Consiglio di Stato Sez. V sent. 2085 del 14 aprile 2006
Urbanistica. Ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 9771 del 2002, proposto dal sig. Giuseppe Aliberti, quale rappresentante legale della s.a.s. Eurocom di Aliberti Giuseppe & C., rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Greppi, Paolo Monti e Nicolò Paoletti ed elettivamente domiciliato presso lo studio del terzo di essi, in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 34,
contro
il comune di Novi Ligure, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Santilli e Mario Menghini ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via della Mercede, n. 52,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, I Sezione, n. 809, pubblicata il 10 aprile 2002.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio d ella parte suindicata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Viste le decisioni n. 5186 del 15 settembre 2003, n. 6851 del 2004 e n. 5012 del 2005;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 6 dicembre 2005, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, i difensori delle parti, avv. Pafundi per delega Paoletti e avv. Menghini, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. Il ricorso n. 9771 del 2002 è proposto dal sig. Giuseppe Aliberti, quale legale rappresentante della s.a.s. omonima.
È stato notificato in data 14 novembre 2002 al comune di Novi Ligure. È stato depositato il 25 novembre.
2. Oggetto di impugnazione è la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, Sezione II, n. 809. pubblicata il 10 aprile 2002 e notificata il 16 settembre.
Con essa è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento 11 dicembre 2001, col quale il dirigente del Comune ha respinto una domanda di concessione in sanatoria, relativa ad opere eseguite in difformità di una concessione per ristrutturazione edilizia di un immobile del dante causa del ricorrente.
3. A critica della sentenza e della misura negativa comunale, sono proposte due censure.
Sono state prodotte memorie illustrative e documenti.
4. Il comune di Novi Ligure si è costituito, per resistere al ricorso, con atto depositato il 18 marzo 2003, col quale confuta l’appello.
Ha depositato documenti in data 25 ottobre 2003 e 8 novembre 2005 e memorie in data 16 aprile 2004, 7 aprile 2005 e 23 novembre 2005.
5. Con ordinanza collegiale n. 5355 del 10 dicembre 2002 è stata accolta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
6. Dopo che è stata ordinata l’esibizione di documenti e dopo la sospensione del processo, a norma dell’art. 32, comma 25, del d.l. 30 agosto 2003, n. 269, e delle disposizioni ivi richiamate, il ricorso è stato chiamato per la discussione all’udienza del 6 dicembre 2005 e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.1. Con concessione edilizia n. 182 del 21 novembre 2000, il dante causa della ricorrente società è stato autorizzato alla “ristrutturazione” di locali siti nel comune di Novi Ligure, via Don Minzoni, “con trasformazione di magazzini in autorimessa”.
1.2. In un “rapporto tecnico” di un ufficio comunale, in data 27 agosto 2001, è stato rilevato che l’immobile era stato demolito e ricostruito, sicché “l’opera è stata realizzata in difformità da quanto concessionato, poiché, pur nel rispetto di massima delle caratteristiche dimensionali, l’edificio, invece di essere recuperato come indicato in progetto, è stato completamente demolito ed è in fase di completa ricostruzione”.
1.3. Indotta dalle osservazioni del rapporto suddetto, la ditta ha prodotto domanda intesa ad ottenere una variante della concessione edilizia, ai sensi dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
1.4. La domanda è stata respinta, con il provvedimento n. 38719/46370 in data 11 dicembre 2001 del dirigente del “settore urbanistica” del Comune.
L’atto di diniego è motivato nel senso che “l’intervento di demolizione e ricostruzione non può essere sanato, in quanto supera il concetto di restauro e risanamento conservativo, come definito dall’art. 31, lett. c) della legge 05/08/1978, n. 457”. L’Ufficio ha ritenuto configurarsi una difformità rispetto alle norme di attuazione del piano regolatore del Comune, che all’art. 23.c ammettono “le sole opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, di risanamento e di restauro”.
2. Il ricorso introduttivo ha censurato la misura negativa del Comune:
2.1. perché l’art. 27 della l. 5 agosto 1978, n. 457 consente di compiere interventi di ristrutturazione edilizia. Di ciò non è stato tenuto conto, sostenendosi invece l’impossibilità di consentire interventi eccedenti il restauro e risanamento conservativo. Inoltre, le norme di piano regolatore devono recedere di fronte alle norme legislative che dispongono in senso contrario;
2.2. perché i lavori eseguiti trovano fonte in una concessione per ristrutturazione edilizia. Ed ancora: “l’opera è rimasta nell’ambito della categoria originaria”. E, infine, la demolizione e ricostruzione, limitate alle “spallette” delle porte del magazzino da trasformare, “non incidenti su superficie, volumi, altezze o altri parametri urbanistici fondamentali … è senza dubbio compatibile con la nozione di restauro e risanamento conservativo”.
3. Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha respinto il ricorso introduttivo con la sentenza n. 809 del 2002 e la società affida all’appello le critiche alla decisione del primo giudice ed al provvedimento di diniego sopra riferito.
4. L’appello merita di essere accolto.
5. In primo luogo, va richiamata la precisazione fatta al n. 1.1, e cioè che la concessione rilasciata (oggi denominata “permesso di costruire”) concerne una ristrutturazione edilizia, sia formalmente, per l’espressa formula del provvedimento, sia in senso sostanziale, per il suo contenuto. Esprime, infatti, il consenso ad eseguire lavori di “ristrutturazione” per cambio di destinazione d’uso, in una specifica zona di piano regolatore, e comporta, insieme, la necessità evidente di eseguire opere di demolizione e ricostruzione parziale del magazzino, costruzione preesistente, per far luogo alla rimessa per automobili.
Ne segue che è manifestamente da disattendere la tesi della difesa del Comune, secondo la quale la ristrutturazione consentita era, ed è, da intendersi in senso “non tecnico o, al più, errore materiale”, nel quale sarebbe incorsa l’amministrazione. Alla considerazione di inattendibilità di questa tesi, per le ragioni formali e sostanziali sopra esposte, si può aggiungere che all’errore non è neppure stato accennato negli atti comunali impugnati, né in quelli precedenti, sicché la tesi va configurata come un’inammissibile motivazione a posteriori del provvedimento in contestazione. Ed è costante la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato circa l’impossibilità di integrare o sostituire in giudizio la motivazione di un provvedimento, per l’evidente ragione che non è possibile riferire le nuove considerazioni (esposte in giudizo dai difensori) come presenti all’organo amministrativo nel momento in cui è stata decisa la misura della quale si discute.
6. Con riguardo alle opere “in difformità” contestate alla parte privata, si mostrano fondate ambedue le censure dedotte in primo grado, e riproposte in appello con critica alla sentenza del primo giudice.
6.1. L’esplicito e sostanziale riferimento alla ristrutturazione del magazzino,per trasformarlo in un’autorimessa, consente:
a) di richiamare il concetto di ristrutturazione edilizia, vigente all’epoca del rilascio del provvedimento abilitativo (2000) e del diniego di riconoscere conformi le opere eseguite (2001). L’art. 31 della l. 5 agosto 1978, n. 457 – come anche, nel caso specifico, l’art. 13 della l. reg.le Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 – ne danno conto come esecuzione di un intervento di trasformazione di un organismo edilizio, mediante un insieme di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello preesistente. Ed ambedue le norme si soffermano, in via esemplificativa, ad elencare gli interventi di ripristino o sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, di eliminazione, modifica o inserimento di nuovi elementi o impianti.
In conclusione, è la stessa legge che ammette demolizioni e ricostruzioni di elementi, anche strutturali, della costruzione sulla quale s’interviene per ristrutturare;
b) di richiamare la costante giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo la quale il concetto di ristrutturazione edilizia consente anche la demolizione seguita dalla ricostruzione del manufatto, purché ne sia assicurata l’identità di sagoma, di volume e di superficie (V Sez. 10 febbraio 2004, n. 476; 18 settembre 2003, n. 5310; 9 ottobre 2002, n. 5410).
6.2. Anche le regole sul restauro e risanamento conservativo possono essere utili per rilevare la disciplina giuridica alla quale era sottoposto il controverso intervento di trasformazione, mediante opere edilizie, di un edificio adibito a magazzino in uno da adibire a ricovero di autoveicoli.
Invero, ambedue le norme – statale e regionale – sopra ricordate descrivono le consentite opere di restauro e risanamento come interventi che comprendono “il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio”, oltre ad inserimenti ed eliminazioni, che qui possono non interessare. Solo che detti lavori sono subordinati anche a destinazioni d’uso compatibili con le opere da farsi.
7. Dalle regole ora sommariamente ricordate deriva:
7.1. che l’attività consentita alla parte privata con la concessione edilizia a suo tempo rilasciata, si poteva risolvere, come si è accertato dal Comune che si è risolta, nella demolizione e ricostruzione del magazzino, per farne una costruzione adatta a rimessa di veicoli, secondo la destinazione d’uso che era stata riconosciuta compatibile con lo strumento urbanistico vigente.
L’unico elemento impeditivo sarebbe potuto essere il mancato rispetto dei limiti di dimensioni del manufatto ricostruito, che sono stati ripetutamente messi in luce dalla ricordata giurisprudenza (per inciso, poi notevolmente mutati per effetto della modificazione apportata all’art. 10 del t.u. n. 380 del 2001 – t.u. 6 giugno 2001, n. 380 – dal d. lgs. 27 dicembre 2002, n. 301). Ma tal evenienza è esplicitamente smentita dalla relazione dell’agosto 2001 (sopra n. 1.2), nella quale si attesta che le opere – erroneamente, per quel che sin qui si è chiarito, definite come irregolari – sono state eseguite “nel rispetto di massima delle caratteristiche dimensionali”.
Non era perciò necessaria alcuna sanatoria;
7.2. che è perciò non conforme a legge, né alla concreta situazione in esame, l’affermazione che era stata rilasciata un’autorizzazione per restauro e risanamento conservativo. Sicché anche per questo profilo, è illegittimo il diniego impugnato;
7.3. che, in ogni caso, la demolizione di elementi costitutivi della costruzione, con il loro rinnovo, è riconducibile anche ad una ipotesi di restauro e risanamento, quali contemplati dalle identiche norme statale e regionale sopra indicate, quando, come nella specie, era stata riconosciuta come compatibile, con le opere da eseguire e quindi con lo strumento di pianificazione urbanistica, la modificazione della destinazione d’uso.
8. Ogni altra considerazione o censura sono conclusivamente assorbite, in dipendenza delle osservazioni sopra esternate. Va, di conseguenza, in riforma dell’impugnata sentenza, accolto il ricorso introduttivo, con annullamento del provvedimento contestato.
Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, si deve porre in rilievo che essa non è accompagnata da alcuna indicazione né degli specifici pregiudizi subiti, né della loro possibile quantificazione sul piano patrimoniale.
La domanda deve essere accolta perciò limitatamente alla affermazione della colpa della parte intimata, poiché è accertato che la necessità di richiesta di sanatoria ed il diniego sono derivati da verifiche e determinazioni fatte in violazione delle norme richiamate, e perciò da colpa degli organi comunali. Resta, per conseguenza, affidata ad altra eventuale domanda della parte la dimostrazione dei danni patrimoniali subiti.
9. Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento contestato con il ricorso introduttivo.
Condanna il comune di Novi Ligure al pagamento, in favore della parte appellante, delle spese del giudizio, che liquida in quattromila euro.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 6 dicembre 2005, con l'intervento dei Signori:
Raffaele Iannotta Presidente
Giuseppe Farina rel. est. Consigliere
Chiarenza Millemaggi Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Michele Corradino Consigliere
L’Estensore Il Presidente
f.to Giuseppe Farina f.to Raffaele Iannotta