Pres. Papa Est. Fiale Ric. Tortora ed altro
Urbanistica. Sequestro e sgombero di manufatto abusivo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
composta dagli Signori:
Dott. Enrico
Papa
Pres.
1. Dott. Vincenzo Tardino Cons.
2. Claudia Squassoni "
3. Aldo Fiale "
4. Antonio Ianniello "
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. Tortora Pietro, n.a. ***
2. Garofane Anna, n.a. ***
avverso l'ordinanza 24/3/2006 del G.I.P. del Tribunale di Torre
Annunziata quale giudice dell'esecuzione.
Sentita la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale.
Lette le richieste del P.M. che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il G.I,P. del Tribunale di Torre Annunziata, con provvedimento del
2.1.2006, disponeva il sequestro preventivo di un immobile edificato in
Pompei, ipotizzando - nei confronti di Tortora Pietro e Garofane Anna -
la commissione di reati urbanistico-edilizi ed ambientali
nonché del delitto di cui all'art. 349 cpv. cod. pen.
(violazione, per la quinta volta, dei sigilli apposti il 28.12.2004).
In sede di esecuzione di detto provvedimento, il P.M. ordinava lo
sgombero del manufatto abusivo.
Il Tribunale per il riesame di Napoli confermava il decreto di
sequestro limitatamente all'ipotesi delittuosa contestata.
Gli indagati proponevano altresì incidente di esecuzione
inteso ad ottenere la revoca del provvedimento di sgombero emesso dal
P.M., eccependo: l'illegittimità dello stesso sequestro,
nonché l'assenza delle esigenze cautelari, essendo
l'immobile ultimato ed essendo frattanto intervenuto decreto di
archiviazione per i reati urbanistici ed edilizi.
Il G.I.P. del Tribunale di Torre Annunziata quale giudice
dell'esecuzione, con ordinanza del 24.3.2006 emessa all'esito della
instaurata procedura camerale, rigettava l'istanza.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso il Tortora e la Garofane,
i quali hanno ribadito che, essendo intervenuto decreto di
archiviazione per i reati urbanistici ed edilizi, sarebbero venute meno
le condizioni per ordinare lo sgombero.
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Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
Questa Corte Suprema (Sez. 16.5.2003, n. 21735, Massa) ha affermato che
non è abnorme il provvedimento con il quale il pubblico
ministero disponga lo sgombero di un edificio sequestrato, trattandosi
di atto di esercizio del potere di determinare le modalità
esecutive del sequestro ai sensi dell'art. 655 c.p.p., come tale
assoggettabile alla procedura dì incidente di esecuzione
(vedi pure, nello stesso senso, Cass., Sez. 4.6.2001, n. 22665, P.M. in
proc. Bagnasco).
Né, in senso contrario, può essere richiamata la
pronuncia 11.10.1994, n. 3974 della II Sezione di questa Corte, ove
viene affermata l'abnormità del provvedimento con il quale
il pubblico ministero, quale capo della polizia giudiziaria ed allo
scopo di impedire che un reato venga portato ad ulteriori conseguenze,
ordini, richiamandosi all'art. 55 c.p.p., lo sgombero di un immobile
abusivamente occupato, in quanto detta pronuncia si riferisce al
diverso caso in cui il P.M. abbia emesso l'ordine di sgombero al di
fuori dell'emanazione di un sequestro preventivo.
Deve ribadirsi, pertanto, che il P.M. è titolare del potere
di ordinare lo sgombero dell'immobile, laddove esso costituisca una
ineliminabile modalità di attuazione del sequestro,
rappresentando tale ordine un atto di esercizio del potere di
determinare le modalità esecutive della misura cautelare,
come tale di competenza esclusiva del pubblico ministero. Appare,
quindi, assolutamente ingiustificata la pretesa che l'ordine di
sgombero debba formare oggetto di previsione specifica nell'ambito del
provvedimento del G.I.P. che dispone il sequestro preventivo.
Né, in sede di incidente di esecuzione avverso l'ordine
impartito dal P.M., possono contestarsi le ragioni stesse del sequestro
(sussistenza fumus delicti e del periculum
in mora), in quanto in tal modo viene posta non
già una questione relativa al controllo delle
modalità di attuazione del sequestro, propria della fase
esecutiva, ma viene invece sollevato un problema di rivalutazione della
sussistenza dei presupposti di legittimità della misura di
coercizione reale, che esula dalla sfera dell'esecuzione e per la cui
risoluzione l'ordinamento appresta altri specifici rimedi.
In sede esecutiva è possibile solo censurare il
provvedimento con cui il P.M. ha dato esecuzione al decreto di
sequestro preventivo, o deducendo l'inesistenza del titolo ovvero
contestando le modalità dell'esecuzione, con particolare
riguardo al profilo della loro indispensabilità ai fini
dell'attuazione e - nel caso in esame - deve rilevarsi:
- con riguardo al primo profilo, che il P.M. ha dato esecuzione ad un
provvedimento di sequestro che, anche dopo la pronuncia del Tribunale
del riesame, è valido ed efficace;
- quanto al secondo profilo, che esattamente il ha evidenziato come non
possa porsi in dubbio che l'evacuazione del manufatto costituisca una
ineliminabile modalità di esecuzione della misura di cautela
applicata, finalizzata proprio ad impedire che gli indagati possano
occupare ed abitare un immobile edificato ed ultimato con
modalità illecite.
In sede di esecuzione, invece - è opportuno ribadirlo - non
è possibile effettuare alcun sindacato sull'effettiva
sussistenza delle esigenze cautelari, trattandosi di questione
attinente al merito della misura adottata.
Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere
solidale delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 011 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 13.12.2006