Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente  

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L'emergenza idrica in Italia, il libro bianco di Legambiente 2007
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Piove e nevica sempre meno, i ghiacciai si stanno ritirando a velocità mai viste prima, i fiumi si stanno asciugando. Non è catastrofismo, il quadro è davvero drammatico come testimoniano i dati resi noti dal rapporto della Protezione Civile sulla situazione idrologica: l'Italia sta diventando una terra arida. E se l'emergenza arriva in una fase in cui i cambiamenti climatici che hanno ridotto la disponibilità della risorsa idrica sono tra gli evidenti responsabili della gravità della situazione, sul banco degli imputati in prima fila ci sono le captazioni produttive, a partire da quelle per fini agricoli. L'agricoltura infatti in Italia si "beve" 20 miliardi di metri cubi all'anno di acqua, ossia il 49% del totale disponibile, una percentuale altissima che ci pone ben oltre la media europea fissa al 30%. Al secondo posto c'è l'industria che usa il 21%, quindi gli utilizzi civili per il 19%, infine il settore energetico che tra produzione idroelettrica e raffreddamento delle centrali arriva all'11%.

Questi e altri dati sono raccolti nel "Libro Bianco di Legambiente sull'emergenza idrica in Italia", un dossier che scandaglia a fondo le cause dell'emergenza siccità, racconta storie di gestione insensata e propone alcune soluzioni per ridurre drasticamente i consumi idrici nel nostro Paese. L'emergenza che ci sta colpendo deve tradursi in un'opportunità imperdibile per tutti i soggetti interessati, mondo dell'agricoltura e dell'industria in prima fila, che devono stringere un'alleanza strategica per affrontare e risolvere il problema.

È l'utilizzo irriguo che pesa come un macigno sul bilancio idrico nazionale. Le coltivazioni infatti, oltre a prelevare di più, sono anche quelle che restituiscono meno acqua all'ambiente, non più del 50% rispetto al 90% che ritorna disponibile dopo gli usi civili e industriali. Un dato preoccupante se calato nella realtà dei nostri fiumi, basti pensare che i prelievi idrici superficiali dal Po sono per il 95% a fini agricoli.

In questa grave scarsità idrica l'agricoltura e l'industria si trovano a essere nello stesso tempo colpevoli e vittime, ecco perché proprio loro devono attivarsi, magari rinunciando a qualcosa, con la consapevolezza che non sarà uno sforzo vano, ma un contributo alla collettività e soprattutto alle loro produzioni.

Un altro non meno significativo problema riguarda il basso costo dell'acqua nel nostro Paese. In media i cittadini italiani pagano 52 centesimi di euro al metro cubo, la metà della media europea, ma sempre più del prezzo stracciato fatto agli agricoltori che spendono fino a 100 volte meno. E solo in pochi casi vengono fatturati i reali consumi agricoli: su 190 consorzi di bonifica, meno di 10 li contabilizzano, mentre tutti gli altri fanno pagare agli agricoltori un forfait annuo sulla base della tipologia di colture e degli ettari. Un sistema che non incentiva certo un consumo sostenibile improntato sul risparmio.

Ma su questo punto i colpevoli sono molti di più. Ci sono gli imbottigliatori di minerale che sborsano cifre irrisorie per le concessioni delle fonti e realizzano profitti miracolosi dalla vendita (se l'acqua del rubinetto costa 52 centesimi al metro cubo, al supermercato arriva a 516 euro a fronte di un prezzo per le aziende spesso inferiore al centesimo); la rete idrica nazionale ridotta a colabrodo che lascia per strada il 42% dell'acqua immessa (il primato è di Cosenza con il 70%); progetti e investimenti irrazionali come il nuovo dissalatore di Agrigento che aumenta di 100 litri/ab/g la dotazione cittadina - già oltre la media dei consumi - mettendo altra acqua in una rete le cui condotte perdono da tutte le parti (54%) e dove l'acqua per cucinare si continua a comprare extra nei negozi specializzati.

Come invertire la rotta? Per Legambiente occorre in primo luogo mitigare le cause, arrestando senza perdere altro tempo i cambiamenti climatici in atto, per adattarsi agli effetti e ridurne la portata. Ma contestualmente bisogna cambiare radicalmente l'approccio all'uso della risorsa, passando dalla politica della domanda a quella basata su una pianificazione e gestione razionale della risorsa disponibile.