Cass. Sez. III n. 34782 del 17 luglio 2017 (Ud 30 gen 2017)
Presidente: Cavallo Estensore: Gai Imputato: Guerci ed altro
Caccia e animali.Nozione di esercizio venatorio

Nella nozione di esercizio venatorio non rientrano esclusivamente la cattura e l'uccisione della selvaggina, ma anche l'attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento e, in tal senso, qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere. Le nozioni di attitudine e di esercizio della caccia vanno desunte attraverso una situazione di pericolo, che viene realizzata da quegli atti che abbiano, per fine ultimo, l'uccisione o la cattura della selvaggina e che può essere desunta da elementi sintomatici


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 aprile 2016, il Tribunale di Piacenza ha condannato Guerci Renato e Agnelli Ilenia, alla pena di C 1000,00 di ammenda ciascuno, per il reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 13 e 30 comma 1 lett. h), legge 157 del 1992, per avere esercitato la caccia in orario notturno trasportando a bordo del veicolo una carabina Remigton Woodmaster cal. 30.06, con dispositivo attivo munito di reticolo retroilluminato in funzione e caricatore munito di tre colpi di analogo calibro, ed avvalendosi di mezzi non consentiti costituiti da sorgenti luminose (fari dell'auto e torce elettriche) per illuminare i bersagli. In Coli il 19/01/2015.

2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi Guerci Renato e Agnelli Ilenia, a mezzo del difensore di fiducia, e ne hanno chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp.att. cod.proc.pen.

2.1. Con il primo e secondo motivo deducono il vizio di motivazione in relazione all'illogicità della motivazione sull'affermazione della responsabilità penale per travisamento della prova testimoniale.
Il Tribunale avrebbe illogicamente escluso che i ricorrenti si fossero recati in tempo di notte nella zona montagnosa e boscosa, ove sono stati identificati, perché alla ricerca del cane Simba di proprietà della Agnelli, che si era allontanato e non aveva fatto ritorno, e ciò travisando il contenuto della testimonianza del teste Casella Giovanni che aveva confermato di aver saputo che i ricorrenti si erano posti alla ricerca del cane della Agnelli. Il medesimo teste aveva altresì confermato quanto dichiarato dall'imputato Guerci circa la presenza della carabina nell'auto in ragione della volontà di confrontarla e verificarne il funzionamento con la Agnelli.

2.2. Con il terzo motivo deducono la violazione di legge penale in relazione all'art. 30 comma 1 lett. h), legge n. 157 del 1992 e art. 13 medesima legge. Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la presenza della carabina all'interno del veicolo non farebbe venire meno l'atteggiamento di caccia e, comunque, l'utilizzo della carabina, trattandosi di un mezzo non vietato dall'art. 13 della legge che punisce solamente l'esercizio dell'attività venatoria con mezzi diversi da quelli consentiti dal medesimo art. 13, non integrerebbe il reato. Ne conseguirebbe che agli imputati dovrebbero essere contestata l'attività venatoria esercitata fuori dai limiti del calendario venatorio, punita con sanzione amministrativa dall'art. 31 lett. g) della legge 152 del 1992.

2.3. Con il quarto motivo deducono la violazione di legge in relazione all'inosservanza dell'art. 30 comma 1 lett. h), in relazione all'art. 12 della legge n. 152 del 1992. La presenza di una carabina scarica in custodia separata dalle munizioni non potrebbe configurare l'atteggiamento venatorio in quanto un simile contesto non comporta l'immediato utilizzo dell'arma.

3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono inammissibili.

5. Manifestamente infondati sono il primo e il secondo motivo di ricorso che, per evidente connessione logica, vengono trattati congiuntamente. Con essi i ricorrenti mirano a richiedere una lettura dei fatti alternativa a quella già effettuata dal giudice del merito, dando aprioristica valenza alla dichiarazione del testimone a fronte di una adeguata motivazione del Tribunale che, dopo avere valutato la testimonianza, l'ha disattesa alla luce del compendio probatorio complessivo.
Attraverso il denunciato travisamento della prova, i ricorrenti chiedono alla Corte di cassazione una rivalutazione del materiale probatorio, rivalutazione che non è consentita nel giudizio di legittimità a fronte di un adeguato apparato motivazionale.
Deve osservarsi, in generale, che le censure proposte dai ricorrenti non sono consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure l'apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da incongruenze di ordine logico.
A questo proposito, va ricordato, che la Corte di cassazione è giudice della motivazione del provvedimento impugnato e non giudice delle prove acquisite nel corso del procedimento, con la conseguenza che il vizio di motivazione, che risulti dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati, in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621). La rivalutazione del materiale probatorio, attraverso una ri-lettura delle prove è un'operazione non consentita in questa sede, risolvendosi, in definitiva, a chiedere un altro grado di merito attraverso la prospettazione del vizio di motivazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen.

6. Manifestamente infondati sono anche il terzo e il quarto motivo di ricorso.
Questa Corte ha più volte ribadito che nella nozione di esercizio venatorio non rientrano esclusivamente la cattura e l'uccisione della selvaggina, ma anche l'attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento e, in tal senso, qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere (Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Cargnello, Rv. 265401; Sez. 3, n. 36718 del 17/04/2014, P.M. in proc. Servetti, Rv. 259903; Sez. 3, n. 16207 del 3 Il Presidente Aldo Cavallo etzt,ut.e, E 14/03/2013, Roscigno, Rv. 255486).
Le nozioni di attitudine e di esercizio della caccia vanno desunte attraverso una situazione di pericolo, che viene realizzata da quegli atti che abbiano, per fine ultimo, l'uccisione o la cattura della selvaggina e che può essere desunta da elementi sintomatici, con la conseguenza l'avere rivenuto, nell'abitacolo del veicolo tra i sedili anteriori, la carabina munita di ottica con reticolo illuminato accesa e caricatore con tre colpi appoggiato al centro del cruscotto unitamente ad una torcia elettrica ai piedi della carabina, costituisce chiaro atteggiamento da caccia unitamente alla circostanza di tempo e di luogo (zona boschiva in tempo di notte).
Quanto all'ulteriore profilo dell'uso dei mezzi vietati, è stato anche affermato che l'art. 30 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, lett. h), punisce l'esercizio della caccia con mezzi vietati, ossia con i mezzi che non sono compresi fra quelli consentiti tassativamente dall'art. 13 della stessa legge (Sez. 3, n. 139 del 13/11/2000, Moreschi F., Rv. 218695), conseguendo da ciò che - siccome nell'esercizio venatorio rientrano non solo gli atti diretti all'abbattimento della selvaggina, ma anche l'attività prodromica di appostamento e ricerca della fauna - devono ritenersi inclusi, nel novero dei mezzi vietati, anche l'uso dei fari alogeni se ed in quanto destinati, come nella specie, ad esercitare una vis attrattiva sulla fauna per cercare, braccare e stanare la preda da abbattere, cosicché il mezzo adoperato si connoti per costituire strumento intrinsecamente, funzionalmente ed essenzialmente connesso all'attività di caccia (Sez. 3, n. 36718 del 17/04/2014, P.M. in proc. Servetti, Rv. 259903).

7. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di C 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 30/01/2017