TAR Lombardia (BS) Sez. II sent. 2238 del 19 novembre 2009
Acque. Servizio idrico integrato

Non può essere riconosciuto ad alcun Comune il potere di autodeterminarsi sull’organizzazione e sulla gestione del servizio idrico integrato, in quanto ogni decisione in tal senso deve avvenire all’interno dell’Autorità d’ambito e secondo le sue regole di funzionamento: in buona sostanza le determinazioni dell’Autorità assumono portata vincolante sull’intero territorio provinciale in virtù di una precisa scelta legislativa. Da quanto esposto deriva che la singola amministrazione locale non può intraprendere percorsi autonomi e scegliere modalità di gestione diverse da quelle individuate dall’Autorità: per questo motivo, ove non aderisca, esso non ha interesse a contestare le determinazioni da quest’ultima legittimamente assunte né può far valere un interesse di tipo strumentale, avendo assunto sotto la propria responsabilità la decisione espressa di non farne parte e pertanto non potendo pretendere di imputare all’Ente sovracomunale le conseguenze di una propria autonoma scelta.
N. 02238/2009 REG.SEN.
N. 00417/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA



Sul ricorso numero di registro generale 417 del 2007, proposto da:
Comune di Adro, rappresentato e difeso dall’avv.to Andrea Soncini, con domicilio eletto presso Piercarlo Portieri in Brescia, Via Gramsci n. 16 (Fax=030/3757724);


contro


Conferenza dell’Ambito Territoriale Ottimale della Provincia di Brescia, rappresentata e difesa dall\'avv. Riccardo Farnetani, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Malta n. 12;
Provincia di Brescia, rappresentata e difesa dagli avv. Katiuscia Bugatti, Gisella Donati, Magda Poli, con domicilio eletto presso con domicilio eletto la sede dell’Avvocatura prov.le in Brescia, Piazza Paolo VI n. 16;
Regione Lombardia, non costituitasi in giudizio;

per l\'annullamento
previa sospensione dell\'efficacia,

- DELLA DELIBERAZIONE DELLA CONFERENZA DELL’A.T.O. IN DATA 21/12/2006 N. 7, RECANTE L’APPROVAZIONE DEGLI ATTI PER LA COSTITUZIONE DELL’AUTORITA’ D’AMBITO IN FORMA DI CONSORZIO EX ART. 31 DEL D. LGS. 267/2000;

- DI OGNI ALTRO ATTO PRESUPPOSTO E SUSSEGUENTE, COMPRESA LA DELIBERAZIONE DELLA CONFERENZA DELL’A.T.O. IN DATA 14/6/2006 N. 2 AVENTE PER OGGETTO L’APPROVAZIONE DEL PIANO D’AMBITO;


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l\'atto di costituzione in giudizio della Conferenza dell’Ambito Territoriale Ottimale della Provincia di Brescia;
Visto l\'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Brescia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell\'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2009 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


Il Comune ricorrente espone anzitutto il quadro normativo vigente nella materia controversa.

La L. 36/94 ha istituito il servizio idrico integrato e ha previsto la creazione degli Ambiti Territoriali Ottimali (A.T.O.) mentre la L.r. 21/98, in attuazione dei principi generali, ha individuato gli Ambiti (corrispondenti ai confini delle Provincie) e ha disposto l’attivazione – mediante lo strumento della convenzione – di una Conferenza con il coinvolgimento di tutti i Comuni interessati. Il suo funzionamento è stato disciplinato dal successivo regolamento regionale 5/2001.

Per l’Ambito coincidente con il territorio bresciano la Conferenza è stata istituita nominando la Provincia quale Ente responsabile del coordinamento, ed anche il Comune di Adro ha aderito alla convenzione con deliberazione consiliare 30/9/2002 n. 39.

Il nuovo organismo ha iniziato la propria attività ed ha continuato ad operare fino al 2006.

Specifica l’amministrazione locale ricorrente che:

• la Conferenza d’Ambito ex art. 2 comma 2 del regolamento regionale 5/2001 realizzava una forma di coordinamento e cooperazione tra Enti appartenenti all’A.T.O., i cui rapporti erano regolati da una convenzione priva di personalità giuridica che poteva prevedere soltanto uffici comuni e forme di consultazione (art. 30 D. Lgs. 267/2000); l’organo assembleare (Conferenza) era la sede ove gli Enti manifestavano la loro volontà attraverso i rispettivi rappresentanti;

• la L.r. 26/2003 ha abrogato la L.r. 21/98 ed il relativo regolamento, ed ha introdotto l’Autorità d’Ambito nelle forme di cui agli artt. 30 e 31 del D. Lgs. 267/2000, con la possibilità di scegliere tra il modello della convenzione e quello del Consorzio;

• il D. Lgs. 152/2006 ha ridefinito la materia ambientale e ha disposto la costituzione di un’unica Autorità d’Ambito dotata di personalità giuridica, a partecipazione obbligatoria, con trasferimento ad essa delle competenze in materia di gestione delle risorse idriche; il legislatore ha dunque escluso il precedente modello convenzionale;

• la L.r. 18/2006 si è adeguata alla nuova disciplina prevedendo un termine per l’adesione alla nuova Autorità, mentre la Giunta regionale ha approvato lo schema tipo per la costituzione del Consorzio e del relativo statuto (D.G.R. 13/12/2006 n. 3787 – doc. 8 ricorrente);

• con il provvedimento impugnato n. 7/2006 la Conferenza d’Ambito ha approvato gli atti per la costituzione dell’Autorità, avvalendosi di uno schema parzialmente difforme da quello regionale.

La Conferenza accordava a ciascuna amministrazione aderente un termine di 45 giorni per approvare la nuova bozza di convenzione, ma il Comune di Adro contestava il procedimento seguito. Faceva seguito la replica della Segreteria della Conferenza d’Ambito in data 6/3/2007 (doc. 11), che invitava a prestare adesione al nuovo organismo ed avvertiva che, in mancanza, sarebbero stati sollecitati i poteri sostitutivi dell’autorità regionale.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione la ricorrente impugna i provvedimenti in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di gravame:

a) Violazione dell’art. 148 del D. Lgs. 152/2006, in quanto la Conferenza e lo strumento convenzionale sono venuti meno con l’entrata in vigore del Testo unico in materia ambientale, ed il nuovo sistema prevede quale unico modello organizzativo quello del Consorzio, per cui fino a quando quest’ultimo non risulti formalmente costituito i suoi poteri non possono essere esercitati da altri soggetti ormai definitivamente decaduti;

b) Inosservanza dell’art. 147 comma 2 del D. Lgs. 152/2006 e dell’art. 49 della L.r. 26/2003, falsa applicazione dell’art. 5 della L.r. 18/2006, in quanto la bozza di convenzione approvata è indebitamente difforme dallo schema-tipo regionale in più punti;

c) Violazione dell’art. 44 della L.r. 26/2003 e dell’art. 154 del D. Lgs. 152/2006 poiché, con la modifica della bozza, i poteri di coordinamento istituzionalmente spettanti alla Regione risultano disconosciuti;

d) Violazione del principio di trasparenza, poiché i membri del Consiglio di amministrazione sono stati sostanzialmente imposti da un Comitato ristretto che costituisce articolazione della vecchia Conferenza.

Con ordinanza n. 443, adottata nella Camera di Consiglio del 24/5/2007, la Sezione ha motivatamente respinto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 12/11/2009 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.


DIRITTO


Il Comune ricorrente censura la deliberazione della Conferenza dell’A.T.O. in data 21/12/2006 n. 7, recante l’approvazione degli atti per la costituzione dell’Autorità d’Ambito in forma di Consorzio ex art. 31 del D. Lgs. 267/2000, nonchè la deliberazione della medesima Conferenza in data 14/6/2006 n. 2 avente per oggetto l’approvazione del Piano d’ambito;

Devono essere preliminarmente affrontate le eccezioni in rito sollevate dalle amministrazioni intimate.

1. La Conferenza d’Ambito e la Provincia hanno eccepito la tardività del gravame, in quanto in data 8/1/2007 il Comune di Adro ha preso cognizione della deliberazione n. 7/2006, come attestato dal timbro del protocollo di ricevimento apposto sul fax trasmesso dall’Autorità d’Ambito (doc. 18 Conferenza). La data di spedizione del ricorso a mezzo del servizio postale è del 27/3/2007 e pertanto il medesimo sarebbe stato proposto oltre il termine perentorio breve di 60 giorni.

L’eccezione è infondata.

1.1 Premette il Collegio che l\'onere della prova del momento di avvenuta conoscenza dell’atto impugnato e della sua portata lesiva incombe su chi eccepisce la tardività del ricorso giurisdizionale, e deve essere assolto mediante elementi univoci suscettibili di dimostrare – in modo certo ed inconfutabile – che il gravame è stato proposto dopo la scadenza del termine decadenziale (T.A.R. Liguria Genova, sez. I – 7/4/2006 n. 356; Consiglio di Stato, sez. V – 13/12/2005 n. 7058).

Nella specie l’avvenuta ricezione della nota 29/12/2006 – che dava conto dell’approvazione degli atti propedeutici alla costituzione dell’A.T.O. in forma consortile – non può automaticamente implicare la conoscenza dei documenti da sottoporre all’approvazione dei Consigli comunali, né era configurabile in capo all’amministrazione ricorrente l’obbligo di acquisire in via diretta informazioni al riguardo. Quanto alla pubblicazione sul sito internet, va sottolineato che secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato la piena conoscenza dell’atto si ricollega all’avvenuta individuazione non solo della mera esistenza dello stesso ma anche del suo contenuto lesivo, sicché la pubblicazione vale a determinare la decorrenza del termine solo se tale formalità sia prevista da una norma “ad hoc”, nella specie non rintracciabile: l’adempimento della pubblicazione non può quindi surrogare il principio della piena conoscenza del provvedimento lesivo, salvo indurre un effetto esageratamente presuntivo ed aleatorio per i diretti interessati non gratificati dalla notificazione individuale (Consiglio di stato, sez. V – 7/7/2005 n. 3738).

Osserva peraltro il Collegio che il Comune di Adro è un soggetto giuridico direttamente interessato dagli effetti del provvedimento impugnato, che incide sulle modalità di organizzazione e di gestione del servizio idrico sul suo territorio, cosicché doveva necessariamente essere destinatario di una notifica in forma individuale sia dello schema di convenzione che della bozza di Statuto.

2. Con ulteriore eccezione le resistenti hanno affermato la carenza di interesse ad agire in capo al Comune di Adro, in quanto la caducazione degli atti impugnati non sortirebbe alcuna apprezzabile utilità: il Comune è stato assente alle Conferenze degli ultimi anni, non ha mai impugnato gli atti organizzativi del servizio e persevera nella gestione di quest’ultimo in economia.

L’eccezione è fondata.

2.1 Osserva anzitutto il Collegio che, in linea generale, il ricorso amministrativo non è un rimedio dato nell’interesse oggettivo della giustizia, ma principalmente per tutelare le posizioni dei singoli soggetti, i quali non sono tenuti a denunciare l’illegittimità degli atti della quale abbiano conoscenza se non nel momento in cui tale illegittimità si traduce concretamente in una lesione ai propri interessi. Pertanto, salvi i casi tassativi di azione popolare previsti dalla legge a tutela dell’oggettiva legittimità dell’azione amministrativa, l’impugnativa di un provvedimento è proponibile solo da parte del soggetto che sia titolare di un interesse legittimo che, in quanto tale, deve essere al contempo:

- qualificato da una previsione normativa che lo prende in considerazione insieme all’interesse pubblico;

- differenziato da quello al corretto svolgimento dell’attività amministrativa proprio della generalità dei consociati.

I presupposti di ammissibilità del ricorso giurisdizionale sono tradizionalmente identificati, in sede di teoria generale del processo amministrativo, con le cosiddette condizioni dell’azione. Acquistano una valenza specifica sia la legittimazione che l’interesse ad agire, concernenti rispettivamente l’esistenza in capo al ricorrente di un interesse sostanziale tutelato dall’ordinamento, che abbia subito un effettivo pregiudizio dal provvedimento amministrativo oggetto di ricorso, e la possibilità che il ricorrente possa ricevere un’utilità o un vantaggio, anche strumentale, dall’accoglimento del gravame (cfr. ex pluribus T.A.R. Lazio Roma, sez. I – 18/5/2005 n. 3841, T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 21/2/2002 n. 1007). Correlativamente la lesione dell’interesse del ricorrente deve tradizionalmente rivestire i caratteri dell’immediatezza, della concretezza e dell’attualità: deve cioè essere una conseguenza diretta del provvedimento lesivo e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, sussistere già al momento della proposizione del ricorso e persistere al momento della decisione di esso.

2.2 Con riferimento all’interesse, osserva il Collegio che nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 del c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’annullamento dell’atto impugnato: di conseguenza il ricorso è inammissibile per carenza di interesse quando non sussista alcun pregiudizio diretto ed immediato della sua posizione sostanziale, come quando venga prospettata un’eventuale e futura incidenza sulla sua sfera giuridica (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI – 14/2/2005 n. 1046; T.A.R. Sicilia Catania, sez. II – 5/12/2008 n. 2282).

L’interesse è considerato sufficiente anche se il suo carattere è meramente strumentale, avuto riguardo alla finalità di rimettere semplicemente in discussione il rapporto controverso ai fini del riesercizio del potere, in termini potenzialmente idonei ad evitare il pregiudizio sofferto o a conseguire il vantaggio sperato.

In definitiva l’interesse sotteso al ricorso giurisdizionale deve essere sempre correlato ad un’utilità sostanziale attuale e concreta a tutela della quale agisce chi propone l’azione di annullamento, e non deve mai tradursi nella mera pretesa al ripristino della legalità violata (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 14/1/2009 n. 75).

E’ pacifico che nel processo amministrativo, come nel processo civile, salva espressa previsione di legge non è ammessa l’azione popolare, ossia l’azione volta ad ottenere un mero controllo oggettivo della legittimità di un provvedimento amministrativo da parte del giudice per iniziativa del quisque de populo. Non sono ammesse nell’ordinamento forme di controllo giurisdizionale generalizzato sulla pubblica amministrazione, né sono possibili azioni dirette ad ottenere pronunce di principio al fine di orientare la futura azione amministrativa (Consiglio di Stato, sez. VI – 5/12/2002 n. 6657).

2.3 La necessità di assicurare l’osservanza della legge – obiettivo perseguito per conto della collettività locale – non costituisce dunque un elemento sufficiente a radicare in capo al Comune di Adro l’interesse a ricorrere, a prescindere da un’utilità o da un vantaggio ulteriore (sentenza T.A.R. Brescia – 28/12/2007 n. 1385).

Osserva il Collegio che lo stesso Comune sostiene, nella memoria finale depositata il 30/10/2009, di essere mosso dall’interesse “a contrastare lo specifico iter di costituzione del Consorzio …in quanto illegittimo sia proceduralmente che sostanzialmente”, senza accennare ad ulteriori pregiudizi provocati alla propria sfera giuridica.

Peraltro l’amministrazione non può dolersi dell’attività compiuta dagli altri Comuni malgrado la sua (volontaria) assenza. Il ricorrente infatti pare contestare l’illegittima “imposizione” della nuova Autorità d’Ambito, assuntamente creata in violazione delle “prerogative costitutive” dell’Ente locale. Mentre il Comune di Adro sostiene che non intende in realtà sottrarsi alla partecipazione all’Autorità d’Ambito, le resistenti hanno dato conto della mancata partecipazione alle riunioni del consesso e del suo interesse a proseguire nella gestione in economia.

Rilevante risulta in proposito la questione della titolarità del servizio idrico.

2.4 Già in base alla L.r. 26/2003 ogni potestà in materia di organizzazione del servizio idrico integrato e di adozione delle scelte gestionali più significative era demandata ad un organo sovracomunale – l’Autorità – cui competeva l’individuazione delle linee strategiche fondamentali e delle regole operative finalizzate al conseguimento degli obiettivi, senza che il singolo Comune potesse rivendicare il diritto di orientarsi autonomamente e di prescindere dalle determinazioni legittimamente assunte dagli Enti locali aderenti. Pur non essendo ancora previsto l’obbligo giuridico di entrare a far parte dell’A.T.O., in ogni caso l’Ente che decideva di non aggregarsi non poteva comunque assumere iniziative individuali.

2.5 Di seguito entrava in vigore il D. Lgs. 3/4/2006 n. 152, il quale completava il percorso delineato dai precedenti provvedimenti legislativi mediante il riconoscimento della personalità giuridica in capo all’Autorità d’Ambito, la previsione della partecipazione obbligatoria degli Enti locali del territorio (salvo per i Comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti facenti parte di una Comunità montana) e l’espresso trasferimento all’Autorità delle competenze spettanti ai Comuni in materia di programmazione delle infrastrutture e di gestione delle risorse idriche (art. 148 comma 1). Spetta invece alle Regioni e alle Province autonome la disciplina delle forme e dei modi della cooperazione tra gli Enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, assolto l’obbligo di costituire l’Autorità “cui è demandata l\'organizzazione, l\'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato” (art. 148 comma 2). Lo strumento cui avvalersi per la programmazione degli interventi anche sotto il profilo economico-finanziario e per la definizione del modello gestionale e organizzativo è il Piano d’ambito, approvato dall’Autorità ai sensi dell’art. 149 del D. Lgs.

In definitiva la scelta del legislatore statale e regionale è quella di superare le frammentazioni e di attribuire ad un unico Ente l’esercizio delle funzioni in materia di servizio idrico integrato, secondo le regole proprie della collegialità elaborate dalla Regione (art. 48 comma 3 L.r. 26/2003 così come modificato dalla L.r. 18/2006).

2.6 Non può pertanto essere riconosciuto ad alcun Comune il potere di autodeterminarsi sull’organizzazione e sulla gestione del servizio idrico integrato, in quanto ogni decisione in tal senso deve avvenire all’interno dell’Autorità d’ambito e secondo le sue regole di funzionamento: in buona sostanza le determinazioni dell’Autorità assumono portata vincolante sull’intero territorio provinciale in virtù di una precisa scelta legislativa.

Da quanto esposto deriva che la singola amministrazione locale non può intraprendere percorsi autonomi e scegliere modalità di gestione diverse da quelle individuate dall’Autorità: per questo motivo, ove non aderisca, esso non ha interesse a contestare le determinazioni da quest’ultima legittimamente assunte né può far valere un interesse di tipo strumentale, avendo assunto sotto la propria responsabilità la decisione espressa di non farne parte e pertanto non potendo pretendere di imputare all’Ente sovracomunale le conseguenze di una propria autonoma scelta.

3. In definitiva va dichiarata la carenza di interesse a ricorrere contro il provvedimento n. 7/2006, ed identica sorte subiscono le censure mosse avverso la deliberazione della conferenza dell’A.T.O. in data 14/6/2006 n. 2, avente per oggetto l’approvazione del Piano d’Ambito.

4. Peraltro le doglianze sono anche infondate nel merito.

4.1 Sotto un primo profilo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 148 del D. Lgs. 152/2006, in quanto la Conferenza e lo strumento convenzionale sono venuti meno con l’entrata in vigore del Testo unico in materia ambientale, ed il nuovo sistema prevede quale unico modello organizzativo quello del Consorzio, per cui fino a quando quest’ultimo non risulti formalmente costituito i suoi poteri non possono essere esercitati da altri soggetti ormai definitivamente decaduti. La Conferenza avrebbe viceversa illegittimamente esercitato i poteri che l’art. 48 comma 2 della L.r. 26/2003 riserva alla nuova Autorità d’Ambito: nella fattispecie non si realizza una successione tra organi né la trasformazione dalla vecchia alla nuova entità, ma è necessaria una nuova convenzione tra gli Enti locali da sottoporre ai rispettivi Consigli, e fino all’adesione dei Comuni il Consorzio non può ritenersi perfezionato né le sue prerogative appartengono ad altre autorità.

La censura è priva di pregio.

4.2 Osserva anzitutto il Collegio che la disciplina delle nuove Autorità d’Ambito non prevede in alcun punto l’automatico scioglimento delle Conferenze per effetto dell’entrata in vigore della nuova normativa. Al legislatore preme la costituzione dei nuovi organismi dotati di personalità giuridica e in quest’ottica la Conferenza, con il provvedimento impugnato n. 7/2006, ha predisposto le bozze di convenzione e di Statuto quali atti propedeutici alla costituzione del Consorzio. Questi ultimi devono poi essere sottoposti ai Consigli comunali entro 45 giorni: ciò significa che la manifestazione di volontà di ciascun Ente locale resta un elemento indefettibile, e che la Conferenza si è limitata a predisporre gli schemi sui quali ciascun Comune è chiamato a pronunciarsi. Per questo non si rivela esatta una lettura in chiave di successione o trasformazione di organi, configurandosi un vero e proprio fenomeno costitutivo, rispetto al quale la Conferenza si è limitata a creare le condizioni per la formazione del nuovo Ente pubblico.

Tale interpretazione è confermata dall’art. 172 comma 4 per tempo vigente, il quale prevede un termine di adesione dei Comuni alla nuova Autorità d’Ambito, implicitamente ammettendo la necessità del recepimento degli atti prodromici all’attività del nuovo soggetto giuridico, adempimento puntualmente previsto dalla deliberazione impugnata.

5. Sotto diverso profilo il Comune lamenta l’inosservanza dell’art. 147 comma 2 del D. Lgs. 152/2006 e dell’art. 49 della L.r. 26/2003, nonché la falsa applicazione dell’art. 5 della L.r. 18/2006, in quanto la bozza di convenzione approvata è indebitamente difforme dallo schema-tipo regionale in più punti:

I. l’art. 9 della bozza approvata prevede che le opere e gli interventi nell’Ambito spettino alle Società incaricate dell’erogazione del servizio e non a quelle che gestiscono reti ed impianti come previsto dallo schema regionale;

II. l’art. 10 della bozza non contempla la separazione tra l’attività di gestione delle reti e quella di erogazione del servizio (obbligatoria per la legge regionale e riportata nel relativo schema); ai sensi della L.r. 18/2006 l’autorità organizza il servizio idrico separando obbligatoriamente la gestione delle reti dall’erogazione dei servizi, senza che vi sia più facoltà di scelta per gli Enti locali; la Conferenza ha richiamato l’art. 5 comma 9 della L.r. 18/2006, ma è assente la verifica dei requisiti per la deroga e non è sufficiente il richiamo alle forme previste dalla legislazione vigente (i presupposti mancano peraltro, poiché non è stato approvato un Piano d’Ambito dall’Autorità – non ancora costituita – né è stato deliberato un affidamento secondo le procedure ad evidenza pubblica); non può valorizzarsi infine il Piano d’Ambito 2/2006 che non tiene conto del quadro normativo nuovo;

III. l’atto impugnato prevede una pluralità di gestioni del servizio che viceversa deve essere unica.

L’articolata doglianza è infondata.

5.1 Ritiene il Collegio che lo schema regionale sia soltanto un modello, come si evince dall’esame dell’art. 48 comma 2 lett. b) della L.r. 26/2003, il quale rimette all’Autorità tra l’altro “la definizione, sulla base dello schema tipo regionale, della convenzione tra enti locali ricompresi nello stesso ATO per l\'organizzazione del servizio idrico integrato”. In secondo luogo lo schema approvato si richiama alle forme di gestione previste dalla normativa vigente (art. 10 bozza convenzione), senza per questo violare alcuna disposizione. L’art. 5 comma 9 della L.r. 18/2006 stabilisce testualmente che “Fermi restando gli effetti degli affidamenti già deliberati dalle Autorità di ambito, l\'obbligo di separazione di cui al comma 1 dell\'articolo 49 della L.R. n. 26/2003 non si applica alle Autorità che, alla data del 10 luglio 2006, abbiano già approvato il Piano d\'ambito e deliberato di procedere, anche successivamente, all\'affidamento della gestione integrata ai sensi dell\'articolo 113, comma 5, lettere a) e b), del D. Lgs. n. 267/2000. La presente disciplina si applica anche in caso di affidamento a favore di una pluralità di soggetti, purché tale scelta sia stata operata nel rispetto di quanto disposto dal regolamento regionale 28 febbraio 2005, n. 4 …”.

La Provincia ha dato dimostrazione della sussistenza dei presupposti per la deroga, poiché il Piano d’ambito è stato approvato con deliberazione dell’A.T.O. n. 2 del 14/6/2006, mentre la delibera della Conferenza d’ambito n. 4 del 16/12/2005 ha definito le forme di gestione per le 3 aree omogenee create; per l’area Gardesana è stato disposto l’affidamento in house (atto n. 5 del 16/12/2005 – doc. 21); per le altre due aree si sta procedendo a individuare società miste ex art. 113 comma 5 lett. b del Testo unico (doc. 22 e 23 – atti n. 6 e 7 del 16/12/2005).

6. Inammissibile per difetto di legittimazione attiva è la censura afferente alla violazione dell’art. 44 della L.r. 26/2003 e dell’art. 154 del D. Lgs. 152/2006 poiché, con la modifica della bozza, i poteri di coordinamento istituzionalmente spettanti alla Regione risulterebbero disconosciuti. Si tratta infatti di doglianza che può far valere soltanto la competente autorità regionale, e che si riferisce ad una violazione che non incide in via diretta sulla posizione del Comune di Adro.

7. Infondata infine è la dedotta violazione del principio di trasparenza, poiché i membri del Consiglio di amministrazione sarebbero stati sostanzialmente imposti da un Comitato ristretto che costituisce articolazione della vecchia Conferenza.

Al riguardo è sufficiente replicare che il Comitato ristretto ha elaborato una semplice proposta, rimettendola alla Conferenza, la quale poteva deliberare in piena autonomia, ferma restando la già affermata continuità di tale soggetto in attesa dell’adesione alla nuova Autorità d’Ambito.

In conclusione il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato, e deve essere respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e possono essere liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia, dichiara in parte inammissibile e in parte infondato il ricorso in epigrafe, e definitivamente pronunciando lo respinge.
Condanna il Comune ricorrente a corrispondere alle resistenti la somma di € 3.000 cadauna, a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad IVA, CPA e spese generali.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2009 con l\'intervento dei Signori:

Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario

L\'ESTENSORE

IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/11/2009