Cons. di Stato Sez. VI n. 654 del 9 febbraio 2016
Urbanistica.Legittimità del diniego di condono edilizio non preceduto dalla comunicazione all'interessato dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza

E' legittimo il diniego di condono edilizio straordinario, ex art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, non preceduto dalla comunicazione all'interessato dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, sia in quanto la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 non è invocabile in relazione a provvedimenti di carattere vincolato, sia in quanto tale ultima norma non è applicabile a procedimenti connotati, ex lege, da tratti di assoluta specialità.

N. 00554/2016REG.PROV.COLL.

N. 03528/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3528 del 2015, proposto da
Mariateresa Cacciola e Salvatore Lugarà, rappresentati e difesi dall'avv. Sergio La Grotteria, con domicilio eletto presso l’avv. Elisa Vurro (Studio Tassoni) in Roma, Via Paolo Emilio, 7;

contro

Comune di Villa San Giovanni, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppina Caminiti e Rocco Luigi Girolamo, con domicilio eletto presso l’avv. Rocco Luigi Girolamo in Roma, viale delle Milizie, 22;

nei confronti di

Dirigente Settore Tecnico Urbanistico del Comune di Villa San Giovanni, n. c. ;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA -SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 132/2015, resa tra le parti, concernente diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria e demolizione di opere abusive;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Villa San Giovanni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’ordinanza collegiale della Sezione n. 2450 del 2015 di accoglimento dell’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza, “impregiudicato il merito della controversia” e valutata la gravità e irreparabilità del danno;

Relatore nell'udienza pubblica del 17 dicembre 2015 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati La Grotteria, Girolamo e Caminiti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza n. 132 del 28 gennaio -9 febbraio 2015, il Tribunale amministrativo regionale della Calabria –sezione staccata di Reggio Calabria, ha respinto, con condanna alle spese in favore del Comune di Villa San Giovanni, il ricorso proposto dalla signora Maria Teresa Cacciola e dal signor Salvatore Lugarà avverso e per l’annullamento del provvedimento del dirigente responsabile del Settore Tecnico -Urbanistico, prot. n. 17915 del 24 settembre 2013, con il quale è stato rifiutato ai ricorrenti, quali proprietari dell’unità abitativa identificata nel catasto urbano di Villa San Giovanni dalla particella 1005-sub. 1 e 2, del foglio 1/B di mappa, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria di cui all’istanza di condono edilizio presentata il 29 luglio 2004 (prot. n. 9476) dal dante causa signor Giovanni Liconti; e con il quale è stato ingiunto, alle parti ricorrenti medesime, di demolire, entro 90 giorni dalla data di notifica del provvedimento, le opere realizzate abusivamente (e consistenti in: variazione di destinazione d’uso da garage in locali di civile abitazione, al piano terra, n. 2 porticati in c. a. in luogo dei previsti pergolati in legno, al piano terra (e) chiusura e trasformazione di n. 2 logge in locali di civile abitazione, al 1° piano, per un aumento volumetrico di circa 237 mc. e di superficie di copertura per circa 72 mq.); e di uniformarsi al progetto assentito con la concessione edilizia n. 92/1991, e successiva variante n. 3555/1997.

2. Con il ricorso di primo grado la signora Cacciola e il signor Lugarà avevano esposto in via preliminare, in punto di fatto:

-che il 29 luglio 2004 il signor Giovanni Liconti, proprietario dell’unità abitativa, facente parte del complesso edilizio “Porticello” di Villa San Giovanni, frazione Cannitello, rappresentata da un fabbricato a due piani fuori terra, distinta nel catasto fabbricati di quel Comune dalla particella 1005-subalterni 1 e 2, del foglio B/1 di mappa, e titolare della concessione edilizia n. 92/1991 e di quella in variante n. 3555/1997, aveva presentato al Comune, ai sensi del d. l. n. 269/2003, convertito dalla l. n. 326/2003, domanda di definizione di illeciti edilizi realizzati nelle unità abitative suddette, in difformità dalle concessioni ottenute, provvedendo a pagare l’intera somma dovuta a titolo di oblazione, e quella per gli oneri concessori dovuti;

-che lo stesso Liconti, con nota in data 26 gennaio 2005, aveva chiesto, ai sensi dell’art. 1, comma 39, della l. n. 308/2004, all’Amministrazione provinciale di Reggio Calabria il “parere di compatibilità paesaggistica” sull’intervento edilizio oggetto della istanza di condono sopra indicata;

-che con atto di notaio in data 2 maggio 2005 il Liconti aveva venduto alle parti ricorrenti l’immobile sopra descritto allegando allo stesso un’attestazione comunale, prot. n. 372 del 13 gennaio 2005, dalla quale risultava che l’area interessata dal fabbricato non era sottoposta ai vincoli inibitori di cui al d. lgs. n. 490/1999 (oggi d. lgs. n. 42/2004, ex l. n. 431/1985);

-che siffatta attestazione, come risulta agli atti, non era, peraltro, l’unica che riguardava l’immobile;

-che infatti il Comune, in esito a una richiesta dello stesso Liconti, del 17 dicembre 2004, di rilascio di certificazione di insussistenza di vincoli inibitori dell’edificabilità, aveva attestato, in data 4 gennaio 2005, che l’area interessata dal fabbricato, riportata al foglio catastale n.1/B part. 1005 oggetto del suddetto condono edilizio è assoggettata al vincolo paesaggistico ambientale ai sensi del D.L. 42/2004, mentre non risultava assoggettata ai seguenti vincoli: idrologici o falde idriche; parchi nazionali e regionali; … non e’ sottoposta ai vincoli inibitori di cui al D. L. 490/00 (oggi D. L. 42/2004);

-che in data 24 settembre 2013 alle parti ricorrenti veniva notificato il diniego di permesso di costruire in sanatoria con la contestuale ingiunzione di demolizione, in riferimento alla istanza di condono del 29 luglio 2004. Nel provvedimento impugnato si premetteva che le opere realizzate in difformità dalle concessioni edilizie del 1991 e del 1997 erano costituite da:

- variazione di destinazione d’uso di n. 2 garage in locali di civile abitazione, al piano terra;

- n. 2 porticati in c.a. in luogo dei previsti pergolati in legno, al piano terra;

- chiusura e trasformazione di n. 2 logge in locali di civile abitazione, al 1° piano;

e si rilevava, a sostegno del diniego e della contestuale ingiunzione di demolizione:

- che le opere erano state eseguite in assenza di nulla-osta su area assoggettata a vincolo paesaggistico –ambientale e a vincolo sismico;

- che le stesse, sulla scorta di quanto dispone l’art. 32, comma 27, lettera d), del d. l. n. 269/2003, conv. dalla l. n. 326/2003, erano insuscettibili di sanatoria, in quanto comportavano un aumento volumetrico (per mc. 237 circa) e di superficie di copertura (per mq. 72 circa), non conforme alle norme e alle prescrizioni dello strumento urbanistico vigente nel Comune all’epoca della domanda di condono, rispetto agli indici di densità territoriale, di densità fondiaria e di rapporto di copertura, stabiliti per la sottozona T3/b;

- che agli atti del Comune non risultava acquisita la domanda di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 1, comma 39, della l. n. 308 del 2004;

- che, in violazione di quanto dispone l’art. 32, comma 35, della l. n. 326/2003, ricadendo l’intervento in zona sismica, non risultavano allegate alla domanda, tanto la perizia giurata che il certificato di idoneità statico-sismica munito degli estremi del deposito al Genio Civile poste in obbligo in quanto talune opere realizzate in c. a. sono strutturalmente collegate al fabbricato avente cubatura superiore a mc. 450 e ricadenti in zona vincolata dal punto di vista sismico.

In diritto, la ricorrente aveva dedotto dinanzi al Tar l’illegittimità del provvedimento impugnato per 1) violazione dell’art. 32 del d. l. n. 269 del 2003, conv. dalla l. n. 326 del 2003: ciò in quanto, premessa l’inesistenza di vincoli inibitori, in base all’attestazione comunale del 13 gennaio 2005, non sussisterebbero elementi tali da precludere l’accoglimento dell’istanza di condono e, pertanto, si sarebbe formato il silenzio –assenso previsto dall’art. 32, comma 37, del citato d. l. n. 269/2003, atteso il decorso dei 24 mesi previsti dalla disposizione citata (il profilo di censura del silenzio assenso non risulta riproposto in grado d’appello); 2) violazione degli articoli 7 e 10 bis della l. n. 241 del 1990, in relazione alla omessa comunicazione dell’avvio del procedimento e dei motivi eventualmente ostativi all’accoglimento dell’istanza di condono; difetto di motivazione; 3) eccesso di potere per disparità di trattamento con riferimento al rilascio, ad altro soggetto, del permesso di costruire in sanatoria n. 54 del 2009, relativo a un’altra unità immobiliare situata nel medesimo complesso edilizio, contrassegnata dalla presenza di difformità, rispetto al progetto assentito originariamente, sovrapponibili a quelle contestate ai ricorrenti; 4) nullità per violazione di legge; omessa diffida alla demolizione, dal momento che l’ingiunzione di demolizione, contestuale al diniego del permesso a costruire in sanatoria, non è stata preceduta dalla necessaria diffida.

3. L’istanza cautelare è stata accolta dal Tar con l’ordinanza n. 47 del 2014 ma, con la decisione appellata, i giudici di primo grado, nella resistenza del Comune, hanno respinto il ricorso con spese a carico delle parti ricorrenti.

In via preliminare in sentenza è stato precisato:

-che al contratto di compravendita Liconti / Cacciola –Lugarà del 2 maggio 2005 era stata allegata un’attestazione del Comune, prot. n. 372 del 13 gennaio 2005, dalla quale risultava che l’area interessata dal fabbricato riportata al foglio catastale n.1/B part. 1005 oggetto del suddetto condono edilizio non è sottoposta ai vincoli inibitori di cui al D.L. 490/00 (oggi D. L. 42/2004, ex legge 431/85);

-che siffatta attestazione, come risulta agli atti, non era, peraltro, l’unica che riguardava l’immobile;

-che infatti il Comune, in esito a una richiesta del Liconti, del 17 dicembre 2004, di rilascio di certificazione di insussistenza di vincoli inibitori dell’edificabilità, aveva attestato, in data 4 gennaio 2005, che l’area interessata dal fabbricato, riportata al foglio catastale n.1/B part. 1005 oggetto del suddetto condono edilizio è assoggettata al vincolo paesaggistico ambientale ai sensi del D.L. 42/2004, mentre non risultava assoggettata ai seguenti vincoli: idrologici o falde idriche; parchi nazionali e regionali; … non e’ sottoposta ai vincoli inibitori di cui al D. L. 490/00 (oggi D. L. 42/2004);

-che con successiva richiesta del 12 gennaio 2004 lo stesso Liconti aveva sollecitato il rilascio della nuova (e sola) certificazione di insussistenza di vincoli inibitori l’edificabilità, istanza alla quale ha fatto riscontro la citata attestazione del 13 gennaio 2005, prot. n. 372, allegata al rogito notarile;

-che perciò il dante causa Liconti ben sapeva, prima dell’atto di compravendita, dell’esistenza di un vincolo paesaggistico sull’area oggetto di edificazione (circostanza comprovata anche dall’avvenuta presentazione, ad opera dello stesso signor Liconti, in data 26 gennaio 2005, d’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, presso la Provincia di Reggio Calabria e, per conoscenza, al Comune);

-che se l’esistenza del vincolo paesaggistico non confligge, secondo logica, con l’asseverata assenza di (ulteriori) vincoli inibitori l’edificabilità, anche se l’attestazione comunale del 13 gennaio 2005, in considerazione proprio della precedente certificazione del 4 gennaio 2005, attestante l’esistenza del vincolo paesaggistico, avrebbe potuto più articolatamente diffondersi sulla complessiva attitudine edificativa dell’area, la mancata ostensione (dell’esistenza del vincolo) nella sfera cognitiva degli odierni ricorrenti esula…dalla responsabilità ascrivibile all’Amministrazione comunale intimata dovendo, la –solo parziale- rappresentazione dell’assoggettamento a vincolo dell’area, essere ricondotta in via esclusiva a fatto proprio del dante causa, con la possibilità di far valere i profili di eventuale responsabilità nella competente sedegiudiziaria. Inoltre i ricorrenti ben sapevano dell’avvenuta presentazione, da parte del dante causa, dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, il che ben avrebbe potuto renderli informati in ordine alla presenza di “elementi vincolistici”;

-che dev’essere pertanto escluso che il Comune, con la propria condotta, abbia ingenerato in capo ai ricorrenti alcun affidamento riconducibile alla mancata conoscibilità delle vicende edificatorie interessanti l’area sulla quale insiste l’immobile di proprietà.

Quanto alla sostanza della valenza inibitoria assunta dal vincolo paesaggistico ai fini dell’accoglibilità dell’istanza di condono, la sentenza (v. p. 4. e seguenti, da pag. 9) ha disatteso le prospettazioni dei ricorrenti, interpretando l’art. 32, comma 27, lett. d) del d. l. n. 269 del 2003, conv. dalla l. n. 326 del 2003, alla luce di quanto chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, evidenziando in particolare che nella specie il diniego di condono si era basato in modo corretto sull’assunto per cui le opere oggetto dell’istanza erano state realizzate, in difformità dalle concessioni edilizie assentite, su un’area assoggettata a vincolo paesaggistico –ambientale –risalente al 1967, dunque ad epoca largamente anteriore agli interventi edilizi per i quali era stata domandata la sanatoria-, e a vincolo sismico, e in modo non conforme alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti nel Comune all’epoca dell’istanza di condono, con un incremento sia volumetrico e sia di superficie.

Inoltre, la sanatoria non è conseguibile in applicazione del meccanismo di cui all’art. 32 della l. n. 47 del 1985, che preclude la sanatoria di opere realizzate su aree sottoposte a vincoli di carattere paesaggistico solo in caso di parere negativo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso, e questo perché il d. l. n. 269 del 2003, conv. dalla l. n. 326 del 2003, con il citato comma 27 disciplina la fattispecie de qua in maniera più restrittiva, precludendo la sanatoria, in presenza di vincoli paesaggistici, sulla base dell’anteriorità del vincolo, senza la previsione procedimentale di alcun parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso, collocando con ciò l’abuso nella categoria delle opere insuscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47 del 1985.

Un eventuale parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo, in carenza di previsione da parte del comma 27 dell’art. 32 del d. l. n. 269 del 2003, sarebbe privo di valenza giuridica ai fini condonistici.

Il Tar ha poi respinto anche i profili di censura più squisitamenteprocedimentali dedotti (si vedano i punti 6. e 7. della sentenza, da pag. 12), considerando in particolare insussistenti le segnalate violazioni degli articoli 7 e 10 bis della l. n. 241 del 1990 e la rilevata insufficienza motivazionale del provvedimento impugnato.

Infine (v. p. 8. , pag. 14 sent.), il Tar ha disatteso anche il profilo di disparità di trattamento invocato dai ricorrenti in relazione all’avvenuto rilascio, da parte del Comune, del permesso di costruire in sanatoria n. 54/2009, per difformità omogenee rispetto a quelle denunciate dai ricorrenti.

4. La sentenza è stata appellata con i motivi che seguono.

Nel dedurre violazione dei princìpi generali in tema di giusto procedimento amministrativo, ed eccesso di potere per difetto d’istruttoria e dei presupposti, carenza di motivazione e irragionevolezza, gli appellanti sostengono che la sentenza avrebbe errato nel sostenere che il dante causa Liconti era a conoscenza dell’esistenza di vincoli sull’area oggetto dell’intervento edilizio, prima del rogito notarile di compravendita dell’immobile del 2 maggio 2005.

Il Collegio di primo grado erra inoltre nell’imputare, agli acquirenti Cacciola e Luigarà, una diligenza insufficiente, affermando che gli stessi avrebbero dovuto rendersi conto dell’esistenza del vincolo.

Circa le lievi difformità oggetto del provvedimento impugnato in primo grado, secondo gli appellanti non vengono in discussione né aumenti di volumetrie e neppure modifiche di sagome.

Nel rilevare violazione dei princìpi del giusto procedimento e dellegaranzie partecipative, gli appellanti sostengono che, diversamente da quanto considerato in sentenza, nel caso in esame dovevano trovare applicazione le disposizioni di cui agli articoli 7 e 10 –bis della l. n. 241 del 1990, tenuto conto delle peculiarità della situazione che si era venuta a creare avendo, il Comune, in particolare, attestato, in data 13 gennaio 2005, con atto prot. n. 372 allegato al contratto di compravendita stipulato con rogito del 2 maggio 2005, che l’area interessata dal fabbricato oggetto dell’istanza di condono edilizio non era sottoposta a vincoli inibitori, e avendo così il Comune medesimo ingenerato, in capo ai ricorrenti, un legittimo affidamento in ordine al rilascio del permesso di costruire in sanatoria (come è accaduto, del resto, con il permesso di costruire in sanatoria n. 54 del 15 luglio 2009, per un abuso similare, e maggiore, compiuto su una unità immobiliare facente parte del medesimo complesso edilizio “Porticello” di Cannitello, realizzato e venduto dalla ditta Giovanni Liconti), dal che deriva la fondatezza dei vizi denunciati.

Inoltre, tra l’istanza del Liconti e la definizione della pratica di condono è trascorso un lunghissimo periodo di tempo.

L’apporto partecipativo del privato avrebbe quindi potuto assumere un rilievo essenziale al fine di verificare la legittimità e la correttezza del provvedimento finale.

I ricorrenti e odierni appellanti avrebbero potuto fornire elementi conoscitivi e di valutazione a proprio favore che avrebbero consentito al Comune, ove del caso, di dimostrare che il contenuto dispositivo del provvedimento gravato non sarebbe stato diverso da quello in concreto adottato.

Secondo gli appellanti, poi -e si passa, così, a uno degli aspetti cruciali dell’appello, diretto contro i capi della sentenza gravata di cui ai nn. 4. e 5. della motivazione- , è censurabile l’interpretazione che la sentenza ha dato dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d. l. n. 269 del 2003, conv. dalla l. n. 326 del 2003.

Gli appellanti, nel soffermarsi sulla questione relativa all’asserita (non) conformità del manufatto rispetto alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, sostengono che il requisito della conformità del manufatto alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici sussisterebbe.

Viene poi ribadita la disparità di trattamento rispetto al già citato permesso di costruire in sanatoria n. 54 del 2009 assentito con riferimento a una villetta sita nel medesimo complesso residenziale interessato dal provvedimento impugnato.

Al riguardo gli appellanti confutano la motivazione (sulla quale v. p. 8 sent.) addotta a sostegno del rigetto della censura.

Il provvedimento comunale non rispetta inoltre il dettato normativo di cui all’art. 1, commi da 37 a 39, della l. n. 308 del 2004, sulla sanatoria ambientale la quale, benché rilevante dal punto di vista penalistico, non potrebbe non incidere anche sul pianto urbanistico –edilizio –amministrativo.

Una volta accertata la compatibilità paesaggistica, da parte dell’Amministrazione regionale, il vincolo d’inedificabilità relativa verrebbe superato, appunto, mediante un giudizio a posteriori sulla compatibilità medesima, con conseguente possibilità di sanatoria degli abusi edilizi compiuti.

La normativa regionale ammette la sanatoria in situazioni come quella per cui è causa qualora, previo parere della Soprintendenza competente, risulti accertata la compatibilità paesaggistico –ambientale ex l. n. 308 del 2004 e venga pagata la penalità per il danno ambientale procurato.

Ciò si traduce in un vizio di legittimità, per difetto d’istruttoria, del procedimento che si è concluso con il provvedimento contestato in primo grado.

Gli appellanti lamentano poi che nel diniego di condono, e contestuale ordinanza di demolizione, il Comune non ha specificato i motivi di violazione degli interessi pubblici, né ha indicato gli estremi del vincolo (si tratta del d. m. dell’11 ottobre 1967).

Nell’appello si soggiunge che, per effetto della recente entrata in vigore del d. l. n. 133 del 2014, conv. dalla l. n. 164 del 2014, le lievi difformità oggetto del presente giudizio non costituiscono più abuso sanzionabile.

Viene infine ribadita l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, poiché non contiene la preventiva diffida.

Il Comune si è costituito per resistere.

Sono state presentate memorie per illustrate le rispettive posizioni.

All’udienza del 17 dicembre 2015 il ricorso è stato discusso ed è quindi passato in decisione.

5. L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza impugnata resiste alle critiche che le sono state rivolte.

Il Collegio ritiene di dover sottoporre a disamina, in via logicamente prioritaria, i profili “centrali” dell’appello, ossia quelli che si basano anzitutto sulla –ribadita- violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d. l. n. 269 del 2003, conv. in l. n. 326 del 2003.

In via preliminare va tuttavia rilevato che ai fini dell'inquadramento di un determinato intervento nelle varie categorie edilizie, l'oggetto della valutazione deve riguardare l'organismo edilizio nella sua globalità e nell'integrazione di tutte le sue parti, tutte le volte che per effetto di vari interventi emerga la novità dell'organismo realizzato rispetto a quello assentito.

Nel caso in esame, l’organismo realizzato a seguito dell’intervento eseguito nel suo complesso, specie con riferimento alla realizzazione di due porticati in c. a. in luogo dei previsti pergolati in legno, al pianto terra, e alla chiusura delle due logge del primo piano, si presentava diverso rispetto a quanto assentito con le concessioni edilizie del 1991 e del 1997 rientrando, l’intervento effettuato, tra quelli di cui all’art. 3, lett. d) ed e), e 10, lett. a) e c), del d.P.R. n. 380 del 2001, con un incremento volumetrico e un aumento della superficie di copertura.

Diversamente da quanto si sostiene nell’appello, quindi, è pacifico che l’intervento realizzato non ricade nella categoria del “restauro e risanamento conservativo”, di cui all’art. 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001.

Ciò posto, gli addebiti mossi con l’appello alla sentenza impugnata, con riguardo -alla qualificazione dell’intervento e- alla non applicabilità della normativa sul condono edilizio del 2003 soltanto in presenza di due presupposti, ossia qualora l’area interessata dall’abuso sia soggetta a vincolo d’inedificabilità assoluta –e non anche a vincolo d’inedificabilità relativa- imposto sulla base di leggi statali e regionali, e qualora l’opera contrasti con prescrizioni urbanistiche che disciplinano l’edificazione sull’area, sono infondati e vanno respinti.

In primo luogo va ribadito che il manufatto oggetto dell’istanza di condono, per le sue caratteristiche, sulle quali si rinvia a quanto precisato sopra, al p. 1. , implica incremento di superficie e di volumetria sicché non è corretto parlare di risanamento conservativo.

In secondo luogo, con riguardo in modo specifico all’ambito di applicazione dell’art. 32, comma 27, lett. d) del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in base a un orientamento giurisprudenziale ormai stratificato, dal quale questo Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi (v. Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5315, IV, 17 settembre 2013, n. 4587, 6 luglio 2012, n. 3969, 19 maggio 2010, n. 3074, 10 agosto 2007, n. 4396), il combinato disposto dell'art. 32 della l. 28 febbraio 1985 n. 47 e dell'art. 32, comma 27, lett. d), del citato d. l. n. 269 del 2003 comporta che un abuso –nella specie, un’opera comportante nuova superficie e volumetria, realizzata in area assoggettata a vincolo paesaggistico risalente al 1967, anteriormente, quindi, alla esecuzione dell’opera stessa e, come si dirà meglio tra breve, non conforme alla vigente strumentazione urbanistica- commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa o assoluta, non può essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente: a) l'imposizione del vincolo di inedificabilità relativa prima della esecuzione delle opere; b) la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; c) la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

L’esclusione dalla sanatoria è subordinata in particolare a due condizioni, costituite a) dal fatto che il vincolo sia stato istituto prima dell'esecuzione delle opere abusive, e b) dal fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Nella specie, come rilevato con il diniego impugnato in primo grado, oltre all’esistenza del vincolo (relativo), paesaggistico –ambientale, risalente al 1967 e dunque a un’epoca certamente anteriore alla realizzazione dell’abuso (si tratta del d. m. 11 ottobre 1967 –dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona costiera compresa nel territorio del comune di Villa S. Giovanni), viene in questione, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso e ribadito con l’appello, anche il contrasto con le prescrizioni dello strumento urbanistico, contrasto puntualmente indicato in atti e consistente nell’avvenuto superamento, per effetto degli incrementi volumetrici e di superficie, degli indici di rapporto di copertura e di densità fondiaria consentiti nella sottozona T3/b del PRG vigente e, conseguentemente, di densità territoriale, non essendo sufficiente, allo scopo di considerare l’intervento realizzato in modo conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, l’astratta realizzabilità, nella sottozona T3/b, di costruzioni residenziali.

Dagli atti risulta dunque dimostrata in maniera adeguata la difformità del manufatto oggetto dell’istanza di condono rispetto allo strumento urbanistico, con particolare riguardo alla inosservanza di parametri urbanistico –edilizi rispetto al progetto approvato e agli indici stabiliti dallo strumento urbanistico vigente.

Sussiste, pertanto, come correttamente rilevato in sentenza, la riscontrata difformità dell’intervento, comportante incremento volumetrico e aumento della superficie coperta, dalle concessioni edilizie assentite, su un’area assoggettata a vincolo paesaggistico –ambientale e a vincolo sismico , e in assenza inoltre del presupposto della conformità rispetto alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Quanto poi alle violazioni di natura procedimentale, all’ordinaria diligenza e all’affermato affidamento, legittimo e incolpevole, riconoscibile in capo ai ricorrenti e odierni appellanti in ordine alla condonabilità dell’intervento e in definitiva al buon esito della sanatoria; e al rilievo eventualmente attribuibile all’avvenuta presentazione, da parte del signor Liconti, all’Amministrazione provinciale di Reggio Calabria, nel gennaio del 2005, dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, va rilevato anzitutto che –come sembrano riconoscere gli stessi appellanti- la disciplina di cui ai commi da 37 a 39 della l. n. 308 del 2004 comporta la sottrazione del fatto alla disciplina sanzionatoria penale (cfr. comma 37 cit. il quale fa riferimento alla estinzione del reato), lasciando ferma però la sanzionabilità dello stesso sotto il profilo amministrativo, con la conseguenza che il richiamo alla normativa anzidetta è inappropriato al fine di sostenere l’estinzione della sanzionabilità in via amministrativa dell’abuso edilizio, sub specie di rilascio del richiesto permesso di costruire in sanatoria.

In modo corretto quindi la sentenza, prounciandosi sul punto, ha considerato irrilevante, ai fini dell’accoglibilità della istanza di sanatoria di cui si discute, l’espressione di un eventuale parere favorevole da parte dell’Autorità preposta al vincolo, non essendo previsto al riguardo alcun parere dal citato comma 27 dell’art. 32 del d. l. n. 269 del 2003, che disciplina la fattispecie in maniera restrittiva, e vertendosi in tema di preclusione “in radice” al rilascio del chiesto permesso in sanatoria.

Per ciò che attiene alla rilevata violazione degli articoli 7 e 10 bis della l. n. 241/1990, in linea generale va condivisa la giurisprudenza secondo la quale (v. ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 5314 del 2007) è legittimo il diniego di condono edilizio straordinario, ex art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, non preceduto dalla comunicazione all'interessato dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, sia in quanto la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 non è invocabile in relazione a provvedimenti di carattere vincolato, sia in quanto tale ultima norma non è applicabile a procedimenti connotati, ex lege, da tratti di assoluta specialità.

Pare il caso di aggiungere che il dedotto vizio, ossia l’inosservanza del citato art. 10 bis, non potrebbe comunque determinare l'annullamento del provvedimento impugnato, dovendosi fare applicazione all'art. 21 octies, comma 2, prima parte, della legge sul procedimento amministrativo.

La norma suddetta esclude invero l'annullabilità dell'atto impugnato qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento medesimo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Nella fattispecie in esame, posto il carattere vincolato del diniego di condono rispetto ai presupposti (recte, alla loro mancanza) richiesti dalla normativa, alla luce dell’istruttoria svolta e della documentazione prodotta, appare evidente che il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado non avrebbe potuto assumere se non un contenuto sfavorevole alle parti ricorrenti.

Né potevano dirsi sussistenti, nel caso qui in esame, peculiarità in punto di fatto (e ci si riferisce alla intera vicenda, nel suo concreto dipanarsi, a partire dal luglio del 2004, con riguardo in particolare al rilascio delle attestazioni comunali del 4 e del 13 gennaio 2005, la seconda delle quali allegata al rogito notarile del 2 maggio 2005 -v. sopra, p. 3.), tali da considerare necessaria, nella fattispecie, la comunicazione preventiva dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

La sentenza appare infatti persuasiva anche là dove, ai punti da 1. a 3. della parte in Diritto, cui si rinvia anche per il riepilogo dei fatti nel loro svolgersi, osserva che il dante causa Liconti ben conosceva, al momento del rogito notarile, l’esistenza di un vincolo paesaggistico preesistente sull’area de qua (il che non confligge con l’asseverata assenza di –ulteriori- vincoli inbitori l’edificabilità, di cui all’attestazone comunale prot. n. 372 del 13 gennaio 2005, allegata al rogito).

Gli acquirenti, alla data del rogito, ben sapevano dell’esistenza dell’istanza di condono.

Gli appellanti ben avrebbero potuto presentare domanda di accesso agli atti, venendo a conoscere l’attestazione comunale del 4 gennaio 2005, con la quale si certificava che l’area era assoggettata a vincolo paesaggistico; senza considerare che alla fine del mese di gennaio del 2005 il Liconti aveva avanzato domanda di compatibilità paesaggistica alla Provincia, sicchè in maniera condivisibile i giudici di primo grado hanno rilevato che da una parte la mancata ostensione dell’esistenza del vincolo paesaggistico nella sfera cognitiva degli odierni ricorrenti esulava dalla responsabilità ascrivibile all’Amministrazione comunale intimata dovendo, la –solo parziale- rappresentazione dell’assoggettamento a vincolo dell’area, essere ricondotta in via esclusiva a fatto proprio del dante causa, con la possibilità di far valere i profili di eventuale responsabilità del precedente proprietario nella competente sede giudiziaria; e, dall’altra, che, per conseguenza, andava escluso che il Comune, con la propria condotta, avesse ingenerato in capo ai ricorrenti un affidamento riconducibile alla mancata conoscibilità delle vicende edificatorie interessanti l’area sulla quale insiste l’immobile di proprietà.

Le considerazioni suesposte consentono sia di confermare l’orientamento giurisprudenziale sulla non necessità della comunicazione preventiva ex art. 10 bis anche in questa situazione non priva, per il vero, di particolarità (sulla non necessità dell’avviso di avvio del procedimento, ex art. 7, in relazione alle ordinanze di demolizione, quali atti vincolati, la giurisprudenza di questa Sezione è consolidata: v. , di recente, Cons. Stato, sez. VI, n. 13 del 2015); e sia di respingere la tesi dell’affidamento, legittimo e incolpevole, riposto dagli appellanti sul possibile rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

In merito al profilo di eccesso di potere per disparità di trattamento dedotto con riferimento al rilascio, ad altro soggetto, del permesso di costruire in sanatoria n. 54 del 2009, relativo a un’altra unità immobiliare situata nel medesimo complesso edilizio, va rammentato che per pacifico orientamento giurisprudenziale la disparità di trattamento non può venire in rilievo in casi come quello di specie, dato che essa è propria dell’esercizio del potere discrezionale (mentre qui si fa questione di esercizio di potere amministrativo vincolato).

Va infine aggiunto che:

-quanto alla dedotta insufficienza motivazionale del provvedimento impugnato, con particolare riferimento alla parte di esso con la quale si ordina la demolizione delle opere abusivamente realizzate, va ribadito, con la giurisprudenza anche di questa Sezione (v. sent. n. 13 del 2015), che l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione stessa;

-il d.P.R. n. 380 del 2001 non prevede che l’ingiunzione di demolizione sia preceduta da una diffida a demolire;

-il riferimento, operato in finem, al c. d. Sblocca Italia (d. l. n. 133/2014, conv. dalla l. n. 164/2014), esula dall’ambito del thema decidendum sottoposto al vaglio di questo Collegio.

In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza confermata.

Tuttavia, in talune particolarità della controversia si ravvisano senz’altro, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l'effetto, la sentenza impugnata.

Spese del grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

 

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)