Cass. Sez. III n. 40678 del 13 settembre 2018 (Ud 26 giu 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Corbetta Ric. Gareri
Urbanistica.Mutamento di destinazione d’uso

In tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d'uso senza opere è assoggettato a SCIA, purché intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d'uso sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria omogenea.


RITENUTO IN FATTO


1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Reggio Emilia condannava Alfonso Gareri alla pena di euro mille di ammenda, condizionalmente sospesa, in relazione al reato di cui all’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001, perché, quale esecutore materiale, realizzava, in contrasto con le previsioni urbanistiche (in specie, dell’art. 4.2.2 delle Norme tecniche di attuazione del vigente Regolamento urbanistico edilizio, d’ora in avanti R.U.E.), la modifica della destinazione d’uso dell’immobile catastalmente identificato al fl. 157, mappale 93, sub 2, in quanto, da destinazione ad esercizio commerciale di vicinato, veniva modificato in quella avente ad oggetto attività ludico-ricreativa con problematiche di impatto. Con l’indicata sentenza veniva assolto il coimputato Lamberto Ferri Ricchi, chiamato a rispondere in concorso del medesimo reato quale proprietario dell’immobile, concesso in locazione al Gareri, per non aver commesso il fatto.

2. Avverso l’indicata  sentenza l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione ed erronea applicazione delle norme di attuazione del R.U.E. Assume il ricorrente che il Tribunale, erroneamente, avrebbe ritenuto il mutamento di destinazione d’uso, in quanto l’esercizio commerciale “centro elaborazione dati” gestito dal Gareri, come riferito dal consulente della difesa, non potrebbe ascriversi alla tipologia di attività B17, essendo, piuttosto, riconducibile in altre tipologie di attività, pienamente compatibili con le norme di settore, e considerando, inoltre, che non vi sarebbe stata alcuna modifica né dei caratteri edilizi dell’edificio, né del carico urbanistico. Ad avviso del ricorrente, pertanto, l’attività svolta dal Guareri sarebbe perciò conforme alla destinazione d’uso dell’immobile.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione, non avendo il Tribunale valutato la deposizione del consulente tecnico della difesa, il quale avrebbe rassegnato valutazioni tecniche opposte a quelle espresse dal funzionario comunale.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

2. Il primo motivo è infondato, essendo prevalentemente articolato in fatto.
Questa Corte ha chiarito che la destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo).
L'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono, infatti, realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale (Sez. 3, n. 24096 del 07/03/2008, Desimine; Sez. 3, Sentenza n. 35177 del 12/07/2001, dep. 21/10/2002, Cinquegrani Rv. 222740).
Non è, perciò, sufficiente dimostrare che il mutamento della destinazione d'uso sia stato eseguito in assenza di opere edilizie interne, ma occorre dimostrare che il cambio della destinazione presenti il requisito dell'omogeneità, nel senso che sia intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee perché il cambio, allorquando investe categorie urbanistiche disomogenee di utilizzazione, determina, come nella specie, un aggravamento del carico urbanistico esistente. Pertanto, è giuridicamente rilevante solo il mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi stante le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell'ambito della medesima categoria.
Va, quindi, conclusivamente ribadito che, in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d'uso senza opere è assoggettato a SCIA, purché intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d'uso sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria omogenea. (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016 - dep. 24/06/2016, P.M. in proc. Stellato, Rv. 267106).

3. Ciò premesso, la sentenza impugnata non merita censure, avendo correttamente ritenuto la configurabilità del reato urbanistico in quanto, contrariamente all'assunto del ricorrente, il mutamento della destinazione d'uso è stato effettuato proprio con riferimento a categorie tra loro incompatibili, trattandosi di esercizio ove veniva svolta l’attività di elaborazione dati relativi all’attività di giochi e scommesse, come appurato dal Tribunale, ricadente come attività di uso B17 all’interno del R.U.E., e, quindi, praticabile solo nelle zone produttive, mentre il locale, ubicato in una via non ricompresa nella zona produttiva, era stato autorizzato per attività ad uso negozio.
Trattandosi di attività differenti, in relazione al quale il comune di Reggio Emilia ha previsto, nel R.U.E., che possano svolgersi in determinati ambiti cittadini, correttamente il Tribunale ha ravvisato l’inosservanza della prescrizione contenuta nel regolamento edilizio, il che integra la contestata fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001.

3. Il secondo motivo è infondato.
Invero, pur non richiamando espressamente la deposizione del consulente della difesa, il Tribunale ha comunque logicamente spiegato, nel dar conto delle ragioni poste a fondamento del giudizio di penale responsabilità, il motivo per cui è stato dato credito alla deposizione del funzionario comunale, in particolare valutando che l’attività svolta nel locale gestito dell’imputato fosse da classificarsi come uso B17, e, quindi, non consentita in una zona non produttiva, come quella in cui è ubicato detto locale.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/06/2018.