Cass. Sez. III Sentenza n. 5975 del 7 febbraio 2013 (Ud.5 dic 2012)
Pres. Lombardi Est. Rosi Ric. Massaro e altro
Alimenti.Prodotti in confezioni originali

In tema di disciplina degli alimenti, dovendo per "confezione originale" intendersi ogni recipiente o contenitore chiuso, destinato a garantire l'integrità originaria della sostanza alimentare da qualsiasi manomissione e ad essere aperto esclusivamente dal consumatore quando i prodotti alimentari non sono confezionati in involucri o recipienti sigillati, che non ne consentono l'analisi senza il loro deterioramento o la loro distruzione, il commerciante o detentore di essi a scopo di vendita o somministrazione risponde a titolo di colpa della non corrispondenza del prodotto alimentare alle norme di legge. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità degli imputati che detenevano per la vendita sedano non confezionato e detenuto in cassette di legno, contaminato da sostanze fitochimiche).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Presidente - del 05/12/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 3000
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - rel. Consigliere - N. 17498/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) MASSARO DOMENICO N. IL 21/10/1952;
2) MONGELLI MICHELANGELO N. IL 28/04/1968;
avverso la sentenza n. 25163/2010 TRIB. SEZ. DIST. di MOLFETTA, del 14/06/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MONTAGNA Alfredo che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito il difensore Avv. Manolfa Giuseppe del foro di Bari per Mongelli che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 giugno 2011, il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, ha condannato Massaro Domenico e Mongelli Michelangelo alla pena di Euro 2.000 di ammenda, dichiarandoli responsabili del reato di cui all'art. 6, comma 3, in relazione alla L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. h), perché il Massaro in qualità di amministratore della Cooperativa Ortofrutticola Riforma Fondiaria Pozzelle Murge ed il Mongelli, in qualità di amministratore della Valmont Frutta snc, detenevano per la vendita sedano contaminato da residui attivi di Cloripirifes Metile (pari a 0,09 mg/kg), sostanza vietata su questo tipo di coltura ai sensi del D.M. Salute del 27 agosto 2004, art. 5 e successive modificazioni;
fatto accertato in Molfetta, il 16 giugno 2008.
2. Avverso la sentenza, il Massaro ha proposto appello, chiedendo l'assoluzione per il reato contestato, perché il fatto non sussisterebbe o per non aver commesso il fatto. Le dichiarazioni testimoniali avrebbero dimostrato la buona fede del ricorrente nella vendita del prodotto. Inoltre, le analisi del prodotto, nonostante la natura deteriorabile del sedano, sarebbero state effettuate senza avviso alle parti interessate e da un laboratorio non accreditato dal SINA, sicché il rapporto di prova sarebbe inutilizzabile. 3. Con ordinanza del 28 febbraio 2012, la Corte di Appello di Bari ha convertito l'impugnazione in ricorso per cassazione, trasmettendo gli atti a questa Corte.
4. L'imputato Mongelli ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità ed erronea applicazione della legge penale, poiché la responsabilità dell'imputato sarebbe stata fondata su una prova inutilizzabile, perché acquisita secondo modalità contrarie a quelle previste dalla legge ed in violazione delle garanzie difensive. Il rapporto di prova, a seguito di analisi su un campione di sedano prelevato presso l'esercizio all'ingrosso del Mongelli, sarebbe stato redatto dal Dipartimento ARPA Puglia di Bari, un laboratorio non accreditato a svolgere i suddetti esami. Le indagini avrebbero dovuto essere compiute, al contrario, da laboratori provinciali di igiene espressamente autorizzati come previsto dalla L. n. 283 del 1962, art. 1. Inoltre, non si sarebbe tenuto conto del fatto che a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale n. 434 del 1990, il laboratorio avrebbe dovuto dare avviso alle persone interessate dell'inizio delle operazioni della facoltà di assistervi anche con l'assistenza di un consulente. Infatti non rileverebbero la natura delle analisi, se microbiologiche o chimiche, ma la natura del prodotto alimentare analizzato, che nella specie era deteriorabile; 2) Vizio di motivazione in quanto all'imputato non sarebbe stata riconosciuta la causa di non punibilità di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 19 poiché il prodotto era stato acquisito dall'imputato quale grossista in colli originali preconfezionati per essere rivenduto al dettaglio; 3) Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed c), essendo stata applicata illegittimamente la pena accessoria della pubblicazione della sentenza con conseguente preclusione per l'imputato del beneficio di cui agli artt. 163 e 175 c.p.. Infatti, dal capo di imputazione non risulterebbe la contestazione dell'aggravante di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 6, comma 4, ma esclusivamente la detenzione per la vendita di sedano contaminato da residui attivi di un fitofarmaco vietato sul tipo di coltura oggetto di commercializzazione, sicché la sentenza sarebbe nulla per quanto attiene alla ritenuta aggravante della frode tossica nonché per quanto attiene al conseguente trattamento sanzionatorio. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, comune ad entrambe le parti deve essere rigettato perché infondato. La sentenza di merito ha dato atto che sui campioni di sedano, prelevati dalle casse rinvenute presso la cooperativa di Andria, erano stati compiuti gli accertamenti volti a verificare l'esistenza di sostanze fitochimiche il cui impiego non è consentito sui prodotti ortofrutticoli e che alle parti era stato dato avviso con raccomandata della possibilità di effettuare la revisione delle analisi sul campione. Risulta altresì pacifico che nella fattispecie in esame gli imputati furono avvertiti dei risultati delle analisi, al fine di poter esercitare la facoltà di richiedere la revisione, facoltà di cui, però, non si sono avvalsi. Per quanto concerne l'analisi dei campioni, deve farsi riferimento all'art. 223 disp. att. c.p.p.. Giova premettere che, con sentenza n. 434/1990, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della L. n. 283 del 1962, art. 1, comma 2, nella parte in cui non prevede che - per i casi di analisi su campioni prelevati da sostanze alimentari deteriorabili - il laboratorio competente dia avviso dell'inizio delle operazioni alle persone interessate, affinché queste possano presenziare ad esse, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico. Le procedure di cui all'art. 223 sono state espressamente richiamate poi dal D.Lgs. n. 123 del 1993, concernente i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili. Orbene, l'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 1 si riferisce alle analisi di campioni per i quali non è prevista la revisione (Cfr. Sez. 3, n. 2360 del 19/11/2009, dep. 19/1/2010, Prevedini, Rv.25910); è evidente che in questo caso deve essere assicurata subito un'adeguata difesa ai soggetti interessati alle analisi, giacché altrimenti risulterebbe definitivamente pregiudicata la loro successiva posizione processuale, per cui la norma prevede l'obbligo di avvertirli - anche oralmente e senza specifico onere di verbalizzazione - dell'ora e del luogo ove le analisi verranno effettuate; detto preavviso costituisce l'unico requisito di utilizzabilità in giudizio delle analisi dei campioni, che sono atti tipicamente amministrativi e non giudiziari, ma che hanno piena rilevanza probatoria nell'ambito del processo penale. L'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 2 disciplina, invece, l'ipotesi in cui sia prevista la revisione delle analisi ed essa sia richiesta. In tal caso agli interessati, ed agli eventuali loro difensori, devono essere comunicati - almeno tre giorni prima - la data, l'ora ed il luogo di espletamento delle operazioni di revisione, non essendo in alcun modo garantita la possibilità di partecipazione alle prime analisi.
In definitiva, come ha già avuto modo di precisare questa Corte, il legislatore ha individuato due momenti differenti in cui sorge l'obbligo di avvertire gli interessati per assicurare loro un'adeguata tutela in caso di analisi (pena la inutilizzabilità dei risultati delle stesse): 1) subito dopo il campionamento ed in tempo utile per assistere alle prime analisi, per i campioni per i quali non è prevista la revisione; 2) dopo le prime analisi, quando la revisione sia possibile e venga richiesta dagli interessati, ed almeno tre giorni prima di essa. Ovviamente la concreta possibilità di effettuare la revisione delle analisi è collegata ad un dato obiettivo: la non deteriorabilità del campione, sussistendo altrimenti la fisica impossibilità di una reiterazione di esse;
pertanto quando il campione non è deteriorabile, legittimamente viene esclusa dalla legge la partecipazione degli interessati alle prime analisi, giacché la revisione consentirebbe comunque, anche se in un momento successivo, di esercitare le garanzie difensive ad essi spettanti (cfr. Sez. 3, 13 novembre 1997, n. 11828, Andergassen ed altro).
2. Alla luce dei principi sopra richiamati, dal momento che il sedano era stato congelato, poteva certamente essere effettuata - con evidente attendibilità dei risultati - la revisione delle analisi sui campioni prelevati, laddove le parti si fossero avvalse della facoltà di chiederla e di tale facoltà le parti erano state prontamente edotte, ove si consideri che, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, il riscontro di elementi fitochimici sarebbe comunque stato esperibile per un lungo periodo anche su alimenti deteriorabili. Invero anche l'individuazione delle sostanze alimentari deteriorabili effettuata con D.M. 16 dicembre 1993, è finalizzata esclusivamente ai controlli microbiologici ufficiali di cui al D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, ma non certo agli altri tipi di accertamenti, quale quello in questione, relativo alla ricerca di additivi chimici (cfr. Sez. 3, n. 28496 del 17/5/2007, dep. 18/7/2007, Ilario e altri, Rv.237227). In definitiva, questo Collegio ritiene che nel caso di specie sarebbe stata utilmente esperibile l'analisi di revisione, per cui gli imputati, per contestare i risultati delle prime analisi del prodotto, avrebbero dovuto avvalersi della possibilità di richiederla. Dal momento che non si sono avvalse di tale facoltà, non può essere eccepita l'inutilizzabilità processuale delle prime analisi, i cui risultati provano, sotto il profilo oggettivo, la sussistenza della contravvenzione contestata.
3. Per quanto riguarda l'ulteriore doglianza, relativa alla natura dell'ente incaricato ad effettuare le indagini di laboratorio, anch'essa risulta infondata, non avendo i giudici del merito rilevato dagli atti processuali alcun comportamento irregolare da parte dell' autorità di controllo nella sua attività di indagine, che è stata svolta nel rispetto delle regole imposte dall'autorità pubblica titolare del potere di controllo.
4. Del pari infondata risulta la censura relativa alla mancata applicazione dell'art. 19 cit. Legge. In tema di disciplina degli alimenti, questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 8085 del 13/05/1999, Nerbi, Rv. 214654) ha affermato che per "confezione originale" deve intendersi ogni recipiente o contenitore chiuso, destinato a garantire l'integrità originaria della sostanza alimentare da qualsiasi manomissione e ad essere aperto esclusivamente dal consumatore di essa. Ed invero, quando i prodotti alimentari non sono confezionati in involucri o recipienti sigillati, che non ne consentono l'analisi senza il loro deterioramento o la loro distruzione, il commerciante o detentore di essi a scopo di vendita o somministrazione risponde a titolo di colpa della non corrispondenza del prodotto alimentare alle norme di legge perché, in tal caso, la merce è controllabile anche attraverso appropriate analisi, almeno a campione, dal che discende l'onere di porre in essere quelle cautele che la prudenza, le circostanze del caso e la natura del prodotto consigliano.
Orbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato conto del fatto che il sedano era stato prelevato da cassette di legno, sicché non essendovi alcuna confezione del prodotto, correttamente il giudice di merito ha sottolineato come l'imputato bene avrebbe potuto e dovuto effettuare i controlli necessari, sicché deve escludersi che sussistano i presupposti per l'applicazione della norma invocata dall'imputato.
5. Risulta, invece, fondato l'ultimo motivo di ricorso. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che per "frode tossica" deve intendersi un fatto reato, quale previsto negli artt. 5 e 6 della cit. Legge, "insidioso per se stesso o produttivo di effetti insidiosi, da cui derivi un'attitudine della sostanza a produrre effetti intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute del consumatore da accertarsi in concreto" (in tal senso, Sez. 3, n. 13535 del 5/2/2009,dep. 27/3/2009, Mascagni, Rv. 243388). Nel caso di specie, invece, va osservato che l'aggravante di cui alla previsione legislativa dell'art. 6, comma 4, della cit. Legge, non risulta contestata formalmente nel capo di imputazione, e di essa neppure viene fatto cenno nella parte motiva della sentenza, nella narrativa dei fatti contestati all'imputato. Inoltre la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento ad effetti intossicanti o pericolosi per la salute, che siano stati accertati in concreto. Nè il giudice di merito ha fatto menzione dell'eventuale esecuzione di esami di laboratorio dall'esito dei quali possano essere dedotti effetti intossicanti o comunque elementi determinanti un pericolo concreto di danno alla salute, derivanti dal consumo del sedano in questione. Ne consegue la nullità della sentenza impugnata per quanto attiene alla ritenuta aggravante della frode tossica ed al conseguente trattamento sanzionatorio, nonché per quanto concerne la disposta pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla ipotesi della frode tossica con rinvio al Tribunale di Bari, mentre nel resto i ricorsi devono essere rigettati.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ipotesi della frode tossica e rinvia al Tribunale di Bari; rigetta nel resto i ricorsi. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2013