Consiglio di Stato Sez. IV n. 7203 del 4 settembre 2025
Rifiuti.Obblighi di bonifica e contaminazioni storiche
L’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento vale anche per le contaminazioni storiche, risalenti ad epoche anteriori all’entrata in vigore del codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006) o del decreto Ronchi (d.lgs. 22/1997), che per primo introdusse gli obblighi de quibus, poiché le norme in materia di bonifica non sanzionano, ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente. Ai sensi dell’art. 303, lett. f) e g), cod. ambiente, la risalenza dell’evento generatore dell’inquinamento funge da fattore di esclusione dell’applicazione della normativa in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente (Parte VI), ma non anche con riferimento agli obblighi di bonifica dei siti inquinati (Parte IV), anche considerando che l’art. 242, commi 1 e 11, cod. ambiente, menziona espressamente i casi di contaminazioni c.d. “storiche” con riferimento alle procedure di bonifica.
Pubblicato il 04/09/2025
N. 07203/2025REG.PROV.COLL.
N. 06903/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6903 del 2023, proposto dalla società Manifattura Lane Gaetano Marzotto & Figli s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Pellegrini e Luisa Torchia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Provincia di Vicenza, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Balzani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di Trissino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ezio Zanon, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Cusin, Luisa Londei, Francesco Zanlucchi e Giacomo Quarneti, con domicilio eletto presso lo studio Raffaella Chiummiento in Roma, via Salaria 103;
Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Koris Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Chiarelli, Antonio Cimino e Anna Roberta Cavazza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Arpav – Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto - Dipartimento Provinciale di Vicenza, non costituita in giudizio;
Marzotto Cristiana, Marzotto Margherita e Marzotto Maria Rosaria Gioia, tutte in qualità di eredi di Giannino Marzotto, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 00340/2023, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Vicenza, del Comune di Trissino, della Regione Veneto, del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, nonché della società Koris Italia s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2025 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
FATTO
1. – Con un provvedimento del 25 novembre 2021, la Provincia di Vicenza ha individuato, ai sensi dell’art. 244, d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. codice dell’ambiente), la società Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. quale responsabile della potenziale contaminazione del sito produttivo in via IV novembre n. 109, nel Comune di Trissino (VI), noto anche come sito “ex RIMAR S.p.a.”, oggi di proprietà della società Koris Italia s.r.l. (nota prot. n. GE2021/0050541 del 25 novembre 2021).
1.1. – Con tale provvedimento, la Provincia ha ravvisato la suddetta responsabilità in base ad una ricostruzione dei rapporti societari esistenti tra la parte appellante e la società che ha materialmente inquinato il sito (Rimar s.p.a.), per come si sono svolti nel corso del tempo.
1.1.1. – In particolare, ha innanzitutto ritenuto che le sostanze inquinanti rinvenute nel sito fossero riconducibili verosimilmente all’attività di ricerca svolta negli anni sessanta dalla Rimar s.p.a. (Ricerche Marzotto), avuto riguardo alla nota dell’ARPAV, secondo cui “appare ragionevole supporre che la contaminazione da tricloroetilene rilevata sia da attribuire all’attività dell’allora laboratorio di ricerca. Appare inoltre molto verosimile che la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (cfr PFOA) rinvenute nei terreni e nelle acque, sia anch’essa da attribuire alla attività di ricerca in ambito industriale svolte nel sito”, con la precisazione che “nel caso di idrocarburi pesanti, appare verosimile che gli stessi venissero utilizzati come combustibili per le attività esercitate in loco” (nota ARPAV prot. 35954 del 27 agosto 2020).
1.2. – In secondo luogo, in base alla ricostruzione storica delle vicende societarie, ha ritenuto “accertato che negli anni oggetto di interesse e anche oltre, dal 1964 al 1970, vi era una formale relazione societaria, sia pure indiretta, tra Manifattura Lane e Rimar Spa”, come confermato anche dalle osservazioni procedimentali della medesima società appellante (pag. 4 del provvedimento impugnato).
1.2.1. – In particolare, ha evidenziato che la Rimar s.p.a., costituita per atto notarile del 23 agosto 1963 su iniziativa del Conte Giannino Marzotto, oggi deceduto, era partecipata all’epoca dei fatti da alcune società (prima la Finanziaria Tessile s.p.a. e poi la Attività Tessile s.p.a.) controllate dalla stessa Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a., ritenendo altresì irrilevante la circostanza secondo cui la partecipazione azionaria di Attività Tessile s.p.a. in Rimar s.p.a. si sarebbe poi ridotta al 45% tra i mesi di aprile 1965 e l’anno 1966 “in quanto l’intero pacchetto azionario di Rimar Spa era comunque detenuto da azionisti operanti all’interno del gruppo” (pag. 4 del provvedimento impugnato).
1.3. – In ogni caso, ha ritenuto accertato che “la società Rimar fosse parte integrante e agisse nell’interesse e sotto la direzione del Gruppo Marzotto, svolgendo una attività non collaterale ma determinante sul ciclo produttivo”, sulla evoluzione delle strategie aziendali, sulla commerciabilità della produzione e sui risultati di gestione (pag. 4 del provvedimento impugnato).
2. – Con il ricorso di primo grado, la società ha impugnato tale provvedimento.
2.1. – Con il primo motivo di ricorso (pag. 14-19 del ricorso di primo grado), ha dedotto l’insufficienza della riscontrata partecipazione societaria, indiretta e non maggioritaria, ai fini di una responsabilità in capo alla società appellante, in mancanza di un atto societario, negoziale o amministrativo dal quale poter desumere una effettiva attività di direzione o di ingerenza decisionale della società appellante rispetto all’attività della Rimar s.p.a. e senza che possa valere a tale fine il generico e atecnico riferimento al “gruppo Marzotto” contenuto in alcuni articoli di stampa (riportanti due interviste al Conte Giannino Marzotto del 2008 e del 2011 e una dell’ing. Vittorio Sandri del 2009) e in un passaggio estrapolato da un ricorso gerarchico presentato dalla Rimar s.p.a. nel 1966, richiamati nel provvedimento impugnato.
2.2. – Con il secondo motivo (pag. 19-28 del ricorso di primo grado), espressamente articolato in via subordinata, ha dedotto le seguenti censure: a) difetto di istruttoria con conseguente contraddittorietà del dispositivo, in quanto dei tre parametri sui quali la Provincia aveva formulato il proprio quesito (idrocarburi, tricloroetilene e tetracloroetilene) l’ARPA conclude per ritenere verosimilmente compatibile con le sostanze utilizzate dalla Rimar il “solo” parametro del tricloroetilene (non avendo elementi per il tetracloroetilene e sussistendo una oggettiva incertezza per gli idrocarburi), mentre la Provincia ha ordinato la bonifica indistintamente per tutti i parametri rilevati; b) insussistenza di un comportamento qualificabile come illecito in base alla normativa vigente all’epoca dei fatti (1963-1967); c) illegittima inclusione del parametro Pfoa nell’ordine di bonifica, non essendo incluso tra i parametri tabellari di legge in materia di bonifica dei suoli o delle acque ex art. 242 e ss. cod. ambiente; d) difetto di contraddittorio nel procedimento di accertamento dell’inquinamento, non essendo stata la deducente mai coinvolta nella verifica in concreto della situazione ambientale del sito ed in particolare nella verifica dei parametri analitici del presunto inquinamento; e) illegittima applicazione retroattiva della normativa sopravvenuta in tema di bonifiche rispetto a fatti risalenti nel tempo, ritenendo sul punto non convincente la tesi esposta nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2019, essendo invece maggiormente condivisibile il precedente orientamento che deponeva per l’assenza di continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e la disciplina in tema di bonifiche (Cons. Stato, sez. V, n. 6055 del 2008); f) in subordine, ha dedotto la prescrizione dell’illecito; g) in ogni caso, ha evidenziato l’illegittimità del provvedimento per non aver individuato il Conte Giannino Marzotto (e quindi le eredi dello stesso per successione) quale soggetto responsabile della contaminazione del sito, essendo pacifico che la società Rimar s.p.a. è stata sempre gestita direttamente dal Conte Giannino Marzotto.
3. – Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha respinto il ricorso.
3.1. – In particolare, ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, in quanto “non è necessario, per affermare la presenza di un’impresa unica a fronte dell’alterità soggettiva delle società facenti parte di un gruppo, che sia fornita la prova di specifici atti di ingerenza della capogruppo, ovvero la presenza di specifiche maggioranze, poiché ciò che rileva è l’effettività del fenomeno” (pag. 7 della sentenza impugnata) ed “essendo sufficiente che l’attività svolta dalla società controllata, autrice della condotta illecita, sia frutto di una scelta inquadrabile nella strategia del gruppo, dal quale esso abbia tratto beneficio” (pag. 8 della sentenza impugnata).
3.1.1. – Pertanto, ha ritenuto sussistere “sufficienti elementi per poter qualificare la ricorrente quale responsabile dell’inquinamento ai fini delle attività previste dagli artt. 239 e ss. D.Lgs. 152/06, avendo la Provincia individuato specifici indizi per poter ravvisare la natura unitaria di impresa costituita da Ri.Mar. s.p.a. e Manifattura Lane, nella nozione sopra delineata” (pag. 9 della sentenza impugnata).
3.1.2. – Ha concluso, quindi, nel senso di ritenere “legittima la valutazione operata dalla Provincia nell’aver ravvisato in capo alla società “madre” una corresponsabilità nell’attività economica posta all’origine dell’inquinamento, avendone partecipato attivamente all’avvio per ragioni di strategia aziendale ed avendone sostenuto l’attività, ponendo in essere una condotta idonea a rendere “comunque possibile” lo svolgimento dell’attività di Ri.Mar s.p.a., traendone una duplice utilità, mediante la partecipazione agli utili e l’utilizzo nell’attività del gruppo dei risultati dell’attività di ricerca e sviluppo realizzata sul sito” (pag. 12 della sentenza impugnata).
3.2. – Inoltre, ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, escludendo un vizio di carenza di istruttoria.
3.2.1. – In particolare, ha ritenuto che “La corrispondenza tra le sostanze chimiche che compongono le materie prime utilizzate nell’impianto e le sostanze per le quali è provato il superamento delle soglie di contaminazione nel suolo costituisce chiaro indizio sulla riconducibilità causale dell’inquinamento all’attività produttiva svolta da RI.MAR.” (pag. 14 della sentenza impugnata).
3.2.2. – In secondo luogo, ha evidenziato che “Per quanto concerne gli idrocarburi, la riconducibilità causale dell’inquinamento all’attività di RI.MAR. è stata desunta in via induttiva dal loro presumibile utilizzo quale combustibile. La circostanza che la loro presenza sia compatibile anche con il riscaldamento dei locali nel periodo successivo alla cessazione dell’attività non esclude, in assenza di più specifici argomenti di segno contrario, che l’inquinamento possa essere derivato anche dall’attività di RI.MAR.” (pag. 14-15 della sentenza impugnata).
3.2.3. – Infine, “Quanto al tetracloroetilene la Provincia ha spiegato nelle proprie difese, senza essere smentita dalla parte ricorrente - che trattasi di un solvente clorurato di comune utilizzo nelle attività industriali, dunque, ragionevolmente riconducibile all’attività posta in essere da Ri.Mar., posto che non risulta che il sito ne abbia mai ospitato delle altre” (pag. 15 della sentenza impugnata).
3.3. – Sotto diverso profilo, ha ritenuto irrilevante l’assenza di limiti di emissione per le specifiche sostanze individuate all’epoca in cui Rimar s.p.a. svolgeva la propria attività (pag. 17 della sentenza impugnata).
3.4. – Parimenti irrilevante, è stata ritenuta la mancata inclusione di una sostanza contaminate (PFOA) all’interno dell’elenco di cui all’allegato 5 al Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 (pag. 18 della sentenza impugnata).
3.5. – Inoltre, ha respinto l’eccezione di prescrizione degli obblighi di bonifica (pag. 20 della sentenza impugnata).
3.6. – Infine, ha escluso un difetto di istruttoria in relazione all’omessa individuazione, quali soggetti responsabili della contaminazione, anche delle persone che hanno determinato le strategie aziendali di Rimar s.p.a., degli eventuali successori a titolo universale e degli eventuali successori della Rimar s.p.a. (pag. 21 della sentenza impugnata).
4. – Con atto di appello, la società ha impugnato la sentenza, reiterando in chiave critica i due motivi di primo grado (pag. 12-34 e pag. 34-47 dell’appello), oltre a proporre, in via subordinata, un’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea (pag. 47-56 dell’appello), nonché, in via ulteriormente subordinata, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 244, cod. ambiente (pag. 56-57 dell’appello).
5. – Con apposita memoria, si è costituita la Provincia di Vicenza che ha chiesto il rigetto dell’appello, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del primo motivo di appello per violazione dell’art. 104 c.p.a., con riguardo alle argomentazioni relative sia alla retroattiva applicazione della nozione sostanzialistica di impresa e sia al principio di limitazione della responsabilità del socio di società di capitali e dell’abuso della personalità giuridica (pag. 5-9 della memoria della Provincia del 28 marzo 2025).
6. – Con apposita memoria, si è costituita anche la società Koris Italia s.r.l., in qualità di proprietaria del sito inquinato, che ha chiesto il rigetto dell’appello, nonché la Regione Veneto ed il Comune di Trissino, che hanno ugualmente chiesto il rigetto dell’appello, oltre al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, costituitosi con atto di stile.
7. – All’udienza pubblica del 29 aprile 2025, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – In via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di appello per asserita violazione dell’art. 104 c.p.a.
1.1. – Secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, il divieto dei motivi nuovi in appello (art. 104, comma 1, c.p.a.) non può impedire all’appellante di confutare tutte le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, anche se non perfettamente coincidenti con i motivi di ricorso, perché le mere difese sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello (Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2012, n. 3731; Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2013, n. 2781).
1.2. – Nel caso di specie, la parte appellante, con il primo motivo di appello ha sostanzialmente reiterato in chiave critica il medesimo primo motivo di ricorso di primo grado, limitandosi solamente a sviluppare ulteriormente le argomentazioni ivi contenute, anche alla luce della motivazione della sentenza impugnata.
1.3. – Per le stesse ragioni, deve ritenersi che non rientri nell’ambito applicativo del divieto nemmeno il cambio di strategia difensiva effettuato mediante il passaggio da una iniziale contestazione di un orientamento giurisprudenziale ad una successiva adesione allo stesso, come avvenuto nella specie, laddove la parte appellante ha dapprima ritenuto non condivisibile l’orientamento espresso dall’Adunanza plenaria n. 10 del 2019 in relazione alla “continuità normativa” tra illecito civile ex art. 2043 c.c. e le sopravvenute norme in materia di bonifica dei siti inquinati (“ci si permette di dissentire dalla conclusione raggiunta con riferimento al profilo determinante della dichiarata «continuità normativa»”: pag. 45 dell’appello) per poi affermare, al contrario, che la tesi prospettata con il primo motivo di appello “lungi dal confliggere con la posizione assunta dall’A.P. 10/2019 […], ne costituisce pedissequa applicazione” (pag. 3 della memoria di replica dell’8 aprile 2025).
2. – Sempre in via preliminare, deve essere precisato che l’oggetto del presente giudizio non è l’accertamento di merito relativo alla sussistenza di una responsabilità da inquinamento della società appellante, quanto piuttosto la legittimità del provvedimento adottato dalla Provincia, sotto i profili della violazione di legge ed eccesso di potere, con cui la medesima società è stata individuata come responsabile della contaminazione in questione.
3. – Ciò posto, l’appello è fondato nei limiti di seguito indicati.
La parte appellante ha impugnato il provvedimento della Provincia di Vicenza con cui quest’ultima ha individuato la Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. quale responsabile della potenziale contaminazione del sito “ex RIMAR S.p.a.”, con contestuale diffida a proseguire, qualora si interrompessero, le attività di bonifica già avviate dalla società Koris Italia s.r.l., attuale proprietaria del sito, dichiaratasi non responsabile dell’inquinamento (nota prot. n. GE2021/0050541 del 25 novembre 2021).
Con tale provvedimento, la Provincia, dopo aver ricondotto l’evento di inquinamento in via principale alla società Rimar s.p.a. (sulla base di una nota tecnica dell’ARPAV), ha ravvisato la suddetta responsabilità in capo alla società appellante Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. sulla base dell’esistenza di “una formale relazione societaria, sia pure indiretta, tra Manifattura Lane e Rimar Spa” (pag. 4 del provvedimento impugnato), in virtù della quale il soggetto materialmente responsabile dell’inquinamento (Rimar s.p.a.) sarebbe stato, da un lato, interamente (anche se indirettamente) partecipato dal “gruppo Marzotto” (l’intero pacchetto azionario di Rimar Spa era comunque detenuto da azionisti operanti all’interno del gruppo”: pag. 4 del provvedimento impugnato) e, dall’altro, avrebbe agito “nell’interesse e sotto la direzione del Gruppo Marzotto”, svolgendo un’attività “determinante” nel ciclo produttivo e nella strategia aziendale del gruppo (pag. 4 del provvedimento impugnato).
Con il presente giudizio, la società Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. ha contestato innanzitutto l’estensione della responsabilità della Rimar s.p.a. nei propri confronti, ritenendo insufficiente a tal fine una mera partecipazione azionaria, indiretta e non maggioritaria, in assenza di specifici atti di ingerenza gestionale (primo motivo di ricorso) non potendo nemmeno valere il richiamo alla nozione sostanzialistica di impresa utilizzata dal T.a.r. (primo motivo di appello).
In secondo luogo, ha contestato in via subordinata ulteriori profili, tra cui la stessa riconducibilità causale dell’evento di inquinamento alla società Rimar s.p.a., quanto meno con riguardo ad alcune delle sostanze inquinanti (tetracloroetilene e idrocarburi) riscontrate nel suolo (secondo motivo di ricorso e di appello).
4. – Il primo motivo di appello è fondato.
Invero, la sentenza impugnata è giunta a ravvisare una responsabilità per l’inquinamento in capo alla società appellante sulla base di una evidente ed inammissibile motivazione postuma del provvedimento, come peraltro eccepito anche dalla parte appellante.
4.1. – Con il provvedimento impugnato, infatti, la Provincia ha individuato la società Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. quale responsabile della potenziale contaminazione del sito ex Rimar sulla base di due assunti: a) la partecipazione totalitaria, sebbene indiretta, della Rimar s.p.a. da parte di “azionisti operanti all’interno del gruppo” nel periodo compreso tra il 1963 e il 1967 (pag. 4 del provvedimento impugnato), ossia, per una quota pari alla metà, dal conte Giannino Marzotto e, per la restante metà, dalla Finanziaria Tessile s.p.a. (dal 1963 al 1965), la cui quota sarebbe stata poi ceduta alla Attività Tessile s.p.a. (dal 1965 al 1966) e successivamente ridotta al 45% (dal 1966 al 1970), entrambe controllate dalla società Manifattura Marzotto s.p.a.; b) lo svolgimento da parte di Rimar s.p.a. di una attività di ricerca “nell’interesse e sotto la direzione del Gruppo Marzotto”, avendo un ruolo “determinante” nel ciclo produttivo e nella strategia aziendale del gruppo (pag. 4 del provvedimento impugnato).
4.1.1. – Dal punto di vista istruttorio, la decisione della Provincia di Vicenza si fonda, da un lato, su alcuni documenti risultanti dagli archivi storici della Camera di Commercio di Vicenza da cui emergerebbe la suddetta partecipazione totalitaria del “gruppo Marzotto” in Rimar s.p.a. e, dall’altro lato, su alcune fonti storiche (articoli di stampa riportanti due interviste al conte Giannino Marzotto del 2008 e del 2011 ed una dell’ing. Vittorio Sandri del 2009), oltre ad un ricorso gerarchico presentato dalla Rimar s.p.a. nel 1966, dai quali emergerebbe l’attività di direzione del “gruppo Marzotto” nei confronti della Rimar s.p.a., essendo quest’ultima una “parte integrante del Gruppo Marzotto” (pag. 3 del provvedimento impugnato).
4.2. – Nella sentenza impugnata, invece, si giunge ad affermare la responsabilità dell’appellante sulla base di una motivazione ben diversa da quella utilizzata nel provvedimento impugnato e alla luce di un’istruttoria processuale molto più articolata di quella svolta in sede procedimentale.
4.2.1. – In particolare, il primo giudice, dopo aver richiamato la nozione di impresa, come entità economica unitaria, sviluppata nel diritto della concorrenza e ritenuta applicabile anche alla materia ambientale (pag. 6-9 della sentenza), ha innanzitutto “perimetrato l’ambito temporale di riferimento” dal 23 agosto 1963 ai primi mesi del 1967 (pag. 9 e 10 della sentenza).
4.2.2. – Ciò posto, ha motivato la sussistenza della responsabilità in questione sulla base dei seguenti elementi e considerazioni (pag. 10 e 11 della sentenza impugnata): a) la costituzione della Rimar s.p.a. costituì un’iniziativa del conte Giannino Marzotto, quale amministratore delegato della Manifatture Lane, che nel 1963 decise di fondare tale società come “polo di ricerca interno alla Marzotto” ma da essa formalmente separato; b) in sede di costituzione, il capitale sociale fu sottoscritto in quote pari da Giannino Marzotto e da “La Finanziaria Tessile Spa”, società interamente partecipata dalla Marzotto s.p.a.; c) dallo statuto di Rimar s.p.a., emerge che a ciascuna azione era attribuito un voto e dunque entrambi i soci avevano un potere determinante sulle deliberazioni della società, non avendo nessuno dei due la maggioranza assoluta e dovendo, quindi, concordare sulle decisioni da assumere; d) l’attività di Rimar s.p.a. condusse allo sviluppo ed al brevetto di nuovi materiali che furono utilizzati nella produzione delle imprese del gruppo tessile; e) nel periodo in questione, il conte Giannino Marzotto cumulava il ruolo di amministratore di Manifattura Lane (di cui era vice presidente e consigliere delegato, ne divenne poi presidente nel 1968), di presidente di La Finanziaria Tessile (società interamente partecipata da Manifattura Lane, il cui amministratore unico era l’ing. Carlo Riedo, facente parte anche del consiglio di amministrazione di Rimar) e di presidente di Rimar s.p.a.; f) il consiglio di amministrazione di Rimar era, all’epoca, composto dai sig.ri Giorgio Piantini, Paolo Marzotto e Carlo Riedo, che erano contemporaneamente anche amministratori delegati di Manifattura Lane; g) nel 1965 la partecipazione del 50% del capitale sociale di La Finanziaria Tessile è stata trasferita ad altra società, Attività Tessile s.p.a., partecipata da Manifattura Lane, che l’ha successivamente ridotta al 45%, mediante cessione del 5% all’ing. Piantini, dirigente di Manifattura Lane; h) furono deliberati all’unanimità dei soci due aumenti di capitale di Rimar s.p.a. (assemblea straordinaria del 29 aprile 1969) “al fine di mettere a disposizione della società i mezzi necessari per attuare i programmi industriali in atto per la medesima”; i) la vicenda relativa al trasferimento dell’attività di Rimar s.p.a. presso lo stabilimento di proprietà di Manifattura Lane sito in località Colombara, per le modalità e i tempi in cui è avvenuto, sarebbe una testimonianza dell’unità di intenti perseguita dalla “casamadre” e dalla Rimar s.p.a.
Alla luce di tali elementi, il primo giudice ha quindi affermato che “In conclusione, la costituzione di Ri.Mar. per lo svolgimento di attività strumentali alla produzione principale del gruppo, nell’ambito di una precisa strategia industriale, l’intreccio di partecipazioni azionarie e cariche societarie tra la società “madre” e Ri.Mar. (sia pure per il tramite di società controllate da Manifattura Lane), attraverso le quali le scelte operative della società partecipata erano quantomeno coordinate con quelle della società madre e sicuramente conosciute e condivise dai vertici della capogruppo […], l’intervento della casa madre in soccorso all’attività della partecipata per consentirne la prosecuzione e lo sviluppo dell’attività, testimoniano dell’integrazione delle attività svolte dalla “società figlia” nell’ambito della strategia industriale della ricorrente, attuata mediante i comuni organi amministrativi (e, in particolare, il conte Giannino Marzotto), in un’ottica esulante la mera partecipazione finanziaria nella società” (pag. 11 e12 della sentenza).
4.2.3. – Tuttavia, se nel provvedimento impugnato si dà atto delle vicende relative alla costituzione della Rimar s.p.a. e della relativa partecipazione azionaria, nessun riferimento invece risulta esservi con riguardo a: i) composizione del consiglio di amministrazione di Rimar s.p.a. (sig.ri Giorgio Piantini, Paolo Marzotto e Carlo Riedo, con contestuale ruolo di amministratori delegati di Manifattura Lane); ii) “cumulo di cariche” in capo al conte Giannino Marzotto (amministratore della Manifattura Lane, Presidente de La Finanziaria Tessile e della Rimar); iii) due deliberazioni di aumento del capitale di Rimar s.p.a.; iv) trasferimento dell’attività di Rimar s.p.a. presso lo stabilimento di proprietà di Manifattura Lane sito in località Colombara, con indicazione delle relative tempistiche e modalità.
4.2.4. – A ben vedere, si tratta proprio di quegli elementi, non considerati dalla Provincia di Vicenza, che sono stati invece utilizzati dal primo giudice per integrare la motivazione del provvedimento impugnato, valorizzando proprio “l’intreccio di partecipazioni azionarie e cariche societarie” e la sussistenza di “comuni organi amministrativi” (con particolare riferimento al conte Marzotto) da cui poter desumere che le scelte operative dalla Rimar s.p.a. erano “quantomeno coordinate” con quelle della Manifattura Lane Marzotto s.p.a. e “sicuramente conosciute e condivise” dai vertici di quest’ultima (pag. 12 della sentenza impugnata).
5. – Ciò posto, avendo riguardo alla sola motivazione del provvedimento impugnato, la censura di insufficiente motivazione, già articolata in primo grado, deve ritenersi fondata.
Invero, l’individuazione della società appellante come soggetto responsabile dell’inquinamento si fonda, nel provvedimento impugnato, sulla mera partecipazione azionaria, indiretta e non maggioritaria, della parte appellante all’epoca dell’evento di contaminazione, nonché sull’attività di direzione del “gruppo Marzotto” nei confronti della Rimar s.p.a. negli anni tra il 1963 e il 1967, avente un ruolo determinante nella strategia aziendale.
5.1. – Tuttavia, anche a prescindere dall’applicabilità o meno della nozione sostanzialistica di impresa elaborata nel diritto della concorrenza (peraltro, non risultante dal provvedimento impugnato), i suddetti elementi devono ritenersi non sufficienti a fondare un giudizio di responsabilità secondo il criterio causale del “più probabile che non”, non essendovi alcuna motivazione sul punto nel provvedimento impugnato.
5.2. – In secondo luogo, occorre considerare, sotto il profilo oggettivo, che la vicenda in esame rientra pacificamente nella fattispecie delle c.d. contaminazioni storiche e, sotto il profilo soggettivo, che se il soggetto direttamente responsabile dell’inquinamento è individuato nella società Rimar s.p.a., le relative vicende societarie vanno logicamente esaminate non tanto con riferimento al tempo dell’evento di inquinamento, quanto piuttosto avendo riguardo al momento dell’adozione del provvedimento contenente la diffida ad eseguire le attività di bonifica.
5.2.1. – Sotto il primo profilo, infatti, l’inquinamento dell’area in questione risale pacificamente agli anni di attività della Rimar s.p.a. in quel medesimo sito e precisamente al periodo intercorrente tra la data della sua costituzione (23 agosto 1963) e la data del trasferimento dello stabilimento (primi mesi del 1967), come peraltro ritenuto anche dal primo giudice.
Inoltre, è altrettanto pacifico tra le parti che gli effetti della contaminazione sono ancora in atto, come peraltro dimostrato dalle attività di bonifica in corso attivate dalla società attualmente proprietaria del sito (Koris Italia s.r.l.).
Pertanto, in presenza di una contaminazione storica, ai fini degli obblighi di bonifica, diventa irrilevante l’epoca della verificazione della contaminazione, assumendo invece rilevanza l’attualità del pericolo di “aggravamento della situazione” (art. 242, comma 1, secondo periodo, cod. ambiente).
Sul punto, infatti, deve essere ribadito l’orientamento di questo Consiglio di Stato secondo cui l’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento vale anche per le contaminazioni storiche, risalenti ad epoche anteriori all’entrata in vigore del codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006) o del decreto Ronchi (d.lgs. 22/1997), che per primo introdusse gli obblighi de quibus, poiché le norme in materia di bonifica non sanzionano, ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente (Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 2020, n. 2195).
Inoltre, è stato precisato che, ai sensi dell’art. 303, lett. f) e g), cod. ambiente, la risalenza dell’evento generatore dell’inquinamento funge da fattore di esclusione dell’applicazione della normativa in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente (Parte VI), ma non anche con riferimento agli obblighi di bonifica dei siti inquinati (Parte IV), anche considerando che l’art. 242, commi 1 e 11, cod. ambiente, menziona espressamente i casi di contaminazioni c.d. “storiche” con riferimento alle procedure di bonifica (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 2020, n. 2195).
5.2.2. – Sotto il secondo profilo (di tipo soggettivo), occorre considerare che se il soggetto direttamente responsabile della suddetta contaminazione storica è pacificamente individuato nella società Rimar s.p.a. (almeno con riguardo all’inquinamento da tricloroetilene), allora occorre innanzitutto verificare, in via logicamente preliminare, se i relativi obblighi di bonifica siano ancora in capo a tale società oppure se, nel frattempo, siano stati trasmessi ad altri soggetti in virtù di fenomeni di successione nel debito.
Sul punto, infatti, deve essere ribadito l’orientamento di questo Consiglio di Stato secondo cui la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione e per condotte antecedenti a quando l’istituto della bonifica è stato introdotto nell’ordinamento giuridico, ove gli effetti dannosi dell’inquinamento permangano al momento dell’adozione del provvedimento (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10; Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2023, n. 1397).
Stesso discorso vale anche con riguardo al subentro negli obblighi di bonifica da parte di eventuali eredi di persone fisiche, a titolo di successione mortis causa (Cons. Stato, sez. IV, 2 dicembre 2021, n. 8032).
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato non dà conto di quelle che sono state le vicende successorie della società Rimar s.p.a., quale soggetto responsabile dell’inquinamento, fino al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, avendo limitato l’indagine ai soli anni della contaminazione.
Si rinviene solamente un riferimento alla società “La Finanziaria Tessile s.p.a.” che, in data 7 maggio 1973, sarebbe stata “fusa per incorporazione nella Manifattura Lane Gaetano Marzotto e Figli spa” (pag. 3 del provvedimento impugnato), ma nulla emerge con riferimento alla Rimar s.p.a.
6. – In conclusione, quindi, deve essere accolto il primo motivo di appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il primo motivo di ricorso di primo grado, con conseguente assorbimento del secondo motivo, posto espressamente in subordine (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015).
Ne consegue, inoltre, anche l’assorbimento delle ulteriori questioni, espressamente poste in via gradata, quali il rinvio pregiudiziale e la questione di legittimità costituzionale, da ritenersi anche irrilevanti alla luce di quanto argomentato.
Pertanto, deve essere annullato il provvedimento impugnato per difetto di motivazione, fermo restando il riesercizio del potere da parte della competente amministrazione.
7. – Le spese di lite per il doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti della Provincia di Vicenza, quale amministrazione che ha adottato l’atto impugnato, mentre vanno compensate nei confronti delle restanti parti costituite, non essendo stata proposta alcuna domanda nei loro confronti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie limitatamente al primo motivo di appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il primo motivo di ricorso di primo grado, assorbendo i restanti motivi, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Condanna la Provincia di Vicenza alla refusione delle spese di lite per il doppio grado di giudizio nei confronti della società appellante che si liquidano in complessivi € 8.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.
Compensa le spese di lite nei confronti delle restanti parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2025 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Michele Conforti, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere
Rosario Carrano, Consigliere, Estensore