV, 05 settembre 2024, n. 7435; Sez. IV, 20 giugno 2024, n. 5514; Cass. civ., Sez. III, ord., 07 giugno 2024, n. 16024; Sez. III 14 giugno 2021 n. 16743), che impone a ciascun consociato, nel rispetto di questo dovere di solidarietà, di non “piegare” l’ordinamento al perseguimento di pretese che, considerate oggettivamente (cioè secondo una valutazione socialmente tipica di tipo oggettivo e senza cioè tenere conto dei motivi e dei nessi psichici che orientano chi agisce), in relazione alla vicenda in cui esse si esprimono, risultino sproporzionate, irragionevoli, emulative, prevaricatrici o ingiuste.

L’istituto sortisce dunque l’effetto di correggere (o, in alcuni casi di impedire) l’applicazione dello strictum jus, temperando il principio secondo cui qui iure suo utitur neminem laedit ed evitando che possano trovare giuridico riconoscimento (ad es., Cass. civ., Sez. unite, 23 aprile 2020 n. 8094, §. 9.6., in materia di inesigibilità del credito nel rapporto obbligatorio), nel processo o al di fuori di esso, pretese assiologicamente non giustificate, azionate o esercitate facendosi scudo di una qualche norma giuridica, di cui colui che agisce pretende di fare applicazione rigidamente, basandosi esclusivamente sull’interpretazione letterale della disposizione e senza rapportarla agli altri limiti (o alle altre situazioni di vantaggio) emergenti dall’ordinamento e, anzi, agendo in (aperto o celato) contrasto con gli ulteriori principi di ordine sistematico da questo emergenti e, in particolare, con il richiamato principio inderogabile di solidarietà” (sent. 25 novembre 2024, n. 9470).

Su tali basi, il Collegio ritiene che, in consonanza con quanto rilevato nella sentenza impugnata, l’istanza d’accesso civico in questione debba essere qualificata come  “massiva”, posto che il contenuto dell’istanza di accesso formulata, la quale associa alla quantità dei documenti richiesti la totale assenza, al di là della loro partizione in macro-categoria, d’ogni specificità anche sotto il profilo della delimitazione temporale, si traduce, in ultima analisi, in un controllo generalizzato della intera vita sociale della società in house.

Con un secondo mezzo di gravame la parte appellante deduce: “violazione degli artt. 2, 3, 116 e 39 cpa, anche in rapporto agli artt. 112 e 276 cpc e all’art. 118 disp. att. cpc; violazione degli artt. 1, 3, 6, 10, 22 e 24 l. 241/1990, 1, 2, 2 bis, 3, 5 e 5-bis dlgs 33/2013, 1 l. 190/2012, 3, 17 e 31 dlgs 201/2022, 4, 5, 16 e 22 dlgs 175/2016, anche in relazione agli artt. 24 e 97 cost.; 3 e 9 dpr 11 Studio Legale Invernizzi 62/2013; violazione del principio di trasparenza, imparzialità e buon andamento; travisamento dei presupposti di fatto e diritto; difetto di motivazione; sviamento”.

La società appellante lamenta, con il motivo in esame, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rilevato la carenza di un interesse concreto e attuale della ricorrente all’accesso ex Legge n. 241/1990.

Il motivo non è fondato.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, la sentenza di primo grado ha fondato il respingimento della istanza di accesso documentale, proposta ai sensi dell’art. 24, della legge n. 241 del 1990, principalmente in base all’argomento per cui la richiesta di accesso è incorsa nel divieto di cui all’art. 24 comma 3, della legge n. 241 del 1990, che non consente l’esercizio del diritto di accesso quando esso è finalizzato ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.

Tale conclusione è in linea con la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ritiene inammissibili istanze generiche di accesso del tipo di quella formulata dalla odierna società appellante, osservandosi che “Il diniego di accesso agli atti può essere legittimamente opposto ogni qualvolta l'istanza risulti generica, sia sotto il profilo dei documenti richiesti, sia sotto quello del labile interesse all'ostensione; l'accesso agli atti, infatti, deve avere ad oggetto una specifica documentazione in possesso del detentore dei documenti, indicata in modo sufficientemente preciso e circoscritto e non può riguardare un complesso non individuato di atti di cui non si conosce neppure con certezza la consistenza e il contenuto, e soprattutto la pertinenza rispetto alla condizione della richiedente, assumendo altrimenti l'istanza un sostanziale carattere di natura meramente esplorativa, inammissibile ex art. 24, comma 3, l. n. 241 del 1990.“ (Consiglio di Stato , Sez. III , n. 1139/2024).

Muovendo da tale principale ragione, la decisione impugnata ha poi, con un secondo argomento, rilevato che “con riguardo all’accesso ai sensi della legge n. 241 del 1990, che la stessa ricorrente ammette che allo stato non vi è alcun atto concernente il temuto allargamento della gestione “in house”, per cui sotto tale profilo non è dato comprendere quale interesse “concreto ed attuale” (ex art. 22 comma 1 lettera “b” della legge n. 241 del 1990) la società esponente ponga alla base della sua istanza di ostensione”.

La presenza della descritta duplice argomentazione nella decisione impugnata sarebbe già sufficiente per la sua conferma in relazione al capo con cui è stato deciso il primo motivo del ricorso di primo grado, non risultando contestata, con il motivo di appello in esame, una delle due autonome rationes decidendi sulla cui base esso è stato respinto.

Cionondimeno, il motivo di appello è anche infondato nel merito.

Sul punto, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che l’essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non costituisce una condizione sufficiente perché l'interesse rivendicato possa considerarsi "diretto, concreto e attuale", ai sensi della normativa sull’acceso documentale, poiché, a tal fine, è anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia ricollegabile a quella specifica posizione sostanziale, impedendone ovvero ostacolandone il soddisfacimento (così Cons. St., Ad. plen., 24 aprile 2012, n. 7).

Diversamente, infatti, l'accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull'attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990).

Si legittimerebbe, in altri termini, una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti dell'amministrazione, laddove l'istante non possa vantare un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al cui accesso aspira (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990).

Se, dunque, l'accesso documentale soddisfa, per come chiarito dalla Sezione consultiva del Consiglio di Stato nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016, un bisogno di conoscenza (c.d. need to know) strumentale alla difesa di una situazione giuridica, che, peraltro, non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso (essendo la situazione legittimante all'accesso autonoma e distinta da quella legittimante all'impugnativa giudiziale e dall'esito stesso di questa impugnativa: v. Cons. St., sez. V, 27 giugno 2018, n. 3956), questa situazione giuridica deve necessariamente precedere e, per di più, motivare l'accesso stesso.

In altri e diversi termini, la posizione sostanziale legittimante l'istanza, ex art. 22 e ss., l. n. 241/90, in quanto correlata al documento oggetto di richiesta ostensiva, costituisce la causa ed il presupposto dell'accesso documentale e non la sua conseguenza e la sua esistenza non può, dunque, essere costruita sulle risultanze, eventuali, dell'accesso medesimo.

Siffatto interesse non può pertanto essere identificato, come preteso dall’appellante, in mere esigenze conoscitive ed esplorative, funzionali all'accertamento ex post  di eventuali e , per certi versi, solo potenziali disparità di trattamento compiute dall’Amministrazione, ma deve tradursi nell'allegazione di precisi e circostanziati elementi di fatto sintomatici, in base ad una valutazione ex ante, di un concreto ed attuale vulnus della sfera giuridica dell'istante che lo legittimi, per l'appunto, alla conoscenza dei documenti a cui chiede di accedere.

Con un terzo motivo di gravame la società appellante deduce: “Violazione degli artt. 2, 3, 74, 116 e 39 cpa, anche in rapporto agli artt. 112 e 276 cpc e all’art. 118 disp. att. cpc; violazione degli artt. 1, 2, 2 bis, 3, 5 e 5 bis dlgs 33/2013, anche in relazione agli artt. 1, 3, 6, 10, 22 e 24 l. 241/1990, 1 l. 190/2012, 3, 17 e 31 dlgs 201/2022, 4, 5, 16 e 22 dlgs 175/2016, 3 e 9 dpr 62/2013, 2, 24 e 97 Cost., 3 e 9 dpr 62/2013; violazione del principio di trasparenza, imparzialità e buon andamento; travisamento dei presupposti di fatto e diritto; difetto di motivazione; sviamento”.

Ad avviso della parte appellante, la decisione impugnata sarebbe viziata anche nella parte in cui, nel respingere il secondo motivo del ricorso di primo grado, relativo alla violazione dei principi in materia di accesso civico generalizzato, avrebbe impropriamente richiamato la clausola generale di cui all’art.1175 c.c., per cui “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza” posto che un’istanza di accesso non potrebbe essere ricondotta al paradigma del rapporto civilistico “debitore-creditore” ex art. 1175 c.c.

Il motivo non è fondato.

Contrariamente a quanto ritenuto nell’atto di appello, secondo un oramai consolidato indirizzo giurisprudenziale, la norma in esame costituisce espressione del generale principio di buona fede non solo nei rapporti obbligatori in senso stretto, ma, più in generale, ma anche nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento adempimento dei propri doveri.

Tale più ampio principio, che si trova esemplarmente espresso nell’art. 2 del c.c. svizzero, ai sensi del quale «Ciascuno nell’esercizio dei propri dir. e nell’adempimento dei propri obblighi deve comportarsi secondo buona fede» e «L’abuso evidente di un diritto non trova tutela giuridica», nel nostro ordinamento trova un fondamento espresso nell’art. 2 della Costituzione e si traduce, come in precedenza osservato, nel divieto di abusare del proprio esercitandolo, pure in assenza di divieti formali, con modalità non necessarie e irrispettose del dovere di correttezza e buna fede, al fine di conseguire risultati diversi e ulteriori rispetto a quelli per i quali il diritto stesso è stato attribuito dall’ordinamento.

Con un quarto mezzo di gravame la società appellante lamenta la: “Violazione dell’art. 112 cpc e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; violazione degli artt. 2, 3, 116 e 39 cpa, anche in rapporto agli artt. 112 e 276 cpc e all’art. 118 disp. att. cpc; tutto in relazione ai considerando 1, 8, 9, 10 e 16 e artt. 1, 2, 3, 4 e 6 dir. 2003/4/Ce, 1, 2, 3, 5 e 7 dlgs 195/2005, artt. 1, 2, 2 bis, 3, 5 e 5 bis dlgs 33/2013, 1, 3, 6, 10, 22 e 24 l. 241/1990, 1 l. 190/2012, 3, 17 e 31 dlgs 201/2022, 4, 5, 16 e 22 dlgs 175/2016, 3 e 9 dpr 62/2013, 2, 24 e 97 Cost., 3 e 9 dpr 62/2013; violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento; travisamento dei presupposti di fatto e diritto; difetto di motivazione; sviamento”.

In particolare, la parte appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto ad accedere ai documenti richiesti ai sensi del D.lgs. 195/2005, avendo i documenti richiesti natura ambientale.

Il motivo non è fondato.

Va al riguardo premesso che la fattispecie dell'accesso in materia ambientale è specificamente contenuta nel D.Lgs. n. 195/2005, che prevede un regime di pubblicità tendenzialmente integrale dell'informativa ambientale, sia per ciò che concerne la legittimazione attiva (ampliando notevolmente il novero dei soggetti legittimati all'accesso in materia ambientale) e sia per quello che riguarda il profilo oggettivo (prevedendosi un'area di accessibilità alle informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti di cui agli artt. 22 e segg. della L. n. 241/1990).

Ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 195, per informazione ambientale si intende qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio, i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica ed i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati e, inoltre, le interazioni tra questi elementi; 2) fattori quali le sostanze, le energie, il rumore, le radiazioni od i rifiuti, anche quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi ed altri rilasci nell'ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell'ambiente, individuati al numero; 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2), e le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi.

Peraltro, nonostante l'art. 3, comma 1, D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 195, non contempli per il richiedente dell'accesso all'informazione ambientale l'obbligo di dichiarare il proprio interesse, la giurisprudenza ha ritenuto che l'Amministrazione (e, a fortiori, lo stesso giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell'eventuale diniego espresso o tacito) ben può pronunciarsi sull'effettiva sussistenza in capo al richiedente di un suo interesse propriamente "ambientale" agli effetti dell'accoglibilità della sua richiesta di accedere alla documentazione asseritamente contenente le "informazioni ambientali" da lui ricercate (Consiglio di Stato Sez. IV, Sentenza n. 4883 del 30/08/2011).

Tale conclusione viene argomentata in base al rilievo per cui l'ordinamento non può ammettere che di un diritto nato con specifiche e determinate finalità si faccia uso per scopi diversi, è richiesto che a mezzo dell'istanza di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 195/2005, il richiedente dimostri che l'interesse che intende far valere sia proprio un interesse ambientale (Consiglio di Stato Sez. V, Sentenza n. 1670 del 13/03/2019).

In senso analogo si è espresso anche Cons. Stato Sez. V, 15 settembre 2009, n. 6339 secondo cui “L'istanza di accesso avanzata originariamente come semplice istanza ai sensi della legge n. 241 del 1990, legata ad un interesse economico imprenditoriale, pur potendo astrattamente riguardare una "informazione ambientale" non può mutare qualificazione in sede giurisdizionale. Peraltro, tale eventuale richiesta di autorizzazione non esime il richiedente dallo specificare in sede amministrativa che l'interesse che lo muove è un genuino interesse ambientale come qualificato dal D.Lgs. n. 195/2005 all'integrità della matrice ambientale, non potendo l'ordinamento ammettere che di un diritto nato con certe finalità (ambientali) si faccia uso per finalità del tutto diverse (economico-patrimoniali)”.

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche si è pertanto precisato in giurisprudenza come sia legittimo il diniego opposto ad un'istanza di accesso ad informazioni ambientali, ove dall'istanza stessa emerga, come nel caso in esame, che l'interesse che si intende far valere non è un interesse ambientale e che lo scopo del richiedente è quello di acquisire dati commerciali riguardanti un operatore concorrente (Consiglio di Stato Sez. III, Sentenza n. 4636 del 05 ottobre 2015; sez. V, n. 9843/2022).

In conclusione, per le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.

Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi € 4000,00 (quattromila), oltre accessori di legge, in favore di Cem Ambiente s.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere, Estensore