LA LEGITIMATIO AD CAUSAM DELLE ASSOCIAZIONI DI PROTEZIONE AMBIENTALE NEL PROCESSO PENALE: L'ORIENTAMENTO DEI GIUDICI VICENTINI TROVA CONFERMA IN CASSAZIONE
di Avv. Massimo Rizzato e Dott. Veronica Grillo

Nota a Cassazione penale sezione III, 11 marzo 2009 – 11 maggio 2009, n. 19883 (leggibile qui)

 

Sommario: 1. La legittimazione degli enti esponenziali alla costituzione di parte civile nel processo penale ante Codice dell'Ambiente. Un breve excursus dalla legitimatio ad causam alla legitimatio pro jure proprio. - 2. La legittimazione delle associazioni a protezione ambientale alla costituzione di parte civile nel processo penale dopo l'entrata in vigore del Codice dell'Ambiente. - 3. La legittimazione delle associazioni ambientalistiche per il risarcimento della lesione di uno jus proprium nell'interpretazione della giurisprudenza Vicentina. - 4. La Cassazione conferma la posizione del Tribunale di Vicenza. La sentenza Cass. Pen. Sez. III, 11-3-2009/11-5-2009, n. 19883.

 

1. La legittimazione degli enti esponenziali alla costituzione di parte civile nel processo penale ante Codice dell'Ambiente. Un breve excursus dalla legitimatio ad causam alla legitimatio pro jure proprio.

Inizialmente la disciplina della tutela del danno ambientale era costituita essenzialmente dalla L. n.349/1986, che istituiva il Ministero dell'ambiente, avente il compito di centro di riferimento dell'interesse pubblico ambientale e incaricato al coordinamento e alla riconduzione ad unità delle azioni finalizzate alla sua tutela (sul punto C. Cost. 30.12.1987, n.641).

La tutela dell'ambiente comprende una vasta sfera di interessi tanto individuali quanto collettivi che costituiscono oggetto di diritto inviolabile tanto della persona umana sia quale singolo individuo sia  a livello di formazione sociale, e din tale contesto si inseriscono le associazioni di protezione ambientale.

In questo senso la L. n.349/1986 si poneva l'obiettivo di disciplinare le azioni di intervento dello Stato e degli enti territoriali o esponenziali a difesa dell'ambiente inteso come diritto fondamentale della persona ed interesse della collettività. Alle associazioni riconosciute ex art.13 della medesima legge veniva così dato il potere, oltre che di denunciare il danno ambientale, anche di intervenire nei procedimenti contro i responsabili del danno ambientale e di promuovere ricorso avanti al Giudice Amministrativo[1].

La normativa dava, però, spazio a interpretazioni profondamente diverse, laddove il comma 5 dell'art.18 prevedeva l'intervento degli enti esponenziali che fossero “individuati” con decreto ministeriale.

Pertanto, si sono creati in seno alla giurisprudenza di legittimità diversi filoni interpretativi.

In un primo momento si negava la legittimazione delle associazioni ambientaliste sul presupposto che non sussisteva un diritto all’integrità dell’ambiente qualificato quale   diritto soggettivo finalizzato al perseguimento del fine statutario di tutela dell’ambiente (Cass. Pen. 8 marzo 1985, n.176; Cass. Pen. sez. III, 17.12.1089, Zorzi; Cass. sez. VI, 27.10.1989, Caldini). In particolare si dava una lettura dell'art.18 della L. 349/1989 in stretta aderenza con gli artt.212 disp. Att. c.p.p. e 91 e ss. c.p.p., ritenendo allora che l’esercizio dell’azione civile nel processo penale da parte delle associazioni di tutela ambientale non fosse possibile ex art.74 c.p.p., mancando per le stesse un proprio diritto soggettivo che potesse ritenersi leso, ma fosse possibile una loro azione al di fuori nei limiti e alle condizioni quindi previste dagli artt.91 e ss. c.p.p.

Pertanto, l'intervento degli enti esponenziali era ritenuta una mera facoltà di intervento adesivo rispetto all’azione esercitata dalla persona offesa, subordinato al consenso della persona offesa del reato e al fatto che le associazioni fossero state riconosciute ex art.13 L. 349/1989 prima della commissione del reato.

Un primo passo in avanti nel riconoscimento di una legittimazione in capo alle associazioni ambientalistiche è stato fatto con la L. 3 agosto 1999, n.265, che modificando l'art.18 della L. n.349/1986 ha disposto che le associazioni riconosciute potessero proporre azioni risarcitorie per danno ambientale avanti al Giudice ordinario in sostituzione del Comune e della Provincia. La novella, in pratica, ha confermato che il danno ambientale non ha un carattere esclusivamente statuale ma ha una dimensione soprattutto sociale[2].

Permanevano però in seno alla giurisprudenza diversi filoni interpretativi: chi sosteneva che  le associazioni ambientalistiche, con una fictio juris, potessero agire ex art.91 c.p.p. con il consenso della persona offesa dal reato e chi riteneva che le stesse avrebbero una legittimazione “atipica”[3], potrebbero esercitare l'azione di risarcimento del danno solamente per conto dello Stato e degli Enti pubblici territoriali, in quanto quest'ultimi sarebbero gli unici titolari del diritto al risarcimento ma in tal caso l'eventuale risarcimento è liquidato in favore dell'ente sostituito e le spese processuali sono liquidate nei confronti della pate civile [4].

Verso la fine degli anni novanta, poi, la giurisprudenza ha iniziato a stabilire che le associazioni, anche se non riconosciute ex art.13 della Legge citata, sono legittimate in base all'art.18, 5°c. all'azione risarcitoria anche in sede penale mediante la costituzione di parte civile, nella misura in cui sono portatrici di interessi ambientali concretamente individualizzati[5]. Alla base di questo ragionamento vi sarebbe il riconoscimento in capo alle associazioni ambientaliste di diritti che possono esser lesi da reato, tanto di natura patrimoniale quanto di natura morale afferenti cioè il sodalizio, identificato in un interesse ambientale storicamente e geograficamente circostanziato che l'ente ha assunto come proprio scopo statutario.

Il punto di partenza per il fondamento di questa legittimazione processuale è la sentenza della Suprema Corte del 22 luglio 1999, n.500, che ha affermato in generale la tutela risarcitoria degli interessi collettivi quali situazioni giuridiche soggettive patibili di lesione ed in tal caso meritevoli di tutela.

A partire da questa parificazione sul piano risarcitorio di interessi e diritti soggettivi, è stato possibile riconoscere poi la risarcibilità degli interessi soggettivizzati e differenziati facenti capo alle associazioni. Così all'interno dei diritti diffusi vi può essere la tutela risarcitoria entro una dimensione sociale, oltre alla legittimazione statuale, che fa capo ad  altri soggetti, ossia alle associazioni ambientalistiche.

In particolare la Cassazione sezione V penale del 5 marzo 1996, n.2361[6], ha ammesso l'azione ex art.91 e ss. c.p.p. in forza di un generalizzato e preventivo consenso dello Stato verso le associazioni ambientaliste, che fa venire meno la necessità di un consenso preventivo e specifico della persona offesa dal reato. Nello stesso senso la più recente Cassazione penale, sez. III, 03 dicembre 2002, n. 43238[7].

La Cassazione ha ritenuto che il presupposto necessario per fondare l'autonoma legittimazione delle associazioni è l'esistenza di un pregiudizio all'affectio societatis dell'associazione, unita mente alla connessione territoriale tra l'ambito operativo dell'associazione e l'area coinvolta dalla lesione.

In questo senso è molto chiara la Cassazione Penale terza sezione n.10557 del 1995[8], la quale evidenzia che “possono costituirsi parte civile nel processo penale gli Enti e le Associazioni di cui all'art.18 L.8-7-1986, n.349, quando l'interesse diffuso da essi perseguito sia volto alla tutela di situazioni storicamente circostanziate, fatte proprie dallo stesso sodalizio, con la conseguenza che ogni pregiudizio a questa finalità in cui si sostanzia la affectio societatis comporta un danno anche non patrimoniale per la frustrazione e l'afflizione degli associati e che la costituzione di parte civile va ritenuta legittima”.

In questa linea si erano espresse molte alte pronunce, tra cui Cassazione Penale terza sezione 29 settembre 1992, Serlenga[9], Cassazione Penale terza sezione 10 marzo 1993, Tessarolo[10].

L'evoluzione giurisprudenziale si è portata verso la definizione del diritto soggettivo proprio degli enti esponenziali e il riconoscimento di un autonomo potere d'azione nel processo penale delle associazioni di protezione ambientale.

Gli orientamenti che escludevano di fatto la possibilità per le associazioni ambientaliste di costituirsi parte civilesono stati via via superati. E' diventata così prevalente l'intepretazione che ha ammesso la costituzione di parte civile delle associazioni di protezione ambientale sulla base della risarcibilità del diritto della personalità dell'associazione che si fonda sull'esistenza di una lesione all'ambiente fatta propria nello statuto dell'ente come scopo specifico del sodalizio da salvaguardare e difendere, la c.d. affectio societatis[11].

2. La legittimazione delle associazioni a protezione ambientale alla costituzione di parte civile nel processo penale dopo l'entrata in vigore del Codice dell'Ambiente.

Il Legislatore, chiamato a dare attuazione alla Direttiva comunitaria 2004/35/CE, ha riorganizzato la materia della tutela ambientale nel D.lgs. n.152/2006.

Il Codice dell'Ambiente (D.lgs. 3 aprile 2006, n.152) ha cambiato lo scenario normativo, e per alcuni Autori avrebbe rimesso tutto in discussione anche riguardo alla legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni ambientalistiche.

Si rilevava, infatti, che nella nuova normativa non è approfondita la funzione degli enti esponenziali e ciò per alcuni Autori evidenziava la volontà del Legislatore di negare la legittimazione autonoma delle associazioni ambientalistiche ad intervenire nel processo penale o agire nel processo ordinario, cancellando quanto era stato costruito dall'elaborazione giurisprudenziale.

Alla base di questa posizione negativa sono state indicate le novellazioni e le abrogazioni intervenute con il D.lgs. n.152/2006 che hanno inciso proprio sulle previsioni espresse di legge alle quali la giurisprudenza faceva riferimento per sostenere la legitimatio ad causam delle associazioni di protezione dell'ambiente.

Infatti con l'entrata in vigore del nuovo Codice dell'Ambiente sono stati abrogati l'art.18 della L. n.349/1986 (tranne il comma 5) e l'art.9 comma 3 del D.lgs. n.267 del 2000, disciplinanti i poteri delle associazioni ambientalistiche, mentre gli artt. 309 ss. del D. Lgs. n. 152/2006 tendono a individuare l’esercizio dell’azione da parte dei soggetti portatori di un interesse alla protezione ambientale.

A prima lettura, poteva sembrare che il Legislatore avesse voluto riconoscere la legittimazione ad agire nei termini e con le modalità previste solo ai soggetti contemplati nell’art. 309, ossia Regioni, Province autonome, Enti locali, anche associati, nonchè persone fisiche e giuridiche che sono o potrebbero essere colpite direttamente dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimante alla partecipazione al procedimento amministrativo relativo all’adozione delle misure di precauzione, prevenzione o di ripristino, per chiedere l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui alla parte sesta del medesimo decreto.

L'art.309, in particolare, prevede la possibilità di richiedere l’intervento statale mediante la presentazione di apposite denunce e osservazioni, corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente a norma della parte sesta del medesimo decreto.

Secondo un'interpretazione del nuovo art. 311 spetterebbe solo al Ministero dell'ambiente azionare in sede penale il diritto al risarcimento del danno ambientale (Trib. Napoli, sez. VI, 12 gennaio 2007).

In pratica, il nuovo codice segnerebbe una diversa sfera d’azione dei soggetti titolari dell'interesse alla tutela dell'ambiente, in contrasto con l'evoluzione giurisprudenziale e come passo indietro rispetto a quanto previamente possibile in vigenza del D.lgs. n.267/2000.

Quest'interpretazione, però, è stata criticata e disattesa dalla giurisprudenza più significativa, tanto che lo stesso Tribunale di Napoli l'anno successivo, nel maxi procedimento nei confronti di Bassolino ed altri (r.g.  15490/03) ha ammesso la costituzione di parte civile di Legambiente unitamente ad altre associazioni ambientaliste.

La Suprema Corte non ha mai mutato il proprio orientamento, riconoscendo un potere autonomo di azione in capo agli enti esponenziali.

La Suprema Corte ha infatti rivitalizzato l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale le associazioni sono legittimate in via autonoma e principale all'azione di risarcimento del danno nell'ipotesi in cui lo statuto la renda portatrice di interessi alla protezione ambientale  e ciò in considerazione del fatto che è regola generale quella della possibilità per le associazioni, come qualisasi soggetto,  di agire in giudizio jure proprio, nel caso in cui esse si ritengano danneggiate.

La Suprema Corte con la sentenza n.33887 del 2006 ha evidenziato come sia possibile imputare alle associazioni ambientaliste un siffatto diritto sulla base dello schema generale della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. e dall'interpretazione sistematica dell'interesse collettivo, in forza del quale ogni soggetto portatore di un interesse “differenziale”, e non semplicemente diffuso, alla tutela dell'ambiente è pertanto legittimato all'azione di parte civile a tutela e risarcimento dell'interesse leso dal danno ambientale.

Unico requisito richiesto è che l'ente esponenziale sia titolare di interessi territorialmente determinati, tali da poter essere concretamente lesi.

Si è ritenuto che sia possibile la costituzione di parte civile di un'associazione ambientalista in forza dell'art.2043 c.c., attesa l'esistenza per l'ente di un interesse proprio coincidente con un diritto soggettivo fondamentale di ogni uomo e valore di rilevanza costituzionale alla salubrità dell'ambiente.

Di conseguenza alle associazioni ambientaliste riconosciute ex art.13 L. n. 349 del 1986 spetta non solo il potere d'intervento sostitutivo o adesivo rispetto alla tutela dell'interesse all'ambiente , ma anche l'autonomo diritto al risarcimento conseguente al danno ambientale “sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie (ex art.74 c.p.p.), sia come enti esponenziali del diritto assoluto alla tutela ambientale (ex art.18, 5°comma L. 349/1986)”.

La legittimazione “iure proprio” delle associazioni ambientaliste sussiste anche dopo l'entrata in vigore del Codice dell'Ambiente, e ciò in forza delle “regole generali in materia di risarcimento del danno e di costituzione di parte civile”, che non sono escluse dalla previsione legislativa della possibilità di costituzione di parte civile per lo Stato e per gli enti pubblici territoriali (Cass. Pen. n.35393/2008)[12].

E' stato poi evidenziato come il danno ambientale non si identifica con la nozione di danno patito bensì di danno provocato, cosicché il danno ingiusto da risarcire è la lesione in sé dell'interesse alla salvaguardia ambientale e  il danno ambientale presenta una “triplice dimensione: personale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente appartenente ad ogni soggetto); sociale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità umana, ex art. 2 cost.); pubblica (quale lesione del diritto-dovere pubblico delle istituzioni centrali e periferiche con specifiche competenze)”, con la conseguenza che tutti coloro che agiscono a tutela dell'ambiente non fanno valere un generico interesse diffuso, ma dei diritti soggettivi, che ne legittimano azione autonoma a tutela di tale bene (Cass. penale , sez. III, 06 marzo 2007, n. 16575)[13].

 

3. La sentenza Cass. Pen. Sez. III, 11.3.2009 - 11.5.2009, n.19883[14].

La Suprema Corte ha confermato i principi fin qui espressi.

In particolare, la Corte ha confermato sia quanto evidenziato nella sentenza di primo grado,  in base alla quale il Tribunale di Vicenza aveva ammesso la costituzione di parte civile di Legambiente Volontariato Veneto ritenendo che gli enti esponenziali a tutela dell'ambiente hanno il diritto di agire a tutela del diritto soggettivo della salubrità dell'ambiente quando detto interesse è precipuo e inerente specificatamente allo scopo del sodalizio, sia quanto affermato dalla Corte di Appello di Venezia ove è stato sottolineato come il bene giuridico protetto dalla norma consegue alla mera esistenza del fatto illecito e quindi deve essere concesso a Legambiente di agire in giudizio per la tutela del proprio scopo statutario che persegue la salubrità dell'ambiente.

Tre sono i principi di diritto fissati dalla suprema Corte in tema di legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni ambientalistiche.

Innanzitutto, con riferimento alla successione di leggi nel tempo e all'abrogazione degli artt.18 della L. n.349 del 1986 e l9 comma 3 del D.lgs. n. 267 del 2000, è stato ribadito che per le associazioni individuate ai sensi dell'art.13 della L. n.349 del 1986 “non è stata esclusa la possibilità di intervenire nel giudizio per danno ambientale e di ricorrere in sede giurisdizionale per l'annullamento di atti illegittimi emessi nella stessa materia, ancorché da autorità diverse dal Ministero dell'Ambiente”, ciò in quanto “è tutt'ora vigente il comma 5 dell'art.18 della L. 349 del 1986”, con l'effetto che resta possibile per gli enti esponenziali e le associazioni l'intervento adesivo o in sostituzione degli Enti pubblici territoriali nei giudizi per danno ambientale e in sede amministrativa.

Inoltre, è stato confermato che gli enti esponenziali possono sempre costituirsi parte civile nel processo penale "iure proprio" a tutela di un proprio diritto soggettivo leso e ciò “secondo le regole generali in materia di risarcimento del danno e di costituzione di parte civile”, sulla scorta di quanto era stato già espresso prima dell'entrata in vigore del Codice dell'Ambiente e ribadito da Cass. Pen. Sez. III, n. n.33887/2006, n.20681/2007 e n.35393/2008).

Attesa l'abrogazione degli artt.18 della L. n.349 del 1986 e l9 comma 3 del D.lgs. n. 267 del 2000, è stato specificato che le nuove regole sulla costituzione di parte civile per danni ambientali hanno natura prettamente processuale, e, pertanto, si applicano solo con riferimento alle costituzioni di parte civile effettuate dopo l'entrata in vigore delle nuove disposizioni, restando, quindi, salve quelle ammesse in base alla precedente disciplina[15].

Infine, il terzo principio sancito dalla Suprema Corte è quello il quale l'esistenza di “uno stabile collegamento di interessi” con una determinata zona lesa dal reato è indice della possibilità di un “pregiudizio concreto ed attuale alla personalità dell'associazione”. Conseguentemente solo laddove esiste un siffatto nesso tra il territorio in cui opera l'ente e la lesione arrecata dal reato è ipotizzabile una lesione alla personalità dell'associazione e quindi un danno risarcibile a favore dell'associazione.

Di fatti, in relazione al caso concreto, in cui parte civile costituita è Legambiente Volontariato Veneto, articolazione regionale dell'associazione nazionale Legambiente Onlus, è stato specificato che sussiste la legittimazione della parte civile atteso che il bene leso si trova nell'ambito della regione in cui ha sede l'associazione ambientalista costituirsi.

La Suprema Corte, confermando la decisione del Giudice vicentino, ha confermato l'orientamento già espresso in altre pronunce, sia ante che post riforma, secondo il quale è da riconoscere agli enti esponenziali e alle associazioni di protezione ambientale la legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale ai sensi degli artt.185 c.p. e 74 c.p.p. per chiedere il risarcimento dei danni ambientali, e ciò sia quali portatori dell'interesse collettivo all'ambiente salubre, autorizzati da un consenso generale e preventivo dello Stato titolare del diritto dell'ambiente, sia quali titolari di un proprio diritto soggettivo alla salubrità dell'ambiente fatto proprio del sodalizio ogniqualvolta questo sia leso concretamente da una condotta illecita, purché sussista un concreto collegamento tra l'associazione, anche nella sua articolazione territoriale, ed il luogo in cui si è verificato il fatto.

Dall'analisi del panorama giurisprudenziale sulla legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni e degli enti esponenziali, emerge dunque che vi è unanimità nel riconoscere la legittimazione ad causam nel processo ordinario a favore degli enti e associazioni portatori di interessi collettivi, legittimati all'azione per la tutela del comune interesse alla salubrità dell'ambiente ma anche “jure proprio” laddove sussista una lesione all'affectio societatis costituita dalla finalità di tutela di una situazione storicamente circostanziata fatta propria dal sodalizio, da cui derivano danni patrimoniali o non patrimoniali. E ciò sia prima che dopo l'entrata in vigore del Codice dell'Ambiente.

 


[1] Per un commento sulla legge si veda: Postiglione, Una svolta per il diritto dell'ambiente, in Riv. Giur. Ambiente, 1986, 2, 251; Salvia, Il Ministero dell'ambiente, Roma, 1989.

[2] Così Postiglione, Una svolta per il diritto dell'ambiente, cit.; si vedano anche Salanitro, Il danno all'ambiente nel sistema della responsabilità civile, Milano, 2005, 66; e MASINI S., La legittimazione processuale. Nota all'art.310 del Codice dell'Ambiente, in Comm. breve al Codice dell'Ambiente, COSTATO – PELLIZZER (a cura di), Padova, 2007, 310.

a.[3] Cass. Pen. Sez. III, 26.02.1991, n.2603, (Contento), in Cass. Pen. 1991, I, 2016, con nota di Giampietro F.; Cass. Pen. Sez. III, 11.04.1992, n. 4487 (Ginatta); Cass Pen. Sez. III, 10.11.1993, n. 439 (Mattiuzzi).

[4] Così Cass. Pen. Sez. III, 3.12.2002, n.43238 (Veronese); per la giurisprudenza di merito: Corte appello              Perugia, 25 agosto 1993, Luna; Trib. Rovigo comp. mon., ordinanza 26.09.2000.

[5] Cass. Pen. Sez. III, 26.09.1992 - 13.11.1992, n.4487 (Serlenga), in Riv. Giur. Ambiente, 1993, 275; Cass. Pen. Sez. III, 10.01.1990, n.59 (Ponticelli); Cass. Pen. Sez. III, 09.07.1996, n. 8699  (Perotti); Cass. Pen. Sez. III, 2.12.2004, n. 46746, in Resp. civ. in proc.; Cass. Pen. Sez. III, 1.10.1996, n. 9837 (Locatelli); Cass. Pen. Sez, III, 2.02.1996, n.3503 (Russo); Cass. Pen. Sez. III, 10.06.2002, n.22539.

[6] Cass. Pen. Sez. V, 5.03.1996, n.2361, in Arch. Nuova Proc. Pen. 1996, 241; ID. in Cass. Pen., 1996, con nota di Albamonte E.

[7] Cass.  Pen. Sez. III, 3.12.2002, n.43238, in Cass. Pen., 2004, 1711, con nota di Morlacchini F.

[8] Cass. Pen. Sez. III, 30.06.1995, n.10557 (Montone), in Cass. pen. 1996, 2319.

[9] Cass. Pen. Sez. III, 13.11.1992, Serlenga, cit.

[10] Cass. Pen. Sez. III, 21 maggio 1993, Tessarolo, in Riv. Giur. Edil., 1994, I, 198. In particolare nella pronuncia si legge che ai fini dell'ammissione alla costituzione di parte civile dell'ente occorre che “l'associazione o l'ente godano di un'articolazione territoriale, ancorata ai relativi interessi, e facciano un interesse altrimenti diffuso da essi perseguito e concretizzato nella tutela di un circostanziato contesto ambientale...interesse relativo a situazioni particolari di collettività ben delimitata”.

[11] Cass. Pen. Sez.III, 2 febbraio 1996, n.3503, Russo, in Dir. Pen. e Proc., 1996, 1366, con nota di Quaglierini; Cass. Pen. Sez.III, 26 novembre 1996, Perotti. Tra la giurisprudenza di merito si veda ad esempio: Trib. Nola, 23 settembre 2004, in Corriere del merito 2005, 65.

[12] Cass. Pen. Sez.III, 21.5.2008, n.35393. Conformi: Cass. Pen. Sez.III, 9.10.2006, n.33887 (Strizzolo); Cass. Pen. Sez.III, 3.11.2006, n. 36514 (Censi); Cass. Pen. Sez.II, 28.3.2007, n.20681.

[13] Cass. pen. Sez. III, 06 marzo 2007, n. 16575, in Cass. Pen., 2007, 236815; in Riv. Giur. Ambiente, 2008, 5, 816, con nota di Scardina F.

[14] Cass. Pen. Sez. III, 11 maggio 2009 (Ud. 11/03/2009), n. 19883. Vi è qui l'espresso richiamo del principio espresso dalla Cass. Pen. n.8699/1996.

[15] La tesi è già stata sostenuta da: Trib. Trento, sez. distaccata Cavalese, ordinanza 5.11.2007 (proc. pen. 6771/05 R.G.N.R.); Trib. Tolmezzo, ordinanza 9.03.2007 (proc. Pen. 213/06 RG Dib). Sul punto CANESTRINI N., che evidenzia come altrimenti ragionando si avrebbe l'assurdo di un vuoto di tutela risarcitoria per i danni verificatisi prima dell’entrata in vigore del codice dell’ambiente  e l’impossibilità di applicare sia le nuove procedure di ripristino ambientale di cui agli artt.305 e ss. sia il risarcimento del danno disciplinato dagli artt. 18 L. n.349/1986 (con l’esclusione del solo comma 5° relativo all’intervento in giudizio) e 9 D.Lgs. n.267/2000. Si veda: CANESTRINI N., La tutela dell'ambiente nel processo penale, in Canestrinilex.it, 2007, III.