Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 562, del 5 febbraio 2015
Urbanistica. Asservimento per esaurimento della capacità edificatoria è opponibile anche al terzo acquirente 

Il concetto di asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari; esso consegue di diritto per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determina l’esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico. Si tratta di un asservimento giuridico oggettivo tipico del regime conformativo dei suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto nella concessione edilizia o della relativa trascrizione della stessa come di un atto di cessione (pur aventi la valenza giuridica di determinare e pubblicizzare l’asservimento) non possono contrastare l’asservimento urbanistico che si determina in ragione dell’esaurimento della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o dall’atto di cessione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00562/2015REG.PROV.COLL.

N. 04531/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4531 del 2008, proposto da: 
Openspace S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Rizzo, con domicilio eletto presso Stefano Nitoglia in Roma, Via Panama 74; 

contro

- Comune di Lecce, rappresentato e difeso dagli avv.ti M. Luisa De Salvo e Laura Astuto, con domicilio eletto presso Francesco Baldassare in Roma, Via Cola di Rienzo 271;
- Giustizieri Maria, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Mazzeo e Pierlucio Napoli, con domicilio eletto presso Luca Mazzeo in Roma, Via F. Confalonieri, 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III, n. 00787/2008, resa tra le parti, concernente il permesso di costruzione.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Giustizieri Maria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2014 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Cimaglia (su delega di Astuto) e Scafarelli (su delega di Mazzeo);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1.- Con atto di compravendita in data 2.10.2006, la società acquistava la proprietà di un suolo (identificato in catasto al fg. 228, p.lle 1446, 1447 e 1366) ricadente, in base al PRG, in zona B12 e chiedeva, con istanza del 26.10.2006, la voltura del permesso di costruzione (n. 173/2006) in precedenza rilasciato (il 16.3.2006) dal Comune di Lecce al suo dante causa (dott. Daniele Garzia) per la realizzazione su detto suolo di un fabbricato residenziale. Il trasferimento del titolo veniva autorizzato con provvedimento n. 2817 del 10.1.2007. Il 17.1.2007, la Openspace presentava una variante al citato permesso, volta all’utilizzo di detta area, alla quale l’amministrazione comunale rispondeva comunicando i motivi ostativi al rilascio di quanto richiesto, individuati nella violazione della distanza del fabbricato dal confine. La società istante inviava nuovi elaborati e con provvedimento n. 408 del 4.9.2007, l’amministrazione pronunziava la decadenza del permesso originario n. 173/06 (per mancato inizio dei lavori) e nel contempo, rilasciava un nuovo permesso di costruire, autorizzando l’inizio dei lavori. Tuttavia, a seguito di sollecitazione di vicina proprietaria (sig.ra Maria Giustizieri), il Comune emanava i seguenti atti:

- con atto 16.7.2007 comunicava l’avvio di un provvedimento di autotutela con riferimento al suddetto permesso n. 408/2007),

- in data 29.10.2007, ritenendo il permesso basato sull’errato presupposto che su una parte del suolo interessato dall’intervento (quella contraddistinta dalla particella n. 1366 di mq 124) fosse utilizzabile per realizzare la volumetria richiesta dal progetto assentito, disponeva l’immediata sospensione dei lavori sino alla termine del procedimento di autotutela sul permesso di costruzione interessato, intimando altresì il puntellamento di un muro di confine con proprietà limitrofa;

- infine, con provvedimento in data 13.12.2007, l’amministrazione disponeva l’annullamento d’ufficio del permesso n.408/2007.

2.- Contro i menzionati provvedimenti, la società Openspace insorgeva (con ricorso introduttivo ed altro per motivi aggiunti) innanzi alla sezione di Lecce del TAR Puglia, chiedendone l’annullamento. La società chiedeva inoltre l’accertamento e la declaratoria, con relativa condanna del Comune, del diritto al risarcimento del danno. A sostegno dei ricorsi, la ricorrente deduceva:

- né dalla certificazione urbanistica rilasciata dallo stesso Comune (ed allegata al contratto di compravendita del suolo stipulato dalla società ricorrente con il dott. Garzia), né dai registri della locale Conservatoria risulta l’esistenza del vincolo di inedificabilità sulla particella in questione (salvo quello apposto dallo stesso dott. Garzia nel 2006, nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio del p.d.c in seguito volturato in favore di Openspace), il che è attestato anche dalla relazione notarile allegata al ricorso;

- poiché i vincoli che implicano l’inedificabilità dei suoli, per poter essere opponibili ai terzi aventi causa, debbono essere trascritti, nel caso di specie il Comune non può fondare l’atto di autotutela su un presupposto che non risulta dagli atti del procedimento;

- anche a voler seguire un altro orientamento giurisprudenziale, in base al quale i vincoli di inedificabilità possono anche risultare dai certificati di destinazione urbanistica, che, ai sensi dell’art. 18 della L. n. 47/1985, debbono essere obbligatoriamente allegati agli atti di compravendita aventi ad oggetto aree non edificate, ugualmente l’operato del Comune è illegittimo, visto che dal certificato urbanistico summenzionato il vincolo in questione non risulta;

- risultano violati anche i principi dell’autotutela in materia edilizia, in quanto l’annullamento di un permesso di costruire non può essere decretato al solo fine di ripristinare la legalità violata. In ogni caso, la misura assunta dal Comune è eccessiva, visto che il superamento della volumetria massima assentibile implica, al limite, la realizzazione di un edificio avente un piano in meno rispetto a quanto previsto nel progetto approvato dall’Amministrazione e contestato dalla sig.ra Giustizieri;

- è illegittimo, infine, anche l’ordine di puntellamento del muro di confine (di fatto eseguito) con la proprietà della predetta sig.ra Giustizieri, non essendoci alcun pericolo per la pubblica incolumità.

Nel giudizio interveniva “ad opponendum” la sig.ra Giustizieri.

1.1.-Con la sentenza epigrafata il TAR ha respinto il ricorso.

2. Di qui l’appello in esame, proposto dalla società Openspace ed ad affidato ai motivi esaminati in diritto dalla presente decisione.

2.1. Al gravame resistono il Comune di Lecce e la menzionata interveniente in primo grado), assumendo l’infondatezza dell’appello e concludendo per la conferma della sentenza impugnata. La sig.ra Giustizieri ha altresì proposto un appello incidentale.

2.2.- Con ordinanza n. 3234 del 2014, la Sezione disponeva incombenti istruttori, che sono stati eseguiti.

2.3.- Alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2014, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello in trattazione controverte della legittimità di un provvedimento con cui il Comune di Lecce ha annullato, in sede di autotutela, un permesso di costruzione sul presupposto che, ai fini del rispetto degli indici edilizi previsti dalla vigente normativa comunale, il progetto assentito ha tenuto conto anche di una particella (n. 1366, avente una superficie di 124 mq.) che aveva invece esaurito la propria capacità edificatoria, in quanto asservita già dal 1983 ad un precedente intervento realizzato a seguito del rilascio di regolare concessione edilizia. Il TAR ha respinto il ricorso, rilevando, nel caso di specie, il vincolo di inedificabilità gravante sulla particella n. 1366 ed affermandone l’opponibilità a tutti gli aventi causa del soggetto che, nel 1983, aveva asservito la particella stessa ad un precedente intervento edificatorio. Il quadro della controversia in questa sede è completato dalla proposizione di un appello incidentale da parte della sig.ra Giustizieri (già intervenuta “ad opponendum” in primo grado), la quale avversa la decisione del TAR per non aver dichiarato l’inammissibilità, prima che l’infondatezza, del ricorso della Openspace e, nel merito, per aver affermato l’asservimento dell’area sulla base della legge pugliese n. 56/1989 anziché dei titoli precedentemente assentiti.

1.- Il primo motivo di ricorso ritiene erronea la tesi accolta dal primo giudice sull’esaurimento della capacità edificatoria della particella n. 1366 (di 124 mq.) in quanto già asservita e quindi utilizzata per effetto di precedente intervento; la decisione avrebbe omesso del tutto di considerare che in base alla dichiarazione notarile non esisteva alcun vincolo di inedificabilità, come sulla base dei precedenti atti di trasferimento della proprietà dell’area in questione. Aggiunge che gli asservimenti opponibili ai terzi sarebbero solo quelli derivanti da atti di consenso con trascrizione indicante le aree asservite, in mancanza dei quali non si verifica alcun utilizzo di cubatura, che invece la sentenza ha ritenuto trascritta in assenza di qualunque atto in tal senso. La legge regionale della Puglia n.56/1989 (come modificata dall’art. 10 della successiva n. 10/2003) condiziona il rilascio della concessione alla trascrizione di un atto di asservimento dell’area interessata dal manufatto assentito, in assenza del quale non si verifica alcun asservimento ai fini della cubatura realizzabile.

1.1.- Le censure impongono per chiarezza alcune brevi premesse generali muovendo dalla tesi per cui gli asservimenti opponibili ai terzi sarebbero solo quelli derivanti da atti di consenso.

Anzitutto, diversamente da quanto affermato dal TAR, va ribadito che il concetto di asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria opera obiettivamente ed è opponibile anche al terzo acquirente pur in assenza di trascrizione del vincolo nei registri immobiliari (v. Cons. di Stato, sez. V, n. 387/1998); esso consegue di diritto per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determina l’esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico. Si tratta di un asservimento giuridico oggettivo tipico del regime conformativo dei suoli, sicché la mancata indicazione di tale effetto nella concessione edilizia o della relativa trascrizione della stessa come di un atto di cessione (pur aventi la valenza giuridica di determinare e pubblicizzare l’asservimento) non possono contrastare l’asservimento urbanistico che si determina in ragione dell’esaurimento della volumetria disponibile, ignorato dalla concessione o dall’atto di cessione.

Per tali ragioni appare inconferente anzitutto il richiamo (da parte del TAR come da parte appellante) all’ art. 19 della legge pugliese n.10/2003 che delinea unicamente l’obbligo procedimentale “astratto” per cui al momento del rilascio della concessione questa sia corredata da un atto di asservimento, e quindi non esclude affatto che, pur in violazione di tale prescrizione, l’asservimento possa ugualmente prodursi per effetto di legittimi atti di concessione o cessione, pur non corredati da specifico atto di asservimento e relativa trascrizione.

Analogo ragionamento vale rispetto al certificato di destinazione urbanistica, allorchè questo si limiti a dichiarare il regime dell’area risultante dalle disposizioni urbanistiche vigenti (o dagli strumenti anche convenzionali) senza precisare gli asservimenti prodotti dalle concessioni edilizie pregresse, e ancor più per le risultanze catastali che non costituiscono fonte giuridica di alcun tipo di regime edilizio.

Ancor meno, infine, preclude l’asservimento automatico il fatto che la trascrizione sia prevista da una normativa recata da una Circolare ministeriale.

1.2- Ciò chiarito, e venendo alla specifica questione controversa (che il TAR ha risolto verificando l’asservimento urbanistico dell’area interessata anzitutto per effetto di atti di cessione), si duole l’appellante che il primo giudice abbia omesso di decidere in merito alla completa utilizzazione edificatoria, ma svolge argomentazioni (da p. 19 a p. 24) assolutamente insufficienti a corroborare questa tesi. Nessuna di esse infatti è in grado di smentire quanto accertato dal primo giudice, vale a dire l’esistenza di “ben tre note di trascrizione del vincolo di inedificabilità della particella 1366”, confermata del tutto chiaramente dalla relazione del verificatore, nominato da questa Sezione a seguito dell’istruttoria disposta (ord. n. 3234/2014). Nelle conclusioni di questa si legge infatti che la particella n. 1366, di cui si tratta, viene ceduta alla sig.ra Silenziario con atto del 9 luglio 1984, con la precisazione che “trattasi di zona interclusa ed inedificabile perché la cubatura è stata sfruttata per la costruzione del limitrofo edificio di proprietà della venditrice”. Conclude la relazione stessa che “il vincolo di inedificabilità, o meglio l’assenza di suscettività edificatoria della particelle 1366 sussiste ed è adeguatamente reso pubblico attraverso l’esecuzione delle dovute formalità presso gli Uffici della Conservatoria”.

1.3- Con ulteriore censura si sostiene che, anche nell’ipotesi di asservimento, era rimasta volumetria nella disponibilità del cedente, poiché, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento edilizio del Comune di Lecce ed ai fini del calcolo del volume edificabile, dovrebbero essere computate le aree non aventi nel PRG destinazione pubblica e cedute dai proprietari gratuitamente per realizzare opere di urbanizzazione e servizi collettivi, considerando che è stata realizzata dal Comune una strada su un’area che in “concreto non è mai stata ceduta al Comune”. Si tratta tuttavia di una questione non sollevata in primo grado, ma che comunque non avrebbe avuto alcun fondamento, poiché è noto che le aree non cedute al Comune ma comunque destinate a servizi pubblici non possono essere conteggiate ai fini di incrementare la volumetria edificabile; il riferimento al cennato art. 3 del R.E. è pertanto del tutto errato.

1.4.- Il gravame ripropone inoltre il vizio (che sembra in effetti non esaminato dal primo giudice) di violazione dei principi dell’autotutela in materia edilizia, in quanto l’annullamento di un permesso di costruire non può essere decretato al solo fine di ripristinare la legalità violata, ma deve essere assistito da uno specifico interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio. Anche questa tesi, non può trovare accoglimento, poiché in materia edilizia l’annullamento d’ufficio risponde oggettivamente al pubblico interesse di ripristinare la legalità urbanistico-edilizia (v. Cons. di Stato, sez.V, n. 4892/2011) .

Sul versante delle eventuali aspettative indotte dal titolo poi annullato, non può parlarsi di alcun tipo di affidamento allorché tra il titolo ed il suo annullamento corra un breve lasso di tempo. Nella specie il primo (il premesso di costruire) reca la data del 4.9.2007 ed il secondo è stato emesso il 13.12.2007.

1.5.- Alla p. 27 del ricorso si critica l’operato istruttorio del Comune e la sospensione dei lavori , ma non si indicano profili di erroneità carico della sentenza di primo grado; le censure risultano perciò inammissibili, anche considerato (“ad abundantiam”) che atti istruttori e sospensione dei lavori non sono censurabili, i primi per la loro natura non lesiva ed i secondi per aver perso efficacia per decorso del termine di efficacia stabilito dalla legge.

1.6.- Infine si duole la ricorrente del fatto che il TAR abbia del tutto omesso di pronunziarsi sulla domanda risarcitoria.

Il rilievo è infondato, in fatto ed in diritto. Come si legge nelle ultime due righe della sentenza, il TAR ha espressamente respinto la domanda risarcitoria in conseguenza delle reiezione della domanda di annullamento e, nel merito, la decisione risulta corretta, poiché la legittimità dell’operato dell’amministrazione permette di escludere profili di responsabilità risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., mancando l’indispensabile requisito dell’antigiuridicità dell’azione amministrativa contrastata.

2- Conclusivamente l’appello principale deve essere respinto.

- Restano assorbiti eventuali ulteriori motivi ed eccezioni, che il Collegio non ritiene rilevanti ai fini della presente decisione.

3.-L’appello incidentale risulta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, atteso il rigetto dell’appello principale.

4.- Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe:

a) respinge l’appello principale;

b) dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’appello incidentale;

c) condanna la società Openspace al pagamento, in favore delle parti costituite, delle spese del giudizio, che liquida, complessivamente ed in favore di ciascuna nella misura di Euro 2000 (oltre accessori di legge).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/02/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)