Consiglio di Stato Sez. IV n. 7412 del 4 settembre 2024
Rumore.Sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica

L’onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non invadere sfere di valutazione che spettano in via esclusiva all’amministrazione; tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere e, più in generale, quando viene violato il principio di ragionevolezza. Non si tratta, quindi, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche. 

Pubblicato il 04/09/2024

N. 07412/2024REG.PROV.COLL.

N. 05586/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5586 del 2021, proposto da Dalmine s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Dalmine, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mirko Brignoli, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

nei confronti

Fabrizio Fratus e Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tar Lombardia, Sezione staccata di Brescia, dell’8 gennaio 2021, n. 33, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Dalmine;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.


FATTO e DIRITTO

1. – La società appellante, premesso di essere titolare dello stabilimento industriale fondato nel Comune di Dalmine nel 1906 e dedito alla produzione di tubi in acciaio per l’industria energetica automobilistica e meccanica, ha impugnato le deliberazioni del consiglio comunale di Dalmine n. 61 del 30 novembre 2017 e n. 40 del 20 luglio 2018 - e gli ulteriori atti connessi

del procedimento amministrativo - con cui è stato rispettivamente “adottato” e quindi “approvato” il nuovo Piano di Zonizzazione Acustica della Città di Dalmine.

In particolare, tale nuovo piano avrebbe introdotto una serie di classificazioni e previsioni peggiorative rispetto alla precedente analoga zonizzazione del 2001, sulla cui base la ricorrente avrebbe posto in essere onerose misure di risanamento all’esito di un percorso condiviso con la stessa amministrazione comunale; tali nuove previsioni sarebbero contrarie alla normativa di settore, irragionevoli e incompatibili con lo stato dei luoghi e con la destinazione produttiva della zona in cui è ubicato lo stabilimento (confermata dal PGT approvato nel 2011) e, in definitiva, con l’esercizio dell’attività industriale della ricorrente e, soprattutto, con le prospettive di futuri sviluppi e ampliamenti.

Le osservazioni a seguito della delibera di “adozione” del Piano sono state in gran parte respinte dal consiglio comunale in sede di “controdeduzioni” e di “approvazione definitiva” del Piano, con particolare riferimento a quelle indicate con i numeri 1, 3, 4, 7 e 8.

2. – Con ampia e articolata motivazione, il T.a.r. ha respinto il ricorso.

3. – Con atto di appello, la società ha impugnato la sentenza di primo grado.

Con apposita memoria, si è costituita l’amministrazione resistente, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. 

4. – All’udienza pubblica del 30 maggio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 

5. – L’appello è infondato.

6. – Innanzitutto, occorre richiamare la normativa applicabile.

La legge 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) attribuisce alle Regioni la competenza a definire con legge i criteri in base ai quali i Comuni “tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio” devono procedere alla classificazione acustica del proprio territorio “stabilendo il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5 dBA di livello sonoro equivalente” con la precisazione che “Qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’articolo 7” (art. 4, comma 1, lett. a), legge n. 447 del 1995).

7. – In attuazione di tale disciplina, è stato emanato il d.P.C.M. 14 novembre 1997 (Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore), il quale ha previsto sei distinte classi acustiche (Tabella A) attribuendo a ciascuna di esse i relativi valori limite di emissione (Tabella B), suddivisi in una fascia oraria diurna (dalle ore 6.00 alle ore 22.00) e in una notturna (dalle ore 22.00 alle ore 6.00):

Classe I – aree particolarmente protette: “rientrano in questa classe le aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro utilizzazione: aree ospedaliere, scolastiche, aree destinate al riposo ed allo svago, aree residenziali rurali, aree di particolare interesse urbanistico, parchi pubblici, ecc.”, con valori limite di emissione pari a 45 dB (diurno) e 35 dB (notturno).

Classe II – aree destinate ad uso prevalentemente residenziale: “rientrano in questa classe le aree urbane interessate prevalentemente da traffico veicolare locale, con bassa densità di popolazione, con limitata presenza di attività commerciali ed assenza di attività industriali ed artigianali” con valori limite di emissione pari a 50 dB (diurno) e 40 dB (notturno).

Classe III – aree di tipo misto: “rientrano in questa classe le aree urbane interessate da traffico veicolare locale o di attraversamento, con media densità di popolazione, con presenza di attività commerciali, uffici, con limitata presenza di attività artigianali e con assenza di attività industriali; aree rurali interessate da attività che impiegano macchine operatrici” con valori limite di emissione pari a 55 dB (diurno) e 45 dB (notturno).

Classe IV – aree di intensa attività umana: “rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali; le aree in prossimità di strade di grande comunicazione e di linee ferroviarie; le aree portuali; le aree con limitata presenza di piccole industrie” con valori limite di emissione pari a 60 dB (diurno) e 50 dB (notturno).

Classe V – aree prevalentemente industriali: “rientrano in questa classe le aree interessate da insediamenti industriali e con scarsità di abitazioni” con valori limite di emissione pari a 65 dB (diurno) e 55 dB (notturno).

Classe VI – aree esclusivamente industriali: “rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da attività industriali e prive di insediamenti abitativi” con valori limite di emissione pari a 65 dB (diurno) e 65 dB (notturno).

8. – La legge regionale Lombardia del 10 agosto 2001, n. 13 (Norme in materia di inquinamento acustico), al suo art. 2 (Classificazione acustica del territorio comunale) ha poi fissato i criteri generali di cui la Giunta regionale deve tener conto nella redazione dei criteri tecnici di dettaglio.

In particolare, per quanto qui interessa, si prevede che:

“a) la classificazione acustica deve essere predisposta sulla base delle destinazioni d’uso del territorio, sia quelle esistenti che quelle previste negli strumenti di pianificazione urbanistica;

b) nella classificazione acustica è vietato prevedere il contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, i cui valori limite si discostino in misura superiore a 5 dB(A);

c) nel caso di aree già urbanizzate qualora a causa di preesistenti destinazioni d’uso, non sia possibile rispettare le previsioni della lettera b), in deroga a quanto in essa disposto si può prevedere il contatto diretto di aree i cui valori limite si discostino sino a 10 dB(A); in tal caso il comune, contestualmente alla classificazione acustica, adotta, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera a) della legge 447/1995, un piano di risanamento acustico relativo alle aree classificate in deroga a quanto previsto alla lettera b)” (art. 2, comma 3, l.r. n. 13 del 2001).

9. – Infine, è stata approvata la delibera di Giunta regionale n. VII/9776 del 12 luglio 2002, recante l’approvazione dei “Criteri tecnici di dettaglio per la redazione della classificazione acustica del territorio comunale”.

In particolare, dopo aver recepito la classificazione acustica di cui al suddetto d.P.C.M. 14 novembre 1997 (cfr. punto 6 della delibera n. VII/9776 del 2002), viene disciplinato un complesso procedimento di zonizzazione acustica, strutturato per fasi e basato su acquisizione e analisi di dati, ipotesi di classificazione e successive verifiche di compatibilità (punto 7 – Fasi di predisposizione della classificazione, della delibera n. VII/9776 del 2002).

Con specifico riferimento alla fase che qui rileva: “Si procede alla risoluzione dei casi in cui le destinazioni d’uso del territorio inducono ad una classificazione con salti di classe maggiore di uno, cioè con valori limite che differiscono per più di 5 dB. Ove necessario si procede alla individuazione di una o più zone intermedie, da porre in classe intermedia tra le due classi, di ampiezza tale da consentire una diminuzione progressiva dei valori limite a partire dalla zona di classe superiore fino a quella inferiore. Si deve tener conto di quanto disposto dalla l.r. 13/2001, all’articolo 2, comma 3, lettera c)” (punto 7.9 della delibera n. VII/9776 del 2002).

10. – Con il primo motivo di appello (pag. 4-11 dell’appello), la società ha dedotto l’erroneità della sentenza in quanto l’intera area di proprietà dell’appellante, interessata solo ed esclusivamente da attività industriali e priva di abitazioni, avrebbe dovuto essere classificata in classe VI e non anche in classe V o in classe IV, come invece accaduto, mentre le aree esterne al perimetro aziendale, avendo poche abitazioni, avrebbero dovuto essere classificate come classe V, in quanto “la situazione dei luoghi consentiva di applicare i criteri indicati nella richiamata ed esaustiva disciplina di settore, senza stravolgerli” (pag. 8 dell’appello); inoltre, ha aggiunto che: a) le suddette abitazioni esterne al perimetro aziendale sono sorte dopo la fondazione dello stabilimento, con conseguente violazione del principio del preuso; b) la sentenza avrebbe integrato la motivazione del provvedimento che invece non faceva riferimento al criterio del preuso; c) sarebbe errata la distinzione tra le zone attualmente “prive di impianti produttivi” e le zone connotate dalla presenza di tali impianti, in quanto ogni attività del ciclo produttivo di un’acciaieria come quella in esame è strettamente connessa ed interdipendente con le altre, per cui “ai fini acustici, viene in rilievo un unico impianto industriale […] che, quindi, non può essere parcellizzato” (pag. 10 dell’appello), avuto particolare riguardo all’attività di movimentazione dei tubi che si svolge nelle aree prive di impianti, oltre alla lesione della propria libertà di iniziativa economica inclusiva del potere di riorganizzare la dislocazione degli impianti all’interno dello stabilimento (pag. 11).

11. – Con il secondo motivo di appello (pag. 11-21 dell’appello), la società ha ribadito l’erroneità dell’assunto secondo il quale il mantenimento in classe VI dell’intera area dello stabilimento industriale implicherebbe la collocazione delle zone limitrofe in classi inidonee, secondo il criterio di gradualità, con la conseguenza per cui verrebbe meno anche la “esigenza di assicurare il rispetto del divieto di contatto diretto (tra aree aventi grado acustico non immediatamente consecutivo), in quanto tale regola sarebbe stata rispettata anche collocando l’area industriale esclusivamente in classe VI” (pag. 17 dell’appello); pertanto, ha ribadito l’illegittimità della classificazione in zona V di una parte dell’area esclusivamente industriale.

12. – Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono infondati.

La parte appellante, infatti, lamenta sostanzialmente l’erroneità della classificazione acustica operata sull’area di sua proprietà, in quanto, sebbene si tratti di area pacificamente industriale, non è stata classificata interamente in classe VI (Aree esclusivamente industriali), ma è stata attribuita anche una classe V (Aree prevalentemente industriali) in relazione alla fascia perimetrale dello stabilimento priva di impianti e adibita a parcheggio e deposito, ed una classe IV (Aree di intensa attività umana) in relazione ad alcuni punti della medesima fascia perimetrale più a ridosso delle zone residenziali.

13. – A tal riguardo, occorre innanzitutto ribadire i consolidati principi in materia (da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 luglio 2023, n. 6451).

In primo luogo va tenuto in conto che l’onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2018, n. 135), sicché il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non invadere sfere di valutazione che spettano in via esclusiva all’amministrazione; tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 31 dicembre 2009, n.9301) e, più in generale, quando viene violato il principio di ragionevolezza.

Non si tratta, quindi, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 11 dicembre 2020, n. 7097).

14. – Ciò posto, si deve osservare che se da un lato è vero che la Classe V (Aree prevalentemente industriali “con scarsità di abitazioni”) potrebbe non essere adeguata alla fascia perimetrale dello stabilimento industriale perché in tale zona non ci sono residenze, tuttavia, è altrettanto vero che se così non fosse, una volta classificata in Classe V la zona confinante con poche abitazioni, quella successiva dovrebbe essere classificata in Classe IV (Aree di intensa attività umana) mentre invece è pacifico che quest’ultima zona è “prevalentemente residenziale” per cui la sua corretta classificazione sarebbe in Classe II (prevalentemente residenziale) mentre nella specie è stata classificata in Classe III (Aree di tipo misto), al fine di operare un ragionevole bilanciamento di contrapposti interessi.

Pertanto, seguendo la logica dell’appellante, l’unica ad essere sacrificata sarebbe la zona residenziale, mentre secondo la logica dell’amministrazione, il sacrificio è stato ripartito tra la zona industriale e quella residenziale, con conseguente equo contemperamento dei contrapposti interessi, mediante la previsione di zone cuscinetto (cfr. delibera n. VII/9776 del 2002, punto 7.9).

In altri termini, se è vero che potrebbe essere astrattamente adottata una zonizzazione dell’intera area della società secondo la definizione della Classe VI (esclusivamente industriale), è anche vero però che, in applicazione del principio di gradualità, ciò comporterebbe un sacrificio delle zone limitrofe che dovrebbero essere classificate secondo Classi non pertinenti per le zone residenziali.

A ben vedere, inoltre, è la concreta morfologia del territorio urbano che impedisce una piana applicazione delle Classi astrattamente previste, nel rispetto del principio di gradualità, con la conseguenza che l’amministrazione era tenuta ad operare un bilanciamento di interessi, nella specie correttamente effettuato, non potendo limitarsi alla piana applicazione delle Classi astrattamente previste.

Ne consegue, pertanto, l’infondatezza dell’assunto di parte appellante secondo cui “la situazione dei luoghi consentiva di applicare i criteri indicati nella richiamata ed esaustiva disciplina di settore, senza stravolgerli” (pag. 8 dell’appello).

Peraltro, i criteri della disciplina di settore, non sono stati stravolti, ma sono stati applicati nel rispetto del principio di gradualità in base al quale “Ove necessario si procede alla individuazione di una o più zone intermedie, da porre in classe intermedia tra le due classi, di ampiezza tale da consentire una diminuzione progressiva dei valori limite a partire dalla zona di classe superiore fino a quella inferiore” (punto 7.9 della delibera n. VII/9776 del 2002).

Ma anche ammettendo che la soluzione proposta dall’appellante fosse ragionevole, deve escludersi che ciò comporti automaticamente una irragionevolezza della soluzione proposta dall’amministrazione: pertanto, a fronte di due soluzioni altrettanto ragionevoli, non può essere sindacata la scelta dell’amministrazione in sede di giurisdizione generale di legittimità di non aver adottato una scelta diversa ugualmente opinabile.

Pertanto, deve ritenersi corretta la statuizione del primo giudice secondo cui il Comune “lungi dall’evidenziare profili macroscopici di illogicità, irragionevolezza o travisamento del fatto – gli unici astrattamente sindacabili da questo giudice - costituiscano piuttosto l’espressione di un esercizio ragionevole e proporzionato dei poteri di pianificazione spettanti all’amministrazione comunale, ispirato dall’esigenza di contemperare la tutela dell’ambiente con la tutela delle attività produttive e non produttive preesistenti, nei limiti consentiti dalla morfologia del territorio; e ciò in piena aderenza ai citati principi generali affermati dalla disciplina di settore e dalla giurisprudenza amministrativa” (punto 2.5 della sentenza impugnata).

15. – Da quanto fin qui esposto, ne deriva il rigetto anche del terzo motivo di appello (cfr. pag. 22-28 dell’appello), sostanzialmente fondato sugli stessi assunti di cui al primo motivo di appello già esaminato e a cui si rinvia.

16. – Con il quarto motivo di appello (pag. 28-33 dell’appello), è stata contestata la classificazione in classe III di una parte della zona residenziale (quartiere Garbagni) adiacente a quella industriale.

In particolare, si concorda sulla classificazione in classe IV della fascia del quartiere residenziale adiacente all’area industriale, ma si contesta la classificazione in classe III della restante parte del quartiere.

La censura, così come formulata, non è sorretta da un adeguato interesse, in quanto ci si duole di una asserita errata classificazione di un’area che non è né quella di proprietà della società appellante e né quella immediatamente confinante. Del resto, la classificazione del quartiere Garbagni in classe IV, come richiesto dall’appellante, non arrecherebbe alcun vantaggio a quest’ultima alla luce della stessa prospettazione attorea.

In ogni caso, la censura è anche infondata avuto riguardo alle motivazioni già espresse in relazione al rigetto dei primi due motivi di appello, a cui si rinvia.

Peraltro, la circostanza dedotta in appello, secondo cui la presenza di Viale Mariano varrebbe a qualificare l’area urbana in questione come interessata da “intenso traffico veicolare” non è di per sé sufficiente ai fini della classificazione in classe IV, in quanto quest’ultima richiede anche che vi sia una “alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali” includendo in tale classe anche “le aree in prossimità di strade di grande comunicazione e di linee ferroviarie; le aree portuali; le aree con limitata presenza di piccole industrie”.

Ancora una volta, quindi, si rientra nel campo dell’opinabilità della scelta amministrativa, sottratta al sindacato giurisdizionale in sede di legittimità.

17. – Con il quinto motivo di appello (pag. 33-36 dell’appello), si contesta la classificazione in classe II dell’ambito denominato “AT5a”, destinato a servizi di livello comunale (scuole, cimiteri, oratori, etc.) in luogo della classe III.

Anche questa censura non risulta essere sorretta da un sufficiente interesse ad agire, come già evidenziato in relazione al quarto motivo di appello alle cui motivazioni si rinvia, anche considerando che tale area è quella più distante dalla zona industriale e più prossima a quella residenziale di Mariano.

18. – Con il sesto motivo di appello (pag. 36-39 dell’appello), si contesta la classificazione delle abitazioni di via Dossi in classe III, chiedendo invece una zonizzazione in classe V, trattandosi di abitazioni localizzate immediatamente all’esterno dello stabilimento industriale, la cui permanenza in classe III ha comportato la classificazione in classe IV di alcuni punti della fascia perimetrale dello stabilimento industriale.

Il motivo è infondato alla luce delle considerazioni già svolte in relazione al rigetto dei primi due motivi di appello a cui si rinvia per brevità espositiva.

19. – Dal rigetto del sesto motivo, consegue l’infondatezza anche del settimo motivo di appello (pag. 40-41 dell’appello), in quanto logicamente conseguente alla precedente censura.

20. – Con l’ottavo ed ultimo motivo di appello (pag. 41-43 dell’appello), si censura il difetto di istruttoria per omessa esecuzione di una approfondita e documentata analisi delle sorgenti sonore esistenti.

Anche tale motivo è infondato, in quanto dall’esame della complessiva documentazione in atti, relativa sia alla fase processuale che procedimentale, deve escludersi la sussistenza di un difetto di istruttoria, avendo al contrario l’amministrazione agito sulla base di una adeguata istruttoria, tenendo conto della dislocazione degli impianti rumorosi presenti all’interno dello stabilimento industriale.

21. – Per completezza, infine, occorre altresì precisare che non sussiste nemmeno il dedotto vizio di omessa pronuncia in quanto il primo giudice si è espresso su tutti i motivi di cui al ricorso di primo grado, non integrando tale vizio l’eventuale omessa confutazione di una specifica argomentazione difensiva.

22. – In conclusione, quindi, l’appello deve essere respinto.

23. – Le spese di lite devono essere compensate avuto riguardo alla complessità e particolarità della vicenda, trattandosi di circostanze idonee ad integrare quelle altre ragioni gravi ed eccezionali analoghe a quelle tipizzate dall’art. 92 c.p.c., che consentono la compensazione integrale delle spese di lite (cfr. C. Cost. n. 77 del 2018).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Paolo Marotta, Consigliere

Rosario Carrano, Consigliere, Estensore

Eugenio Tagliasacchi, Consigliere