Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4086, del 1 settembre 2015.
Urbanistica.L'illegittimità della concessione in sanatoria sussiste solo se in sede penale sia accertata la falsità della dichiarazione dell'epoca di realizzazione.

Il riferimento dell'ultimazione delle opere a epoca (1975) diversa da quella accertata in sede penale (1978) non avrebbe potuto costituire ex se circostanza ostativa al rilascio della concessione in sanatoria in riferimento all'incontestata anteriorità delle opere edilizie rispetto alla data "fatidica" del 31 dicembre 1983, e ciò ancorché sia affatto problematico inquadrare la fattispecie, alla luce della giurisprudenza penale, nella categoria del c.d. falso innocuo, nel senso che l'innocuità debba valutarsi non con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto, sebbene all'idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04086/2015REG.PROV.COLL.

N. 04972/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4972 del 2014, proposto da: 
Vito Francesco Losito, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Silvio Dodaro, e elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cosseria n. 2, presso il dott. Alfredo Placidi, per mandato a margine del ricorso per revocazione;

contro

- Vito Nicola Romano e Francesco Romano, rappresentati e difesi dall'avv. Natale Clemente, e con questi elettivamente domiciliati in Roma, alla via Muzio Clementi n. 9, presso lo studio dell'avv. Giuseppe Raguso, per mandato a margine del controricorso;
- Comune di Gioia del Colle, in persona del Sindaco pro-tempore, non costituito in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 1591 del 3 aprile 2014, resa tra le parti, con cui, in accoglimento dell'appello n.r. 4602/2006, e in riforma della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione III, n. 312 del 2 febbraio 2006, sono rigettati i ricorsi proposti in primo grado n.r. 4095/1994 e n.r. 359/2005, quest'ultimo integrato con motivi aggiunti, relativi all'impugnazione della concessione edilizia in sanatoria n. 94 del 6 settembre 1994, del permesso di costruire n. 149 del 23 dicembre 2004 di autorizzazione al completamento e al cambio di destinazione d'uso dell'opera edilizia condonata e del successivo permesso di costruire in variante del n. 111 del 13 luglio 2005, con condanna alle spese del doppio grado di giudizio liquidate in complessivi € 3.000,00

 

Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Vito Nicola Romano e Francesco Romano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 marzo 2015 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l'avv. Francesco Silvio Dodaro per il ricorrente per revocazione Vito Francesco Losito e l'avv. Natale Clemente per i resistenti Vito Nicola Romano e Francesco Romano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.) Vito Francesco Losito è proprietario di suolo con annessa abitazione nel Comune di Gioia del Colle, frontistante altro suolo con affaccio sulla strada vicinale Bassa Gaudella sulla quale insistono tre corpi di fabbrica, identificati in catasto al foglio n. 68, particella n. 75 sub 1), 2) e 3), di cui l'una parte a destinazione artigianale (sub 2) l'altra parte ad abitazione (sub 1) e la terza (sub 3) a uso di officina meccanica.

A seguito di presentazione di domanda di condono edilizio in data 29 settembre 1986 da parte di Carmine Ripa, dante causa dei successivi proprietari Vito Nicola Romano e Francesco Romano, a questi ultimi è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria n. 94 del 6 settembre 1994, limitatamente al corpo di fabbrica adibito a officina meccanica (ritenendo invece che le altre opere fossero state realizzate nel 1967).

Con ricorso in primo grado n.r. 4095/1994, Vito Francesco Losito ha impugnato la concessione edilizia in sanatoria, deducendone l'illegittimità sotto vari profili.

Con ricorso in primo grado n.r. 359/2005 l'interessato ha altresì impugnato il permesso di n. 149 del 23 dicembre 2004, relativo al completamento e al cambio di destinazione d'uso da officina a pizzeria, deducendo autonome censure d'illegittimità.

Con motivi aggiunti al ricorso n.r. 359/2005 è stato altresì impugnato il successivo permesso di costruire in variante del n. 111 del 13 luglio 2005.

Nei due giudizi si sono costituiti i controinteressati Vito Nicola Romano e Francesco Romano, deducendo l'inammissibilità e infondatezza dei ricorsi e motivi aggiunti.

Con la sentenza n. 312 del 2 febbraio 2006 il T.A.R. Puglia, Sede di Bari, Sezione III, ha accolto i due ricorsi, in relazione alla ritenuta assorbente fondatezza del secondo motivo del ricorso n.r. 4095/1994, relativo alla sussistenza delle opere edilizie a soli 10 ml. dal ciglio della strada comunale, e quindi a distanza inferiore a quella minima inderogabile di ml. 20, come prescritta dall'art. 4 del d.m. n. 1404/1968, integrante vincolo d'inedificabilità assoluta, con conseguente invalidità sia della concessione edilizia in sanatoria, sia dei successivi permessi di costruire, in ragione dell'insanabilità del manufatto abusivo.

2.) Con appello n.r. 4602/2006 Vito Nicola Romano e Francesco Romano hanno impugnato la predetta sentenza, deducendone l'erroneità sia in relazione alla mancata declaratoria di estinzione del giudizio (per mancata sua riassunzione a seguito del decesso dell'originario difensore del Losito), sia al travisamento e erronea presupposizione, riferita alla ritenuta collocazione dell'opera edilizia condonata a distanza inferiore dal ciglio della strada comunale.

Nel giudizio si è costituito l'appellato Vito Francesco Losito, deducendo l'infondatezza dell'appello.

Con sentenza n. 1591 del 3 aprile 2014 questa Sezione ha accolto l'appello, e in riforma della sentenza gravata, ha rigettato le impugnative proposte con i ricorsi in primo grado.

La sentenza, respinto il primo motivo d'appello (relativo alla dedotta mancata declaratoria di estinzione del giudizio per omessa riassunzione), ha esaminato e accolto i due residui motivi, rilevando che erroneamente il primo giudice aveva supposto che l'opera condonata fosse collocata a distanza inferiore dal limite legale minimo prescritto, osservando che:

- "...la concessione in sanatoria è stata rilasciata unicamente in relazione al locale identificato al foglio 68 particella 75 sub 3 , quello adibito ad officina che è posto, la circostanza di fatto non è contestata, ad una distanza dal ciglio stradale di 33 mt, di talchè siccome ad essere oggetto di impugnativa è l’immobile condonato, ne deriva che la invocata violazione del limite minimo di distanza non può cogliere nel segno";

- "Parte resistente per il vero sostiene che il condono riguarderebbe l’intero complesso immobiliare comprensivo anche dall’altro locale , quello identificato allo stesso foglio e medesima particella ma ai subalterni 1 e 2 e adibito ad attività artigianale e abitazione e posto ad un a distanza di 10 metri dal ciglio stradale ( ad una distanza non rispettosa del limite sancito dal citato art.4), ma l’assunto difensivo non può essere condiviso in quanto smentito dall’inequivocabile tenore letterale recato dal titolo in sanatoria in cui è espressamente precisato che la sanatoria ex lege n.47/85 è rilasciata limitatamente all’altro corpo di fabbrica, quello ad uso officina meccanica".

Di seguito poi è stato rilevato come:

" il sig. Losito insista nella tesi secondo la quale nel caso de quo vi sia stata da parte dei germani Romano la presentazione di una domanda di condono dolosamente infedele per trarre in inganno l’Amministrazione comunale.

Ora se nella specie vi è stata una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dei richiedenti il condono, una siffatta circostanza può sempre essere rilevata dall’Autorità preposta alla tutela e alla vigilanza dell’attività edilizia, a mezzo di precisi, rigorosi accertamenti da svolgersi in contraddittorio tra le parti e all’esito di tali accertamenti eventualmente esercitare il consequenziale ius poenitendi, con l’adozione dei relativi provvedimenti ripristinatori, mentre allo stato, il titolo edilizio rilasciato in sanatoria risulta immune dalle censure dedotte a suo carico".

Da ultimo il Collegio si è dato carico di esaminare le censure formulate coi motivi aggiunti al ricorso in primo grado n.r. 359/2005 non esaminate dal primo giudice, relative al permesso di costruire in variante, osservando che esse:

"...si riferiscono all’ incremento di volumetria del manufatto de quo rispetto all’intervento autorizzato con il permesso di costruire n.149/2004, avendo tali censure il loro nucleo fondante nel dato di fatto e di diritto costituito dalla dedotta violazione degli standard dettati in tema di distanze dalla sede stradale, ma se così è, per il rapporto di presupposizione con il titolo edilizio cui accede la concessione in variante n.111/05, anche in relazione a tale ultimo gravame non appare ravvisabile a carico della impugnata “variante” la inosservanza delle prescrizioni normative all’uopo invocata".

3.) Con ricorso notificato il 3 giugno 2014 e depositato il 13 giugno 2014 la sentenza suddetta è stata impugnata col rimedio straordinario della revocazione deducendosi errore di fatto nella parte in cui essa rileva che "...se nella specie vi è stata una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi da parte dei richiedenti il condono, una siffatta circostanza può sempre essere rilevata dall’Autorità preposta alla tutela e alla vigilanza dell’attività edilizia, a mezzo di precisi, rigorosi accertamenti da svolgersi in contraddittorio tra le parti e all’esito di tali accertamenti eventualmente esercitare il consequenziale ius poenitendi...".

E ciò perché "... la falsità di quanto dichiarato in sede di condono (e, dunque, la dolosa infedeltà della/e domanda/e) non è una mera ipotesi - come sostenuto dalla IV Sezione - ma è una circostanza di fatto definitivamente accertata in una sentenza penale ritualmente prodotta in giudizio" (si fa riferimento alla sentenza del Pretore di Gioia del Colle n. 98/79, confermata in appello, in ordine alla data di realizzazione dei lavori nel mese di novembre/dicembre 1978; peraltro il ricorso per revocazione risulta carente della pagina 4, passando dalla pagina 3 alla pagina 5 con evidente disconnessione logica tra l'ultimo periodo di pagina 3 e il primo di pagina 5).

Costituitisi nel giudizio di revocazione con controricorso depositato il 5 agosto 2014, Vito Nicola Romano e Francesco Romano hanno dedotto a loro volta l'inammissibilità del ricorso per revocazione per essere insussistente l'invocato errore di fatto, in relazione all'esame complessivo della sentenza, delle deduzioni del primo motivo d'appello e di quelle, sottostanti, del primo motivo del ricorso in primo grado n.r. 4095/1994 (che riferiva la dolosa infedeltà al complesso della domanda di condono), sia perché e in ogni caso, anche quando i manufatti siano stati realizzati o completati nel 1978, comunque essi sono stati ultimati entro il termine per l'ammissione al condono del 31 dicembre 1983, salva la sola integrazione della misura dell'oblazione e infine perché le presunte infedeli dichiarazioni in ordine all'epoca di ultimazione riguarderebbero i soli manufatti non condonati, non potendo comunque la falsità delle dichiarazioni viziare la concessione in sanatoria; nel merito e quanto alla dedotta dolosa infedeltà della dichiarazione si sostiene che l'indicazione di una data di ultimazione delle opere diversa ma comunque rientrante nel termine ultimo per la realizzazione delle opere (31 dicembre 1983) non può inficiare la validità della concessione in sanatoria.

All'udienza pubblica del 31 marzo 2015 il ricorso per revocazione è stato discusso e riservato per la decisione.

4.) Il ricorso in epigrafe è inammissibile non sussistendo il denunciato errore revocatorio.

In effetti non può sostenersi che la dolosa infedeltà della dichiarazione relativa alla data di realizzazione delle opere fosse stata accertata giudizialmente in sede penale, perché la sentenza del Pretore di Gioia del Colle n. 98/79 del 20 novembre 1979, riformata dal Tribunale di Bari con sentenza del 10 febbraio 1981 limitatamente alla misura della pena irrogata, e divenuta definitiva a seguito di declaratoria d'inammissibilità del ricorso per cassazione di cui all'ordinanza della Suprema Corte del 10 novembre 1981, riguardava l'esclusivo accertamento dell'epoca di ultimazione delle opere, laddove è del tutto evidente che le dichiarazioni asseverative e sostitutive di atto di notorietà allegate alla domanda di condono sono successive al giudicato penale.

D'altro canto, la sentenza di cui si chiede la revocazione non ha affatto affermato che la dichiarazione fosse veridica nel suo contenuto asseverativo con riferimento all'epoca di realizzazione delle opere in contrasto col giudicato penale, avendo solo rilevato che qualora vi fosse stata "falsa rappresentazione dello stato dei luoghi" non ne era precluso l'accertamento in sede amministrativa in contraddittorio con le parti.

E' noto d'altro canto che l'illegittimità della concessione in sanatoria sussiste solo se in sede penale sia accertata la falsità della dichiarazione in ordine all'epoca di realizzazione dell'opera condonata (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 39).

E ciò non senza trascurare che il riferimento dell'ultimazione delle opere a epoca (1975) diversa da quella accertata in sede penale (1978) non avrebbe potuto costituire ex se circostanza ostativa al rilascio della concessione in sanatoria in riferimento all'incontestata anteriorità delle opere edilizie rispetto alla data "fatidica" del 31 dicembre 1983, e ciò ancorché sia affatto problematico inquadrare la fattispecie, alla luce della giurisprudenza penale, nella categoria del c.d. falso innocuo (nel senso che l'innocuità debba valutarsi non con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto, sebbene all'idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica vedi Cass. Pen., Sez. V, 26 maggio 2014, n. 47601; esclude che costituisca falso innocuo quello che riguardi luogo e data di una certa attività, Cass. Pen., Sez. V, 14 novembre 2013, n. 51523).

5.) La peculiarità della fattispecie oggetto del ricorso revocatorio giustifica, peraltro, la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) dichiara inammissibile il ricorso per revocazione n.r. 4972 del 2014.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/09/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)