Consiglio di Stato Sez. IV n. 456 del 22 gennaio 2025
Rifiuti.Trasporto non autorizzato e responsabilità
I principi generali di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente alla gestione dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, artt. 178 e 188, sono collegati al principio di derivazione eurounitaria “chi inquina paga” (richiamato anche dalla direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti), e alla necessità di assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, esigenza su cui si fonda, appunto, l’estensione della posizione di garanzia in capo ai soggetti in questione. I principi di correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente e del “chi inquina paga” cristallizzano regole di imputazione, con riferimento alla produzione di danni all’ambiente, ponendo canoni di diligenza in capo agli operatori nell’esplicazione delle loro attività, configurandone la responsabilità patrimoniale e personale in caso di violazione, e ponendo altresì oneri di attivazione immediata in capo ai soggetti che hanno prodotto il danno. Alla luce dei principi vigenti in materia, il fatto di non essere abilitato al trasporto dei rifiuti esige uno specifico obbligo di diligenza, poiché, diversamente opinando, verrebbe a determinarsi una evidente lacuna nel sistema di gestione dei rifiuti, basato come detto sui principi di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nella filiera dei rifiuti. In ordine al contenuto della “posizione di garanzia” gravante sul trasportatore, in analogia a quanto stabilito all’art. 193, comma 17, del codice dell’ambiente per i trasportatori autorizzati al trasporto di rifiuti, il trasportatore non abilitato sia tenuto a verificare la correttezza ed esaustività dei documenti di trasporto nonché a rilevare, quantomeno, le difformità e/o anomalie agevolmente percepibili.
Pubblicato il 22/01/2025
N. 00456/2025REG.PROV.COLL.
N. 07282/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7282 del 2023, proposto dalla società Brema s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vittorio Domenichelli e Giuseppe Scuglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di Monselice, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Farina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
della ditta Sadocco Narciso s.n.c. di Sadocco Catia e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Michele Greggio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
della ditta Individuale Econea di Mazzucato Enea, non costituitasi in giudizio;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
della CNA Padova Associazione Territoriale di Padova, in persona del Presidente territoriale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Federico Pagetta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione seconda) n. 873 del 2023, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monselice e della società Sadocco Narciso S.n.c. di Sadocco Catia e C.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2024 la consigliera Silvia Martino;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Oggetto del contendere è l’ordinanza con cui il Sindaco di Monselice ha ordinato, ai sensi dell’art. 192 del codice dell’ambiente, al signor M.E., ai signori S.C. e S.Ca., in qualità di legali rappresentanti della società Sadocco Narciso s.n.c. e comproprietari dell’area, nonché alla ditta Brema s.r.l, autrice del trasporto, di provvedere alla rimozione ed all’avvio a smaltimento di 141 “big bags” contenenti rifiuti plastici depositati nell’area di proprietà Sadocco.
1.1. L’odierna appellante – che ha effettuato il trasporto de rifiuti plastici - con il ricorso di primo grado ha domandato l’annullamento della suddetta ordinanza, sulla base di cinque mezzi di gravame (da pag. 5 a pag. 12).
2. Il T.a.r. – con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa – ha respinto il ricorso e compensato tra le parti le spese di lite.
3. L’appello della ditta Brema s.r.l. è affidato ai seguenti motivi:
I. Il primo mezzo verte sul capo che ha respinto il primo motivo articolato in primo grado, fondato sulla violazione degli artt. 7 e 10 della l. n. 241/1990.
Al riguardo, l’appellante evidenzia che l’Amministrazione procedente non ha neppure dato atto dell’invio delle osservazioni.
In ogni caso il Comune non ha spiegato i motivi sulla base dei quali ha esteso l’ordine di rimozione anche nei confronti di un soggetto terzo, il quale sostiene di avere riposto affidamento sulla dichiarazione del produttore circa la natura di materia prima secondaria (MPS) del materiale trasportato.
II. Il T.a.r. avrebbe poi sostanzialmente integrato la motivazione del provvedimento impugnato laddove ha fatto osservare che “l’imputabilità dell’abbandono dei rifiuti e la conseguente soggezione dell’odierna ricorrente agli effetti dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti in quanto soggetto “trasportatore” deriva dall’applicazione del principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti, secondo il quale la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi”.
L’appellante ribadisce di avere trasportato il materiale plastico per conto della ditta Econea sul presupposto che esso non costituisse rifiuto, come risultava dai documenti di trasporto e dalla dichiarazione rilasciata dalla ditta Replastics s.r.l. produttrice di tale materiale.
Ed invero, se la società avesse avuto la consapevolezza che si trattava di rifiuti, e non di materiale plastico in pvc, essa non avrebbe neppure potuto procedere al trasporto, non essendo in possesso dell’autorizzazione prevista dall’art. 212 del codice dell’ambiente.
L’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 impone che l’Amministrazione dimostri la corresponsabilità degli eventuali ulteriori destinatari del provvedimento (in genere il proprietario e/o il titolare di diritti reali e/o personali sull’area in cui si verifica l’abbandono) in uno con gli autori dell’illecito.
Il T.a.r. non chiarisce peraltro quale condotta la ditta avrebbe dovuto assumere per adempiere a tale onere di diligenza, oltre a quanto già fatto mediante richiesta al mittente di informazioni sulla tipologia del materiale da trasportare.
Non sarebbe peraltro esigibile dal trasportatore un’indagine approfondita sulla tipologia del materiale da trasportare, tenuto altresì conto della disposizione di cui all’art. 1683 del c.c. in base alla quale spetta al mittente indicare “la natura, il peso, la quantità e il numero delle cose da trasportare e gli altri estremi necessari per eseguire il trasporto”, ivi compresa la consegna dei “documenti necessari al trasporto”, restando sempre esclusa in capo al vettore per essere attribuita al mittente la responsabilità per “i danni che derivano dall’omissione o dall’inesattezza delle indicazioni o dalla mancata consegna o irregolarità dei documenti”.
L’appellante ha poi riproposto i motivi n. 3 e n. 4 che il T.a.r. avrebbe omesso di esaminare.
III. La posizione dell’appellante sarebbe radicalmente diversa da quella del proprietario delle aree e/o di colui che vanti un titolo reale o personale di godimento sull’area in cui vengono collocati i rifiuti: il trasportatore non ha infatti la disponibilità giuridica e materiale dell’area.
Inoltre, al momento dell’emanazione dell’ordine l’area di cui trattasi era stata sequestrata dell’autorità giudiziaria.
IV. L’ordinanza del Comune di Monselice si limita a richiamare a proprio fondamento una nota del NOE di Venezia che comunicava di aver rinvenuto sull’area di proprietà della società Sadocco dei rifiuti plastici pericolosi per la presenza di idrocarburi e metalli.
Tali affermazioni non sarebbero suffragate da alcun valido elemento istruttorio e comunque non sarebbe chiaro chi abbia eseguito le analisi di laboratorio, né quali siano le specifiche sostanze rinvenute.
4. Si sono costituiti, per resistere, il Comune di Monselice e la ditta Sadocco Narciso.
5. È intervenuta, ad adiuvandum, l’Associazione CNA.
6. Le parti hanno depositato plurime memorie, in vista della pubblica udienza del 24 ottobre 2024 alla quale l’appello è stato trattenuto per la decisione.
7. In via preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’intervento della CNA, dedotta dal Comune di Monselice sulla base di una potenziale situazione di conflitto di interessi.
L’Associazione dichiara infatti di essere intervenuta a tutela dell’intera categoria affinché vengano chiariti i limiti entro i quali un trasportatore sia tenuto a verificare il contenuto della merce trasportata.
Si tratta indubbiamente di un interesse omogeneo, comune a tutti gli appartenenti alla categoria, non suscettibile di determinare contrasti tra gli associati.
8. Nel merito, va anzitutto richiamato il principio delle “responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti” secondo il quale la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi.
I principi generali di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente alla gestione dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, artt. 178 e 188, sono collegati al principio di derivazione eurounitaria “chi inquina paga” (richiamato anche dalla direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti), e alla necessità di assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, esigenza su cui si fonda, appunto, l’estensione della posizione di garanzia in capo ai soggetti in questione.
In particolare, la dottrina ha osservato che i principi di correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente e del “chi inquina paga” cristallizzano regole di imputazione, con riferimento alla produzione di danni all’ambiente, ponendo canoni di diligenza in capo agli operatori nell’esplicazione delle loro attività, configurandone la responsabilità patrimoniale e personale in caso di violazione, e ponendo altresì oneri di attivazione immediata in capo ai soggetti che hanno prodotto il danno (Cass. pen., sez. III, 11 dicembre 2019, n.5912; cfr. anche Cass. pen., Sez. III, n. 20734 del 27 maggio 2022; Sez. III, n. 5912 del 11 dicembre 2019).
8.1. Alla luce dei principi vigenti in materia, non può pertanto condividersi la tesi di parte ricorrente circa l’esclusione di ogni forma di responsabilità per il fatto di non essere abilitata al trasporto dei rifiuti.
Al contrario, semmai, era proprio tale circostanza ad esigere uno specifico obbligo di diligenza, poiché, diversamente opinando, verrebbe a determinarsi una evidente lacuna nel sistema di gestione dei rifiuti, basato come detto sui principi di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nella filiera dei rifiuti.
8.2. In ordine al contenuto della “posizione di garanzia” gravante sul trasportatore, il Collegio reputa che – in analogia a quanto stabilito all’art. 193, comma 17, del codice dell’ambiente per i trasportatori autorizzati al trasporto di rifiuti - il trasportatore non abilitato sia tenuto a verificare la correttezza ed esaustività dei documenti di trasporto nonché a rilevare, quantomeno, le difformità e/o anomalie agevolmente percepibili.
8.3. Nel caso in esame, ad esempio, sia la ditta Brema che la CNA hanno sostenuto che la dizione “PVC triturato” (presente sul documento di trasporto) è “espressione tecnicamente generica, non identificabile automaticamente con la nozione giuridica di rifiuto poiché la reale natura del PVC macinato dipende dalla tipologia del materiale di provenienza e dalla sua destinazione: il PVC macinato, infatti, può essere utilizzato per essere rigenerato e, dunque, riprocessato (il che ne esclude la qualifica di rifiuto) oppure può essere non riutilizzato e, dunque, conferito come rifiuto”.
Ma era allora proprio per tale ragione che la società appellante - in quanto non abilitata al trasporto di rifiuti – avrebbe dovuto acquisire dal produttore ogni informazione e/o certificazione utile ad escludere tale natura.
Va infatti ricordato che il PVC qualificabile come MPS (materia prima secondaria) è esclusivamente quello prodotto e certificato secondo la normativa “Uniplast” richiamata nel D.M. 5 febbraio 1998 (recante le norma in materia di “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”).
Nella fattispecie in esame la società appellante avrebbe quindi dovuto:
- verificare che la ditta produttrice fosse in possesso di regolare autorizzazione per l’attività di recupero e riciclo finalizzata all’ottenimento di una MPS secondo le norme UNI 10667;
- acquisire una specifica certificazione (o comunque le schede tecniche di prodotto), in ordine alla conformità del materiale alle suddette norme tecniche;
- accertarsi che non vi fossero evidenti difformità tra il materiale affidatogli e quello dichiarato.
Risulta invece che, al contrario, la società non abbia svolto alcun tipo di controllo in ordine al contenuto delle 141 big bags consegnatele dalla ditta Replastic s.r.l..
Come bene evidenziato dal primo giudice, “il fatto che i documenti di trasporto indicassero “materiale plastico PVC su bancale” e “PVC materiale macinato in BIG BAG” non vale ad escludere la colpa del trasportatore, considerato che anche il PVC può considerarsi un rifiuto”.
Pure corretto è il ragionamento del T.a.r. laddove ha fatto osservare che la dichiarazione della ditta Replastics sulla quale si sarebbe fondato il convincimento della Brema che non si trattasse di rifiuti (“il materiale che siamo a conferirvi non è un rifiuto ma MPS in quanto la nostra azienda riceve materiali da riciclare e da trasformare in MPS e tutto si tratta di materiale plastico trattiamo PVC, pp/pe/pa s, pe/pa da tampaggio o da rigranulare o denificare dipenda dal materiale e dalla vostra eiigenza”) non è idonea ad escludere la colpa e la conseguente responsabilità del trasportatore sia perché detta dichiarazione era diretta alla Ditta Econea di Mazzoccato (e non alla Brema) sia perché “in ogni caso, quand’anche conosciuta dalla Brema, tale dichiarazione, per la sua dubbia comprensibilità, avrebbe dovuto indurre la società di trasporto a svolgere gli opportuni controlli in ordine alla natura del materiale trasportato”.
Tali rilievi trovano pieno riscontro nel verbale di sequestro operato dal NOE di Venezia (richiamato nell’ordinanza impugnata), nel quale è stata compiutamente descritta anche la condizione e l’aspetto esteriore delle “big bags” rinvenute, non recanti alcuna “dicitura circa la qualità della plastica” né alcuna scheda tecnica.
9. Ciò posto, è possibile passare all’esame delle restanti censure.
9.1. Relativamente alla pretesa violazione delle garanzie procedimentali si rileva che la ditta appellante, con la nota inviata al Comune in data 19 novembre 2021, si è limitata genericamente ad affermare la propria “estraneità” ai fatti senza fornire alcun elemento dal quale potesse evincersi l’assolvimento degli obblighi di diligenza quali sopra delineati e senza quindi che potesse logicamente ipotizzarsi in capo all’Amministrazione uno specifico onere di “confutazione”.
9.2. Quanto alla “motivazione” dell’ordinanza, si è già ricordato che nella stessa veniva richiamato il verbale di sequestro del NOE, relativo al rinvenimento delle “big bags” contenenti rifiuti plastici nell’area di proprietà della dittà Sadocco Narciso.
Anche in precedenza, in occasione della comunicazione di avvio del procedimento, l’Amministrazione aveva fatto riferimento alle circostanze del rinvenimento nonché alla comunicazione del NOE in ordine all’esito delle analisi di laboratorio.
Queste ultime sono state condotte dall’Arpav e hanno accertato, tra l’altro, la pericolosità del materiale trasportato per la presenza di idrocarburi e metalli.
A fronte di tali circostanze di fatto, ed in assenza di specifiche deduzioni da parte della società di trasporto, il Comune si è quindi limitato a fare applicazione del già richiamato principio della “responsabilità condivisa” nella gestione dei rifiuti.
Sotto questo profilo, pertanto, il T.a.r. non ha “integrato” la motivazione dell’ordinanza ma si è limitato ad individuare la ragione giuridica alla base dell’imputazione di responsabilità contenuta nel provvedimento sindacale.
9.3. Neanche la circostanza che, allo stato, l’area nella quale sono stati rinvenuti i rifiuti sia sottoposta a sequestro penale, è idonea ad incidere sulla legittimità del provvedimento, la cui principale funzione è quella di individuare i soggetti responsabili (o corresponsabili) dell’abbandono dei rifiuti ed obbligati ad assicurarne la rimozione.
A tal fine, essi debbono porre in essere tutte le iniziative concretamente possibili (piano di smaltimento, cronoprogramma etc.), eventualmente anche attivandosi presso l’autorità giudiziaria per ottenere l’autorizzazione ad accedere all’area.
9.4. L’appellante ha infine messo in discussione anche le risultanze delle analisi condotte dall’Arpav (cfr. il verbale di campionamento, depositato in primo grado dalla ditta Sadocco e nuovamente depositato dal Comune in appello – doc. n. 12), del cui esito ha riferito, sia pure sinteticamente, il NOE.
Le deduzioni della società sono rimaste tuttavia del tutto generiche e sono comunque sfornite di qualsivoglia supporto probatorio idoneo a confutare le risultanze di tali analisi.
Al riguardo, va peraltro evidenziato che, indipendentemente dalla “pericolosità”, è rimasta sostanzialmente incontestata la natura di “rifiuto” del materiale rinvenuto, siccome privo delle caratteristiche, debitamente certificate, idoneo a qualificarlo quale materia prima secondaria.
10. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto.
La complessità della vicenda induce a ritenere la sussistenza dei presupposti di legge per la compensazione integrale tra le parti delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Gerardo Mastrandrea, Presidente
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere