Consiglio di Stato Sez. VII n. 2997 del 2 aprile 2024
Rifiuti.Messa in sicurezza e rimozione ed obblighi della curatela fallimentare

Nella sua qualità di detentore dei rifiuti, secondo il diritto sia interno, sia comunitario, quale gestore dei beni immobili inquinati, il curatore fallimentare è perciò senz’altro obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero. Si tratta di un’applicazione del principio “chi inquina paga”, che nella sua accezione comunitaria non richiede anche la prova dell’elemento soggettivo, né l’avvenuta successione, configurando la direttiva n. 2004/35/CE la responsabilità ambientale nei termini di una responsabilità oggettiva. La responsabilità della curatela fallimentare nell’eseguire la bonifica dei terreni di cui abbia acquisito la detenzione per effetto dell’inventario fallimentare dei beni ex artt. 87 e segg. L. Fall. può dunque prescindere dall’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato.

Pubblicato il 02/04/2024

N. 02997/2024REG.PROV.COLL.

N. 03708/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3708 del 2023, proposto dalla
Curatela del Fallimento della So.Rie.Co. S.r.l, in persona del curatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Sergio Como e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via G. Antonelli, n. 49;

contro

Comune di Castelnuovo di Conza (SA), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Aniello Lamberti e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia;

nei confronti

Fallimento della Compost Campania S.r.l., non costituito in giudizio;

per la riforma e/o l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Salerno, Sezione Seconda) n. 2862/2022 del 27 ottobre 2022, resa tra le parti, come risultante dalla correzione di errore materiale operata dall’ordinanza del medesimo Tribunale Amministrativo n. 653/2023 del 22 marzo 2023.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castelnuovo di Conza (SA);

Viste le memorie e le repliche delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2024 il Cons. Pietro De Berardinis e uditi per le parti l’avv. Sergio Como e l’avv. Aniello Lamberti;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello indicato in epigrafe la Curatela del Fallimento della So.Rie.Co. S.r.l. (“So.Rie.Co.” o “Società”) impugna la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 2862/2022 del 27 ottobre 2022, chiedendone la riforma.

1.1. La sentenza appellata, dopo averli previamente riuniti, ha respinto i ricorsi proposti dalla suddetta Curatela:

a) contro l’ordinanza n. 17 del 28 agosto 2019, con la quale il responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Castelnuovo di Conza (SA) ha ingiunto alla Curatela la demolizione delle strutture realizzate sulle particelle n. 411, sub. n. 1 (ex part.lla n. 30) e n. 412, sub. n. 1 (ex part.lla n. 17) del fg. n. 10 del Catasto Terreni del Comune, e di tutte le opere connesse, costituenti l’impianto industriale per la trasformazione dei prodotti di risulta provenienti dalle industrie agro-alimentari in “compost” di qualità;

b) avverso la determinazione dirigenziale n. 167 del 12 giugno 2021, con cui il responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Castelnuovo di Conza ha disposto la revoca dell’assegnazione in diritto di superficie alla So.Rie.Co. dei terreni siti in Zona P.I.P., lotto 2°, loc. “Piano Voglino”, la retrocessione dei terreni comunali ora citati, gravati da usi civici, e l’immissione del Comune nel possesso dei beni, nonché avverso la nota comunale del 12 maggio 2021, contenente l’invito al curatore fallimentare a stipulare l’atto di retrocessione dei suoli;

c) avverso l’ordinanza n. 16 del 27 agosto 2019, tramite la quale il Sindaco di Castelnuovo di Conza ha ordinato alla Curatela del Fallimento della So.Rie.Co. la rimozione e l’avvio al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti presenti all’interno dell’impianto sito in loc. “Piano Voglino”;

d) per la condanna del Comune al risarcimento dei danni.

2. In sintesi, il Comune di Castelnuovo di Conza con tre diverse convenzioni (la prima del 2001, la seconda del 2003 e la terza del 2006) trasferì alla So.Rie.Co. il diritto di superficie su un’area estesa sita in loc. “Piano Voglino”, ricadente in Zona P.I.P., lott. 2°, ai fini della realizzazione su parte di essa di un impianto industriale per la raccolta dei rifiuti e la trasformazione di prodotti di risulta in “compost”. La Società, munitasi dei relativi titoli edilizi, ultimò l’impianto ma poco tempo dopo (nei primi mesi del 2008) fu dichiara fallita. Dopo il fallimento della So.Rie.Co. la Curatela, non essendo stata autorizzata all’esercizio provvisorio, stipulò nel febbraio 2011 un contratto di locazione con la Compost Campania S.r.l. (“Compost Campania”) affinché tale ditta svolgesse nell’impianto l’attività di trasformazione dei rifiuti organici in “compost”, ma nel 2015 anche la Compost Campania venne dichiarata fallita.

2.1. Nelle more della liquidazione della So.Rie.Co., alcuni cittadini di Castelnuovo di Conza hanno promosso un giudizio innanzi al Commissario per la liquidazione degli usi civici di Napoli per sentir accertare la natura demaniale dei terreni che avevano formato oggetto delle tre convenzioni più sopra citate, poiché tutta l’area utilizzata sarebbe ricaduta in un più ampio territorio demaniale di proprietà del Comune, destinato a usi civici per legname e per pascolo permanente. Il Commissario ha accolto il ricorso con sentenza n. 5/2018 del 24 gennaio 2019, in cui, oltre ad accogliere la predetta domanda di accertamento, ha disapplicato tutti gli atti ed i titoli edilizi sulla base dei quali il Comune aveva consentito l’utilizzo dei terreni per l’installazione di due capannoni industriali ed ha condannato il Fallimento al rilascio dei terreni in discorso e al ripristino dello stato dei luoghi.

2.2. Successivamente a tale sentenza (passata in giudicato), il Comune di Castelnuovo ha emesso: 1) a carico della Curatela, l’ordinanza di demolizione delle opere costituenti l’impianto industriale per cui è causa; 2) sempre a carico della Curatela, l’ordinanza sindacale di rimozione e avvio al recupero e smaltimento dei rifiuti presenti all’interno dell’impianto; 3) la determinazione di retrocessione dei suoli comunali gravati da uso civico e assegnati alla So.Rie.Co., nonché di immissione nel possesso degli stessi. Come si è accennato, la Curatela ha impugnato con tre distinti ricorsi tali atti innanzi al T.A.R. Campania, Salerno, chiedendone l’annullamento, mentre con un quarto ricorso ha formulato nei confronti del Comune domanda di risarcimento dei danni.

2.3. Il T.A.R., dopo aver ricostruito la vicenda e riunito i ricorsi, ha disatteso le censure della Curatela ricorrente muovendo, relativamente alla legittimazione della stessa ad essere destinataria di ordini di ripristino e rimozione dei rifiuti, dall’insegnamento espresso nella decisione dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 3 del 26 gennaio 2021, secondo cui “ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n.152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare”.

2.4. In secondo luogo la sentenza ha disatteso le censure di ordine partecipativo, anche alla luce della natura degli atti, vincolata e conformativa rispetto al dettame della sentenza del Commissario per la liquidazione degli usi civici. Al riguardo il Tribunale ha richiamato il dispositivo della citata sentenza del Commissario, rilevando che la Curatela non ha ottemperato alla stessa, sicché gli atti del Comune oggetto di impugnazione si atteggiano come atti amministrativi legittimamente adottati dalla P.A. in chiave conformativa e in rigorosa esecuzione del dictum giudiziale.

2.5. Da ultimo, il primo giudice ha respinto la domanda di risarcimento dei danni ritenendo infondata la tesi attorea per cui la So.Rie.Co. sarebbe stata indotta in errore dal Comune sulla natura dei terreni oggetto delle riferite convenzioni: in realtà, la Società ha avuto piena cognizione di tale natura, come dimostra la missiva del 15 aprile 2005 con cui la Società stessa ha chiesto al Comune la stipula di una nuova convenzione che tenesse conto delle limitazioni (usi civici) esistenti sull’area concessa in uso per lo svolgimento dell’attività produttiva.

3. Nel gravame l’appellante contesta le motivazioni e le statuizioni della sentenza gravata, deducendo i seguenti motivi:

I) error in iudicando, errata applicazione degli artt. 87 e segg. L. Fall., errata applicazione dell’art. 191, comma 2, TFUE, della direttiva comunitaria 21 aprile 2004 n. 2004/35/CEE e della direttiva del 19 novembre 2008 n. 98/CEE del Parlamento europeo, errata applicazione dei principi comunitari e nazionali in materia ambientale, secondo cui “chi inquina paga”, errata individuazione del soggetto passivo tenuto a rimuovere i rifiuti rinvenuti nel complesso industriale individuato nelle ordinanze comunali, contraddittorietà e carenza della motivazione, difetto assoluto di istruttoria, poiché il primo giudice non avrebbe considerato che la Curatela del Fallimento non sarebbe mai stata detentrice del compendio immobiliare, né produttrice dei rifiuti. Infatti, l’impianto di compostaggio sarebbe stato gestito dalla Compost Campania, che l’avrebbe detenuto dal 2011 fino al suo fallimento (nel 2015) e i rifiuti sarebbero stati prodotti da questa e non dalla Curatela, sicché l’ordine di rimozione dei rifiuti avrebbe dovuto essere rivolto alla curatela del Fallimento della Compost Campania;

II) error in iudicando et in procedendo, errata applicazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, violazione del giusto procedimento di legge, difetto e illogicità della motivazione, in quanto la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe dovuto essere effettuata dal Comune e non potrebbe essere ritenuta implicita nella partecipazione al giudizio innanzi al Commissario per la liquidazione degli usi civici, nel quale la Curatela è stata convenuta unitamente al Comune ed entrambe le parti hanno assunto una posizione oppositiva alla domanda degli attori. In particolare, il fatto che la sentenza del Commissario abbia accolto tale domanda non equivarrebbe all’onere di comunicazione gravante sul Comune, che avrebbe dovuto adempiervi per consentire un previo contraddittorio procedimentale al destinatario degli atti: ciò, tanto più che nel caso de quo l’ordine di demolizione e quello di rimozione dei rifiuti non sarebbero a contenuto vincolato, essendovi un evidente errore nell’individuazione del detentore del compendio negli ultimi cinque anni e del produttore dei rifiuti da rimuovere;

III) ulteriore error in iudicando e violazione del giudicato formatosi sulla decisione n. 5/2018 resa dal Commissario per la liquidazione degli usi civici, motivazione errata, errata applicazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990 e dell’art. 5 L. Fall. e violazione del giusto procedimento di legge, in quanto il T.A.R. non avrebbe considerato che la sentenza pronunciata dal Commissario per la liquidazione degli usi civici (n. 5/2018), a pag. 15 avrebbe esplicitamente affermato che restava comunque fermo l’assoggettamento dell’esecuzione alla disciplina del concorso fallimentare. Ciò starebbe a significare che, per portare a esecuzione la pronuncia, il Comune avrebbe dovuto seguire le normali procedure sul concorso dei creditori e quindi non avrebbe potuto ordinare alla Curatela fallimentare la materiale demolizione delle opere, alla luce del divieto per il creditore di azioni esecutive ex art. 51 L. Fall.: avrebbe dovuto, invece, eseguire la demolizione in danno della Curatela, per poi insinuarsi al passivo del Fallimento per il relativo credito maturo, onde recuperare quanto sborsato in concorrenza con gli altri creditori della massa;

IV) error in iudicando, violazione e mancata applicazione dell’art. 30 c.p.a., violazione del principio di proporzionalità, errata applicazione dell’art. 112 c.p.c., per quanto applicabile ex art. 39 c.p.a., e dell’art. 1227 c.c., poiché la sentenza appellata ha respinto la domanda di risarcimento negando che il Comune con il suo comportamento possa avere indotto in errore la So.Rie.Co. circa la natura dei terreni: ciò alla stregua della lettera della Società del 15 aprile 2005 che dimostrerebbe la conoscenza, da parte della stessa, dell’esistenza dei predetti usi civici. Ma il T.A.R. non avrebbe considerato che le parti hanno stipulato una terza convenzione nel 2006, a cui sarebbe stata allegata ancora una volta la certificazione del Comune dove veniva confermata la destinazione urbanistica a Zona P.I.P. delle aree in discorso: di qui l’erroneità dell’esclusivo addossamento alla Società della responsabilità per l’illegittimo uso delle aree demaniali, laddove vi sarebbe una maggiore responsabilità del Comune o almeno un concorso di responsabilità di questo con il privato (art. 1227, primo comma, c.c.). Infine, il capo della sentenza che ha dichiarato infondata la domanda risarcitoria per carenza dei presupposti legalmente contemplati contrasterebbe con l’art. 112 c.p.c., non essendoci corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato perché, nonostante la documentazione prodotta in giudizio dalla Curatela a dimostrazione dei danni subiti, non sarebbero state esaminate le domande proposte e non vi sarebbe stato un confronto tra la condotta della So.Rie.Co. e quella del Comune.

3.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Castelnuovo di Conza, depositando di seguito memoria con cui ha eccepito l’irricevibilità per tardività della domanda risarcitoria presentata dalla Curatela fallimentare e comunque l’infondatezza dei motivi di appello.

3.2. Le parti hanno depositato memorie di replica.

3.3. All’udienza pubblica del 6 febbraio 2024 sono comparsi i difensori delle parti, i quali hanno brevemente discusso la causa. Di seguito questa è stata trattenuta in decisione.

4. Le censure della Curatela appellante non sono suscettibili di positivo apprezzamento.

4.1. È anzitutto infondato il primo motivo d’appello, attraverso il quale la Curatela torna a dolersi di essere stata individuata come destinataria dell’ordine di rimozione dei rifiuti rinvenuti sul compendio immobiliare oggetto delle convenzioni.

4.2. Sostiene sul punto la Curatela di non essere mai stata detentrice del compendio immobiliare e di non aver mai prodotto rifiuti, non essendo essa mai stata autorizzata all’esercizio provvisorio e non essendo mai subentrata nelle autorizzazioni rilasciate alla So.Rie.Co., che sarebbero state volturate direttamente alla Compost Campania: quest’ultima, con cui la Curatela avrebbe stipulato un contratto non di affitto d’azienda, ma di locazione dell’immobile, avrebbe gestito l’impianto per quattro anni (dal 2011 al suo fallimento, dichiarato nel 2015) e sarebbe il produttore dei rifiuti, nonché nell’arco di tempo considerato il soggetto che avrebbe avuto il possesso giuridico e la detenzione materiale dell’intero compendio. L’ordine di rimozione, perciò, avrebbe dovuto essere indirizzato alla curatela del Fallimento della Compost Campania, essendo questa società la responsabile dell’inquinamento prodotto e rinvenuto dal Comune nel 2018.

4.3. In contrario, però, depongono – come giustamente rilevato dal T.A.R. – le argomentazioni della pronuncia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 3 del 26 gennaio 2021.

4.4. Secondo tale pronuncia, infatti, se è vero che il curatore del fallimento non può essere qualificato come avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti, in quanto il fallimento non dà vita ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridico, nondimeno si deve ritenere che “la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima ex artt. 87 e ss. L.F., comportino la sua legittimazione passiva all’ordine di rimozione”. Ciò, perché in tale situazione “la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare 'beni negativi'), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti”. Per conseguenza – conclude l’Adunanza Plenaria – “l’unica lettura del decreto legislativo n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all’Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall’impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento”.

4.5. Non colgono nel segno le obiezioni della Curatela di non aver ottenuto l’esercizio provvisorio e di non essere subentrata nelle autorizzazioni rilasciate alla So.Rie.Co.: come ricordato dalla Plenaria, infatti, “nell’ottica del diritto europeo (che non pone alcuna norma esimente per i curatori), i rifiuti devono comunque essere rimossi, pur quando cessa l’attività, o dallo stesso imprenditore che non sia fallito, o in alternativa da chi amministra il patrimonio fallimentare dopo la dichiarazione del fallimento”: infatti, secondo la direttiva n. 2008/98/CE il detentore è la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti, cioè dei beni immobili su cui i rifiuti insistono e tale nozione si contrappone a quella di produttore. Non rilevano le nozioni del diritto interno sulla distinzione tra il possesso e la detenzione: “ciò che conta è la disponibilità materiale dei beni, la titolarità di un titolo giuridico che consenta (o imponga) l’amministrazione di un patrimonio nel quale sono compresi i beni immobili inquinati”. Del resto “neppure rileva un approfondimento della nozione della detenzione, se si ritiene sufficiente la sussistenza di un rapporto gestorio, inteso come 'amministrazione del patrimonio altrui', ciò che certamente caratterizza l’attività del curatore fallimentare con riferimento ai beni oggetto della procedura”. Nella sua qualità di detentore dei rifiuti, secondo il diritto sia interno, sia comunitario, quale gestore dei beni immobili inquinati, “il curatore fallimentare è perciò senz’altro obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero”.

4.6. Si tratta, osserva l’Adunanza Plenaria, di un’applicazione del principio “chi inquina paga”, che nella sua accezione comunitaria non richiede anche la prova dell’elemento soggettivo, né l’avvenuta successione, configurando la direttiva n. 2004/35/CE la responsabilità ambientale nei termini di una responsabilità oggettiva. La responsabilità della curatela fallimentare nell’eseguire la bonifica dei terreni di cui abbia acquisito la detenzione per effetto dell’inventario fallimentare dei beni ex artt. 87 e segg. L. Fall. può dunque “prescindere dall’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato”.

4.7. Orbene, nel caso de quo in tutto l’arco di tempo considerato il compendio immobiliare è rimasto compreso nel patrimonio del Fallimento amministrato dalla Curatela e tanto basta, alla stregua del suindicato insegnamento dell’Adunanza Plenaria, a rendere legittima l’individuazione della Curatela stessa come destinataria dell’ordine di rimozione dei rifiuti.

4.7.1. Peraltro, anche a voler seguire il ragionamento dell’appellante, il motivo di appello in esame resta infondato. Infatti la Compost Campania ha gestito l’impianto per cui è causa per circa quattro anni, dal 2011 al 2015: invece, la dichiarazione di fallimento della So.Rie.Co. risale al 29 giugno 2008 e l’ordinanza del Sindaco che ha ingiunto alla Curatela del Fallimento la rimozione dei rifiuti reca la data del 27 agosto 2019, cosicché vi sono stati almeno due ampi periodi di tempo nei quali il compendio immobiliare è rimasto nella disponibilità della Curatela appellante: più in particolare, il compendio è rimasto nella disponibilità della Curatela dalla dichiarazione di fallimento (29 giugno 2008) al suo affidamento alla Compost Campania conseguente al contratto di locazione stipulato il 15 febbraio 2011 e poi dalla dichiarazione di fallimento di quest’ultima (con sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 90/2015) fino all’adozione dell’ordinanza impugnata. A nulla vale, dunque, affermare – come si legge a pag. 2 dell’appello – che la Curatela avrebbe eseguito nel corso del 2009 un intervento di bonifica dell’impianto ed eliminazione dei materiali abbandonati in loco dalla Società fallita.

4.7.2. Ad abundantiam, va osservato che l’art. 4 della convenzione del 2001 (non modificato dalla convenzione del 2006, che richiama le precedenti convenzioni per le parti non innovate) consentiva all’ultimo comma alla So.Rie.Co., decorsi otto anni dalla stipula della convenzione stessa, di locare gli edifici costruiti a soggetti svolgenti le attività imprenditoriali, previo consenso del Comune da esprimere con atto del responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia. Non vi è prova, tuttavia, che tale consenso sia stato rilasciato in ordine al contratto di locazione stipulato dalla Curatela appellante con la Compost Campania S.r.l.: dell’attività di quest’ultima, pertanto, non può che rispondere, nei confronti del Comune, la Curatela stessa, che anche da questo punto di vista è stata legittimamente individuata dalla P.A. quale destinataria dell’ordine di rimozione dei rifiuti.

5. È altresì infondato il secondo motivo, con cui l’appellante censura la sentenza di prime cure per avere questa disatteso le censure di omissione, da parte del Comune, della fase della partecipazione procedimentale, in relazione sia al procedimento preordinato alla demolizione dell’impianto, che a quello preordinato alla rimozione dei rifiuti.

5.1. Vero è che questa Sezione ha già avuto modo di evidenziare l’erroneità dell’affermazione per la quale le garanzie di partecipazione procedimentale debbono essere escluse per i provvedimenti che costituiscono esercizio di attività vincolata, poiché le garanzie in questione prescindono dalla natura del potere esercitato e mirano a preannunciare al privato l’inizio del procedimento attivato su impulso dell’ufficio: piuttosto, l’infondatezza della censura di omissione delle predette garanzie si riconnette all’applicazione della regola di non annullabilità dell’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, in base alla quale va escluso l’annullamento dell’atto laddove emerga che questo non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato (cfr. C.d.S., Sez. VII, 20 dicembre 2023, n. 11062; id., 24 luglio 2023, n. 7235).

5.2. Orbene, nel caso di specie, come si vedrà anche infra, l’ordinanza emessa il 28 agosto 2019 dal Comune, recante ingiunzione alla Curatela di provvedere alla demolizione delle opere e al ripristino dello stato dei luoghi, non costituisce altro che l’esecuzione del dictum contenuto nella sentenza del Commissario per la liquidazione degli usi civici di Napoli n. 5/2018 la quale contiene al punto n. 1) del dispositivo la condanna del Fallimento della So.Rie.Co. al rilascio dei terreni e al ripristino dello stato dei luoghi. Si tratta, dunque, di atto dovuto e a contenuto vincolato, che giammai avrebbe potuto recare un contenuto diverso e in relazione al quale non è dato comprendere quale apporto il privato avrebbe potuto fornire nella sede partecipativa: in carenza, perciò, di una prova data in giudizio circa l’utilità della partecipazione del privato, la censura deve essere disattesa (C.d.S., Sez. VI, 16 febbraio 2023, n. 1658; id., 12 luglio 2021, n. 5266; Sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4213; Sez. III, 23 febbraio 2015, n. 896; Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5062).

5.3. Considerazioni in tutto analoghe valgono, poi, anche per l’ordine di rimozione dei rifiuti, il quale a sua volta non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello che in concreto ha avuto: nello specifico, di nessuna utilità sarebbe stata, alla luce di quanto detto poc’anzi a confutazione del primo motivo di gravame, l’indicazione, ad opera della Curatela, della Compost Campania quale soggetto detentore dell’area e produttore dei rifiuti. Ne consegue, anche per questo verso, l’infondatezza del motivo di appello ora in esame.

6. Venendo al terzo motivo, questo intende valorizzare, con argomentazioni per vero suggestive, un passaggio della sentenza del Commissario per la liquidazione degli usi civici (che per l’esecuzione richiama l’assoggettamento alla disciplina del concorso fallimentare), desumendone quale corollario l’illegittimità dell’ordine di demolizione delle opere rivolto dal Comune alla Curatela, perché detto ordine violerebbe il divieto di azioni esecutive individuali ex art. 51 L. Fall..

6.1. A ben vedere, tuttavia, la doglianza è infondata, perché l’assoggettamento del Comune alle regole sul concorso dei creditori del fallimento e sul divieto di azioni esecutive individuali riguarda il credito per le somme conseguenti all’esecuzione d’ufficio e in danno esperita dal Comune in caso di mancata esecuzione spontanea dell’ordine di demolizione da parte della Curatela: per recuperare tali somme, infatti, il Comune dovrà eventualmente insinuarsi al passivo del fallimento e concorrere con gli altri creditori della massa. Ciò, tuttavia, nulla toglie alla possibilità, anzi alla doverosità, per il Comune di ordinare alla Curatela del Fallimento la demolizione delle opere e il ripristino dello stato dei luoghi, in esecuzione del dictum giudiziale e in ossequio alla normativa urbanistica (nonché alla normativa in materia di usi civici).

6.1.1. Invero, la sussistenza della procedura fallimentare non costituisce ragione idonea per derogare alla suddetta normativa, né per affermare, all’esito di un complessivo bilanciamento tra le ragioni dell’Autorità comunale e quelle dei creditori del fallito, la recessività delle prime (preordinate alla salvaguardia del territorio e per la cui tutela vengono emanati i provvedimenti repressivi) rispetto alle seconde, volte al mantenimento dell’integrità del patrimonio: la curatela è tenuta a dare esecuzione ai provvedimenti dell’Autorità amministrativa, compatibilmente con l’esistenza di misure cautelari penali e, ove sussistenti, degli altri presupposti di legge, in linea con l’art. 42 L. Fall., sicché per questo verso la tesi della Curatela appellante prova troppo, perché le consentirebbe di sottrarsi ai predetti provvedimenti.

6.2. Sotto distinto, ma concorrente profilo, l’ordine di demolizione delle opere rivolto alla Curatela non può essere ritenuto lesivo della par condicio creditorum, poiché esso riguarda beni realizzati in modo illegittimo, che di conseguenza non esistono per l’ordinamento giuridico e non possono essere considerati un cespite del patrimonio della società fallita, essendo destinati alla demolizione. Ciò, tenuto conto che in materia di abusi edilizi destinatario dell’ordine di demolizione è il soggetto che ha la ‘disponibilità’ dell’opera, a prescindere dal fatto che l’abbia concretamente realizzata (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266; id., 16 luglio 2007, n. 4008).

7. Va ora analizzato il quarto motivo di appello, a mezzo del quale la Curatela si duole della reiezione della domanda di risarcimento dei danni formulata nei confronti del Comune. Con tale domanda era stato chiesto, in specie, il risarcimento dei danni cagionati alla So.Rie.Co. dal comportamento del Comune consistito nell’avere indotto in errore la Società, dichiaratasi disponibile a sottoscrivere il contratto di acquisto del diritto di superficie sulle aree in esame, tramite allegazione alle convenzioni successivamente stipulate (la prima nel 2001, la seconda nel 2003 e la terza nel 2006) di certificati di destinazione urbanistica delle aree stesse che non facevano menzione dell’esistenza degli usi civici gravanti su dette aree.

7.1. La difesa comunale ha eccepito la tardività dell’ora vista domanda di risarcimento dei danni, in quanto proposta oltre il termine di centoventi giorni ex art. 30, comma 5, c.p.a., decorrente – in tesi – dalla data di passaggio in giudicato della sentenza del Commissario per la liquidazione degli usi civici (24 luglio 2019): ma il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame di tale eccezione (in disparte la sua ammissibilità, contestata dalla Curatela appellante), essendo comunque la predetta domanda di risarcimento infondata nel merito e attesa la correttezza delle statuizioni rese sul punto dal giudice di prime cure.

7.2. Invero, la Curatela imputa al Comune di essere stato a conoscenza del fatto che l’area oggetto della convenzione fosse gravata da usi civici, ma di non averne dato avviso alla controparte privata ed anzi di avere allegato alla convenzione certificati di destinazione urbanistica da cui si evinceva il contrario, così inducendola a confidare nella legittimità della convenzione stessa. Si tratta, dunque, di una pretesa risarcitoria che va ricondotta al paradigma normativo dell’art. 1338 c.c. (secondo cui “la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”): la responsabilità della P.A. fatta valere dalla Curatela va configurata, perciò, in termini non di responsabilità contrattuale, come si afferma nell’atto di appello, ma di responsabilità precontrattuale (C.d.S., A.P., 29 novembre 2021, n. 21).

7.3. Orbene, per giurisprudenza consolidata la responsabilità prevista dall’art. 1338 c.c., a differenza di quella ex art. 1337 c.c., tutela l’affidamento di una delle parti non sulla conclusione del contratto, ma sulla sua validità ed essa non è configurabile nelle ipotesi in cui si debba escludere l’affidamento incolpevole dell’altro contraente (Cass. civ., Sez. lav., 26 giugno 2020, n. 12836; Sez. I, 13 maggio 2009, n. 11135; id., 25 marzo 2007, n. 7481). La decisione dell’Adunanza Plenaria n. 21/2021, ora richiamata, rammenta come la necessità che l’affidamento del privato non sia inficiato da colpa abbia condotto la giurisprudenza ad escludere il risarcimento del danno “se la conoscenza di una causa invalidante il contratto è comune ad entrambe le parti che conducono le trattative, poiché nessuna legittima aspettativa di positiva conclusione delle trattative può mai dirsi sorta (in questo senso, di recente: Cass. civ, III, 18 maggio 2016, n. 10156; sez. lav., ord. 31 gennaio 2020, n. 2316; sent. 5 febbraio 2016, n. 2327)”. La necessità che l’affidamento sia incolpevole, inoltre, rende inapplicabile a tale forma di responsabilità la disciplina dell’art. 1227 c.c. sul concorso di colpa.

7.4. Nell’odierna controversia è però presente in atti la missiva della So.Rie.Co. del 15 aprile 2005 (doc. 6 del Comune nel ricorso R.G. n. 201/2020), con la quale la Società ha chiesto la modifica o l’annullamento della convenzione e la stipula di una nuova, che dimostra – come osservato dal T.A.R. – che la Società stessa aveva piena cognizione della circostanza che il terreno su cui era stato costituito il diritto di superficie fosse gravato da usi civici. Detta missiva ha infatti un tenore inequivocabile, leggendosi al punto C) della stessa che l’area oggetto del diritto di superficie “non è risultata sin dalla stipula della relativa Convenzione idonea alla finalità per cui era destinata, pertanto inutilizzabile dalla scrivente; infatti, sull’area in discussione vi è stato (sic) da sempre la presenza di Usi Civici che a tutt’oggi impediscono la realizzazione dell’attività economica sopra indicata”, cioè l’impianto per la trasformazione di prodotti di risulta del settore agro-alimentare in “compost”.

7.5. In definitiva, dunque, nella fattispecie in esame la conoscenza in capo al privato dell’esistenza di usi civici gravanti sull’immobile attribuito in superficie, comprovata dalla missiva del 15 aprile 2005, elimina in radice la possibilità di configurare un affidamento incolpevole in capo allo stesso e, quindi, di ipotizzare una responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 1338 c.c.: ne segue, in ultima analisi, l’infondatezza della pretesa risarcitoria della Curatela.

8. In conclusione, per tutto quanto esposto, l’appello è nel suo complesso infondato e deve, perciò, essere respinto, dovendo la sentenza appellata essere confermata.

9. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese del giudizio di appello, attese la particolarità e la complessità delle questioni affrontate, mentre non si fa luogo a pronuncia sulle spese nei confronti del Fallimento della Compost Campania S.r.l., non costituitosi in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti costituite le spese del giudizio di appello.

Nulla spese nei confronti del Fallimento della Compost Campania S.r.l., non costituito in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2024, con l’intervento dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Raffaello Sestini, Consigliere

Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore

Marco Morgantini, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere