Chi trova un bene culturale trova un tesoro. Note a margine di una recente pronuncia del Consiglio di Stato.
di Silia GARDINI
pubblicato su giustiziainsieme.it. Si ringraziano Autore ed Editore
Sommario: 1. La vicenda sottoposta alla cognizione del Consiglio di Stato – 2 La disciplina normativa e procedimentale del premio di rinvenimento – 3. L’individuazione dei soggetti beneficiari – 4. L’applicazione delle garanzie partecipative al procedimento per la determinazione del premio – 5. La natura indennitaria del premio e il regime fiscale.
1. La vicenda sottoposta alla cognizione del Consiglio di Stato
Con la sentenza 31 gennaio 2024, n. 920, la Sez. VI del Consiglio di Stato ha avuto modo di approfondire l’analisi dello speciale istituto che trova applicazione nel caso in cui venga ritrovato o scoperto un bene culturale, ovvero il c.d. premio di rinvenimento. In tali circostanze, com’è noto, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, D. lgs. n. 42/2004 prevede l’obbligo per lo Stato di corrispondere a determinate categorie di soggetti un “premio” di natura economica, proporzionato al valore di quanto rinvenuto[1].
La pronuncia trae origine dalla scoperta del c.d. “Tesoro di Como”, avvenuta nel 2018 durante uno scavo edilizio su un’area privata nella città lombarda. L’impresa ricorrente, acquirente dei locali dell’ex Teatro Cressoni, nel corso dell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione per la realizzazione di un nuovo complesso abitativo, aveva rinvenuto testimonianze dello sviluppo storico della città di Como, a partire dalla sua fondazione risalente al 59 a.C. ad opera di Giulio Cesare e, in particolare, aveva portato alla luce uno straordinario reperto archeologico, ovvero un contenitore in pietra ollare al cui interno erano collocati tre anelli d’oro e mille monete d’oro, nonché altri frammenti d’oro di periodo tardo romano (denominato non a caso “Tesoro di Como”), del valore complessivo – secondo la stima ministeriale – di circa quattro milioni di euro.
Il Ministero della Cultura aveva quantificato l’entità del premio in denaro da riconoscere all’impresa, in quanto proprietaria del sito presso il quale era stata effettuata la scoperta, in 370.000 € (pari al 9,25% del valore dei beni). La stessa impresa non aveva, però, condiviso tale decisione, ritenendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto applicare nella fattispecie il secondo comma dell’art. 92 del d.lgs. n. 42 del 2004, a norma del quale al proprietario del sito presso il quale è stato effettuato il rinvenimento può essere attribuito un premio pari alla metà del valore del reperto qualora tale soggetto ne sia anche lo scopritore fortuito.
L’adito Tribunale amministrativo per la Lombardia (con sentenza sella Sez. III, n. 1263/2022) aveva rigettato il ricorso dei privati e confermato la validità dell’azione ministeriale, considerando non chiara la paternità del ritrovamento.
La scoperta era stata, infatti, denunciata da una società specializzata in scavi archeologici, incaricata dalla ricorrente stessa di sovrintendere ai lavori di scavo, dal momento che la stessa Soprintendenza aveva disposto che tutte le operazioni di scavo si sarebbero dovute effettuare in regime di “sorveglianza archeologica”, trovandosi il terreno in un’area considerata a “rischio archeologico”. In secondo luogo, gli stessi scavi erano stati realizzati da altra società appaltatrice, la quale aveva pure avanzato domanda di corresponsione del premio, ritenendosi scopritrice materiale del reperto. Anche le ulteriori censure, relative alla carenza di garanzie partecipative in capo al privato e all’erroneo assoggettamento del premio a ritenuta a titolo di imposta pari al 25% del valore del premio (ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 600 del 1973), venivano rigettate dal TAR.
Il Consiglio di Stato, nel corso del giudizio di appello, ha completamente ribaltato la decisione di primo grado, accogliendo le doglianze della società ricorrente e fornendo interessanti coordinate ermeneutiche tanto sotto il profilo dell’inquadramento della figura dello scopritore, quanto con riguardo allo svolgimento dell’istruttoria procedimentale e all’individuazione del regime fiscale del premio.
2. La disciplina normativa e procedimentale del premio di rinvenimento
Prima di analizzare le questioni giuridiche emerse dalla pronuncia in commento, è opportuno effettuare una breve ricognizione della normativa vigente in materia e, in particolare, richiamare la struttura del procedimento amministrativo previsto per l’attribuzione del premio di rinvenimento.
Gli artt. 92 e 93 del Codice disciplinano consistenza e criteri per l’attribuzione del premio sia nei per i ritrovamenti programmati che per le scoperte fortuite di beni culturali. Le regole prevedono che, in entrambi i casi, il contributo economico – non superiore al quarto del valore delle cose trovate – sia corrisposto innanzitutto al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento. Nel caso di ritrovamenti, il concessionario dell’attività di ricerca potrà ottenere il premo qualora l’attività medesima non rientri tra i suoi scopi istituzionali o statutari; nel caso di scoperte, lo scopritore fortuito sarà ricompensato solo laddove abbia ottemperato agli obblighi posti a suo carico dalla legge.
L’ipotesi in cui più profili concorrano in capo allo stesso soggetto è disciplinata dal secondo comma dell’art. 92, che identifica la figura del proprietario-concessionario (colui che effettua i ritrovamenti su un immobile di sua proprietà nell’ambito di una ricerca debitamente autorizzata) e quella proprietario-scopritore (colui che accidentalmente porti alla luce un bene su un immobile di sua proprietà). In questi casi la legge riconosce il diritto a un premio di più cospicuo, comunque non superiore alla metà del valore delle cose ritrovate. L’espressione “non superiore” deve essere interpretata come un limite massimo quantitativo e non come criterio fisso. In assenza di ulteriori indicazioni o limitazioni rinvenibili in altre fonti, anche di rango amministrativo generale, la valutazione del quantum del premio nel caso concreto è, dunque, riservata alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione[2].
Avvenuta la scoperta, in capo allo scopritore nascono una serie di obblighi inderogabili, espressamente previsti dall’art. 90 del Codice dei beni culturali. Il principale è l’obbligo di denuncia, da effettuare entro ventiquattr’ore dalla scoperta al soprintendente, al sindaco (del comune in cui la stessa è avvenuta) ovvero all’autorità di pubblica sicurezza. Lo scopritore è altresì tenuto alla conservazione temporanea, a titolo di custode, della cosa ritrovata, che deve esser preferibilmente mantenuta nelle condizioni e nel luogo in cui è state rinvenuta.
Il premio viene corrisposto all’esito dell’apposito procedimento disciplinato dall’art. 93 del Codice che prevede, da una parte, l’accertamento delle condizioni previste dalla norma ai fini della sua corresponsione in capo al concessionario, allo scopritore o al proprietario e, dall’altra, il compimento di una valutazione tecnico-discrezionale relativa al valore dei beni rinvenuti, in base alla quale verrà poi quantificato, nel rispetto dei limiti edittali previsti dalla legge, lo stesso premio.
Il procedimento prende avvio d’ufficio (nei casi in cui, dopo aver ricevuto la denuncia di ritrovamento, il Ministero disponga di tutti gli elementi necessari per concluderlo) o a seguito di apposita istanza dell’interessato, che deve essere formulata entro il termine massimo di dieci anni dal rinvenimento.
La durata del procedimento è di complessivi centottanta giorni[3]. Le Soprintendenze ABAP hanno competenza per lo svolgimento della sola istruttoria relativa alla determinazione del premio, mentre la competenza ad emettere il provvedimento finale è radicata in capo alla Direzione Generale ABAP[4]. Una volta determinato il valore del bene (attraverso tabelle di riferimento o di ricerche sul mercato antiquario, necessarie ad attribuire ai reperti un valore commisurato alla loro natura di beni sottratti al commercio legale), il premio di rinvenimento viene calcolato applicando la percentuale ritenuta opportuna al totale della stima. La Soprintendenza invia, poi, alla Direzione Generale ABAP i risultati dell’istruttoria, corredati dalla relativa proposta di provvedimento.
Se gli aventi titolo non accettano la stima del Ministero, il valore delle cose ritrovate è determinato da un terzo, designato concordemente dalle parti o nominato dal presidente del Tribunale competente per territorio (art. 93, comma 3)[5].
3. L’individuazione dei soggetti beneficiari
In merito alla esatta individuazione delle categorie di soggetti legittimati a ricevere il premio, la legge si limita a indicare i tre potenziali beneficiari: il proprietario del fondo in cui è avvenuto il ritrovamento, il concessionario di ricerca che non svolga tale attività per fini istituzionali e lo scopritore fortuito virtuoso. Il cerchio, però, risulta in concreto ben più ristretto di quello formalmente tracciato dal legislatore.
Innanzitutto, è da escludere che il premio possa essere corrisposto al proprietario del fondo laddove esso sia un ente pubblico. Ciò poiché si deve ritenere che all’obbligo istituzionale di concorrere alla tutela e alla conservazione del patrimonio culturale partecipino tutte le articolazioni dello Stato, per le quali la finalità di renderne possibile la scoperta non può, all’evidenza, comportare alcun beneficio di natura economica, se non attraverso la valorizzazione e la pubblica fruizione del bene rinvenuto[6]. Per le medesime ragioni, sono esclusi dalla corresponsione del premio anche quei soggetti che, pur avendo una forma privata, sono sostanzialmente assimilabili a soggetti pubblici, quali le società in housee gli organismi di diritto pubblico.
Un’altra recente sentenza del Consiglio di Stato ha posto in evidenza, con riguardo alla possibilità di corrispondere il premio al proprietario del fondo, la necessità che tale attribuzione non avvenga incondizionatamente, ma che sia preceduta da un’apposita valutazione circa la meritevolezza della condotta del potenziale beneficiario, in termini di apporto cooperativo al ritrovamento stesso[7].
Ulteriori precisazioni devono essere effettuate con riguardo alla figura dello scopritore. Tale qualifica dovrebbe radicarsi in capo al soggetto che ha materialmente determinato, involontariamente, l’evento della scoperta attraverso le proprie azioni. Nel caso di attività svolte da più persone (ad esempio, per l’esecuzione di lavori o altri rilevamenti), l’interpretazione non è stata sempre concorde, anche se l’orientamento prevalente propende per la persona giuridica, pubblica o privata, titolare dell’attività.
La sentenza della Sez. VI del Consiglio di Stato 31gennaio 2024, n. 920 analizza espressamente la questione, a fronte del mancato riconoscimento nella pronuncia di primo grado della qualifica di scopritore in capo alla società proprietaria del terreno (ai fini dell’aumento della percentuale del valore del premio). Nel caso specifico si sovrapponeva, infatti, la presenza di un committente a quella di due appaltatori (una società specializzata in scavi archeologici, incaricata della sorveglianza archeologica e un’altra società appaltatrice, incaricata dei lavori di scavo).
Il Consiglio di Stato ha, a riguardo, evidenziato come anche nei casi in cui risultino materialmente coinvolti più soggetti, il ruolo di scopritore debba radicarsi in capo al proprietario-committente, titolare del permesso (titolo edilizio) sulla base del quale vengono svolte le attività da cui è derivata la scoperta, dal momento che allo stesso tali attività sono imputabili sia giuridicamente che materialmente.
Lo stesso discorso vale con riferimento allo svolgimento della sorveglianza archeologica, giacché ciò che rileva e prevale è sempre la titolarità giuridica dell’attività. Nel caso di specie, infatti, diretta destinataria delle prescrizioni archeologiche da parte degli organi ministeriali era esclusivamente la società committente[8].
Completamente differente è la questione dell’attribuzione della qualifica di concessionario. In questo caso lo svolgimento materiale o la titolarità dell’attività da cui deriva il ritrovamento non ha alcuna rilevanza. L’unico elemento identificativo è, infatti, come pure rilevato dalla sentenza in commento, quello della formale titolarità di una concessione di ricerca a tale scopo rilasciata dal Ministero. Tale provvedimento, nell’ordine tradizionale della funzione concessoria, ha la funzione di arricchire la sfera giuridica del soggetto che ne è destinatario, attraverso l’affidamento di un’attività (la ricerca archeologica) per legge riservata alla sola Amministrazione. Nessun premio potrebbe, dunque, mai essere riconosciuto al soggetto che, autonomamente, avvii campagne di scavo o di ricerca, anche su terreni privati.
In concreto, l’attribuzione del premio di rinvenimento al concessionario di ricerca risulta un’ipotesi in concreto residuale, se non del tutto esclusa. La legge estromette a priori tutti i soggetti per i quali l’attività di ricerca rientri tra gli scopi istituzionali o statutari, lasciando così fuori la stragrande maggioranza di soggetti – ovvero gli enti di ricerca – che hanno le più spiccate competenze tecnico-scientifiche per la realizzazione dei lavori di scavo. In aggiunta, la prassi ministeriale richiede al concessionario, al momento della sottoscrizione della concessione, di dichiarare in ogni caso di non avere formalmente titolo al riconoscimento del premio, ovvero di rinunciarvi espressamente. La rinuncia al premio di rinvenimento è diventata, nei fatti, una sorta condizione “amministrativa”, necessaria al rilascio della stessa concessione[9]. Addirittura, anche nel caso in cui le istanze di concessione siano relative ad aree di proprietà di privati, la consuetudine è quella di richiedere da parte di questi ultimi la rinuncia al premio ovvero di prevedere la corresponsione dello stesso da parte del concessionario in luogo dell’Amministrazione[10].
4. L’applicazione delle garanzie partecipative al procedimento per la determinazione del premio
Una questione particolarmente interessante affrontata nella sentenza della Sez. VI del Consiglio di Stato 31gennaio 2024, n. 920 riguarda l’applicazione delle garanzie partecipative al procedimento amministrativo volto alla valutazione dell’an e del quantum del premio.
La partecipazione dei privati, in questo contesto, tendenzialmente non è supportata dall’Amministrazione, sulla scorta dello spiccato tecnicismo della discrezionalità esercitata. Il Giudice amministrativo ha ritenuto illegittimo questo modus agendi, rilevando opportunamente che – pur in assenza di un espresso riferimento normativo – anche in tale sede non può che trovare applicazione il principio generale che impone di integrare la normativa di settore con le regole che garantiscono la partecipazione al procedimento da parte del soggetto inciso dall’attività autoritativa. Nel caso del procedimento amministrativo per la determinazione del premio, si è, peraltro, in presenza di un procedimento complesso (che il Ministero è tenuto ad avviare non solo su istanza di parte, ma anche d’ufficio, laddove – ricevuta la denuncia di ritrovamento – disponga di tutti gli elementi necessari per concluderlo), che incide sulla sfera giuridica del privato sia in termini oppositivi che pretensivi.
Vero è che gli strumenti di partecipazione al procedimento non devono essere applicati in maniera meccanica, né possono ridursi a «mero rituale formalistico»[11]. Ciò non toglie che, anche dinnanzi a provvedimento di natura vincolata o di spiccato valore tecnico-scientifico, l’apporto del soggetto privato interessato possa assumere una certa rilevanza. La pretesa partecipativa può, infatti, riguardare ragionevolmente l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si dovrà poi basare la determinazione amministrativa di natura tecnica.
Il Consiglio di Stato, su questo punto si è espresso chiaramente: la partecipazione del soggetto destinatario del premio deve essere sempre garantita e deve essere effettiva: attraverso la comunicazione di avvio del procedimento, exart. 7 della l. 241/1990, in caso di avvio d’ufficio; ovvero garantendo l’esercizio dei diritti ex artt. 10 e 10-bis della l. 241/1990, in caso di procedimento avviato su istanza di parte. E alla partecipazione consegue, naturalmente, in capo all’Amministrazione l’onere di esaminare e valutare gli elementi che il privato introduca nel procedimento[12].
5. La natura indennitaria del premio e il regime fiscale
Uno degli aspetti più interessanti che la sentenza in commento esamina riguarda l’inquadramento della natura giuridica del premio. Posta l’esclusione di una funzione “remunerativa” o “compensativa” connessa al presunto depauperamento subito dal privato (inteso come perdita di proprietà o come perdita alla remunerazione ex art. 930 c.c. per lo scopritore non proprietario)[13], il punto di vista offerto dal Consiglio di Stato considera la vicenda focalizzandosi sull’interesse oppositivo del privato rispetto all’attività autoritativa di incameramento del bene. Al premio viene, così, riconosciuta natura indennitaria, a titolo di ristoro non di una perdita economica, ma del pregiudizio che deriva dall’esercizio del potere amministrativo su di un bene che, sebbene per motivi di superiore interesse pubblico è destinato allo Stato, viene comunque ritrovato nell’ambito di una proprietà privata[14].
Connessa a tali considerazioni è la questione relativa ai profili fiscali e di tassazione della somma rilasciata a titolo di premio di rinvenimento. La società ricorrente aveva, infatti, assunto l’illegittimità della ritenuta alla fonte a titolo di imposta, applicata dal Ministero sugli importi da corrispondere. Il TAR per la Lombardia – dopo aver confermato la giurisdizione amministrativa sul punto, per il fatto che la volontà dell’Amministrazione di operare la ritenuta risultava espressa nello stesso provvedimento amministravo di determinazione del premio – si era determinato per la legittimità della ritenuta, facendo rientrare il premio per il ritrovamento di un reperto archeologico nell’ampia categoria dei “premi comunque diversi da quelli su titoli”, soggetti a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 600/1973.
Il Giudice non aveva espressamente individuato l’aliquota da applicare, facendo, invece, generico riferimento allo stesso art. 30 del d.P.R. n. 600/1973. Poiché detta norma prevede l’aliquota del 10% «per i premi delle lotterie, tombole, pesche o banchi di beneficenza autorizzati a favore di enti e comitati di beneficenza», del 20% «sui premi dei giuochi svolti in occasione di spettacoli radio-televisivi competizioni sportive o manifestazioni di qualsiasi altro genere nei quali i partecipanti si sottopongono a prove basate sull’abilità o sull’alea o su entrambe» e del 25% «in ogni altro caso», quest’ultima avrebbe dovuto ritenersi la percentuale da applicare al premio per la scoperta fortuita di un reperto archeologico.
Il Consiglio di Stato ha, però, censurato questa interpretazione, partendo dalla considerazione, sopra richiamata, per la quale il premio di rinvenimento non ha natura retributiva, ma costituisce un ristoro per un’attività svolta nell’interesse pubblico. Esso non può, dunque, essere associato ad altri premi acquisiti per vincita, pronostico, scommessa, derivanti quindi dalla sorte[15]. Di talché, in assenza di un’espressa previsione normativa in tal senso, non si considera possibile l’applicazione analogica della normativa del d.P.R. n. 600/1973.
[1] Cfr., E. Furno, Art. 92 – Premio per i ritrovamenti, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Leone e A.L. Tarasco, Padova, 2006, 602 ss.; Id. Art. 92, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2019, 886; G. Zagaria, R. Zagaria, F. Gargallo, Art. 92 e Art. 93, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2012, 748 ss. Sul tema sia consentito rinviare anche a S. Gardini, Il premio per il rinvenimento dei beni culturali, in corso di pubblicazione su Aedon, n. 2/2024, che prende in considerazione e approfondisce anche la pronuncia annotata nel presente scritto.
[2] Cfr., Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 10 giugno 2021, n. 4466, in www.giustizia-amministrativa.it. Il Ministero aveva dettato dei criteri per la determinazione dei premi da assegnare ai privati in caso di ritrovamento di reperti archeologici, autolimitando così la discrezionalità che le norme gli attribuiscono, con la circolare del 23 dicembre 1999. La più recente Circolare n. 29 del 18 giugno 2021 ha introdotto, tra i parametri di valutazione, i seguenti elementi: A - spese a carico dello Stato; B - partecipazione degli interessati; C - spese a carico degli interessati, da graduate in misura percentuale rispetto ai parametri di legge.
[3] Cfr., D.P.C.M. 18 novembre 2010 n. 231 (“Determinazione del premio per i ritrovamenti – art. 93 del Codice”).
[4] Cfr., D.P.C.M. n.169 del 2019 e Circolare n. 3 del 29 gennaio 2020 della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
[5] Cfr., Cass. Civile Sez. I, sentenza del 7 giugno 2005, n. 11796. L’orientamento è stato confermato da Cass. Civile, Sez. Un., 7 marzo 2011, n. 5353, in Foro It., 1-2011, 3098.
[6] Cfr., Cons. di Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2302, in www.giustizia-amministrativa.it: «l’art. 92 (Premio per i ritrovamenti) del Codice è riferibile esclusivamente al privato “proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento”, nella ratio (non di indurlo alla ricerca, ma) di premiarlo per avere consegnato il bene scoperto fortuitamente alle autorità competenti (Cons. Stato, VI, 4 giugno 2004, n. 3492), tra le quali, a riprova del compito pubblico spettante all’ente, vi è anche il sindaco (art. 90, comma 1). Non è ipotizzabile per l’ente territoriale il diverso comportamento, che la norma intende per converso disincentivare, di non rendere noto il ritrovamento».
[7] Cfr., Cons. di Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2024, n. 207, in www.giustizia-amministrativa.it. Ad avviso del Giudice amministrativo, come già accennato, solo una tale interpretazione dell’art. 92 Cod. b.c.p. risulterebbe conforme con la funzione sociale che la proprietà privata è chiamata a svolgere nell’ordinamento italiano
[8] «…[l]a parte proprietaria dell’immobile risulta qualificabile come scopritore della cosa, attraverso le attività materiali di esecuzione del titolo edilizio di cui è titolare la stessa società proprietaria, destinataria diretta e primaria altresì delle prescrizioni della Soprintendenza». Cfr., Cons. di Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2024, n. 920, punto 4.9, in www.giustizia-amministrativa.it.
[9] «(…) ove non ricorrano le succitate condizioni, il Concessionario prende formalmente atto di non avere titolo al riconoscimento del premio. In tutti gli altri casi, ferma comunque la valutazione in capo al Ministero delle istanze di Concessione di ricerca, si ritiene opportuno acquisire formale rinuncia al premio di rinvenimento da parte del Concessionario, come previsto dalla citata Circolare 14, prot. 10749 del 31 marzo 2021, di questa Direzione Generale, onde evitare aggravi per l’Amministrazione». Cfr., Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Servizio II, Circolare n. 29 del 18 giugno 2021, in www.beniculturali.it.
[10] Cfr., Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Circolare n. 47 del 16 novembre 2022, in www.beniculturali.it.
[11] Così: Cons. di Stato, Sez. VI, n. 2350/2013; Id. n. 1056/2013, in www.giustizia-amministrativa.it
[12] «Nel caso di specie, se in termini giuridici i principi riassunti smentiscono l’affermazione formulata dall’amministrazione secondo cui “per il procedimento di determinazione del premio, non è prevista la partecipazione dell’interessato”, in termini applicativi il coinvolgimento del privato è stato tardivo – a distanza di alcuni anni dal ritrovamento e dall’avvio dell’iter – oltre che insufficiente, in assenza della adeguata valutazione degli elementi forniti dalla parte stessa. A quest’ultimo proposito, emerge dagli atti che l’accesso dell’esperto numismatico di Officine Immobiliari è stato consentito nei giorni 2 e 3 marzo 2021, mentre il Ministero della Cultura ha adottato il provvedimento recante l’attribuzione del premio di rinvenimento il successivo 9 marzo; tale evidente compressione dei tempi ha reso nella sostanza impossibile una adeguata partecipazione e una conseguente doverosa valutazione». Cfr., Cons. di Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2024, n. 920, punti 7.3 e 7.4, in www.giustizia-amministrativa.it.
[13] Cfr., Cass. civ., sez. un., 11 marzo 1992, n. 2959, in Giur. civ., 1-1993, 2229).
[14] «Orbene nel caso di specie, a parte la coincidenza terminologica, va esclusa la natura di premio in termini di vincita, pronostico, scommessa, derivanti quindi dalla sorte, in quanto trattasi di indennizzo a titolo di ristoro per gli effetti derivanti dall’attività autoritativa di incameramento di un bene che, pur ritrovato nell’ambito di una proprietà privata, per motivi di superiori interessi pubblici è destinato allo Stato. Non si tratta di un premio per una vincita, rimessa alla sorte, ma di un ristoro per un’attività svolta nello stesso interesse pubblico». Cfr., Cons. di Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2024, n. 920, punto 6.3, in www.giustizia-amministrativa.it.
[15] La giurisprudenza aveva già avuto modo di esprimersi in tali termini. Si segnala, in questa direzione CGARS, 12 aprile 2007, n. 353, in www.giustizia-amministrativa.it: «[i]l premio di rinvenimento di beni archeologici non può essere assimilato in ogni modo ai premi del lotto e delle lotterie, né agli altri premi residuali contemplati dall'art. 30 d.p.r. 600/73 e non è quindi soggetto alla ritenuta del 25%. La sua ratio non è infatti quella di implementare le entrate dell’erario, ma di creare una convenienza reale (non simbolica) per i soggetti, che a vario titolo si trovino a contatto con beni archeologici, a non occultare i ritrovamenti e a non cedere alla tentazione del commercio illegale dei relativi reperti».
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Pubblicato il 30/01/2024
N. 00920/2024REG.PROV.COLL.
N. 00207/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 207 del 2023, proposto da
Officine Immobiliari S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco De Leonardis, Oliver Pucillo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Prof. Avv. De Leonardis in Roma, via Cola di Rienzo 212;
contro
Ministero della Cultura, Sabap per Le Province di Como Lecco Monza e Brianza Pavia Sondrio e Varese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) n. 01263/2022, resa tra le parti, Annullamento del provvedimento del Ministero della Cultura prot. 7706 del 9 marzo 2021 con oggetto “COMO (CO), via Diaz “ex Teatro Cressoni”. Attribuzione premio di rinvenimento ex artt. 92 e 93 del D.Lgs. 42/2004 e richiesta di accettazione della proposta di premio”, nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e, comunque, connesso al predetto atto e, in particolare, dell'atto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, prot. 35830 del 7 dicembre 2020, intitolato “COMO, Via Diaz: reperti e strutture di varie epoche – Relazione scientifica e amministrativa ai fini della determinazione del premio ai sensi dell'art. 92 del D.Lgs. 42/2004”.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura e di Sabap per Le Province di Como Lecco Monza e Brianza Pavia Sondrio e Varese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Francesco De Leonardis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1263 del 2022 del Tar Milano, recante rigetto dell’originario gravame; quest’ultimo era stato proposto dalla medesima parte, odierna appellante, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento del Ministero della Cultura prot. 7706 del 9 marzo 2021 (con oggetto “COMO (CO), via Diaz “ex Teatro Cressoni”. Attribuzione premio di rinvenimento ex artt. 92 e 93 del D.Lgs. 42/2004 e richiesta di accettazione della proposta di premio”).
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza di rigetto, i seguenti motivi di appello:
- error in iudicando, violazione degli artt. 88, 89, 90, 92 e 93 d.lgs. 42/2004 e dell’art. 3 l. 241/1990, difetto di motivazione e di istruttoria, irragionevolezza e illogicità manifesta, contraddittorietà e travisamento dei fatti, sussistenza della qualifica di “concessionario di ricerca” in capo a Officine Immobiliari S.r.l., o in subordine sul mancato riconoscimento della qualifica di “scopritore della cosa” in capo alla stessa società;
- analoghi vizi per illegittimità della percentuale del 9,25% individuata per il premio di rinvenimento;
- analoghi vizi e violazione degli artt. 41 d.P.R. 597/1973 e 30 d.P.R. 600/1973 per l’inapplicabilità della ritenuta alla fonte a titolo di imposta;
- analoghi vizi per la mancata partecipazione procedimentale e violazione dei principi di collaborazione e buona fede.
La parte appellata statale si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2024 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. La presente controversia ha ad oggetto l’impugnativa della sentenza che ha rigettato i motivi, riproposti in appello attraverso la critica alle argomentazioni del Tar, dedotti avverso il provvedimento recante l’attribuzione del premio di rinvenimento ex artt. 92 e 93 d.lgs. 42/2004 del c.d. Tesoro di Como.
1.1 In particolare, a seguito del ritrovamento di reperti archeologici di rilevante interesse e valore nel corso delle attività di ristrutturazione dell’ex Teatro Cressoni – progettate al fine di ricavare nell’edificio immobili aventi destinazione residenziale – veniva avviato l’iter di cui alla normativa suddetta, all’esito della quale la Soprintendenza competente fissava il premio di rinvenimento, spettante alla società odierna appellante in qualità di proprietaria dell’immobile, in € 369.041,36, attestando che tale importo era corrispondente al 9,25% del valore di stima; su tale somma veniva quindi applicata una ritenuta alla fonte a titolo di imposta pari al 25% del valore del premio (ossia pari a € 92.260,34) ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 600 cit.
2. In linea di fatto, l’atto impugnato in prime cure costituiva l’approdo di una vicenda avviata con l’acquisto, da parte della stessa società appellante, in data 29 gennaio 2016 di un compendio immobiliare sito in Como, con il conseguente subentro nel titolo edilizio ottenuto dal precedente proprietario, volto alla «Ristrutturazione “Cinema Cressoni” con recupero sottotetto a fini abitativi».
2.1 Atteso che l’immobile era situato in un’area definita a rischio archeologico, secondo la pianificazione comunale, la società dante causa acquisiva il preventivo parere della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, con il quale veniva confermato che “l’immobile è ubicato in zona a rischio di ritrovamenti archeologici tanto di età romana che di età medievale” e pertanto veniva prescritto che “tutte le opere di scavo dovranno avvenire con controllo di operatore archeologo”. La società affidava ad una società specializzata l’incarico di “assistenza archeologica”.
2.2 Nel corso delle verifiche archeologiche condotte nel sottosuolo, dapprima nel punto di alloggio gru, poi in più fasi, in estensione su tutta l’area occupata dallo stabile, sono emerse testimonianze dello sviluppo urbano della città di Como nelle varie epoche, a partire dalla sua fondazione risalente al 59 a.C. ad opera di Giulio Cesare.
2.3 In particolare, fra i diversi manufatti di interesse archeologico, murario, ceramico, epigrafico, il ritrovamento maggiormente significativo avveniva il 5 settembre 2018: veniva rinvenuta una brocca in pietra ollare contenente un eccezionale tesoretto di 1000 monete in oro di epoca romana (denominato non a caso “Tesoro di Como”) e altri oggetti d’oro, la cui datazione stimata risale alla fine del IV e il V secolo d.C.
2.4 All’esito del conseguente iter procedimentale, veniva adottato il provvedimento impugnato in prime cure.
3. Così riassunta la fattispecie controversa, è possibile passare all’esame dei motivi di appello.
4. Con il primo motivo si contesta la mancata qualificazione della società come “concessionario di ricerca” o, in subordine, come “scopritore della cosa”, da cui conseguirebbe il riconoscimento di un premio (superiore, in quanto fino alla metà del valore e non fino ad un quarto) ai sensi dell’art. 92 comma 2 d.lgs. 42 cit.
4.1 Il motivo è fondato in relazione alla prospettazione subordinata.
4.2 Il carattere formale del titolo concessorio richiesto dalla disciplina in esame ne esclude una riconoscibilità in via indiretta od implicita.
4.3 Già sul versante letterale la normativa applicabile – correttamente individuata dalle parti nei suoi connotati generali - appare chiaramente preordinata al necessario previo rilascio di un espresso titolo concessorio, nel senso tradizionale del termine, teso cioè non a rimuovere un limite all’esercizio di un’attività facente parte del corredo giuridico del titolare di una situazione giuridica, quanto piuttosto ad arricchire il bagaglio giuridico di un soggetto, attraverso l’affidamento di attività altrimenti facenti capo alla stessa amministrazione.
4.4 L’art. 89 del codice Urbani prevede non a caso che al rilascio formale del titolo di concessionario - per l'esecuzione delle ricerche e delle opere indicate nell'articolo 88, cioè incombenti sugli organi ministeriali (art. 88 comma 1: “Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose indicate all'articolo 10 in qualunque parte del territorio nazionale sono riservate al Ministero”) - segua l’emissione, a favore del concessionario individuato, del decreto di occupazione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori, nonché – soprattutto, ai fini della presente causa - l’obbligo di osservare, oltre alle prescrizioni imposte nell'atto di concessione, tutte le altre che il Ministero ritenga di impartire, pena la revoca della concessione.
4.5 Nel caso di specie mancano sia il titolo formale che l’imposizione ed assunzione degli obblighi specifici, risultando formulate unicamente indicazioni generali inerenti lo svolgimento materiale delle attività edilizie autorizzate per la ristrutturazione dell’immobile ex teatro Cressoni. A quest’ultimo riguardo, infatti, dalla nota prodotta risulta come la Soprintendenza, dopo aver evidenziato che “l’immobile è ubicato in zona a rischio di ritrovamenti archeologici tanto di età romana che di età medievale”, si sia limitata a prescrivere che “tutte le opere di scavo dovranno avvenire con controllo di operatore archeologo”. Ciò non può certo qualificarsi in termini di concessione di attività di scavo di competenza ministeriale.
4.6 Quanto sin qui evidenziato appare coerente – in via generale - alla qualificazione di concessione, del titolo evocato, ed alle finalità culturali perseguite in caso di rilascio della stessa, entrambi elementi connessi a primari interessi pubblici, il cui affidamento diretto ad un privato non può avvenire in via implicita o indiretta.
4.6.1 Nulla di ciò è rilevabile nel caso di specie, dove attività private in area di interesse archeologico son state oggetto della prescrizione di predisporre il controllo di un operatore archeologico.
4.7 Peraltro, una volta correttamente esclusa la qualifica di concessionario, non può parimenti escludersi anche quella di scopritore. Infatti, riconosciuto che le attività di scavo erano svolte direttamente dalla proprietaria – seppur attraverso la materiale esecuzione da parte di soggetti e macchinari incaricati -, il conseguente ritrovamento non può che imputarsi direttamente alla stessa società, titolare del bene e delle attività in essere.
4.8 A conferma di ciò le indicazioni predette (cfr. nota sub doc n. 5) in merito allo svolgimento delle attività di scavo risultano essere state formulate dagli organi ministeriali alla stessa dante causa della Officine immobiliari, in quanto titolare dei permessi ad operare in via di trasformazione edilizia nella zona, cosicché la presunta distinzione fra titolarità e materiale esecuzione non può escludere la diretta imputabilità alla stessa proprietaria degli esiti connessi alle attività stesse: oneri ed onori, “cuius commoda, eius et incommoda”.
4.9 Conseguentemente, sussistono elementi tali da poter integrare i presupposti di cui all’art. 92 comma 2, in quanto la parte proprietaria dell’immobile risulta qualificabile come scopritore della cosa, attraverso le attività materiali di esecuzione del titolo edilizio di cui è titolare la stessa società proprietaria, destinataria diretta e primaria altresì delle prescrizioni della Soprintendenza.
4.10 A conferma di ciò va evidenziato l’argomento sostenuto dalla difesa erariale, secondo cui “non è in alcun modo chiaro chi sia il reale scopritore materiale del reperto”; infatti, atteso che, dinanzi ad un ritrovamento quale quello in oggetto, uno scopritore vi deve forzatamente essere, nel riparto di compiti tale ruolo può ben individuarsi in capo al proprietario, titolare del permesso sulla base del quale erano in corso le attività materiali, allo stesso imputabili sia giuridicamente che materialmente, anche alla luce del fatto che la stessa proprietà è il soggetto passivo delle prescrizioni archeologiche degli organi ministeriali a ciò deputati.
4.11 In proposito, se da un canto il punto da ultimo evidenziato conferma la carenza istruttoria lamentata da parte appellante, da un altro canto l’amministrazione è chiamata, in sede di riesame conseguente alla presente decisione, a valutare gli elementi evidenziati, anche al fine della definitiva valutazione del ruolo svolto da tutti i soggetti interessati.
5. Le considerazioni sin qui svolte comportano altresì l’assorbimento del secondo motivo di appello, in quanto relative ad una percentuale (un quarto del valore) diversa da quella applicabile sulla scorta dell’accoglimento del primo motivo, sotto il profilo subordinato.
6. Con il terzo motivo di appello, si lamenta la illegittimità della ritenuta alla fonte a titolo di imposta, applicata dal Ministero appellato sulla somma spettante.
Pur dinanzi alla necessaria rideterminazione, sulla scorta del primo motivo come sopra accolto, la questione sollevata col terzo motivo assume rilievo generale, rispetto al caso di specie, anche al fine di fornire indicazioni utili al corretto riesercizio del potere conseguente. Il carattere tributario della questione non esclude l’onere di statuizione, atteso che la questione di giurisdizione, su cui il Tar ha espressamente statuito, non ha formato oggetto delle deduzioni critiche proposte dalle parti nella presente sede.
6.1 Secondo il Tar, il premio spettante al proprietario del sito presso il quale è stato effettuato il ritrovamento di un reperto archeologico rientra nell'ampia categoria dei « premi comunque diversi da quelli su titoli » e dunque soggetti a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi dell'art. 30, d.P.R. n. 600/1973.
6.2 Tale ultima norma così statuisce: “I premi derivanti da operazioni a premio assegnati a soggetti per i quali gli stessi assumono rilevanza reddituale ai sensi dell'art. 6 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, gli altri premi comunque diversi da quelli su titoli e le vincite derivanti dalla sorte, da giuochi di abilità, quelli derivanti da concorsi a premio, da pronostici e da scommesse, corrisposti dallo Stato, da persone giuridiche pubbliche o private e dai soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, sono soggetti a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta, con facoltà di rivalsa, con esclusione dei casi in cui altre disposizioni già prevedano l'applicazione di ritenute alla fonte”.
6.3 Orbene nel caso di specie, a parte la coincidenza terminologica, va esclusa la natura di premio in termini di vincita, pronostico, scommessa, derivanti quindi dalla sorte, in quanto trattasi di indennizzo a titolo di ristoro per gli effetti derivanti dall’attività autoritativa di incameramento di un bene che, pur ritrovato nell’ambito di una proprietà privata, per motivi di superiori interessi pubblici è destinato allo Stato. Non si tratta di un premio per una vincita, rimessa alla sorte, ma di un ristoro per un’attività svolta nello stesso interesse pubblico.
7. Infine, parimenti fondato è il vizio dedotto in ordine alla necessaria garanzia della partecipazione del soggetto interessato al procedimento di determinazione del premio.
7.1 Quale espressione del principio generale che impone di integrare la normativa di settore con le regole che garantiscono la partecipazione del soggetto inciso dall’attività autoritativa in essere, l’applicazione dei principi in materia va garantita anche nella presente sede, incisiva sulla sfera giuridica del privato, sia in termini oppositivi che pretensivi. Infatti, nel caso di specie le norme del codice Urbani evocate chiaramente descrivono un procedimento complesso che il Ministero è tenuto ad avviare, non solo su istanza di parte, ma anche d'ufficio, laddove, ricevuta la denuncia di ritrovamento, disponga di tutti gli elementi necessari per concluderlo, formulando la proposta di premio all'avente diritto.
7.2 Pertanto, in ogni caso va garantita la partecipazione del soggetto destinatario: o, per un verso, ex art. 7 l. 241 del 1990 in caso di avvio ex officio; ovvero, attraverso il coinvolgimento ex artt. 10 e 10 bis l. 241 cit., in caso di iter avviato su istanza dello stesso privato. Alla partecipazione così garantita consegue l’onere di esaminare e valutare gli elementi che il privato, messo in condizione di partecipare e di conoscere lo stato degli atti, abbia deciso di presentare.
7.3 Nel caso di specie, se in termini giuridici i principi riassunti smentiscono l’affermazione formulata dall’amministrazione secondo cui “per il procedimento di determinazione del premio, non è prevista la partecipazione dell’interessato”, in termini applicativi il coinvolgimento del privato è stato tardivo – a distanza di alcuni anni dal ritrovamento e dall’avvio dell’iter – oltre che insufficiente, in assenza della adeguata valutazione degli elementi forniti dalla parte stessa.
7.4 A quest’ultimo proposito, emerge dagli atti che l’accesso dell’esperto numismatico di Officine Immobiliari è stato consentito nei giorni 2 e 3 marzo 2021, mentre il Ministero della Cultura ha adottato il provvedimento recante l’attribuzione del premio di rinvenimento il successivo 9 marzo; tale evidente compressione dei tempi ha reso nella sostanza impossibile una adeguata partecipazione e una conseguente doverosa valutazione.
8. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato e va accolto sotto i tre profili assorbenti predetti: la possibile qualifica di scopritore; la inapplicabilità della ritenuta alla fonte; la doverosa garanzia di partecipazione al procedimento. Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado nei termini indicati.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Lorenzo Cordi', Consigliere