Cons. Stato Sez. VI sent. 1109 del 18 marzo 2008
Ambiente in genere. Programma delle infrastrutture strategiche

Questione relativa all\'annullamento della deliberazione CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001 “legge obiettivo: 1° Programma delle infrastrutture strategiche”, pubblicata sulla G.U. n. 68 del 21 marzo 2002, Supplemento ordinario n. 51, nella parte in cui prevede, tra le infrastrutture strategiche da realizzare ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, la “galleria di messa in sicurezza del Traforo autostradale del Gran Sasso”, nonché del Decreto del Capo Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002, prot. N. 1339/02, di autorizzazione alla realizzazione delle opere previste dalla legge 29 novembre 1990, n. 366, “limitatamente alla sola galleria di servizio di accesso ai laboratori dell’INFIN”, ricevuto dalla Provincia d Teramo in data 30 maggio 2002. Tale ultimo decreto venne impugnato dall’Ente Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga, insieme all’avviso, pubblicato nella parte II della G.U. n. 119 del 23.5.002 nella rubrica Bandi di Gara.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.1109/2008
Reg.Dec.
N. 255 Reg.Ric.
ANNO 2003
Disp.vo 116/2008
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 255/2003 proposto da
il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro-tempore; il Ministero dell’ Ambiente e del Territorio, in persona del Ministro pro-tempore; il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Comitato Interministeriale per la programmazione economica (CIPE), in persona del Ministro pro-tempore; l’Ente ANAS, in persona del legale rappresentante pro-tempore; la Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro-tempore; l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (I.N.F.N.), in persona del legale rappresentante pro-tempore, tutti rappresentati e difesi dall\'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono ex lege domiciliati;
contro
la Provincia di Teramo (appellante incidentale) in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso, dagli Avv.ti Vincenzo Cerulli Irelli ed Alessandro Pace, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via Dora n. 1, costituitosi in giudizio;
l’Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, (appellante incidentale) in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. Sandro Pelillo, ed elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico n. 103, presso lo studio dell’Avv. Letizia costituitosi in giudizio;
nei confronti di
Comune di Teramo in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Cosima Cafforio ed Alessandra Cussago, elettivamente domiciliato in Roma, via Cola di Rienzo n. 111, presso lo studio dell’avv. Francesco de Leonardis, costituitosi in giudizio;
dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Teramo, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Alberto Zito e dall’avv. Giovanni Gebbia elettivamente domiciliato in Roma, via Antonio Bertoloni n. 26 b, presso lo studio del primo, costituitosi in giudizio;
Federazione dei Verdi, in persona del Presidente nazionale e legale rappresentante On. Alfonso Pecoraro Scanio ed Associazione Verdi Ambiente e Società Onlus – VAS, in persona del legale rappresentante pro-tempore, entrambe rappresentate e difese dall’ avv. Luca Di Raimondo, ed elettivamente domiciliate in Roma, via della Consulta n. 50 costituitesi in giudizio;
Associazione Nazionale Italia Nostra Onlus, in persona del Presidente Nazionale p.t., rappresentata e difesa dall’avv. M. Athena Lorizio, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Dora n. 1 costituitasi in giudizio;
dell’Ente di Ambito Territoriale Ottimale Teramano n. 5, in persona del Presidente pro-tempore, non costituitosi in giudizio;
Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature O.N.L.U.S., in persona del presidente pro-tempore, non costituitosi in giudizio;
Azienda Consortile Acquedotto del Ruzzo- Acar in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituitosi in giudizio;
per la riforma e/o l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Abruzzo n. 540/2002;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ appellata provincia di Teramo e l’appello incidentale da questa proposto;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ appellato Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, e l’appello incidentale da questo proposto;
visti gli atti di costituzione in giudizio dei controinteressati nonchè la memoria di costituzione del Comune di Teramo e quella dell’ Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Teramo;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 12 febbraio 2008, il Cons. Fabio Taormina;
Udito l’Avvocato dello Stato Saulino per le amministrazioni appellanti principali, l’avv. Sandro Pelillo per l’appellante incidentale Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga., l’avv. Zecchino per l’appellante incidentale Provincia di Teramo, l’Avv. Cosima Cafforio e l’avv. Alessandra Cussago per il Comune di Teramo, e l’Avv. Luca Di Raimondo per la Federazione dei Verdi, e per l’ Associazione Verdi Ambiente e Società Onlus – VAS;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
Con due distinti ricorsi, in seguito riuniti, era stato chiesto dagli odierni appellati ed appellanti incidentali l\'annullamento della deliberazione CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001 “legge obiettivo: 1° Programma delle infrastrutture strategiche”, pubblicata sulla G.U. n. 68 del 21 marzo 2002, Supplemento ordinario n. 51, nella parte in cui prevede, tra le infrastrutture strategiche da realizzare ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, la “galleria di messa in sicurezza del Traforo autostradale del Gran Sasso”, nonché del Decreto del Capo Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002, prot. N. 1339/02, di autorizzazione alla realizzazione delle opere previste dalla legge 29 novembre 1990, n. 366, “limitatamente alla sola galleria di servizio di accesso ai laboratori dell’INFIN”, ricevuto dalla Provincia d Teramo in data 30 maggio 2002. Tale ultimo decreto venne impugnato dall’Ente Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga, insieme all’avviso, pubblicato nella parte II della G.U. n. 119 del 23.5.002 nella rubrica Bandi di Gara.
In particolare, la Provincia di Teramo (ricorso n. 245/2002) impugnò gli atti specificati in epigrafe, nella parte in cui veniva prevista, tra le infrastrutture strategiche da realizzare ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443, la realizzazione della “galleria di messa in sicurezza del Traforo autostradale del Gran Sasso”. Con motivi aggiunti impugnò poi il Decreto del Capo Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 6 maggio 2002, prot. N. 1339/02, di autorizzazione alla realizzazione delle opere previste dalla legge 29 novembre 1990, n. 366, “limitatamente alla sola galleria di servizio di accesso ai laboratori dell’INFIN”.
L’Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, impugnò gli atti specificati in epigrafe, con i quali era stata autorizzata la realizzazione delle opere previste dalla legge n. 366 del 1990, limitatamente alla galleria di accesso ai laboratori.
La palese connessione oggettiva e parzialmente soggettiva tra i ricorsi ne consentì la riunione e la congiunta trattazione: le censure proposte, peraltro, erano parzialmente coincidenti.
Con la sentenza in epigrafe, resa il 25 ottobre 2002 e notificata il 3 dicembre 2002 il Tar dell’Abruzzo, pervenne in primo luogo alla declaratoria di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato, dall’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature O.N.L.U.S.,nel ricorso n. 245/2002 poiché l’atto risultava essere stato depositato successivamente al termine perentorio previsto dall’art. 22 della legge n. 1034 del 1971. Esaminò in via preliminare le quattro eccezioni in rito formulate dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, mercè le quali si postulava la inammissibilità del ricorso proposto dalla Provincia di Teramo respingendole (giova precisare che le stesse non sono state riproposte nel ricorso in appello). Respinse del pari le censure di inammissibilità proposte dalla difesa erariale delle odierne appellanti principali concernenti il ricorso per motivi aggiunti proposti da detto Ente territoriale, ed eguale sorte riservò alle due doglianze con le quali si lamentava l’inammissibilità del ricorso proposto dall’ Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga (giova sin d’ora precisare che nel ricorso in appello è stato fatto espresso richiamo agli scritti difensivi di primo grado, ma non sono state proposte specifiche doglianze con riguardo a tali capi della sentenza)
Respinse altresì tutte le censure prospettate dalla Provincia di Teramo avverso la delibera del CIPE suindicata, pronunciandosi implicitamente in ordine alle eccezioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento alla legge n. 443/2001.
Accolse le censure formulate dalla Provincia di Teramo con taluni dei motivi aggiunti al ricorso n.245/2002 e quelle proposte con il ricorso n. 419 del 2002 dall’Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga avverso la determinazione dirigenziale n. 1339/02 del 6 maggio 2002, con la quale venne autorizzata la realizzazione delle opere previste dalla legge n. 366 del 1990, limitatamente alla sola galleria di servizio di accesso ai laboratori dell’INFIN.
In particolare, e previa declaratoria di assorbimento degli altri motivi di ricorso,venne accolto dai Giudici di prime cure il secondo dei motivi aggiunti proposti dalla Provincia di Teramo, nell’ambito del quale era stata dedotta la violazione della normativa in materia di conferenza di servizi di cui alla legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni: la conferenza di servizi finale doveva ritenersi illegittima sia per la mancata conclusione del procedimento ai sensi dell’art. 14-quater, terzo comma, della legge n. 241 del 1990, che, comunque, per non essersi dato conto, nel relativo verbale, delle ragioni di dissenso espresse agli organi competenti.
Proprio in considerazione – hanno rilevato i Giudici di prime cure facendo riferimento al quinto motivo aggiunto del ricorso della Provincia nonché al primo motivo dedotto dall’Ente Parco – del particolare ruolo assegnato all’ Ente Parco dalla legge istitutiva, a fronte del parere negativo dell’Ente avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 14-quater, comma 3, della ripetuta legge n. 241 del 1990, essendo il dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale.
Venne altresì accolta la doglianza relativa all’omessa considerazione dell’interesse pubblico alla tutela della salute e della normativa sulle acque destinate al consumo umano (quarto motivo aggiunto della Provincia e quarto motivo dell’Ente Parco).
Vennero dichiarati altresì fondati il sesto motivo aggiunto ed il terzo motivo dedotto dall’Ente Parco, che si riferivano alla circostanza che il decreto impugnato in primo grado aveva posto a proprio fondamento le risultanze di uno studio di compatibilità ambientale effettuato nel lontano 1992 senza considerare le variazioni progettuali intervenute ed, inoltre, che in tale studio, non sarebbero state valutate le problematiche relative al possibile inquinamento dell’acquifero né risulterebbe essere affrontato il problema del rischio sismico.
Ha altresì dichiarato illegittima, perché comportante una inammissibile inversione logica e cronologica nel procedimento, la previsione contenuta nel decreto impugnato (art. 4) di rimettere all’ANAS la possibilità di rendere compatibili con l’intervento stesso le problematiche emerse in sede di conferenza di servizi, “soprattutto riguardanti la tutela del sistema dell’acquifero del Gran Sasso d’Italia”.
La sentenza è stata appellata dalle amministrazioni resistenti in primo grado
che ne contestano la fondatezza sostenendo la correttezza e legittimità degli atti impugnati.
In particolare, dopo avere ripercorso le tappe storiche dell’intervento in oggetto- richiamando il disposto delle leggi n. 32/1982 e 366/1990 che avevano autorizzato l’Anas a realizzare (la prima) ed a completare (la seconda) il laboratorio di fisica nucleare, il DM del 1992 in ordine alla compatibilità ambientale delle medesime opere, ed i pareri a contenuto favorevole resi dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici - con il ricorso in appello si criticano i tre versanti motivazionali posti a fondamento della sentenza in epigrafe sotto vari angoli prospettici.
In particolare, si evidenzia nel ricorso in appello, che avrebbero errato i Giudici di prime cure laddove hanno affermato che
“le due conferenze di servizi, quella del 16 maggio 2000 e quella successiva del 21 gennaio 2002, trovano il proprio fondamento normativo – come espressamente riportato nei verbali – sia nell’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 che nell’art. 14 della legge n. 241 del 1990. Al riguardo, occorre preliminarmente sgombrare il campo dal riferimento all’art. 81 del d.P.R. 616 del 1977, come modificato dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383.Infatti, l’art. 3 del d.P.R. n. 383 del 1994 prevede una conferenza di servizi qualora l’accertamento di conformità di cui al precedente art. 2 dia esito negativo oppure l’intesa tra Stato e Regione non si perfezioni. Nella specie, deve ritenersi verificata, fin dalla prima conferenza di servizi, l’intesa Stato-Regione, ma tale intesa vale ad escludere soltanto, ai sensi della citata normativa, problemi di natura urbanistica.”
Invero, si afferma nel ricorso in appello, che sia il testuale riferimento all’indizione della (unica) conferenza di servizi, “ai sensi dell’art. 81 del d.P.R. 616 del 1977 “, sia la cronologia dei deliberati succedutisi (con riguardo particolare alla precedente positiva VIA intervenuta ed alla successiva approvazione del progetto definitivo dell’opera), rendevano chiaro che l’unico oggetto della conferenza afferisse alla localizzazione dell’opera.
Doveva pertanto trovare applicazione l’art. 14 bis della legge 241/1990.
Ma l’oggetto della conferenza era da ritenersi limitato alla localizzazione delle opere di cui alla legge n. 366/1990, e non anche agli altri aspetti della realizzazione della medesima.
Non era necessaria, avuto riguardo alla “storia” dell’intervento, la convocazione di una conferenza di servizi avente ad oggetto la valutazione di altri e diversi interessi (ambientale, etc).
L’unica conferenza convocata, avente quale unico oggetto quello relativo alla localizzazione dell’opera ed all’inserimento negli strumenti urbanistici vigenti nel territorio, si strutturò in due tempi.
Nel corso di quella del 20-5-2000 non si raggiunse alcuna intesa Stato-Regione (la Presidenza della Regione Abruzzo non era presente).
Nel corso dei lavori di quella tenutasi in data 21-1-2002 l’intesa venne raggiunta.
L’unico interesse che ivi poteva e doveva trovare composizione riposava nella localizzazione dell’opera: gli altri interessi avevano già trovato composizione durante il decennale iter dell’intervento.
Non doveva pertanto, ai sensi dell’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, attivarsi la procedura prevista per il caso di dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute - come erroneamente ritenuto dai Giudici di prime cure -. In detta sede si era invece tenuto conto unicamente dei pareri formulati dalle autorità che avevano legittimazione ad intervenire con esclusivo riguardo alla materia urbanistica.
Nel novero di esse non rientrava la Provincia di Teramo (sul cui territorio non gravano le opere per cui è causa); né le autorità sanitarie (la questione relativa alla tutela del sistema idrico era già stata affrontata e risolta in sede di VIA); né l’Ente Parco Gran Sasso.
In assenza del piano di cui all’art. 13 della Legge n. 394/1991, di cui l’Ente Parco non si era ancora dotato, esso non avrebbe potuto esprimere alcuna valutazione in materia urbanistico-territoriale.
Avrebbe potuto esprimere esercitare soltanto funzioni di tutela e protezione ambientale: tali ultime funzioni, che per le dianzi precisate ragioni si ponevano al di fuori dell’oggetto della conferenza di servizi, l’Ente parco aveva esercitato durante l’iter del procedimento; le esigenze di tale Ente erano state prese in considerazione già a far data dal voto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio dei Lavori Pubblici.
Sotto altro profilo, all’epoca in cui si conclusero i lavori della conferenza di servizi citata, era già intervenuta sull’opera la VIA (nel 1992); la novella legislativa di cui alla legge n. 340/2000 aveva modificato il disposto di cui all’art. 14 ter della legge 241/1990, subordinando l’intervento del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 14 quater successivo, per i progetti per i quali era già intervenuta la VIA, alla sola ipotesi di dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela della salute
(e tale non poteva considerarsi l’Ente Parco).
La sentenza,in epigrafe, conclusivamente, era ingiusta e doveva essere annullata.
Si è costituita in appello la Provincia di Teramo proponendo impugnazione incidentale.
Con il proprio atto di costituzione, infatti, ha chiesto che l’appello principale venga respinto perché infondato, ed ha riproposto in primis le censure avanzate in via subordinata con i motivi n. VI e VII del ricorso introduttivo e rispettivamente concernenti:
la illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge n. 443 del 2001 per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. e conseguente illegittimità del provvedimento impugnato, poiché si è inteso regolare con legge una materia, la quale, in base al nuovo assetto di competenze costituzionali introdotto dalla riforma del Titolo V, parte II, Cost., non rientrerebbero più nella sfera di potestà legislativa statale;
la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della l. n. 443 del 2001 per contrasto con l’art. 3 Cost. Tale norma, secondo l’assunto della provincia appellante incidentale si appaleserebbe irrazionale, poiché prevede, da un lato, che l’individuazione delle infrastrutture pubbliche e private vada effettuata dal Governo a seguito di una complessa procedura; dall’altro, che in sede di prima applicazione, tale individuazione possa essere effettuata dal Cipe senza, peraltro, richiedere lo stesso iter procedimentale.
Ha inoltre appellato in via incidentale la sentenza in epigrafe nella parte in cui disattende le doglianze contenute nel ricorso di primo grado attingenti la delibera del CIPE.
Avrebbe in particolare errato la sentenza in epigrafe, nel non trarre le doverose conseguenze dalla circostanza che la delibera CIPE era stata adottata prima della pubblicazione della legge n. 443 del 2001, che attribuisce all’Organo anzidetto la relativa competenza.
I Giudici di primo grado avevano rilevato che “ il momento della promulgazione della legge è quello che conferisce ad essa l’efficacia, cioè l’idoneità a produrre effetti giuridici, nonché l’esecutività, mentre la pubblicazione della stessa attiene unicamente alla obbligatorietà ed alla presunzione di conoscenza ufficiale da parte dei cittadini.”
Poi, però, avevano affermato (evidentemente dando rilievo al “passaggio” della pubblicazione) che “la legge è stata approvata in data 6 dicembre 2001 ed è stata pubblicata lo stesso giorno in cui è stata emanata la deliberazione del CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001. Tale contemporaneità, pertanto, vale a rendere legittimo il potere esercitato con il provvedimento de quo.”
La circostanza era errata in fatto, posto che la legge era stata pubblicata soltanto il 27.12.2001. Quella del 21.12.2001 era unicamente la data di promulgazione; la sentenza era contraddittoria ed errata e, conseguentemente, la delibera CIPE era stata resa in carenza di potere perché antecedente alla legge che la presupponeva. Meritava pertanto di essere annullata.
In secondo luogo, avevano errato i Giudici di prime cure, nel ritenere infondati gli altri motivi di ricorso proposti avverso la predetta delibera in quanto “rivolti avverso il progetto dell’opera “ e nella considerazione che “dal testo all’epoca vigente della legge n. 443 del 2001 non risulta in alcun modo che il programma delle infrastrutture da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese – la cui approvazione, in sede di prima applicazione della legge, era demandata al CIPE – dovesse far riferimento ai progetti delle singole infrastrutture considerate.
Proprio perché si tratta di “programma” ed in mancanza di qualsiasi indicazione nella disposizione di cui all’art. 1, comma 1, della legge stessa, non può ritenersi che il programma dovesse contenere un quid pluris rispetto alla semplice indicazione delle opere.
Sarebbe, infatti, arbitrario ammettere la necessità di un progetto (di cui la legge, non prevedendolo, ovviamente neanche specifica il tipo), laddove la disposizione in esame prevede la semplice individuazione delle infrastrutture. Prescrizione questa che deve ritenersi assolta dalla deliberazione del CIPE impugnata.”
Detto argomentare era contraddittorio atteso che il programma approvato dal Cipe quantificava già, sotto il profilo economico, il costo dell’intervento (corrispondente a quello originariamente espresso in lire ex art. 5 della legge n. 366/1990) in oggetto; e peraltro il Tar stesso aveva ritenuto che dal semplice inserimento dell’opera nella delibera CIPE costituisse atto lesivo per gli interessi dell’appellante incidentale, con ciò implicitamente ritenendo che il contenuto della delibera si riferisse al progetto approvato.
Si è costituito del pari in appello l’Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, proponendo impugnazione incidentale.
Con il proprio atto di costituzione, infatti, ha in primo luogo chiesto che l’appello principale venisse respinto perché infondato, richiamando l’attenzione della Sezione sull’incidenza delle misure di salvaguardia imposte ex lege 394/1991 sull’oggetto della conferenza di servizio svoltasi (ed in quella sede platealmente obliate) e sulla inutilizzabilità in detta sede della VIA risalente al 1992 e formulata con riguardo ad un intervento avente un oggetto del tutto diverso da quello originario.
Ha poi riproposto le censure disattese in primo grado.
In particolare ha censurato la sentenza nella parte in cui non ha accolto il primo motivo del ricorso di primo grado concernente la violazione dei principi generali in tema di aree protette di cui alla legge quadro n. 394 del 6 dicembre 1991 in relazione dl d.P.R. 5 giugno 1995, per errata applicazione del disposto di cui agli artt. 2 e 3 del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, in tema di riparto di competenze funzionali legislativamente attribuite; eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà; elusione del principio di certezza ed organizzazione dell’attività amministrativa; illogicità; carenza di motivazione, sviamento, poiché non sarebbe stato tenuto in alcun conto il diniego espresso nei confronti dell’intervento dall’Ente Parco (organo tenuto, in via esclusiva, alla salvaguardia ed alla disciplina del territorio).
Ciò avrebbe, di contro, imposto un ulteriore ed articolato procedimento di approvazione, che avrebbe dovuto avere il proprio svolgimento in seno alla conferenza di servizi all’uopo convocata (e non, invece, convocata unicamente per risolvere problematiche di tipo urbanistico).
Peraltro l’art. 2 comma III del DPR 383/1994 concerne la verifica da effettuarsi con riguardo ai progetti definitivi, mentre l’art. 14 comma II bis della legge n. 241/1990 riguarda opere che si trovano allo stadio della progettazione preliminare: appare evidente che le conferenze di servizi convocate avessero oggetto differente ( e che quella del 2002 afferisse alla valutazione, anche, di interessi diversi da quelli prettamente urbanistici).
Il nulla-osta dell’ente-parco era indispensabile quindi, per la positiva conclusione della Conferenza: e peraltro, ad ulteriore comprova di tale circostanza, doveva rilevarsi che in passato l’INFN aveva chiesto tale nulla-osta (rigettato con provvedimento non impugnato) per l’ampliamento del laboratorio, a testimonianza che comunque occorresse il nulla-osta per l’esecuzione di opere insistenti sul territorio del Parco.
Riproponeva altresì il secondo motivo del ricorso di primo grado, rilevando il difetto di motivazione dell’azione amministrativa spiegatasi mediante il decreto impugnato poiché l’intervento avrebbe dovuto riguardare le opere previste dalla legge n. 366 del 1990, mentre nell’atto impugnato si perveniva ad un fuorviante elemento nuovo e ad effetto quale quello della “messa in sicurezza” degli impianti, peraltro, privo di riscontro.
Inoltre, nel medesimo ricorso in appello incidentale, si lamenta il mancato accoglimento del terzo e del quarto motivo del ricorso di primo grado, entrambi sostanzialmente incentrati nel dimostrare l’inadeguatezza, anche a cagione della risalenza temporale e della diversità di oggetto, dello studio di compatibilità ambientale datato 1992 posto a supporto del progetto. Anche le Autorità (es: Ministero dell’Ambiente) che avevano espresso parere favorevole, avevano consacrato nel verbale, utilizzando le voci verbali al condizionale, la necessità che l’incidenza dell’opera sulle risorse idriche e sulla falda acquifera dovesse essere rivalutata (di fatto, il Ministero dell’Ambiente opinava che, con riguardo ad una porzione della galleria – quella, cioè, successiva alla progressiva 5000- si sarebbero resi necessari ulteriori sondaggi, manifestando “perplessità residue”).
In ultimo, si riproponeva la censura di cui al V motivo del ricorso principale, concernente la illegittimità intrinseca e derivata dell’ “avviso” a firma del Capo compartimentale dell’A.N.A.S. dell’Abruzzo, pubblicato tra le inserzioni a pagamento dei “bandi di gara” sulla G.U. parte II n. 119 del 23.5.2002, in quanto era stata resa nota l’autorizzazione alla realizzazione delle opere in questione, con valenza di “comunicazione di preinformazione”, di cui all’art. 80 del d.P.R. n. 554 del 1999, senza che fosse stato previamente approvato il progetto esecutivo.
Depositando memoria conclusiva, l’ Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga ha ribadito ed ampliato le doglianze suindicate, sollecitando altresì la verifica giudiziale in ordine alla permanenza dell’interesse a proporre impugnazione in capo alle Amministrazioni appellanti principali: l’opera in oggetto, infatti, non era più assistita da alcun finanziamento e, pertanto, doveva ritenersi impossibile, anche in ipotesi di esito positivo della odierna controversia, la possibilità di realizzazione della medesima.
I controinteressati Comune di Teramo ed Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Teramo si sono costituiti nell’odierno giudizio depositando articolate memorie ed argomentando circa l’infondatezza ed inammissibilità del ricorso in appello del quale hanno chiesto il rigetto.
DIRITTO
La sentenza deve essere confermata nei termini di cui alla motivazione che segue, previa declaratoria di infondatezza del ricorso in appello incidentale proposto dalla Provincia di Teramo, declaratoria di infondatezza dell’appello principale proposto dalle amministrazioni resistenti in primo grado e conseguente declaratoria di improcedibilità per carenza di interesse del ricorso in appello incidentale proposto dall’ Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga.
In via assolutamente preliminare -con riferimento alla richiesta di verifica in ordine al permanere nell’interesse alla impugnazione in capo alle amministrazioni appellanti avanzata dall’Ente Parco appellante incidentale con la propria conclusiva memoria- ritiene la Sezione che (anche in carenza di alcuna contraria dichiarazione od affermazione da parte delle appellanti principali) detto interesse permanga.
La -asserita e peraltro indimostrata, - sopravvenuta indisponibilità dei fondi necessari al finanziamento dell’opera, non incide sulla valutazione in ordine alla legittimità dell’azione amministrativa sinora spiegata e devoluta alla cognizione della Sezione, in armonia con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “La decadenza o il ritiro del finanziamento regionale non influisce sulla legittimità del progetto dell\'opera di pubblica utilità approvato dall\'autorità comunale. “(Consiglio Stato , sez. IV, 27 aprile 1987, n. 247).
Del pari, inducono ad escludere che nel caso di specie sia venuto meno in capo all’amministrazione centrale l’interesse ad impugnare la sentenza in epigrafe, i principi ricavabili dai condivisibili -seppur non sovrapponibili al caso in esame- arresti che di seguito si riportano, a tenore dei quali “L\'art. 35 comma 1 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80 consente al giudice amministrativo di rimediare alla lesione dell\'interesse legittimo dedotto in giudizio non solo in forma specifica, ma anche con il risarcimento per equivalente (nella specie, non si verifica alcun\'estinzione del predetto interesse all\'impugnazione dell\'annullamento dell\'aggiudicazione di un appalto pubblico e del conseguenziale nuovo bando di gara, sol perché, nel frattempo, è scaduto il termine ultimo affinché la p.a. appaltante possa fruire del finanziamento per la realizzazione dell\'opera appaltata).” (Consiglio Stato , sez. V, 14 aprile 2000, n. 2237);
“Nel caso in cui nelle more dell\'aggiudicazione di un appalto-concorso siano intervenute prescrizioni legislative che pregiudichino fortemente il finanziamento dell\'opera, la Pubblica amministrazione è legittimata (ma non obbligata, ndr) a chiudere il procedimento in corso, ma ciò dovrà avvenire non tramite un provvedimento di "non aggiudicazione" dell\'appalto, bensì per mezzo della revoca del bando di appalto concorso ed il ritiro della deliberazione di contrattare.(Consiglio Stato , sez. II, 19 ottobre 1994, n. 1959).
Non ritiene la Sezione dovere immorare ulteriormente sul punto.
Ciò premesso, appare in via pregiudiziale doveroso - rispetto alla verifica dei temi devoluti alla cognizione della Sezione con il ricorso in appello principale,- affrontare le doglianze contenute nel ricorso in appello incidentale proposto dalla Provincia di Teramo: dette censure, infatti, attingono i capi della sentenza che hanno postulato la legittimità della delibera del CIPE (e, per incidens, la compatibilità della legge n. 443/2001 con il quadro normativo Costituzionale),in difformità rispetto a quanto sostenuto dalla Provincia predetta nel proprio ricorso di primo grado.
Invero, posto che detta delibera CIPE costituisce atto che si pone a monte dell’intera procedura, la eventuale riforma in parte qua della sentenza in epigrafe renderebbe ultronea l’ulteriore disamina delle doglianze riferentesi ai successivi passaggi dell’azione amministrativa (id est:determinazione dirigenziale n. 1339/02 del 6 maggio 2002).
Le doglianze sono comunque infondate e la sentenza appare in parte qua meritevole di conferma.
Invero, quanto alla prima delle questioni prospettate, questa Sezione ha avuto modo in passato di precisare che “È legittima la deliberazione del Cipe n. 121 del 2001, con la quale è stato approvato il primo programma delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi di carattere strategico e di preminente interesse nazionale, seppure tale delibera sia stata adottata precedentemente all\'entrata in vigore della l. n. 443 del 2001, attributiva del relativo potere; infatti, ciò che conta è che l\'adozione della delibera n. 121 del 2001 sia avvenuta successivamente alla promulgazione della l. n. 443 del 2001.” (Consiglio Stato , sez. VI, 16 marzo 2005, n. 1102).
Come è stato chiarito nella suindicata decisione, della quale si riporta di seguito integralmente un significativo passaggio, tale orientamento appare aderente al “ costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale in ordine alla possibile anticipazione degli effetti di una legge al momento della sua promulgazione.
Si ricordano in particolare le chiare indicazioni su punto fornite dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 321/1983:
"La pubblicazione della legge costituisce un atto diretto a dare "comunicazione" della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed impone conseguentemente la generale osservanza. Ma, ancor prima della pubblicazione, interviene nel procedimento legislativo, inteso in senso lato, la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, la quale consiste in un atto che si compone di tre elementi: l\'accertamento della sussistenza e dell\'identità della volontà delle due Camere, espressa mediante l\'approvazione del disegno o della proposta di legge; la manifestazione della volontà del Presidente della Repubblica di procedere alla promulgazione suddetta, ed infine l\'ordine di esecuzione diretto ad assicurare la piena operatività della legge
Tale atto non costituisce soltanto il presupposto della successiva pubblicazione, la quale viene attuata attraverso una serie di operazioni (il c.d. "visto", l\'inserzione nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, e la pubblicazione, propriamente detta, nella Gazzetta Ufficiale)
Esso attribuisce altresì immediata efficacia, o se si vuole "esecutorietà" (che si distingue dalla obbligatorietà "erga omnes" conseguente alla pubblicazione), all\'atto normativo. Quest\'ultimo, pertanto, deve considerarsi non solo esistente nell\'ordinamento giuridico ma, a taluni fini, anche efficace nei confronti di alcuni organi pubblici, tra cui sicuramente il Presidente della Repubblica nonché il Governo; ciò che é avvenuto nel caso di specie, in cui il Consiglio dei ministri é intervenuto con la sua deliberazione nel procedimento conclusosi con l\'emanazione dell\'atto di clemenza.
Da ciò le varie applicazioni che dal principio conseguono, e che sono generalmente ricordate in dottrina. Così per stabilire l\'anteriorità o la posteriorità di una legge rispetto ad un\'altra deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicché la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo; così, ai fini dell\'osservanza del termine fissato dalle leggi di delegazione, é sufficiente che l\'atto (delegato) sia perfezionato con la emanazione prima della scadenza di detto termine anche se la pubblicazione avviene successivamente (cfr. in tali sensi anche le sentenze di questa Corte 6 luglio 1959 n. 39; 24 maggio 1960 n. 34; 12 novembre 1962 n. 91; 21 marzo 1974 n. 83).Quanto all\'impossibilità che la promulgazione possa avere rilievo per norme attributive di potere pubblico, occorre rimarcare che nella specie non viene in rilievo una disposizione attributiva di poteri negativamente incidenti sulla sfera di terzi ma di un precetto autorizzativo all\'inserimento di opere pubbliche nel programma CIPE ai fini del relativo finanziamento onde delineare il quadro complessivo degli interventi di preminente interesse nazionale da finanziare per garantirne l\'esecuzione entro tempi ragionevolmente rapidi. In disparte la rilevanza della sopravvenienza della successiva entrata in vigore, la Sezione reputa che detto effetto rientri nel novero di quella anticipata produzione di effetti giuridici nei confronti degli organi pubblici messa in luce dalla Corte Costituzionale.
In punto di fatto, a dimostrazione della posteriorità della delibera rispetto all\'efficacia nei sensi ora descritti della legge, vale rammentare che la legge 443/2001 è stata approvata in data 6 dicembre 2001 ed è stata promulgata il 21 dicembre 2001, vale a dire lo stesso giorno in cui è stata emanata la deliberazione del CIPE n. 121 del 2001, ma prima dell\'adozione della delibera medesima (nelle premesse del provvedimento impugnato il CIPE parla di "legge (già) promulgata in data odierna con il n. 443")”.
La “contraddizione” contenuta nella sentenza appellata e di cui ci si duole nel ricorso in appello incidentale in realtà non sussiste: si tratta piuttosto un lapsus calami, che non inficia il corretto argomentare dei Giudici di prime cure, laddove a pag 19 della medesima, nella parte in cui si afferma che la stessa è stata “pubblicata” lo stesso giorno della delibera CIPE il riferimento alla “pubblicazione” deve riferirsi invece alla “promulgazione” (questa sì, coeva alla delibera impugnata).
E’ incontestato, infatti, che la legge fu promulgata il 21 dicembre 2001 e pubblicata il successivo 27 dicembre. I Giudici di primo grado hanno correttamente ritenuto momento decisivo per la produttività degli effetti giuridici della medesima la data di promulgazione (coincidente con quella dell’adozione della delibera CIPE) e, pertanto, il riferimento alla data di “pubblicazione” della Legge 443/2001 di cui alla pag 19 della sentenza impugnata deve invece intendersi alla “promulgazione”, come peraltro è palese dal pregresso argomentare della sentenza.
Il ricorso in appello incidentale è, sotto tale profilo, infondato
Sotto altro angolo prospettico, nella medesima decisione della Sezione n. 1102/05 hanno trovato soluzione – e dai principi ivi espressi non si ravvisano elementi per discostarsi - i dubbi di costituzionalità prospettati dall’appellante incidentale, essendosi in essa condivisibilmente affermato che “il prospettato dubbio di costituzionalità relativo alla illegittima compressione del ruolo delle autonomie territoriali quale ricavabile dagli articoli 117 e 118 Cost, può essere eliso mercé la considerazione che, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 303 del 2003, non è necessario che un\'intesa con le regioni, al pari della consultazione con le autonomie locali, intervenga prima dell\'individuazione delle infrastrutture. La stessa sentenza della Corte delle Leggi ha rammentato che, fermo restando che l\'art. 114 Cost. non comporta una totale equiparazione tra gli enti in esso indicati (Corte cost., sent. n. 274 del 2003), la dedotta esigenza di "consultazione con ... le autonomie locali" perde di rilievo una volta che l\'allocazione a livello più adeguato di funzioni, legislative e amministrative, venga attuata, in virtù dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza, con il necessario procedimento fondato sulle intese tra Stato e Regioni, alle quali può spettare una competenza legislativa concorrente in materia (Corte cost., sent. n. 303 del 2003).”;
“è infondata poi la censura concernente la violazione dell\'art. 1 della l. n. 443 del 2001, nella parte in cui, nel testo ratione temporis vigente, prima delle modifiche apportate dall\'art. 13 della l. 1° agosto 2002, n. 166, prevede che l\'individuazione delle opere strategiche sia operata "a mezzo di un programma, formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite le regioni interessate, ovvero su proposta delle regioni, sentiti i ministri competenti, e inserito nel documento di programmazione economico-finanziaria". In violazione di detta norma il CIPE non avrebbe effettuato alcuna consultazione con le regioni e con le autonomie locali. A sostegno della condotta non si può poi richiamare, continuano le parti appellanti, il fatto che per la prima applicazione sia stabilito che il programma sia "approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2002", essendo chiaro che la norma transitoria ha modificato non il procedimento di formazione e formulazione del programma ma soltanto la procedura di approvazione del medesimo.
Se si pone mente alle ragioni di urgenza che giustificano la norma transitoria, in relazione all\'imminente scadenza del 31.12.2001, non è dubitabile che l\'espressione "programma approvato dal CIPE", di cui al citato art. 1, comma 1, della l. n. 443 del 2001, implichi non solo la fase dell\'approvazione in senso stretto ma la complessiva definizione del programma, con correlativa deroga alle regole procedimentali sancite in via ordinaria. Una lettura diversa svuoterebbe infatti di significato la norma, condannandola alla inapplicabilità.”
In ultimo, appare corretta ed immune da mende la sentenza in epigrafe laddove perviene alla reiezione delle censure attingenti la delibera CIPE con riferimento alle violazioni riconducibili al progetto dell’opera, in quanto informata al costante orientamento giurisprudenziale -si veda, tra le tante, la decisione della Sezione IV del Consiglio di Stato, 15 maggio 2003, n. 2637, in tema di competenza e che si riferiva alla delibera del CIPE 21.12.2001 n. 121 nella parte in cui ha inserito anche il progetto (c.d. Alto Adriatico) per la coltivazione dei giacimenti di gas metano situati nel sottosuolo marino fra le opere di preminente interesse nazionale ai sensi dell\'art. 1 comma 1 della Legge obiettivo- secondo la quale la deliberazione del CIPE “promana pacificamente da un Organo centrale dello Stato, non comporta alcun immediato effetto di approvazione di progetti di opere pubbliche o di localizzazione delle stesse sul territorio, ma piuttosto ha ad oggetto l\'adozione, ai sensi dell\'art. 1, comma 1, della legge delega 21.12.2001, n. 443, di un Programma che rende applicabili alle relative procedure le nuove regole fissate dai decreti attuativi al fine della realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi di preminente e strategico interesse nazionale. Nella misura in cui imprime dunque un regime comune - e derogatorio rispetto a quello ordinario - alle sequenze procedimentali preordinate alla realizzazione dei molteplici interventi previsti, il provvedimento impugnato si connota in senso unitario e non scindibile, spiegando perciò effetto sull\'intero territorio nazionale. Nel caso in esame, in sostanza, gli atti puntuali tendenti alla localizzazione dell\'opera, approvazione del progetto ed affidamento dell\'esecuzione assumono un rilievo recessivo rispetto all\'oggetto immediato del provvedimento, che è quello volto a conferire carattere strategico (e dunque tendenzialmente unitario ed inscindibile) a determinate realizzazioni infrastrutturali.”
Accertata quindi l’infondatezza del (pregiudiziale) ricorso in appello incidentale proposto dalla Provincia di Teramo può a questo punto essere esaminato il merito del ricorso in appello principale.
Per comodità espositiva si vaglierà la fondatezza dell’atto di appello seguendone l’iter argomentativo: si anticipa sin d’ora che la tesi seguita dalle amministrazioni appellanti non elide numerose delle considerazioni che i Giudici di prime cure hanno posto a fondamento della sentenza impugnata.
L’aspetto di fondo dal quale è necessario muovere, è rappresentato dalla costante interpretazione che la giurisprudenza ha fornito del “valore” ambiente, adeguata al progredire della legislazione di tutela di tale bene costituzionalmente tutelato e condizionata dagli importanti arresti che la Consulta ha reso sul tema.
Non è questa la sede più appropriata per una disamina complessiva degli orientamenti giurisprudenziali succedutisi con riferimento alla tematica in oggetto.
Sarà però consentito, in via di sintesi e senza alcuna pretesa di sistematicità, riportare di seguito taluni condivisibili approdi cui è pervenuta la giurisprudenza amministrativa, per poi passare a verificare se, in concreto, l’azione amministrativa spiegatasi si sia conformata a tali insegnamenti.
Ed a questo proposito preme rilevare che costituisce jus receptum ormai, il principio affermato dalla Sezione e dal quale non ci si intende discostare, secondo cui “La tutela dell\'ambiente, preordinata alla salvaguardia dell\'habitat nel quale l\'uomo vive, è imposta da precetti costituzionali ed assurge a valore primario ed assoluto quale espressione della personalità individuale e sociale” (Consiglio Stato , sez. VI, 21 settembre 2006, n. 5552).
Detto valore, ratione naturae, interferisce con altri di elevato rango, ed anche con numerose attività umane. E proprio in considerazione di ciò si è affermato, peraltro, che
“Le associazioni ambientaliste sono legittimate ad impugnare provvedimenti che, pur avendo valore e finalità urbanistiche, incidano comunque sull\'ambiente. (Consiglio Stato , sez. IV, 30 settembre 2005, n. 5202).
In più - per limitare l’analisi agli aspetti utili per la risoluzione delle questioni per cui è causa- la giurisprudenza ha avuto modo di affermare, in tema di protezione delle risorse idriche che “Non è viziata da incompetenza la norma regolamentare del comune che vieta la costruzione di manufatti per allevamento avicolo in aree determinate per la salvaguardia delle risorse idriche. Infatti la normativa vigente prevede ampi poteri normativi del comune in materia di igiene e sanità, nonché di razionale uso e purezza dell\'acqua potabile. Il comune può limitare l\'edificazione di manufatti in aree di particolare pregio, anche quando essi risultino potenzialmente inquinanti con riferimento all\'art. 80 d.lg. n. 616 del 1977. (Consiglio Stato , sez. V, 14 luglio 1999, n. 823).
In ultimo, può rilevarsi che lo strettissimo legame intercorrente tra la tutela dell’ ambiente e l’incomprimibile diritto di cui all’art. 32 della Carta Fondamentale, è sempre stato tenuto presente dalla giurisprudenza amministrativa, in armonia con gli insegnamenti della Consulta (si veda in particolare Corte costituzionale, 30 luglio 1993, n. 365), essendosi condivisibilmente affermato, in passato, che “Il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di sanità pubblica, attribuito al sindaco dall\'art. 32, l. 23 dicembre 1978 n. 833, può essere esercitato anche per la tutela della salute pubblica attraverso la garanzia di un ambiente salubre; ne consegue che tali ordinanze legittimamente possono essere adottate nei casi in cui la salute pubblica sia minacciata da fenomeni di inquinamento ambientale provocati da rifiuti, emissioni inquinanti nell\'aria e scarichi inquinanti.“(Consiglio Stato , sez. IV, 18 gennaio 1997, n. 22)
Ciò premesso: si sostiene nel ricorso in appello che la conferenza di servizi fu in realtà unica, e si svolse in più sedute e che ha errato la sentenza di primo grado allorchè ha individuato una duplicità di conferenze di servizi convocate, ed allorchè ha ritenuto che la intesa di natura urbanistica si raggiunse nel corso dei della conferenza tenutasi nel 2000, mentre quella che ebbe luogo nel 2002 aveva diverso oggetto. L’unica conferenza tenutasi (e svoltasi in più sedute) aveva invece quale (unico) oggetto quello prescritto ex art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977: il dissenso ivi espresso dall’Ente Parco non rivestiva natura pregiudiziale essendo il predetto Ente sfornito di competenze urbanistiche.
La prospettazione contenuta nel ricorso in appello, nei termini di cui alla sintesi che precede, appare plausibile e non arbitraria.
Soltanto plausibile, si badi, perché nel verbale della conferenza del 2002 è espressamente affermato (unicamente) che l’obiettivo “principale” della conferenza di servizi convocata atteneva alla “verifica della compatibilità urbanistica dell’opera in oggetto ai sensi dell’ art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977” così come modificato dal dpr 383/1994 (si veda pag 14 del verbale del 21.1.2002).
Principale, si afferma, ivi: il che non vuole significare né “unico” né “esclusivo”.
Tuttavia l’argomento sostenuto dall’amministrazione, seppure non univoco, appare assistito da ulteriori elementi che ne confortano la fondatezza: è in particolare certamente esatto che (a differenza di ciò che è dato leggere nella sentenza appellata) nel corso della conferenza di servizi del 16.5.2000, di cui quella del 2002 costituiva prosecuzione ulteriore (si veda l’intestazione del già richiamato verbale), l’intesa Stato-Regione ex art. 81 del dpr 616/1977 non si raggiunse (si veda l’ultima pagina del verbale della conferenza di servizi del 16.5.2000, laddove si da atto “dell’assenza della Presidenza della Regione Abruzzo” in quanto “in fase di costituzione lo stesso organo Amministrativo deliberante”, e laddove si fa riferimento alla futura “ripresa dei lavori della Conferenza”).
Con la cautela necessitata dalla richiamata non univocità del verbale della conferenza di servizi del 2002, quindi, può convenirsi con l’amministrazione appellante principale(ed in difformità rispetto alle conclusioni di cui alla appellata sentenza) sulla sostanziale unicità della conferenza di servizi (tenutasi in più riprese), sul mancato raggiungimento della intesa Stato-Regione nel corso dei lavori tenutisi nel 2000 e sull’oggetto della medesima, “limitato” al profilo ex art. 81 del dpr n. 616/1977.
D’altro canto non possono trarsi argomentazioni contrarie a quanto finora esposto dalla presenza e partecipazione ai lavori della conferenza tenutasi sia nel 2000 che nel 2002 di amministrazioni non direttamente investite della problematica afferente alla verifica della compatibilità urbanistica dell’opera in oggetto ai sensi dell’ art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 atteso che, si è affermato condivisibilmente in giurisprudenza, che “ Ai sensi dell\'art. 3 d.P.R. 18 aprile 1994 n. 383, è legittima la partecipazione in funzione meramente collaborativa di ente non titolare di competenze amministrative nel particolare procedimento della conferenza di servizi indetta per l\'approvazione del progetto di opera pubblica non conforme allo strumento urbanistico; pertanto, l\'eventuale dissenso espresso dal detto ente non assume rilievo ai fini del raggiungimento dell\'unanimità necessaria per l\'approvazione del progetto medesimo.” (T.A.R. Lazio, sez. III, 30 ottobre 2000, n. 8763);
“Ai sensi dell\'art. 3 d.P.R. 18 aprile 1994 n. 383, qualora la localizzazione di opere di interesse statale non sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti, è convocata una conferenza dei servizi con la partecipazione della Regione, dei comuni interessati e delle amministrazioni statali o degli enti tenuti ad adottare atti di intesa o a rilasciare pareri, autorizzazioni, approvazioni e nulla osta e la decisione della conferenza all\'unanimità sostituisce a tutti gli effetti i siffatti atti di intesa, i pareri e le concessioni.” (Consiglio Stato , sez. IV, 24 febbraio 2000, n. 1002).
Costituisce del pari approdo consolidato in giurisprudenza (ed ulteriore positivo riscontro alla tesi sostenuta in parte qua dalle amministrazioni appellanti principali) quello secondo il quale, “Le norme sulla conferenza dei servizi, contenute negli art. 14 e ss., l. n. 241 del 1990 (come modificati dalla l. n. 127 del 1997), non possono essere applicate al procedimento di localizzazione delle opere pubbliche statali in deroga agli strumenti urbanistici di cui all\'art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977 ed al d.P.R. n. 383 del 1994, in quanto la conferenza deve sempre muoversi nel rispetto della normativa vigente non essendo ad essa conferito alcun potere di deroga rispetto ad atti amministrativi generali efficaci; in altri termini, lo spazio all\'interno del quale si muove la conferenza non è quello della deroga, ma quello della composizione delle discrezionalità amministrative e dei poteri spettanti alle amministrazioni partecipanti, ponendosi come momento di confluenza delle volontà delle singole amministrazioni, nel rispetto dell\'ordinamento normativo e amministrativo vigente: da ciò consegue che laddove l\'art. 17, comma 11, l. n. 127 del 1997 afferma l\'applicabilità della nuova normativa alle altre conferenze di servizi previste dalle leggi vigenti, tale rinvio sia limitato alle leggi che configurano la conferenza dei servizi come strumento di composizione delle diverse volontà e non come strumento di deroga alla normativa o alla pianificazione vigenti. Consiglio Stato , sez. I, 05 novembre 1997, n. 1622.
Così perimetrato il campo dell’indagine, ed aderendosi (con esclusivo riferimento a questo aspetto della questione) all’impostazione seguita dall’amministrazione, è necessario risolvere un ulteriore problematica.
Il quesito in oggetto può essere rappresentato nei seguenti termini (e la risoluzione di esso, è forse superfluo rilevarlo, incide in parte anche su aspetti che l’Ente Parco ha riproposto all’attenzione della Sezione mercè il primo motivo del ricorso in appello incidentale): posto che la conferenza di servizi aveva quale oggetto unico quello di cui all’art. 81 del dpr n. 616/1977, poteva legittimamente dequotarsi il dissenso del predetto Ente Parco sotto il profilo della compatibilità urbanistica dell’opera?
Poteva, cioè, legittimamente affermarsi che il predetto Ente non possedesse competenze urbanistiche con riguardo all’opera in questione?
La risoluzione di tale complessa questione è preliminarmente necessaria sotto il profilo logico: invero, se si affermasse che l’Ente Parco non era sprovvisto di tali competenze, allora ne conseguirebbe la valutazione di illegittimità -sotto tale profilo- dei lavori della conferenza di servizi, della conclusione della medesima, e l’illegittimità derivata del conseguente decreto impugnato. Si addiverrebbe sostanzialmente alla conferma della sentenza di primo grado sotto tale angolo prospettico sia pure condividendosi l’avviso dell’amministrazione circa l’oggetto esclusivo (id est: compatibilità urbanistica) della conferenza di servizi convocata.
Così tuttavia non è.
Invero deve rammentarsi che la legge quadro disciplinante le aree protette recante n. 394/1991 detta un complesso sistema protettivo che si compone, tra le altre, di tre distinte disposizioni (artt. 11-13 della legge citata).
Essa prevede la predisposizione di un regolamento e di un piano (artt. 11 e 12 citati), in ossequio all’esigenza di addivenire a quella che è definita, secondo una fortunata espressione della dottrina e della giurisprudenza, una “disciplina partecipata del parco”.
Prevede altresì, per le opere da eseguirsi all’interno del parco, il rilascio di un nulla-osta (art. 13 della legge citata) che, secondo la dizione letterale della norma, è teso a verificare “la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento” e l’intervento modificatorio che si intende eseguire.
Orbene assume rilievo al fine della esatta cognizione degli aspetti di fatto rilevanti, evidenziare che l’Ente Parco appellante incidentale è stato costituito nel 1995 (si veda quanto affermato dallo stesso Ente nel ricorso in appello incidentale); e che all’epoca dello svolgimento dei lavori della conferenza di servizi (tale ultimo dato, affermato dalle appellanti principali è rimasto incontestato) esso non si era ancora dotato del prescritto piano e del regolamento.
Ciò posto, ed avuto riguardo alle circostanze di fatto da ultimo menzionate, deve fornirsi risposta negativa alla questione concernente la necessità di acquisire il nulla-osta di tale ultimo Ente ai sensi dell’ art. 13 della legge n. 394/1991(nell’ambito del procedimento di cui all’art. 81 del dpr n. 616/1977) a pena del mancato raggiungimento della richiesta unanimità.
In ordine a tale tematica è bene tenere presente che non si riscontra, in dottrina ed in giurisprudenza, una sostanziale convergenza di opinioni: al contrario, si sono confrontate, nel tempo, una pluralità di antitetiche prospettazioni.
La tesi negativa, che muove dalla dizione letterale del richiamato art. 13 della legge n. 394/1991, è stata in passato a più riprese postulata dalla giurisprudenza amministrativa e da quella di legittimità penale.
Si è infatti affermato, in proposito, che “L\'art. 13 l. 6 dicembre 1991 n. 394, che disciplina il rilascio del nulla osta da parte dell\'ente parco a concessioni o autorizzazioni relative a interventi, impianti ed opere all\'interno dei parchi nazionali, e prevede un termine di sessanta giorni per la formazione del silenzio - assenso, si applica solo dopo l\'approvazione del piano e del regolamento del parco. In attesa della formazione e approvazione del piano e del regolamento di un parco nazionale, operano le misure di salvaguardia previste dall\'art. 6 e i divieti di cui all\'art. 11 l. 6 dicembre 1991 n. 394, che possono essere integrati da misure dettate dal provvedimento di istituzione dell\'ente parco. Il nulla osta di competenza dell\'ente parco ai sensi dell\'art. 13 l. 6 dicembre 1991 n. 394 e l\'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell\'art. 7 l. 29 giugno 1939 n. 1497 (ora art. 151 t.u. n. 490 del 1999) sono atti diversi e concorrenti, attribuiti ad autorità differenti e preposte alla cura di interessi solo in parte coincidenti; pertanto, l\'autorizzazione paesaggistica non tiene luogo del nulla osta nè delle misure di salvaguardia dettate dal provvedimento istitutivo del parco nazionale. “ (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 19 febbraio 2002, n. 288).
La ratio di tale orientamento è stata efficacemente chiarita dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza di seguito riportata (Cassazione penale , sez. III, 27 giugno 1995, n. 10407) secondo la quale, “il nulla osta previsto dall\'art. 13 della legge n. 394-1991 è inscindibilmente ed esclusivamente collegato alla verifica della conformità dell\'intervento progettato alle disposizioni del piano e del regolamento del parco, rispettivamente previsti e disciplinati dagli artt. 12 ed 11 della medesima legge quadro sulle aree protette…………..Ove una disciplina "partecipata" del parco sussista, deve esserne verificato il rispetto; ove essa manchi, invece, la richiesta del nulla osta previsto dall\'art. 13 della legge n. 394-1991 si risolverebbe in un mero formalismo, in un adempimento assolutamente superfluo per l\'inesistenza di una disciplina "propria" alla quale possa riferirsi la valutazione dell\'intervento progettato. Ulteriori elementi possono essere addotti a sostegno di quest\'orientamento.
In sede di elaborazione della legge quadro sulle aree protette, l\'art. 15 del testo unificato inviato alla I Commissione dalla VIII Commissione della Camera in data 16.11.1988 (in Atti Parlamentari, Camera, 1964-10 Bollettino Commissioni, 287, 61) distingueva, ai fini della richiesta del nulla osta, tra situazione antecedente o successiva all\'approvazione del piano del parco e stabiliva che, dopo l\'approvazione del piano, il nulla osta non era necessario per le zone di promozione (per quelle zone, cioè, più estesamente modificate dai processi di autorizzazione nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori). Questa impostazione - che non ricollegava il rilascio del nulla osta all\'esistenza del piano - venne però abbandonata nel prosieguo dei lavori preparatori, tanto che l\'art. 14 della bozza redatta nel dicembre 1989 del Comitato ristretto in seno all\'VIII Commissione della Camera ricollegava la richiesta di nulla osta, rispettivamente, al regime del silenzio-diniego e del silenzio-assenso a seconda che gli interventi per i quali il nulla osta era richiesto si dovessero effettuare nelle zone A, B, C (ossia le zone maggiormente protette in relazione agli ecosistemi ospitati) oppure nella zona di promozione.
Tale previsione palesava il nuovo orientamento del legislatore: il nulla osta era indissolubilmente legato alle prescrizioni del piano, alle quali si ancorava il differenziato procedimento di formazione dell\'atto amministrativo. Non vi era spazio per una diversa valutazione ricollegabile ad atti diversi eventualmente emanati dagli organi dell\'Ente. Ed il testo definitivo dell\'art. 13 della legge n. 394-1991, pur non contenendo più l\'anzidetta differenziazione, ha letteralmente ricollegato il rilascio del nulla osta al piano ed al regolamento del parco quali unici parametri di riferimento per la valutazione dello intervento prospettato.”
Più di recente, però, la giurisprudenza penalistica ha decisamente superato tale restrittivo orientamento ponendo le premesse per l’ affermazione di un principio, radicalmente opposto, per cui il nulla-osta sarebbe sempre e comunque necessario per le opere che si intendano eseguire all’interno dei confini del Parco, non essendo il medesimo condizionato alla previa approvazione del piano e del regolamento di cui agli artt.11 e 12 della legge n. 394/1991.
Ci si è spinti ad affermare, infatti, che “In tema di tutela delle aree protette, a seguito della entrata in vigore di norme di salvaguardia deve essere richiesto il nulla osta di cui all\'art. 13 l. 6 dicembre 1991 n. 394, anche se le disposizioni di salvaguardia sono sopravvenute al rilascio del titolo edilizio abilitativo, ma in epoca anteriore all\'inizio dei lavori.” (Cassazione penale , sez. III, 04 novembre 2005, n. 2645).
Tale prospettazione costituisce sviluppo di una precedente pronuncia della III Sezione Penale del Supremo Collegio, secondo cui “L\'operatività dell\'art. 13 comma 1 l. 6 dicembre 1991, n. 394, nella parte in cui stabilisce che "il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all\'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell\'Ente parco" e della correlativa sanzione penale prevista dal successivo art. 30 comma 1, non sono subordinati alla previa approvazione del nuovo piano e del nuovo regolamento del parco, previsti dagli articoli 11 e 12 della stessa legge. In mancanza di detta approvazione occorre, infatti, fare riferimento ai piani paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di pianificazione di cui è menzione nel succitato art. 12 comma 7, i quali restano in vigore fino al momento della loro prevista sostituzione con il nuovo piano.” (Cassazione penale , sez. III, 27 maggio 1999, n. 11537, ma anche, Sezione III, 19 marzo 1998, n. 692)
La ratio di tale orientamento riposa – è dato leggere nella parte conclusiva della sentenza da ultimo richiamata - nella necessità della affermazione di un “regime unitario all\'interno di qualsiasi parco nazionale a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge quadro del 1991…….” ritenuta dal Supremo Collegio, preferibile rispetto a quella propugnante “un inammissibile regime differenziato a seconda che il parco sia dotato o meno del "Piano" e del "Regolamento": e, quindi, ad un\'applicazione della norma non uniforme nel tempo e nel territorio, in quanto subordinata alle vicende particolaristiche dei singoli enti parco e delle altre amministrazioni locali, investite di un qualche ruolo nelle procedure di approvazione di detti strumenti; con conseguente introduzione di un limite di dubbia costituzionalità all\'obbligatorietà di una legge penale in tal modo circoscritta ai soli parchi retti dalle amministrazioni più diligenti nell\'ottemperare alle disposizioni della legge 394 e non operante nei territori di tutti gli altri, perciò lasciati anche con riguardo alle zone più protette, (soprattutto dopo l\'abrogazione dell\'art. 5 del r.d. 2124 del 1923), alla variabile iniziativa individuale, estemporanea ed occasionale di privati e di enti locali.”
Detta sentenza, poi, richiama espressamente una pronuncia del Consiglio di Stato (la n. 1734 del 1998, Sezione IV) i cui principi sono stati da ultimo riaffermati con la decisione che di seguito si riporta, secondo cui
“Per la realizzazione degli interventi, opere e costruzioni in aree protette (parchi nazionali, regionali, riserve naturali) occorrono tre distinti ed autonomi provvedimenti: la concessione edilizia, l\'autorizzazione paesaggistica ed il nulla osta dell\'ente parco. Questi ultimi sono, in ogni caso, il frutto di una duplice valutazione, anche se rimessi ad un unico organo (il che comunque non si verifica nel caso di specie) e mantengono la loro autonomia ad ogni effetto in quanto espressione di due discipline concorrenti, onde il nulla osta del parco, nè il suo diniego, fanno venire meno la necessità dell\'autorizzazione paesaggistica.” (Consiglio Stato , sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 714).
Sia la Cassazione penale, però, che il Consiglio di Stato, hanno tracciato un discrimen – in tema di operatività del suesposto principio postulante l’applicabilità necessaria alle nuove opere dell’art.13 della legge 394/1991 anche in assenza di piano e regolamento – con riguardo alla preesistenza o meno dell’ Ente Parco rispetto alla data di approvazione della legge-quadro suindicata.
Ha affermato in proposito, infatti, la Sezione, che “per gli enti parco preesistenti all\'entrata in vigore della l. 6 dicembre 1991 n. 394, la realizzazione di interventi all\'interno del parco è subordinata al preventivo nulla osta ai sensi dell\'art. 13, a prescindere dall\'esistenza del regolamento e del piano previsti dai precedenti art. 11 e 12.(Consiglio Stato , sez. VI, 19 luglio 2006, n. 4594).
La decisione suindicata, nel corpo motivo, non a caso si ricollega alla citata sentenza della III Sezione della Cassazione penale n. 11537/1999, laddove è dato leggere che essa è favorevole all’orientamento che “che per i parchi già esistenti, non subordina la necessità del menzionato nulla - osta all\'approvazione del nuovo piano del parco e del nuovo regolamento”.
Non intende la Sezione discostarsi da tale orientamento e pertanto può sul punto concludersi che, avuto riguardo alla circostanza che l’ Ente Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga è stato istituito successivamente alla legge n. 394/1991 (e precisamente con DPR 5/6/1995) e che, all’epoca in cui si tenne la conferenza di servizi del 2002 non si era previamente dotato del regolamento e del piano previsti ex artt. 11 e 12 della legge-quadro suddetta, non si rendeva necessaria l’acquisizione del nulla-osta di cui all’art.13 della legge citata con riguardo alla procedura ex art. 81 del dpr n. 616/1977.
L’appello della difesa erariale è, in parte qua, condivisibile, muovendo dalle premesse già esposte per cui la conferenza di servizi convocata fu in realtà unica, ed aveva quale unico oggetto quello di cui all’art. 81 del dpr n. 616/1977.
Ma - lo si è già anticipato - se può convenirsi con tale critica alla sentenza di primo grado avanzata in sede di ricorso in appello principale,non appaiono invece persuasive le prospettazioni ulteriori cui l’appellante perviene.
Dalla superiore tesi, infatti, si fa discendere tout court la legittimità della procedura seguita, non dandosi carico di compiutamente confutare le ulteriori argomentazioni che lo scrutinio dei Giudici di primo grado ha posto a sostegno della statuizione demolitoria impugnata; del pari nessuna risposta si fornisce all’interrogativo consequenziale all’accoglimento di tale tesi, che è il seguente: posta l’unicità della conferenza di servizi, e l’esclusività del suo oggetto, nei termini surriportati, quale fu il foro di vaglio e composizione degli ulteriori interessi (ambientale, prima di tutto, nel senso esteso del termine, comprensivo della tutela delle risorse idriche) emersi già in sede di Via, nel 1992, ed ulteriormente sottoposti all’attenzione dell’amministrazione nel 1999 e nel 2000?
Può affermarsi che si fosse raggiunto un totale superamento delle problematiche e delle perplessità rappresentate antecedentemente alla conferenza di servizi del 2002, sotto il profilo ambientale da numerose amministrazioni partecipanti ai lavori di detta conferenza, e non ultimo proprio dall’Ente Parco che, seppur per le ragioni già vagliate “incompetente” sotto il profilo urbanistico, competente era, invece, sotto il profilo strettamente ambientale?
La risposta fornita a tali interrogativi è negativa e da ciò consegue, lo si anticipa, la reiezione dell’appello principale.
Invero è necessario rammentare che l’orientamento costante della giurisprudenza amministrativa è stato quello di ritenere – in via di principio- che la verifica completa in ordine alla compatibilità ambientale di un’opera debba logicamente precedere, e giammai seguire il momento decisorio in ordine alla allocazione della medesima.
Ha sul punto affermato la Sezione, che “L\'attività di studio sulla incidenza urbanistico territoriale e ambientale dell\'opera e sulla contestuale previsione di ogni misura di compatibilizzazione ed inserimento nell\'assetto del territorio si configura necessariamente prodromica al momento deliberativo in seno alla conferenza di servizi cui, secondo il modulo procedimentale disciplinato dall\'art. 3 d.P.R. n. 383 del 1994, segue in via diretta l\'effetto di variante al vigente strumento urbanistico. “(Consiglio Stato , sez. VI, 05 settembre 2005, n. 4520).
Nella motivazione della decisione da ultimo citata è dato leggere, peraltro, che “La circostanza che la tipologia di intervento risulti ammessa in astratto nell\'ambito della zona vincolata non esime, tuttavia, l\'organo preposto alla tutela dall\'obbligo di esternare, in sede di autorizzazione dell\'intervento modificativo, l\'"iter" logico e valutativo, osservato ai fini della comparazione del progetto, nelle sue dimensioni ed impatto, con i valori naturalistici e di ambiente di cui la zona è espressione, così che possa essere portato ad attuazione in armonia e senza radicale ablazione dei valori medesimi.”.
Si è pertanto affermato e conseguentemente statuito, in quel caso, la illegittimità del “procedimento di localizzazione di un\'opera pubblica di interesse statale difforme dallo strumento urbanistico, per violazione dell\'art. 55, d.lg. 31 marzo 1998 n. 112, nell\'ipotesi in cui il momento deliberativo in seno alla conferenza di servizi, cui, secondo il modulo procedimentale disciplinato dall\'art. 3 d.P.R. n. 383 del 1994, segue in via diretta l\'effetto di variante al vigente strumento urbanistico, non sia preceduto dalla presentazione, insieme al progetto, di uno studio sull\'incidenza urbanistico territoriale e ambientale dell\'opera e sulla contestuale previsione di ogni misura di compatibilizzazione ed inserimento nell’assetto del territorio comunale.(Consiglio Stato , sez. VI, 05 settembre 2005, n. 4520).
Completezza dello studio ambientale, vaglio e disamina dei configgenti interessi rappresentati, ed anticipata previsione di ogni misura di compatibilizzazione, costituiscono quindi precondizioni per la regolare prosecuzione del segmento procedimentale “dedicato” alla tematica urbanistica.
L’attualità dello studio (e della risoluzione) delle problematiche ambientali, e l’attualizzazione del medesimo con riguardo alle modifiche via via insorte (e, deve ritenersi, alle eventuali nuove esigenze a ragione prospettate) costituisce condizione perché l’affermazione della necessità della preventiva risoluzione di tali questioni non resti vana espressione di intenti priva di rispondenza con la realtà.
Non può obliarsi, infatti, la circostanza che, anche con riferimento alla VIA, si è costantemente affermato, da parte della giurisprudenza amministrativa, che “la valutazione di impatto ambientale deve intervenire sul progetto definitivo e non su quello esecutivo, dovendosi ammettere la necessità di una nuova valutazione soltanto allorché la progettazione esecutiva comporti importanti variazioni all\'opera già esaminata, tali da alterarne le caratteristiche, atteso che il progetto definitivo non è mutabile nella sua sostanziale struttura ad opera di quello esecutivo (salve, naturalmente, le eventuali puntualizzazioni dell\'opera, cui è specificatamente finalizzato il progetto esecutivo medesimo), tanto più che nella fase successiva non sarebbero introducibili mutamenti della localizzazione dell\'opera.” (Consiglio Stato , sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1649).
La Sezione,poi, ha ancora di recente affermato, in tema di adeguamento delle procedure di VIA alle modifiche progettuali, naturali, strutturali, intervenute, che, se da un canto “La valutazione di impatto ambientale riguarda gli aspetti che risultino in grado di incidere sui fattori di rischio individuati dalla normativa di riferimento e la valutazione effettuata nella fase preliminare non preclude che - in sede di progettazione definitiva - siano approvate modifiche senza che ciò renda di per sé necessario procedere ad una nuova Via.” (Consiglio Stato , sez. VI, 22 novembre 2006, n. 6831).
Inoltre, si è rilevato che “costituisce principio pacifico quello secondo cui la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale si impone allorché le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato. Nel caso di un\'autorizzazione alla realizzazione di un intervento in più fasi, è necessaria una valutazione di impatto ambientale se nel corso della seconda fase (e quindi anche in sede di variante) il progetto può avere un impatto ambientale importante, in particolare per la sua natura, le sue dimensioni o la sua ubicazione. (Consiglio Stato , sez. VI, 31 gennaio 2007, n. 370).
Orbene, nel caso di specie si è ben al di sotto di tale soglia di completezza della anticipata valutazione di compatibilità ambientale, ed esattamente i Giudici di prime cure hanno stigmatizzato tale carenza.
Non può fondatamente contestarsi, invero, che – come è peraltro dato leggere testualmente nella impugnata sentenza- “il decreto impugnato ha posto a fondamento le risultanze di uno studio di compatibilità ambientale effettuato nel lontano 1992 senza considerare le variazioni progettuali intervenute”; e neppure può essere contestata la ulteriore affermazione, contenuta nella sentenza in epigrafe, secondo la quale “il progetto, (come si evince anche dal parere reso dall’Assemblea generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici del 17 maggio 1996, n. 112, che conclude affermando testualmente che “il progetto… così come presentato.. debba essere rielaborato… sulla base dei precedenti “considerato”) abbia subito notevoli variazioni.
Tanto è confermato dall’ANAS nei “criteri di progetto” allegati al progetto definitivo (aggiornamento del progetto originario in attuazione del parere del Consiglio Superiore dei LL.PP. n. 112 del 17 maggio 1996) in risposta ai rilievi del Consiglio in relazione alla “sezione trasversale”, che “appare insufficiente allo svolgimento di tutti i compiti ad essa assegnati …”, ove afferma chiaramente che “la galleria è stata interamente riprogettata”.
E d’altro canto la semplice analisi delle disposizioni legislative che l’intervento suddetto prevedevano, ove raffrontata con il testo dell’impugnato decreto e con le affermazioni di cui al verbale della conferenza di servizi tenutasi nel 2002, “fotografa” senza possibili equivoci la situazione.
Con la legge 9 febbraio 1982, n. 32, invero, l\'Azienda nazionale autonoma delle strade venne autorizzata ”a realizzare nella galleria del Gran Sasso dell\'autostrada L\'Aquila- Villa Vomano, un manufatto da adibire a sede di un laboratorio di fisica nucleare.” (art. 1 della legge citata);la legge 29 novembre 1990, n. 366 poi, all’art. 1 previde (se ne riporta integralmente il testo) che “L\'Azienda nazionale autonoma delle strade (ANAS) è autorizzata a progettare il definitivo completamento del laboratorio di fisica nucleare del Gran Sasso relativamente alle seguenti opere:
a) due nuove sale laboratorio in sotterraneo;
b) una galleria carrabile di accesso e servizio per il collegamento autonomo del laboratorio in sotterraneo con l\'esterno sul versante aquilano, ivi compresa la corsia di attesa, le nicchie ospitanti il monitoraggio ambientale e gli eventuali cunicoli di emergenza;
c) l\'ampliamento ed adeguamento del centro direzionale - laboratorio esterno, nell\'area adiacente il fabbricato esistente, nonché il suo allaccio alla galleria di collegamento con il laboratorio sotterraneo.
2. In considerazione della particolare natura delle opere di cui al comma 1, il progetto è sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui all\'articolo 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, secondo le modalità stabilite dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 1988, n. 377, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 204 del 31 agosto 1988, e con particolare riferimento alla valutazione dell\'impatto con l\'equilibrio idrogeologico della montagna.
3. L\'ANAS è autorizzata a realizzare le opere di cui al comma 1 in caso di esito positivo della valutazione di impatto ambientale, o parte di esse in caso di esito parzialmente positivo della suddetta valutazione, conformemente alle indicazioni del Ministero dell\'ambiente, assumendo, se necessario, le opportune misure di mitigazione e le eventuali alternative indicate.
4. Ricorrendo i motivi previsti dalle lettere b) , c) e d) del primo comma dell\'articolo 5 della legge 8 agosto 1977, n. 584, l\'ANAS può curare l\'esecuzione degli interi lavori di cui alla presente legge secondo le modalità già previste dai commi secondo, quarto e quinto dell\'articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 32.
5. Completate le opere di cui al comma 1, l\'ANAS le consegna all\'Istituto nazionale di fisica nucleare, il quale provvede con propri fondi all\'attrezzatura, alla sperimentazione, alla gestione ed alla manutenzione delle stesse.”
Il riferimento di cui al comma terzo della citata disposizione alle “facoltà” dell’Anas, quindi, è sempre inteso con riguardo alle opere indicate al comma I della citata disposizione.
Premesso che appare esatta la osservazione dell’Ente Parco appellante incidentale secondo cui il decreto impugnato fa riferimento alla doverosità della “messa in sicurezza dei laboratori” che costituisce “novum” non menzionato né nella citata disposizione di legge né nel verbale della conferenza di servizi del 2002, appare dirimente osservare che:
a)nel corso dei lavori della conferenza suddetta del 21.1.2002 (vedasi verbale dei lavori, pag 7) emersero perplessità tali –espresse dal rappresentante in seno alla conferenza del Ministero dell’Ambiente- che si rese necessario accantonare l’intervento concernente “ le due nuove sale del laboratorio di fisica nucleare”;
b) che pertanto la galleria, ab origine prevista quale “servente” le due nuove sale, sarebbe priva del termine di riferimento che ne giustificava la “nascita”;
c) che in detta sede lo stesso rappresentante del Ministero dell’Ambiente ebbe a fare presente (premettendo che quanto andava ad esprimere sarebbe stato oggetto di “formale comunicazione del servizio VIA”) le “perplessità emerse per ciò che potrebbe derivare, a seguito dell’avvenuta realizzazione delle opere in oggetto sul bilancio idrico del sistema acquifero del Gran Sasso”; (vedasi verbale dei lavori, pag 7);
d) che il predetto rappresentante condizionò il proprio assenso allo stralcio delle sale- laboratorio (il che realmente,avvenne, come evidenziato prima) non mancando però di evidenziare circa la “realizzazione della galleria di servizio”, ed utilizzando il verbo al condizionale, che (vedasi il predetto verbale dei lavori, pag 8) “….non andrebbero a comportare danni aggiuntivi, salvo quanto detto circa l’ultimo tratto a partire dalla progressiva 5000”, non mancando di rilevare la necessità (rectius: “indispensabilità”) di “continuare le attività di controllo, indagine, e monitoraggio…..”.
e) che (vedasi verbale dei lavori, pag 7), riferendosi a “quanto detto circa l’ultimo tratto a partire dalla progressiva 5000” il rappresentante del Ministero dell’Ambiente non esprimeva una preoccupazione generica o di trascurabile rilievo, quanto invece quella concernente proprio il posizionamento della galleria, “in zona che non dovrebbe essere soggetta a consistenti venute d’acqua, ad eccezione dell’ultimo tratto a partire dalla progressiva 5000”;
Orbene: laddove si consideri la natura delle “perplessità residue” espresse nel 2002, direttamente incidenti su uno specifico tratto della galleria (unica opera realizzabile, come emerso in sede di conferenza di servizi); che la VIA risaliva al 1992; che il progetto presentato era sostanzialmente identico, nella struttura, a quello presentato durante i lavori della seduta della conferenza di servizi tenutasi nel 2000 (e sul quale erano già state espresse numerose perplessità); che in sede di conferenza di servizi tenutasi nel 2000 il rappresentante pro-tempore del Ministero dell’Ambiente non espresse parere in quanto “il giudizio favorevole di compatibilità ambientale espresso il 12.8.1992 era subordinato all’ottemperanza di pareri e prescrizioni che allo stato non risultavano ancora ottemperati”; che ancora nel 1999 (ben successivamente, quindi, alla VIA, intervenuta nel 1992) il Servizio Geologico Nazionale (si veda pag 9 della nota versata in atti indirizzata al Ministero dell’Ambiente)e l’ Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente espressero riserve con riferimento alle numerose problematiche di natura idrogeologica rimaste insolute o non affrontate; che (si veda l’allegato n. 4 al ricorso di primo grado proposto dalla Provincia di Teramo) l’Istituto Superiore della Sanità aveva raccomandato “il coinvolgimento e l’intervento delle autorità sanitarie e locali per la risoluzione dei problemi di natura idrica emersi” (con prescrizione, si è correttamente osservato nella sentenza di primo grado, sostanzialmente inosservata quanto alle Autorità sanitarie), si avrà un quadro complessivo della lacuna istruttoria prodromica al deliberato sulla localizzazione dell’opera.
A tale lacuna istruttoria, direttamente incidente sulla (unica) residua porzione dell’opera ritenuta realizzabile, non è stata fornita diretta risposta dall’amministrazione procedente, in epoca antecedente alla intesa urbanistica maturata nel maggio 2002.
Vi si è “ovviato” ai sensi dell’art. 4 dell’impugnato decreto del maggio 2002 delegando l’ANAS a concludere l’iter “compatibilmente con le problematiche emerse nella conferenza di servizi, soprattutto riguardanti la tutela del sistema dell’acquifero del Gran Sasso d’Italia”.
La apparente inesattezza dell’inciso di natura temporale contenuto in tale articolo del decreto, invero fornisce sintetica risoluzione ai dubbi di legittimità sull’operato dell’amministrazione condivisibilmente risolti nel senso della loro fondatezza dall’appellata sentenza: le problematiche riguardanti la tutela del sistema dell’acquifero del Gran Sasso d’Italia, per il vero, non emersero “in conferenza di servizi”. Emersero assai prima, e risalgono, insolute, al 1992 (decreto VIA condizionato).
Ad esse non venne data troncante risposta, ancora nel corso dei lavori della conferenza di servizi tenutasi nel 2002, come si ritiene di avere dimostrato dianzi. Al contrario permanevano integre, in detta epoca, quantomeno con riferimento all’ultimo tratto della erigenda galleria.
Ciò in sostanziale difformità dall’orientamento, che si è visto costituire jus receptum in giurisprudenza, concernente la necessità che la completa valutazione delle problematiche ambientali preceda logicamente e temporalmente, il procedimento di verifica della compatibilità urbanistica dell’opera ex art. 81 del dpr n. 616/1977, piuttosto che seguirlo.
Il ricorso in appello dell’amministrazione non supera queste considerazioni, e pertanto deve essere respinto, con conseguente conferma dell’appellata sentenza, nei termini di cui alla motivazione, e declaratoria di improcedibilità per carenza di interesse dell’appello incidentale proposto dall’Ente Parco succitato.
A cagione della complessità delle questioni trattate possono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello incidentale proposto dalla Provincia di Teramo; respinge l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale proposto dall’Ente Parco Gran Sasso.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2008 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l\'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Bruno Rosario Polito Consigliere
Roberto Giovagnoli Consigliere
Fabio Taormina Consigliere Rel.

Presidente
Giovanni Ruoppolo
Consigliere Segretario
Fabio Taromina Giovanni Ceci



DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il...18/03/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva



CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa

al Ministero..............................................................................................

a norma dell\'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

Il Direttore della Segreteria