Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4660, del 18 settembre 2013
Urbanistica.L’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico può rilevare violazioni aventi valenza urbanistica.

L’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ben può rilevare anche la violazione di regole derivanti dagli strumenti aventi una valenza urbanistica. Le regole urbanistiche in qualsiasi modo limitative dell’edificazione (ad es., quelle sul cd lotto minimo, quelle che comunque vietano o limitano l’antropizzazione) contribuiscono alla salvaguardia del territorio e dunque dell’ambiente e, se riguardano aree sottoposte al vincolo paesaggistico, contribuiscono a determinare il concreto regime giuridico del bene tutelato. Ne consegue che l’autorità statale, preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, deve tenere conto di tale regime giuridico e constatare la preclusione normativa alla modifica dello stato dei luoghi, anche se essa non è stata tenuta in considerazione da altre autorità. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

 

N. 04660/2013REG.PROV.COLL.

N. 04289/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 4289 del 2013, proposto dall’Ente Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, in persona del legale rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

il signor Paolo La Vecchia, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Sara Di Cunzolo, e Franco Morena, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Principessa Clotilde, 5;

nei confronti di

il Comune di Montecorice, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito nel presente grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n. 2237/2012, resa tra le parti;



Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Paolo La Vecchia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 luglio 2013 il Cons. Claudio Boccia e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis e gli avvocati Angelo Clarizia e Sara Di Cunzolo;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Il signor Paolo La Vecchia presentava nel 1995 al Comune di Montecorice un'istanza di condono, ai sensi della legge n. 724 del 1994, concernente l’ampliamento di un fabbricato sito in località Roviscelli di Montecorice, in un'area ricadente nel Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.

Nel corso del procedimento relativo all’esame dell’istanza di condono, il Comune chiedeva il parere del predetto Ente Parco il quale, con la nota n. 3084 del 29 febbraio 2012, disponeva che l’istanza presentata dal signor La Vecchia andasse integrata da ulteriore documentazione.

2. Con il ricorso n. 916 del 2012, proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, il signor La Vecchia chiedeva l’annullamento della nota dell’Ente parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano n. 3084 del 2012, nonché della nota n. 1118 del 2012 di trasmissione del precitato provvedimento, deducendo, inter alia, che l’autorità preposta alla tutela del vincolo non doveva rendere il proprio parere in quanto sull’area era stato apposto un vincolo di inedificabilità sopravvenuto rispetto alla data di realizzazione dell’abuso.

3. Con la sentenza n. 2237 del 2012 il Tar per la Campania accoglieva il predetto ricorso, rilevando che:

- il comma 43 bis dell’articolo 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito dalla legge n. 326 del 2003, (per il quale “le modifiche apportate con il presente articolo concernenti l’applicazione delle leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e 23 dicembre 1994, n. 724, non si applicano alle domande già presentate ai sensi della predetta legge”), avrebbe la finalità di non rendere utilizzabile per le domande di condono edilizio, presentate ai sensi delle predette leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, l’articolo 32 della legge n. 47 del 1985, così come riscritto dallo stesso d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, elidendo in radice l’applicazione del principio “tempus regit actum”;

- la domanda di condono, pertanto, non andrebbe esaminata tenendo conto della normativa vigente al momento della conclusione del procedimento amministrativo;

- la domanda di condono andrebbe, conseguentemente, esaminata in base alla disciplina che sarebbe stata comunque vigente ove la nuova disposizione non fosse stata introdotta e cioè in base a quanto previsto dalla legge n. 662 del 23 dicembre 1996, che, aggiungendo un terzo comma all’art. 32 della legge n. 47 del 1985, aveva stabilito che il parere delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo fosse dovuto solo qualora il vincolo stesso fosse stato istituito prima dell’abuso.

4. Avverso detta sentenza l’Ente parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano ha proposto appello, rilevando l’erroneità dell’interpretazione che il giudice di primo grado ha dato del vigente quadro normativo.

Ad avviso dell’Amministrazione appellante il sopra richiamato comma 43 bis andrebbe inteso nel senso che solo per le domande di condono presentate sulla base della “terza normativa sul condono” andrebbero applicate le disposizioni sostanziali più rigorose previste dal d.l. n. 269 del 2003, come convertito dalla legge n. 326 del 2003 mentre nulla sarebbe stato innovato con tale normativa rispetto alla regola generale per la quale la domanda di condono andrebbe esaminata tenendo conto della sopravvenienza dei vincoli, rispetto alla data d’ultimazione dell’abuso.

5. Con la memoria del 26 luglio 2013 si è costituito in giudizio il signor La Vecchia, chiedendo il rigetto dell’appello.

6. All’udienza del 30 luglio 2013 il Presidente del Collegio ha rilevato la sussistenza di tutti i presupposti per definire con sentenza il giudizio di secondo grado, dandone avviso alle parti presenti.

7. Rileva il Collegio che gli atti acquisiti in questo grado del giudizio sono sufficienti per definire la controversia con sentenza, poiché da essi emergono compiutamente i fatti accaduti e il contenuto degli atti emessi nel corso del procedimento.

8. Ciò posto, il Collegio osserva che, con la propria sentenza n. 2367 del 30 aprile 2013, è stata decisa una fattispecie analoga - sotto il profilo giuridico - a quella in esame.

In tale circostanza il Collegio ha ribadito che, in base alla pacifica giurisprudenza (consolidatasi a seguito della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 20 del 1999), il quadro normativo riconducibile alle disposizioni dei primi due condoni (di cui alle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994) va inteso nel senso che, se nel corso del procedimento di esame della domanda di condono entra in vigore una normativa o è emesso un provvedimento, che determina la sopravvenienza di un vincolo di protezione dell’area in questione, l’autorità competente ad esaminare l’istanza di condono deve acquisire il parere della autorità preposta alla tutela del “vincolo sopravvenuto”, che deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (Cons. di Stato, Sez. VI, 30 aprile 2013, n. 2367).

Nella medesima sentenza il Collegio ha, altresì, stabilito che “tale regola […] risulta del tutto condivisibile, poiché - con la disposizione o con l’atto amministrativo sopravvenuto - l’area è specificamente sottoposta ad un regime giuridico di protezione, rispetto al quale va valutata l’incidenza dell’abuso commesso.

Contrariamente a quanto rilevato nella sentenza impugnata, il sopra richiamato comma 43 bis va interpretato tenendo conto della complessiva normativa introdotta col c.d. terzo condono edilizio, di cui al d.l. n. 269 del 2003, come convertito nella legge n. 326 del 2003.

Come è noto, la normativa sul terzo condono ha previsto più rigorosi limiti - sotto vari profili - per l’accoglibilità delle domande, rispetto alle previsioni di cui alle leggi che hanno consentito i due primi condoni.

In assenza dell’art. 32, comma 43 bis del d.l. n. 269 del 2003, come convertito nella legge n. 326 del 2003, in sede interpretativa si sarebbe dovuto ritenere che - a seguito dell’entrata in vigore della normativa “più restrittiva” sul terzo condono e della abrogazione delle disposizioni “più favorevoli” agli autori degli abusi, contenute nelle leggi sui primi due condoni - le disposizioni sostanziali sopravvenute più restrittive si sarebbero dovute applicare anche in sede di valutazione delle domande di condono proposte in base alle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, in applicazione del principio tempus regit actum (per il quale una domanda di sanatoria, tranne i casi in cui la legge esiga la c.d. doppia conformità, va esaminata tenendo conto della situazione di fatto e di quella di diritto sussistente alla data in cui è definito il procedimento).

Per evitare tale conseguenza, e cioè per consentire la perdurante applicabilità della normativa sostanziale più favorevole prevista dalle leggi sui primi due condoni (malgrado la “stretta” decisa dal legislatore del 2003, sulla base della sua discrezionalità, in considerazione delle esigenze di salvaguardia del territorio), il sopra richiamato art. 32, comma 43 bis, ha dunque disposto che le istanze di condono - presentate in base alle prime due leggi del 1985 e del 1994 - continuassero a dover essere esaminate sulla base della normativa sostanziale anteriore a quella (più restrittiva) contenuta nella legge n. 326 del 2003: in tal modo, l’art. 32, comma 43 bis, nulla ha innovato sul quadro normativo riconducibile alle leggi sui due primi condoni, come interpretato dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 20 del 1999.

D’altra parte, sarebbe stata palesemente incostituzionale (per contrasto con gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, Cost.) una disposizione statale che avesse inteso porre nel nulla i poteri consultivi delle autorità preposte alla tutela del vincolo, il cui esercizio era stato a lungo impedito dall’inerzia degli enti locali.

Pertanto, il medesimo comma 43 bis non ha affatto inciso sui poteri delle autorità preposte alla tutela dei vincoli, imposti con legge o con atto amministrativo in un’area sulla quale è stato in precedenza commesso un abuso edilizio, né ha inciso sul loro dovere di constatare la presenza del vincolo d’inedificabilità assoluta (con cui la disposizione di legge o l’atto amministrativo hanno imposto l’immodificabilità dei luoghi e dunque l’insanabilità degli abusi ancora esistenti)”.

Il Collegio condivide e fa proprie tali considerazioni.

Pertanto l’appello va accolto e va respinta la censura ritenuta fondata dal TAR.

9. Con la citata memoria del 26 luglio 2013, di cui al punto 5., il signor La Vecchia ha riproposto in appello i motivi già addotti in primo grado, in parte accolti ed in parte ritenuti assorbiti dal Tar per la Campania: essi vanno pertanto esaminati in questa sede.

In particolare, con il primo motivo (I) l'appellato ha lamentato l'illegittimità dell'atto soprintendentizio impugnato per “violazione di legge (art. 39, l. n. 724 del 1994; art. 32, l. n. 47 del 1985; art. 32 comma 43 bis, l. n. 326 del 2003; artt. 1, 5, 7, d.P.R. del 5 giugno 1995; artt. 8 e 12, l. n. 394 del 1991) - eccesso di potere (carenza assoluta del presupposto - arbitrarietà - sviamento - difetto di istruttoria - violazione del giusto procedimento)”.

Secondo l'appellato, infatti, l'opera per la quale è stato chiesto il condono sarebbe stata realizzata prima dell'imposizione del vincolo, con la conseguenza che il parere soprintendenzio non sarebbe dovuto nel caso di specie.

9.1. Il motivo è infondato.

Osserva, infatti, il Collegio che tale motivo riguarda una censura già esaminata al precedente punto 8. al quale, pertanto, si rinvia.

9.2. Con il secondo motivo (II) il signor La Vecchia ha lamentato l'illegittimità dell'impugnata nota soprintendentizia per “violazione di legge (art. 39, l. n. 724 del 1994; art. 32, l. n. 47 del 1985; art. 32 comma 43 bis, l. n. 326 del 2003; artt. 1, 5, 7, d.P.R. del 5 giugno 1995; artt. 8 e 12, l. n. 394 del 1991) - eccesso di potere (carenza assoluta del presupposto - arbitrarietà - sviamento - violazione del giusto procedimento - difetto di istruttoria)”.

Secondo l'appellato, infatti, la norma posta dalla Soprintendenza a fondamento dell'impugnata richiesta d’integrazione documentale sarebbe una norma “urbanistica”, alla quale non sarebbe applicabile la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in materia di vincoli paesaggistici, con la conseguenza che la disposizione in esame esplicherebbe la sua efficacia solo per il futuro.

9.2.1. Il motivo è infondato per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, osserva, infatti, il Collegio che l'art. 8, comma 8 delle NTA del Piano del Parco - che prevede che nella zona C 2 del Parco, ove ricadono le opere de quibus, siano ammesse nuove costruzioni ed i relativi ampliamenti solo in funzione degli usi agricoli, agrituristici e della residenza dell'imprenditore agricolo - è una norma contenuta nel Piano del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano ed è, quindi, posta anche per ragioni ambientali a tutela del vincolo paesaggistico ricadente sull'area in esame: la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato citata al punto n. 8. risulta, dunque, applicabile anche in relazione al citato art. 8, comma 8 delle NTA del Piano del Parco.

A quanto rilevato va, peraltro, aggiunto che l'art. 12, comma 7 della legge n. 394 del 1991 dispone che “il Piano ha effetto di dichiarazione di pubblico interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesaggistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione”: non risulta, dunque, affatto illogico o irragionevole che l'Amministrazione competente abbia applicato la disposizione, al fine di tutelare i valori paesaggistici garantiti dal vincolo relativo all'area ove ricade l’immobile abusivo.

Anche sotto questo profilo risulta, quindi, confermata l'applicabilità alla fattispecie in esame della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in materia di vincoli paesaggistici.

9.2.2. In secondo luogo, l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ben può rilevare anche la violazione di regole derivanti dagli strumenti aventi una valenza urbanistica.

Le regole urbanistiche in qualsiasi modo limitative dell’edificazione (ad es., quelle sul cd lotto minimo, quelle che comunque vietano o limitano l’antropizzazione) contribuiscono alla salvaguardia del territorio e dunque dell’ambiente e, se riguardano aree sottoposte al vincolo paesaggistico, contribuiscono a determinare il concreto regime giuridico del bene tutelato.

Ne consegue che l’autorità statale, preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, deve tenere conto di tale regime giuridico e constatare la preclusione normativa alla modifica dello stato dei luoghi, anche se essa non è stata tenuta in considerazione da altre autorità.

9.3.Con il terzo motivo (III) l'appellante ha lamentato l'illegittimità dell'impugnato atto soprintendentizio per “violazione di legge (artt. 1, 5, 7, d.P.R. del 5 giugno 1995; artt. 12 e 13, l. n. 394 del 1991; art 19, comma 3, l.r.c. n. 33 del 1993) - eccesso di potere (illogicità - arbitrarietà - sviamento - carenza del presupposto - difetto di motivazione - carente istruttoria)”.

Secondo l'appellato, infatti, il Piano del Parco - ai sensi dell'art. 12 della legge n. 394 del 1991 - andrebbe pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana e sul Bollettino ufficiale della regione, mentre il Piano in esame sarebbe stato pubblicato esclusivamente sul Bollettino ufficiale della regione Campania, con la conseguenza che quest'ultimo sarebbe inefficace ed inopponibile nei suoi confronti.

9.3.1. Il motivo è infondato.

Osserva, infatti, il Collegio che nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 136 del 14 luglio 2010 è stato pubblicato un comunicato dell'Ente Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano nel quale esplicitamente si fa riferimento all'approvazione del Piano del Parco in esame, precisando, altresì, che “la consultazione integrale di tutti gli atti potrà avvenire attraverso il sito web istituzionale dell'Ente Parco: www.cilentoediano.it”.

Risulta, dunque, rispettato il requisito della doppia pubblicazione di cui all'art. 12 della legge n. 394 del 1991.

9.4. Con il quarto motivo (IV) l'appellato ha lamentato l'illegittimità dell'impugnato atto soprintendentizio per “violazione di legge (artt. 1, 5, 7, d.P.R. del 5 giugno 1995; artt. 12 e 13, l. n. 394 del 1991) - eccesso di potere (illogicità - arbitrarietà - sviamento - carenza del presupposto - difetto di motivazione - carente istruttoria)”.

Secondo l'appellato, infatti, la mancata pubblicazione del Piano del Parco “non (potrebbe) assurgere a condizione impeditiva del perfezionamento della pratica di condono edilizio, perché introdotto successivamente al momento di consumazione dell'abuso”.

9.4.1. Il motivo è infondato.

Osserva, infatti, il Collegio che il motivo in esame risulta basato sui medesimi rilievi di cui al primo (I) ed al terzo (III) motivo di gravame contenuti nella memoria presentata dall'appellato in data 26 luglio 2013, già esaminati ai precedenti punti 9.1. e 9.3.1. ai quali, pertanto, si rinvia.

9.5. Con il quinto motivo (V) l'appellato ha lamentato l'illegittimità dell'impugnata nota soprintendentizia per “violazione di legge (artt. 1, 5, 7 del d.P.R. del 5 giugno 1995 anche in relazione all'art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 e degli artt. 14 e ss. della legge n. 241 del 1990; artt. 12 e 13 della legge n. 394 del 1991) - incompetenza - eccesso di potere (illogicità - arbitrarietà - sviamento - carenza del presupposto - difetto di motivazione - carente istruttoria)”.

Secondo l'appellato, infatti, anche applicando al caso di specie l'art. 32 della legge n. 47 del 1985, l'atto soprintendentizio impugnato sarebbe comunque illegittimo in quanto, ai sensi del precitato art. 32 - e dell'art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001, cui il predetto articolo fa esplicito riferimento - il parere soprintendentizio dovrebbe obbligatoriamente essere acquisito tramite l'indizione di una conferenza di servizi, che invece non è stata indetta nel caso in esame.

9.5.1. Il motivo è infondato.

Osserva, infatti, il Collegio che il comma 6 dell'art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001, richiamato dall'art. 32 della legge n. 47 del 1985, dispone che “il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all'interessato, è adottato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio, entro il termine di trenta giorni dalla proposta di cui al comma 3. Qualora sia indetta la conferenza di servizi di cui al comma 5-bis, la determinazione motivata di conclusione del procedimento, assunta nei termini di cui agli articoli da 14 a 14-ter della legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni, è, ad ogni effetto, titolo per la realizzazione dell'intervento”.

Dalla lettera del citato comma 6 dell'art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 deriva, dunque, che l'indizione di una conferenza di servizi risulta una modalità d’acquisizione del parere soprintendentizio meramente eventuale e non, come rilevato dall'appellante, una modalità obbligatoria.

Risulta, quindi, legittima la modalità d’acquisizione del parere soprintendentizio posta in essere dall'Amministrazione competente nel caso in esame.

10. Per quanto sin qui esposto l’appello è da considerarsi fondato e va, pertanto, accolto, mentre vanno respinti i motivi assorbiti in primo grado e riproposti dall’appellato.

Conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado n. 916 del 2012.

11. Sussistono sufficienti ragioni per compensare fra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 4289 del 2013), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 916 del 2012.

Compensa fra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)