GLI USI CIVICI IN SARDEGNA.

Dott. Stefano Deliperi

GLI USI CIVICI IN SARDEGNA.

Dott. Stefano Deliperi
 
 
 
 

1. Natura e origini dei demani civici.

 

Accanto alla proprietà privata dei fondi, individuale ed esclusiva, esistono nel nostro ordinamento giuridico, oltre al demanio pubblico (statale e regionale) ed al patrimonio degli enti pubblici (artt. 822 e ss. cod. civ.), particolari forme di proprietà collettiva delle terre: tra queste assumono particolare rilevanza gli usi civici (o demani civici).          In passato essi costituivano un fenomeno imponente e diffuso, ma la forte opera di soppressione promossa a partire dal XVIII secolo dall’illuminismo economico ne ha segnato per molto tempo il declino.         Tuttavia essi non si estinsero.           Tant’è che il fenomeno è tutt’oggi assai diffuso nel territorio nazionale, pressochè in tutte le regioni: basti pensare che, considerando soltanto i terreni boschivi, i terreni rientranti nei demani civici rappresentano più di due milioni di ettari, cioè circa il 25 % della superficie forestale nazionale.        A ciò si aggiunge la circostanza che gli usi civici gravano, non di rado, su aree di significativo rilievo ambientale.            Da qui un crescente interesse che la materia ha suscitato negli ultimi anni: in particolare la legge 8 agosto 1985, n. 431 (art. 1, comma 1°, lettera h), prevedendo il vincolo paesaggistico ex lege su tutte le aree rientranti nei demani civici e la loro ulteriore salvaguardia e valorizzazione mediante inclusione in piani territoriali paesistici (art. 1 bis), ha voluto evidenziare che gli usi civici non costituiscono un mero relitto del passato, ma un istituto vivo e vitale che, se debitamente utilizzato, consente di garantire una fruizione equilibrata delle risorse del territorio in armonia con i principi di salvaguardia ambientale[1].

Gli usi civici, secondo la migliore dottrina[2], sono in generale diritti spettanti ad una collettività, che può essere o meno organizzata in una persona giuridica pubblica (es. università agraria, regole, comunità, ecc.) a sé stante, ma comunque concorrente a formare l’elemento costitutivo di un Comune o di altra persona giuridica pubblica: l’esercizio dei diritti spetta uti cives ai singoli membri che compongono detta collettività.     Gli elementi comuni a tutti i diritti di uso civico[3] sono stati individuati in:

-  esercizio di un determinato diritto di godimento su di un bene fondiario;

-  titolarità del diritto di godimento per una collettività stanziata su un determinato territorio;

-  fruizione dello specifico diritto per soddisfare bisogni essenziali e primari dei singoli componenti della collettività.    

L’uso consente, quindi, il soddisfacimento di bisogni essenziali ed elementari in rapporto alle specifiche utilità che la terra gravata dall’uso civico può dare: vi sono, così, i diritti di uso civico di legnatico, di erbatico, di fungatico, di macchiatico, di pesca, di bacchiatico, ecc.                   Quindi l’uso civico consiste nel godimento a favore della collettività locale e non di un singolo individuo o di singoli che la compongono, i quali, tuttavia, hanno diritti d’uso in quanto appartenenti alla medesima collettività che ne è titolare.

 

Formazione dei demani civici in Sardegna.        Per comprendere a fondo la natura e le caratteristiche degli usi civici, le ragioni sottese alla disciplina attuale e verificarne validità e congruità delle disposizioni e dell’esercizio, sembra utile ripercorrere le linee essenziali del loro sviluppo storico.          L’origine dei diritti di uso civico è sicuramente risalente nel tempo, ma incerta.            Le tesi elaborate a riguardo possono, per semplicità, essere ricondotte sostanzialmente a due impostazioni di fondo.                    Secondo un orientamento minoritario[4] gli usi civici avrebbero origine nella tradizione agraria romana (alcuni ritengono che forme più o meno evolute di collettivismo agrario, comuni presso tutti i popoli antichi, sarebbero state sviluppate dai romani); secondo l’orientamento prevalente[5], invece, la nascita degli usi civici dovrebbe farsi risalire al più tardo fenomeno del latifondismo.        Durante il periodo imperiale, nel III sec. d.C., si concludeva il lungo processo di formazione di grandi proprietà private delle terre e si instaurava un’economia agricola a base capitalista costituita da “possessiones” nei territori di conquista nelle province senatorie ed imperiali.            Una parte di tali grandi aree, in buona parte boschi e pascoli, viene riservata al Fisco che la concede in uso dietro corresponsione di un canone (il vectigal), mentre altra parte viene assegnata ai piccoli centri rurali (pagi, vici, castra) le cui popolazioni vi esercitano il pascolo ed il legnatico.    Da qui sarebbero nati gli usi civici.           A partire dal III sec. d. C. le vicende belliche e politiche, la progressiva crisi economica e sociale, la costituzione di vincoli sempre più stretti fra i contadini e la terra concorsero a determinare una diffusa condizione di servaggio, poi radicalizzata grazie ai contatti con le popolazioni germaniche e le loro concezioni sociali.     In particolare, nel sistema germanico il nucleo dell’organizzazione sociale ed economica era la tribù, la “famiglia allargata”, alla quale soltanto si riconosceva la titolarità della proprietà della terra: era un sistema fondato prevalentemente sullo sfruttamento collettivo della terra, mentre il diritto del singolo poteva esercitarsi in virtù del vincolo di appartenenza e subordinatamente alle esigenze della collettività.                 Nei regni romano-barbarici e per tutto l’alto medioevo, nelle ormai sempre più estese aree rurali i residenti traevano sostentamento dalle terre dove vivevano: attraverso il perpetuarsi dell’occupazione e dell’utilizzazione delle terre da parte delle collettività ivi insediate, queste ultime acquisiscono un diritto fondato sull’uso medesimo protratto nel tempo.        Quando le terre vengono infeudate, tali diritti furono rispettati e riconosciuti dal potere sovrano.          Dunque in Italia l’origine dei diritti di uso civico in senso tecnico sarebbe strettamente legata alla nascita del feudalesimo, perché proprio in questo periodo nacquero forme di godimento delle terre variamente denominate spettanti alle collettività organizzate e riconosciute dal potere pubblico.                In Sardegna, dove il fenomeno del feudalesimo propriamente detto è giunto in epoca tarda (seconda metà del XIV sec.), la nascita dei diritti di uso civico deve farsi risalire all’epoca giudicale, nelle varie forme di riconoscimento da parte del giudice regnante (judike) dei diritti di utilizzo collettivo delle terre da parte del popolo (su logu) nelle varie località dove era insediato.     Quale che sia, comunque, l’origine dei diritti di uso civico fin dal medioevo i diritti di uso civico risultano storicamente presenti in Sardegna con la denominazione di adempriviu.       

 
 
 
 
 
 
 

2.  Lo sviluppo dei diritti di uso civico in epoca spagnola e sabauda.

 

Tali diritti vennero sempre rispettati dai Re d’Aragona quando avviarono la conquista effettiva del Regno di Sardegna ed introdussero nell’Isola il sistema feudale[6]: a partire dal 1324 le concessioni in feudo vennero sempre accompagnate dall’imposizione di rispettare il diritto di ademprivio delle popolazioni sottoposte.          La magistratura sarda elaborò in merito una linea giurisprudenziale favorevole ai comuni ed ai residenti, stabilendo che le concessioni feudali dovevano intendersi produttive di effetti e frutti naturali solo quando fosse stato detratto in misura sufficiente quanto era necessario alla sussistenza delle popolazioni del luogo titolari dell’ademprivio.      In buona sostanza, il feudatario poteva acquisire i frutti del terreno assoggettato al diritto di ademprivio (es. legna, incrementi delle greggi, ecc.) soltanto successivamente all’avvenuto soddisfacimento delle esigenze della vita quotidiana delle popolazioni locali.        Anche i sovrani sabaudi, succeduti, dopo breve parentesi austriaca (1713-1720), alla corona spagnola nella titolarità del Regno di Sardegna, emanarono precise disposizioni per contenere le pretese dei feudatari[7].             Tuttavia, le spinte provenienti soprattutto dalla classe borghese in ascesa premevano, grazie soprattutto alle idee promosse in materia dall’Illuminismo e dalle codificazioni napoleoniche[8], per la definitiva abolizione del feudalesimo e per la liquidazione dei diritti di uso civico in modo da consentire l’affermazione del pieno diritto di proprietà.                      Il 6 ottobre 1820 venne emanato il c.d. regio “editto delle chiudende”, che riconosceva il diritto di proprietà assoluta in favore dei comuni e dei privati dei terreni infeudati con l’obbligo di recinzione e chiusura delle singole proprietà.        Ai lavori di una speciale commissione incaricata di accertare i redditi lordi e netti dei feudi (1835-1836) ed alle successive valutazioni definitive in contraddittorio con i feudatari (1838) seguì la carta reale n. 21 del 26 febbraio 1839 con la quale, previo riscatto monetario, veniva predisposto il graduale passaggio dei beni feudali in proprietà assoluta dei comuni e dei privati, abolendo definitivamente il feudalesimo nell’Isola[9] e consolidando il demanio ademprivile.     Le operazioni, condotte dal Supremo consiglio di Sardegna (massimo organo collegiale amministrativo isolano dell’epoca), furono concluse nel 1843: complessivamente vennero riscattati 131 feudi appartenenti a 54 feudatari.   In favore di questi ultimi furono liquidate somme notevoli e costituite cospicue rendite, nonché conservate proprietà terriere di discrete proporzioni in ciascuno dei feudi riscattati.     Tuttavia, gli òneri finanziari dell’operazione andarono a ricadere, attraverso l’aumento dell’imposizione fiscale, in gran parte sul già debole tessuto economico sardo.                  

 
 
 
 
 
 

3.   I tentativi di riordino dei demani civici da parte dello Stato unitario.

 

Con la realizzazione dell’unità nazionale e la proclamazione del Regno d’Italia (1861) la nuova amministrazione statale cercò anche in Sardegna di portare a compimento il disegno abolizionista degli usi civici già proprio di diversi Stati pre-unitari[10]: il primo disegno di legge per la soppressione dei diritti di uso civico (ademprivio) venne presentato dal Ministero delle finanze il 17 febbraio 1858 giungendo, poi, alla legge 23 aprile 1865, n. 2252 di abolizione degli ademprivi e dei diritti di cussorgia[11] ed al relativo regolamento approvato con regio decreto 26 luglio 1865, n. 2435.   Testualmente si disponeva: “Tutti gli usi conosciuti nell’Isola di Sardegna sotto il nome di ademprivi, nonché i diritti di cussorgia, sono aboliti.  Ogni atto di ulteriore esercizio di questi usi e diritti costituisce una violazione del diritto di proprietà, alla quale sarà applicato il Codice penale comune” (art. 1).                In quegli anni una società inglese presentò al Governo un programma, caldeggiato dall’allora Governatore di Cagliari, per la realizzazione della rete ferroviaria nell’Isola chiedendo, fra l’altro, un compenso di 200.000 ettari di terreno demaniale di origine ademprivile[12].          Da un lato i consigli provinciali e numerosi consigli comunali accolsero favorevolmente la proposta, ma dall’altro incontrò decisa ostilità la possibile perdita di così ampi demani pubblici: si estesero così il malcontento e le contestazioni popolari già in più occasioni scoppiati fin dopo il c.d. editto delle chiudende del 1820[13] tanto da recuperare al demanio i terreni ex ademprivili precedentemente ceduti verso una somma concordata di denaro per effetto della sopraggiunta legge 21 agosto 1870, n. 5858.                   In tutti questi decenni i diritti di uso civico continuarono, quindi, a permanere e di fatto si rafforzarono: essi venivano goduti dai cives generalmente attraverso la corresponsione annuale in favore del comune di una tassa per ogni capo di bestiame al pascolo ed un corrispettivo per il legnatico.            L’allora Ministro dell’agricoltura on. Cocco Ortu promosse una definitiva sistemazione dei demani ex ademprivili con una serie di provvedimenti normativi (il più importante dei quali è la legge 2 agosto 1897, n. 382, che istituisce la cassa ademprivile, la quale disporrà dei suddetti beni) poi trasfusi nel testo unico approvato con la legge 10 novembre 1907, n. 844 e nel relativo regolamento approvato con regio decreto 2 agosto 1908, n. 548.      L’intenzione, al fine di favorire lo sviluppo agricolo, era quella di rendere possibile la libera disponibilità dei beni ex ademprivili ancora invenduti e derivanti dagli antichi feudi, nonché la loro quotizzazione e concessione enfiteutica sia che fossero demaniali ovvero comunali.            Anche tale riforma legislativa non riuscì.                Infatti, nonostante, diversi tentativi di giungere alla loro liquidazione in sede nazionale ed in sede locale, gli usi civici, particolarmente in Sardegna, hanno resistito e sono giunti agli albori del XX secolo praticamente nella loro estensione originaria.        Si giunse, così, alla prima sistematica normativa comune per tutto il territorio nazionale, introdotta con la legge 16 giugno 1927, n. 1766, che razionalizza alcuni provvedimenti legislativi adottati negli anni immediatamente precedenti[14] e che va a costituire un corpus disciplinare che con limitate modifiche ha regolato la materia per quasi un settantennio, insieme al regolamento approvato con regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 ed alla legge 10 luglio 1930, n. 1078 che reca disposizioni sulla definizione delle controversie in materia di usi civici.                La Regione autonoma della Sardegna ha provveduto a dare corpo alla sua competenza primaria in materia (art. 3 statuto speciale) soltanto con la legge regionale 14 marzo 1994, n. 12, tuttora vigente con modifiche ed integrazioni.

 
 
4.     La legge n. 1766 del 1927.
 

La legge n. 1766/1927 che, come si è sopra detto, ha inteso realizzare un razionale riordino degli usi civici.      Il riordinamento si svolge attraverso una serie di fasi che in origine erano poste sotto la direzione del Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici, titolare, nella previsione della legge, di poteri molto ampi sia in sede amministrativa, sia in sede giurisdizionale ed opera sotto la supervisione del Ministro della Giustizia.

Va subito osservato che, con l'introduzione delle Regioni, il sistema delle competenze è profondamente mutato, in particolare:

-        Commissario: ha competenza giurisdizionale di primo grado; in appello è competente la Corte d'Appello.

-        Regione: ha competenza legislativa e amministrativa.

-        Ministero della Giustizia : è competente per la legittimazione delle occupazioni abusive d'intesa con la Regione.

Il quadro delle competenze dovrebbe, almeno per quest'ultima competenza, modificarsi.

Il procedimento si svolge in due fasi.

A) denuncia degli usi.
B) verifica e liquidazione degli usi.

Tra la prima e la seconda fase del procedimento si potrebbe inserire il procedimento per la legittimazione delle occupazioni abusive che è, però, solo eventuale.

Vediamo ora le singole fasi del procedimento.

A)

Il procedimento ha inizio con la denuncia. Nel sistema della legge n. 1776/1927 la denuncia doveva farsi entro un termine di decadenza di mesi sei dall'entrata in vigore della legge e ciò per tutti i territori gravati, fossero essi privati o comunali.

Legittimati alla denuncia sono:

-        Il Sindaco (allora il Podestà);

-        L'Associazione degli utenti;

-        L'ente esponenziali;

-        I singoli utenti.

Tuttavia nell'interpretazione della legge la giurisprudenza ha attenuato il rigore della previsione normativa, affermando che il termine perentorio di sei mesi doveva ritenersi limitato alla denuncia degli usi gravanti su terre private o ex feudali ma di privati; tale termine non dovrebbe ritenersi, invece, riferibile agli usi gravanti sui beni dei comuni o comunque pubblici, che rappresentano, peraltro, la gran parte.

B)

Segue la fase di liquidazione che si svolge attraverso vari subprocedimenti.  V'è, anzitutto, l'accertamento della esistenza e della consistenza dell'uso.     L'accertamento può avvenire, in via normale, in sede amministrativa; ovvero può effettuarsi in via contenziosa in sede giurisdizionale.   In sede amministrativa è compiuta con la nomina di uno o più periti ai quali spetta di accertare se esistano  usi su quel dato terreno e quale natura abbiano; a ciò segue la formazione del progetto di liquidazione; questo infine viene trasmesso al Comune o all'Associazione Agraria e notificato agli interessati.      Contro il progetto può farsi opposizione davanti al Commissario per la liquidazione per gli usi civici da parte del Comune, dell'Associazione Agraria, dei possessori delle terre entro trenta giorni. decorso il termine il progetto è dichiarato esecutivo dalla Regione e costituisce titolo per le divisioni e riscossioni.     Se l'accertamento verifica la natura privata della terra, si fa luogo all'affrancazione mediante compenso che può consistere nello scorporo ovvero in un compenso in denaro.      In alcune zone d'Italia è stato adottato un meccanismo di affrancazione cosiddetta invertita: il fondo è attribuito alla collettività con pagamento di un canone al proprietario.     L'accertamento può condurre a riconoscere la natura civica delle terre: l'accertamento avviene in questi casi per lo più, su base presuntiva secondo il brocardo "ubi feuda ibi demania ibi usa".  Il progetto di verifica è approvato o rettificato dalla Regione che se lo riconosce regolare dispone il deposito presso il Comune o Associazione Agraria e la notifica agli interessati.     Entro trenta giorni può essere fatto ricorso al Commissario contro il progetto oppure chiesta la legittimazione delle occupazioni abusive.    Se non c'è opposizione, le terre di cui si è accertata la natura civica devono essere, mediante provvedimento di reintegra, restituite agli enti cui appartengono.   Se c'è opposizione, la sentenza del Commissario, provvede a decidere sull'accertamento.

La parte forse più interessante della legge del 1927 è costituita dalle norme che regolano l'assegnazione a categoria.     Tali norme dispongono che i Comuni e le Associazioni Agrarie non possano alienare o mutare la destinazione delle terre senza l'autorizzazione della Regione (un tempo del Ministero).

Secondo la moderna dottrina bisogna al riguardo distinguere due diverse situazioni:

A) In un primo tempo le terre civiche  sarebbero in godimento collettivo e promiscuo in attesa di una sistemazione definitiva. (Demanio civico)

B) Con il provvedimento di assegnazione a categoria il Demanio cessa di esistere.

Il provvedimento di assegnazione in categoria in quanto i terreni in due categorie:

1) terreni utilizzati come bosco o pascolo permanente.
2) terreni utilizzabili per coltura agraria.

Le terre di cui alla categoria 1 divengono beni in proprietà collettive a destinazione pubblica, secondo alcuni patrimonio indisponibile, secondo altri demanio civico.

Le terre di cui alla categoria 2 divengono beni destinati ad essere ripartiti in quota e quindi privatizzati.

Prima dell'assegnazione a categoria le terre sono assolutamente inalienabili e, pertanto, qualsiasi atto di trasferimento di esse deve ritenersi nullo.    Se però le terre rientrano nella categoria sub 2 si ritiene che eventuali alienazioni possano farsi previa autorizzazione Regionale.

Si afferma che tale autorizzazione dovrebbe avere effetti costitutivi perchè solo un provvedimento dell'organo sovrano (ossia dell'autorità amministrativa) superiore può rimuovere previamente la destinazione pubblica del bene.    Dopo l'assegnazione, i beni sub 1 divengono beni pubblici forestali ed il loro regime risulta dal combinato disposto dalla legge n. 1766/1927 e dalla legge forestale (regio decreto n. 3267/1923).

Questa destinazione può essere mutata solo quando la Regione autorizzi con proprio provvedimento il mutamento di destinazione; ciò può avvenire solo quando detto mutamento rappresenti un reale beneficio per le collettività.     Nell'ottica della legge n. 1766/1927 il mutamento di destinazione dovrebbe essere finalizzato a convertire la destinazione del terreno da quella boschiva a quella agricola.

In concreto è accaduto, però, che il mutamento di destinazione ha costituito lo strumento attraverso il quale le Regioni hanno superato la ripida alternativa destinazione boschiva -destinazione agricola per far luogo ad utilizzazioni nè boschive nè agrarie delle terre civiche le quali, sia a seguito di modifica autorizzata sia, soprattutto, attraverso modificazioni in fatto perchè compiute con vendite non autorizzate, hanno subito una irreversibile e differente destinazione come, per esempio, quella edificatoria, con l'aggravante di non aver assicurato spesso alcun reale ritorno economico alla collettività.

 
 
 

5.     La legge n. 431/1985 e la nuova funzione del demanio civico.

 

L'art. 1 della legge n. 431/1985, nota come "Legge Galasso" contempla gli usi civici prevedendo che le terre che ne sono gravate siano soggette al vincolo di cui alla legge n. 1497/1939, ossia al vincolo che tutela le bellezze naturali.   Oggi la medesima disposizione trova posto nel decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni, il Codice dei beni culturali e del paesaggio.

In tal modo la Legge Galasso, mentre impone una tutela particolarmente incisiva per le terre soggette ad uso civico, pone le premesse per una loro riqualificazione nell'ambito della pianificazione territoriale e della programmazione ambientale.

Si comprende in questa prospettiva come gli usi civici acquistino un ruolo strategico nella programmazione ambientale; nell'ambito di quest'ultima assume rilievo fondamentale la precisa conoscenza della quantità e qualità del territorio e delle sue risorse, sicchè la ricognizione delle terre soggette all'uso civico, la loro individuazione e la determinazione della loro estensione, la qualificazione della loro vocazione attuale costituiscono un momento ineliminabile di una corretta pianificazione urbanistica.    D'altra parte, l'inserimento degli usi civici nel quadro della pianificazione urbanistica induce a riconsiderare la funzione in vista di una loro riqualificazione che sia adeguata al territorio ed alle esigenze attuali delle popolazioni residenti. Così, in una  esemplificazione, si può fare riferimento alla rilevanza, per così dire strategica, che possono assumere nella tutela del patrimonio costiero quei terreni situati sulle coste e soggetti agli usi civici oppure la rilevanza che possono assumere nell'ambito del risanamento ambientale quei terreni soggetti all'uso situati in zone montane minacciate o colpite da fenomeni di dissesto idrogeologico.

Attualmente la questione più seria e pressante concernente le terre soggette all'uso civico è costituita dall'aggravamento di un'adeguata ed effettiva tutela.     Quando infatti, a quelle terre che si sono preservate conformemente alla loro vocazione boschiva o agricola, vi sono, e sono numerose, anche quelle alle quali - con o senza autorizzazione regionale - si è attribuita una vocazione edificatoria.       Rispetto alle prime si pone la necessità di una loro riqualificazione che sia consona alle moderne esigenze economico-sociali ed, insieme, alla loro natura pubblica che ne impone una destinazione a vantaggio delle collettività e non dei singoli.   Si indicano, in proposito, destinazioni basate non solo sullo sfruttamento delle risorse, ma anche sulla loro valorizzazione come è, per esempio, nel turismo e nell'agriturismo.

Rispetto, invece, alle seconde la questione appare assai problematica.    Stante il particolare regime delle terre soggette all'uso civico, eventuali vendite effettuate dai Comuni a privati dovrebbero ritenersi radicalmente nulle (salvo che non vi sia stata l'autorizzazione) e gli immobili costruiti su tali aree, oltrechè abusivi, dovrebbero appartenere al demanio.     Si tratta di situazioni purtroppo non marginali in Sardegna per le quali è necessario trovare una soluzione.   Tale soluzione, peraltro, dovrebbe tenere ben distinte le eventuali occupazioni o vendite rispondenti a necessità abitative primarie e le vendite e le occupazioni con finalità e risultati puramente speculativi, così come dovrà tenere distinte le vendite dalle svendite onde evitare che l'eventuale perdita delle terre si traduca per la collettività in un duplice depauperamento.     A questi compiti sono oggi chiamate le Regioni.

 
 
 

6.  Il quadro normativo attualmente vigente in Sardegna.

 

Disposizioni statali tuttora vigenti.         Il quadro delle disposizioni vigenti è certamente offerto dalle disposizioni della normativa regionale (legge regionale n. 12/1994 e successive modifiche ed integrazioni) a sua volta integrata dalla disciplina nazionale (legge n. 1766/1927) in quanto applicabile.      Il riordinamento degli usi civici nell’ottica della legge n. 1766/1927 prevedeva una serie di fasi poste tutte, in origine, sotto la direzione del Commissario per la liquidazione degli usi civici, titolare di poteri molto ampi in materia sia in campo amministrativo che in quello giurisdizionale, operante sotto la supervisione prima del Ministero dell’economia nazionale poi del Ministero dell’agricoltura.        Con lo statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) sono state riconosciuti la competenza primaria in ambito legislativo (art. 3, lett. n) e lo svolgimento dei compiti amministrativi (art. 6).         Il Commissario per gli usi civici è rimasto, quindi, titolare delle sole funzioni giurisdizionali, giudice di tutte le controversie sull’esistenza, la natura e l’estensione dei diritti di uso civico (artt. 29 e ss. della legge n. 1766/1927) sotto la supervisione del Ministero della giustizia, mentre delle funzioni amministrative gli sono residuate soltanto le legittimazioni (artt. 9-10 della legge n. 1766/1927)[15].               Attività fondamentale promossa dalla legge del 1927 è stata quella inerente la verifica degli usi civici, generalmente su denuncia degli interessati (singoli o associati) e del comune (art. 2 della legge n. 1766/1927), seguita dal decreto commissariale avente efficacia dichiarativa (art. 14 della legge n. 1766/1927) che individua le terre civiche “contemperando i bisogni della popolazione con quelli della conservazione del patrimonio boschivo e pascolivo nazionale”.            Con il provvedimento di individuazione i terreni ad uso civico vengono assegnati alla categoria “A”, comprendente boschi e pascoli, ed alla categoria “B”, relativa ai “terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria” (art. 11 della legge n. 1766/1927).     Per le aree di cui alla categoria “A” si osserveranno, quindi, le norme in materia di tutela idrogeologica e boschiva (regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267) e solo in tale ambito, in futuro, verranno esercitati i diritti di uso civico (art. 12 della legge n. 1766/1927), mentre le aree di cui alla categoria “B” sono destinate ad essere ripartite, secondo un piano tecnico di sistemazione fondiaria e di avviamento culturale, fra i coltivatori diretti residenti nel comune o nella frazione interessati, con preferenza per i meno abbienti (art. 13 della legge n. 1766/1927).  Queste ultime operazioni saranno materialmente predisposte da appositi periti che formano una proposta di piano di liquidazione contro la quale i soggetti interessati (il comune, l’eventuale associazione agraria, i titolari dei diritti di uso civico) possono agire davanti al Commissario per gli usi civici in via giurisdizionale entro trenta giorni dall’avvenuta notifica della proposta medesima (artt. 29 e ss. della legge n. 1766/1927).       In caso contrario ovvero dopo eventuale provvedimento commissariale, il piano è dichiarato esecutivo dall’Amministrazione regionale e costituisce titolo per le divisioni e le riscossioni previste.         Soltanto previa autorizzazione ministeriale (oggi regionale) e successivamente all’assegnazione a categoria  è possibile alienare o mutare la destinazione delle terre civiche (art. 12 della legge n. 1766/1927): la carenza di autorizzazione comporta la radicale ed insanabile nullità degli atti di disposizione dei terreni[16].      

 

La legittimazione.       Altra competenza importante per il tessuto economico-sociale agro-pastorale è quella inerente la legittimazione (artt. 9-10 della legge n. 1766/1927) delle occupazioni abusive di terre civiche sempre che concorrano unitamente le seguenti condizioni:

“a)  che l’occupatore vi abbia apportato sostanziali e permanenti migliorie;

che la zona occupata non interrompa la continuità dei terreni;

che l’occupazione duri da almeno dieci anni.”

La legittimazione viene oggi concessa dal Commissario per gli usi civici con la forma del decreto ministeriale dietro richiesta dell’occupante (in genere un piccolo coltivatore diretto) dietro corresponsione di un canone di natura enfiteutica in favore del comune o dell’associazione di titolari di diritti di uso civico (art. 10 della legge n. 1766/1927).      In caso di diniego, i terreni sono retrocessi di diritto ai demani civici (artt. 9 della legge n. 1766/1927 e 33 del regio decreto n. 332/1928).      Si tratta, comunque, di istituto operante esclusivamente per i fondi agricoli in attualità di coltivazione[17].

 

Le disposizioni regionali.    Tali compiti, in pratica, furono quelli sui quali si concentrò l’attività del Commissario per gli usi civici in Sardegna.      Non essendovi, infatti, in pratica promiscuità o usi civici su beni privati da liquidare, l’attività commissariale ha riguardato l’accertamento degli usi civici sui terreni comunali, sia con riguardo ai terreni ex ademprivili che alle terre di antico possesso, nonché l’assegnazione a categoria, prevalentemente operata in favore della categoria “A” (boschi e pascoli) per la loro morfologia.                    La legge regionale 14 marzo 1994, n. 12 ha dato corpo, come sopra detto, alla competenza primaria statutaria in materia di usi civici, disciplinandola ed innovandone alcuni istituti.              In primo luogo vengono confermate le caratteristiche dei diritti di uso civico.      Essi sono inalienabili (art. 12 della legge n. 1766/1927), inusucapibili ed imprescrittibili (artt. 2 e 9 della legge n. 1766/1927)[18]: “intesi come i diritti delle collettività sarde ad utilizzare beni immobili comunali e privati, rispettando i valori ambientali e le risorse naturali, appartengono ai cittadini residenti nel Comune nella cui circoscrizione sono ubicati gli immobili soggetti all’uso” (art. 2 legge regionale n. 12/1994).                 Ogni atto di disposizione che comporti ablazione o che comunque incida su diritti di uso civico può essere adottato dalla pubblica amministrazione competente soltanto verso corrispettivo di un indennizzo da corrispondere alla collettività titolare del diritto medesimo e destinato ad opere permanenti di interesse pubblico generale (art. 3 della legge regionale n. 12/1994).

Le funzioni amministrative di competenza regionale in materia di usi civici sono esercitate dall’Assessorato dell’agricoltura e riforma agro-pastorale attraverso lo specifico Ufficio regionale per gli usi civici (art. 4 della legge regionale n. 12/1994).

Compito fondamentale è quello dell’accertamento delle aree gravate da usi civici: l’Assessorato regionale competente, sentiti i comuni interessati e con l’eventuale ausilio di esperti in materia di usi civici, di scienze agrarie e forestali e di urbanistica, provvede con decreto ad accertare la sussistenza e la tipologia degli usi civici nei territori dei comuni per i quali non esistano i formali provvedimenti di accertamento, che hanno, comunque, efficacia dichiarativa e non costitutiva.             I decreti di accertamento sono poi trasmessi ai comuni interessati ai fini della pubblicazione per trenta giorni presso l’albo pretorio per consentire la presentazione di ricorsi in opposizione sui quali si pronuncia l’Assessorato regionale competente (entro trenta giorni dalla ricezione) con provvedimento definitivo.                Il decreto contenente l’elenco completo dei terreni ad uso civico su base comunale viene successivamente pubblicato sul B.U.R.A.S. (art. 5 della legge regionale n. 12/1994).              L’Assessorato regionale competente provvede, inoltre, a formare l’inventario regionale delle terre civiche libere da occupazioni su base comunale (e con l’indicazione delle eventuali frazioni titolari), mentre costituisce particolari elenchi delle terre civiche abusivamente occupate o possedute con titolo illegittimo.    L’inventario deve essere periodicamente aggiornato e deve contenere gli estremi di identificazione dei terreni; ha natura ricognitiva, quindi eventuali omissioni non incidono sui diritti delle popolazioni.    Anche in questo caso può essere richiesto l’ausilio di esperti in materia di usi civici, di scienze agrarie e forestali ed urbanistica (art. 6 della legge regionale n. 12/1994).                   L’inventario, approvato con decreto assessoriale, costituisce il documento ufficiale per la programmazione degli interventi di utilizzazione, recupero e valorizzazione dei demani civici (art. 7 della legge regionale n. 12/1994).         

 

Piano di valorizzazione e recupero delle terre civiche.          Strumento ora indispensabile per la gestione dei demani civici è il piano di valorizzazione e recupero delle terre civiche, elaborato da comuni singoli o consorziati (avvalendosi eventualmente della collaborazione tecnico-finanziaria delle province o della Regione): il piano deve rispondere ai fini di pubblico interesse (tutela del territorio e sviluppo economico-sociale delle comunità interessate), non deve compromettere l’esistenza degli usi civici né pregiudicare gli aventi diritto.     Esso può prevedere per i terreni una diversa destinazione rispetto a quella tradizionale quando vi sia “per la collettività interessata un reale notevole vantaggio”: a questo fine possono essere effettuate concessioni a soggetti pubblici o privati (art. 8 della legge regionale n. 12/1994).            Il piano di valorizzazione e recupero delle terre civiche è adottato, con deliberazione, dal consiglio comunale: successivamente, su proposta dell’Assessorato regionale competente e deliberazione della Giunta regionale, è approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale (art. 9 della legge regionale n. 12/1994).              Deve, poi, essere pubblicato mediante affissione negli albi pretori dei comuni interessati per la durata di trenta giorni al fine di consentire ricorsi in opposizione, dandone notizia alle collettività interessate con adeguati mezzi di pubblicità, decorso il detto termine senza che siano stati inoltrati ricorsi, il decreto viene pubblicato sul B.U.R.A.S., in caso contrario la pubblicazione avverrà alla definizione con provvedimento definitivo dei mezzi di impugnativa (art. 10 della legge regionale n. 12/1994).                 

 

Regolamento di gestione delle terre civiche.         La gestione dei demani civici è attribuita ai comuni o alle frazioni nel cui territorio sono situati (art. 11 della legge regionale n. 12/1994) sulla base di un regolamento comunale da adottare (o da adeguare, se già esistente) entro un anno dall’entrata in vigore della legge, previo parere dell’Assessorato regionale competente, cioè entro il termine (da presumersi ordinatorio) del 31 marzo 1995 (art. 12 della legge regionale n. 12/1994).           Il regolamento deve disciplinare (art. 13 della legge regionale n. 12/1994):

-  esercizio, contenuto e limiti delle forme tradizionali dell’uso civico, modalità di concessione ed eventuali corrispettivi;

-  forme, contenuto e limiti di utilizzo non tradizionali dell’uso civico, modalità di concessione e corrispettivi, modalità di eventuali partecipazioni del comune;

-  impegni di spesa connessi con la gestione delle terre civiche con indicazione delle fonti di entrata, comprese le misure di eventuale integrazione (mediante corrispettivo) al fine di coprire le uscite fiscali (art. 46 del regio decreto n. 332/1928);

-  modalità di contestazione delle infrazioni ed irrogazione delle sanzioni amministrative, modalità di risarcimento dei danni e relative garanzie;

-  eventuale indicazione delle modalità di raccolta consuetudinaria di erbe, animali (es. lumache) e frutti spontanei (es. funghi) qualora ne sia ravvisata l’opportunità e non sia materia già regolata da legge.

Per le violazioni delle disposizioni del regolamento comunale e dei disciplinari di concessione delle terre civiche si applicano sanzioni amministrative dal modesto importo compreso fra lire 200.000 e lire 600.000 (art. 14 della legge regionale n. 12/1994).                       

 

Atti gestionali e di disposizione.         Le aree ad uso civico possono essere destinate ad utilizzazioni diverse da quelle ordinarie soltanto quando ne derivi “un reale beneficio per la generalità dei cittadini titolari del diritto di uso civico”: i relativi atti di disposizione (mutamenti di destinazione, concessioni in affitto, alienazioni, permute) devono, quindi, essere autorizzati preventivamente a pena di nullità dall’Assessorato regionale competente con specifico decreto, previa deliberazione della Giunta regionale (art. 15 della legge regionale n. 12/1994).                 Con deliberazione del consiglio comunale a maggioranza assoluta il comune può stabilire che l’esercizio del diritto di uso civico sia riservato a talune categorie di soggetti titolari (es. coltivatori diretti) con apposite concessioni, che devono essere autorizzate dall’Assessorato regionale competente.    Tale riserva d’uso deve prevedere compensazioni per il mancato esercizio del diritto, non può eccedere la durata decennale (ma può essere rinnovata con le medesime modalità) e decade con il venir meno dei presupposti che l’avevano determinata (art. 16 della legge regionale n. 12/1994).               Il mutamento di destinazione  delle terre civiche è consentito anche se comporta la sospensione dell’esercizio del diritto di uso civico e prescindendo dal contenuto dell’uso civico e dalla diversa utilizzazione che si propone: in ogni caso non può essere pregiudicata l’appartenenza del terreno al demanio civico o la reviviscenza della precedente destinazione al cessare della finalità per la quale è stato autorizzato il mutamento di destinazione.       La domanda per l’autorizzazione al detto mutamento di destinazione e correlativa sospensione dell’esercizio dell’uso civico è presentata dal comune previa deliberazione del consiglio comunale a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti ed è autorizzata con decreto dell’Assessore regionale competente dopo accertamento della rispondenza a pubblico interesse (es. forestazione naturalistica o produttiva) dell’iniziativa per cui è richiesto il mutamento. (art. 17 della legge regionale n. 12/1994).          Tali modalità procedurali sono richieste anche in caso di permuta o alienazione di terreni ad uso civico.        L’autorizzazione alla permuta viene consentita previo accertamento del valore dei terreni oggetto della medesima operazione, mentre gli usi civici vengono trasferiti sui terreni di nuova acquisizione.     L’autorizzazione all’alienazione di terre civiche è concessa, invece, nei casi in cui è impossibile raggiungere i fini prefissati con l’operazione mediante il mutamento di destinazione: il corrispettivo deve corrispondere al valore venale del bene ed è determinato dall’Ufficio tecnico erariale tenendo conto delle eventuali favorevoli prospettive di incremento per urbanizzazione o utilizzo turistico.        Le finalità sottostanti all’operazione di alienazione devono essere realizzate entro un termine stabilito, altrimenti, sono retrocesse di diritto all’alienante a cui è riservato il diritto di prelazione in caso di alienazione del terreno civico nei successivi due anni: tali clausole sono inserite nel contratto di compravendita anche ai fini della trascrizione nei pubblici registri immobiliari.        I terreni retrocessi  o riacquisiti dal comune in forza della prelazione tornano al regime di uso civico (art. 18 della legge regionale n. 12/1994).      I decreti assessoriali che autorizzano le precedenti operazioni sono pubblicati per quindici giorni agli albi pretori dei comuni interessati e sul B.U.R.A.S. per consentire eventuali ricorsi in opposizione e, espletata la relativa procedura, in via definitiva sul B.U.R.A.S., mentre, naturalmente, permangono gli ulteriori mezzi di impugnazione secondo le normative vigenti (art. 19 della legge regionale n. 12/1994 come modificato dall’art. 4 della legge regionale n. 18/1996).                I compiti di vigilanza sono ripartiti fra il Comune e l’Assessorato regionale competente (artt. 20 e 21 della legge regionale n. 12/1994): i comuni sono tenuti a vigilare sul rispetto delle prescrizioni poste dal regolamento comunale e dagli atti concessòri (l’inosservanza può dar luogo a provvedimento di interdizione dell’esercizio del diritto di uso civico ovvero a revoca della concessione), nonché dal quadro normativo generale.                  L’Assessorato regionale competente provvede, d’ufficio o su segnalazione, all’attività di vigilanza sull’osservanza da parte dei comuni, dei concessionari e dei cittadini delle disposizioni poste dalla legge, dai piani di valorizzazione e dai provvedimenti di autorizzazione o di disposizione riguardanti i demani civici: in caso di accertate violazioni, adotta gli opportuni provvedimenti amministrativi e propone alla Giunta regionale l’esperimento delle conseguenti azioni giurisdizionali.                     

Di fondamentale importanza è la previsione di cui all’art. 22 della legge regionale n. 12/1994: entro un anno dall’entrata in vigore della legge i comuni devono promuovere le necessarie azioni finalizzate al recupero dei terreni ad uso civico già oggetto di provvedimento di dichiarazione abusivamente occupati o illegittimamente detenuti.            Qualora essi non adempiano, provvede la Giunta regionale su proposta dell’Assessorato competente mediante nomina di un commissario ad acta.                

 

La “sclassificazione” dal regime demaniale civico.            Successivamente, al termine di una lunga stagione di dibattiti, anche molto accesi, iniziative legali e di sensibilizzazione, è stato affrontato dal Legislatore regionale lo spinoso problema delle vendite di terreni ad uso civico operate illegittimamente da diversi comuni sardi ad operatori economici privati nel corso degli ultimi decenni, in particolare lungo le coste del Sàrrabus[19].          Con la legge regionale 4 aprile 1996, n. 18 è stata integrata la citata legge regionale n. 12/1994 dettando, in particolare, norme per la “sclassificazione” di terreni dai demani civici.           

L’art. 1 (che inserisce un art. 18 bis nella legge regionale n. 12/1994) dispone che possano essere oggetto di “sclassificazione” dai demani civici i terreni che:

“a)  abbiano irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi;

b)  siano stati alienati, prima dell’entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, n. 431, da parte dei comuni mediante atti posti in essere senza il rispetto della normativa di cui alla legge 16 giugno 1927, n. 1766;

 non siano stati utilizzati in difformità alla programmazione urbanistica.”

La “sclassificazione” è dichiarata, previo accertamento della sussistenza delle predette condizioni e su richiesta del comune interessato (con deliberazione di consiglio comunale a maggioranza di due terzi dei componenti ed eventuale parere obbligatorio dell’amministrazione separata frazionale), dall’Assessorato regionale competente su conforme deliberazione della Giunta regionale.             La suddetta deliberazione del consiglio comunale è depositata per quindici giorni presso la segreteria comunale con contestuale avviso al pubblico nell’albo pretorio, affissione di manifesti e pubblicazione su almeno un quotidiano regionale.              Nei successivi trenta giorni chiunque può formularvi osservazioni che, con successiva deliberazione, il consiglio comunale dovrà esaminare motivatamente per procedere all’adozione definitiva della richiesta di “sclassificazione” (sempre con la maggioranza di due terzi dei componenti).         Il decreto assessoriale di “sclassificazione” sarà, poi, pubblicato per quindici giorni all’albo pretorio del comune interessato per consentire eventuali ricorsi in opposizione ed, infine, sul B.U.R.A.S. dopo definizione             Le richieste di “sclassificazione” di terreni dai demani civici possono essere inoltrate dai comuni interessati entro un anno dall’entrata in vigore della legge, cioè entro il 12 aprile 1997 (art. 2 della legge regionale n. 18/1996).        L’art. 2 della legge regionale n. 18/1996 (che inserisce un art. 18 ter nella legge regionale n. 12/1994) prevede la facoltà per i comuni, quando comporti un reale beneficio per la collettività locale, di chiedere il trasferimento dei diritti di uso civico dai terreni oggetto di “sclassificazione” su altri terreni di proprietà comunale idonei all’esercizio dei diritti di uso civico agrario, boschivo o pascolativo: la conclusione favorevole del procedimento è sancita con decreto assessoriale.        In tale caso deve essere seguita la procedura precedentemente descritta propria della “sclassificazione”.   Ulteriore integrazione della legge regionale n. 12/1994 si è avuta con l’art. 6, comma 29°, della legge regionale 24 aprile 2001, n. 6 (finanziaria 2001) che consente alle amministrazioni comunali, anche in assenza del piano di valorizzazione e recupero delle terre civiche, di richiedere il mutamento di destinazione di terreni ad uso civico per sole destinazioni pubbliche di recupero ambientale e di forestazione.    Dando corpo a diverse istanze provenienti da amministrazioni comunali, l’art. 19 della legge regionale 29 aprile 2003, n. 3 ha riaperto i termini per la richiesta di “sclassificazione” di terreni dai demani civici per un periodo di due anni decorrenti dall’entrata in vigore della legge medesima o dall’accertamento formale della sussistenza di diritti di uso civico ovvero dall’inventario generale delle terre pubbliche.           Le ipotesi che consentono la richiesta di “sclassificazione” ora prevedono anche l’avvenuta realizzazione da parte dei Comuni di opere permanenti di interesse pubblico (comma 2°).                       E’, infine, stato reso possibile (comma 3°) anche il trasferimento dei diritti di uso civico, quando comporti un reale beneficio per i cittadini, su altri terreni di proprietà comunale.

Aree naturali protette e demani civici.            Anche la normativa sulle aree naturali protette si è occupata dei diritti di uso civico, accentuandone la nuova vocazione della tutela ambientale (vds. sent. Corte cost. n. 366/1992): la legge quadro nazionale 6 dicembre 1991, n. 394 dispone (art. 11, comma 5°) che restino “salvi i diritti reali e gli usi civici delle collettività locali secondo le consuetudini locali”, mentre prescrive la liquidazione, ad opera del competente Commissario per gli usi civici su istanza dell’ente di gestione dell’area protetta, di eventuali diritti esclusivi di caccia o altri usi civici relativi a prelievi faunistici.          Infatti, il divieto di caccia costituisce uno degli elementi fondamentali di un’area naturale protetta[20].      Anche l’art. 14, comma 4°, della legge regionale 7 giugno 1989, n. 31 (legge quadro regionale sulle aree naturali protette) dispone la conferma per “gli usi civici e i diritti reali delle collettività locali” nei territori ove siano istituiti parchi e riserve naturali, nonché monumenti naturali.    Un’ulteriore disposizione normativa interessante i diritti di uso civico è stata posta con l’art. 12, commi 2° e 3°, della legge 31 gennaio 1994, n. 97.      Essa prevede che, nei comuni montani, i decreti di espropriazione per opere pubbliche o di pubblica utilità muniti (se necessario) di nullaosta paesaggistico e di autorizzazione del Ministero dell’Ambiente determinano l’estinzione dei diritti di uso civico eventualmente gravanti sui terreni espropriati.        Il diritto a compensi spettanti ai titolari del diritto di uso civico viene determinato dal competente Commissario per gli usi civici e fatto valere sull’indennità di espropriazione.         In merito è intervenuta la Corte costituzionale affermando l’illegittimità della disposizione qualora non preveda l’acquisizione del parere della regione interessata in relazione alla cessazione dei diritti di uso civico esistenti sui beni espropriandi quando il decreto di esproprio promani da un’amministrazione pubblica statale ed in quanto preveda la determinazione del predetto compenso da parte del Commissario per gli usi civici anziché da parte della regione competente (Corte cost., sent. n. 156/1995).

             
 
 
 
 

7.   Recente attività amministrativa da parte della Regione autonoma della Sardegna ed attuale situazione dei demani civici. Prospettive.

 

Nel corso di questi ultimi anni i demani civici sono stati oggetto di ulteriori tentativi di “aggressione legislativa” per soddisfare istanze ben poco in linea con i pubblici interessi.    L’art. 27 (“disposizioni varie”) della legge regionale 11 maggio 2006, n. 4 aveva sostituito integralmente alcune disposizioni del vigente quadro normativo.   Testualmente:

13. Il comma 3 dell'articolo 5 della legge regionale 14 marzo 1994, n. 12, è così sostituito:

"3. Contro i decreti di accertamento è ammesso ricorso in opposizione. Il dirigente competente dell'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agropastorale annulla i decreti di accertamento relativi a quei terreni nei quali risulti inequivocabilmente non siano praticati o formalmente reclamati da oltre un ventennio gli usi civici.".

14.  Dopo il comma 5 dell'articolo 5 della legge regionale n. 12 del 1994 è aggiunto il seguente:

"5 bis. Non sono passibili di provvedimento definitivo di accertamento i terreni nei quali: i diritti delle collettività ad utilizzare i beni immobili non siano praticati o reclamati da oltre un ventennio, l'estinzione della pratica dell'uso civico sia avvenuta con violenza o clandestinità, l'uso civico su quei terreni abbia perso irreversibilmente la sua funzione economico-sociale da dimostrarsi tramite inequivocabili atti di disposizione.".

15.  La lettera b) del comma 1 dell'articolo 18 bis della legge regionale n. 12 del 1994 è sostituita dalla seguente:

"b) siano stati alienati prima della data di emanazione della determinazione di accertamento dei diritti di uso civico di cui all'articolo 5 della presente legge o siano stati utilizzati dai comuni per la costruzione di opere permanenti di interesse pubblico o, rilevata la finalità di interesse pubblico, per la realizzazione di piani di zona ai sensi della Legge 18 aprile 1962, n. 167 e della Legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modifiche e integrazioni, o di piani per gli insediamenti produttivi o di piani particolareggiati approvati o di piani per le zone F turistiche inserite nel PUC comunale".

La legge regionale n. 4/2006 riusciva, se possibile, a bissare ed ampliare la già pesante portata negativa delle disposizioni sulla “sclassificazione” dal regime demaniale civico introdotte dalla legge regionale n. 18/1996.     La nuova legge andava a prevedere norme veramente eversive dei demani civici: il dirigente del competente Servizio dell’Assessorato regionale dell’agricoltura può annullare i decreti di accertamento dei demani civici se i relativi diritti “non siano praticati o formalmente reclamati da oltre un ventennio” (art. 27, comma 13°), senza minimamente porsi il problema di quante centinaia di ettari siano occupati illegittimamente e, soprattutto nelle zone dell’interno, tutti stanno zitti – formalmente o meno – per paura di ritorsioni.    Il comma successivo appariva addirittura schizofrenico: “non sono passibili di provvedimento definitivo di accertamento i terreni nei quali: i diritti delle collettività ad utilizzare i beni immobili non siano praticati o reclamati da oltre un ventennio, l’estinzione della pratica dell’uso civico sia avvenuta con violenza o clandestinità”, l’uso civico su quei terreni abbia perso irreversibilmente la sua funzione sociale da dimostrarsi tramite inequivocabili atti di disposizione” (art. 27, comma 14°).   In sostanza veniva premiato chi aveva occupato illecitamente i demani civici soffocando i relativi diritti “con violenza o clandestinità”, incentivando l’occupazione abusiva delle terre collettive.       Infine, un’inguardabile “sanatoria” per le vendite (o svendite) illegittime perché non autorizzate di terreni ad uso civico intervenute prima dell’individuazione dei relativi demani civici o la realizzazione di opere pubbliche e di preminente interesse pubblico o – incredibile – l’inclusione in piani particolareggiati ed in zone “F – turistiche” dei piani urbanistici comunali (art. 27, comma 15°).      In seguito alle forti proteste provenienti da parte del mondo ecologista (Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico) e da parte di numerose Amministrazioni locali, venne approvata una disposizione correttiva (art. 36 della legge regionale 12 giugno 2006, n. 9).   Testualmente:

 

Art. 36 - Usi civici
1. I commi 13, 14 e 15 dell'articolo 27 della legge regionale 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), sono sostituiti dai seguenti:
"13. Il comma 3 dell'articolo 5 della legge regionale 14 marzo 1994, n. 12, è sostituito dal seguente:
"3. Contro i decreti di accertamento è ammesso ricorso in opposizione. Il dirigente competente dell'Assessorato regionale dell'agricoltura e riforma agro-pastorale annulla i decreti di accertamento relativi a quei terreni che siano stati utilizzati per la realizzazione di opere pubbliche, di PEEP e di PIP."
14. Dopo il comma 5 dell'articolo 5 della legge regionale n. 12 del 1994 è aggiunto il seguente:
"5 bis. Non sono passibili di provvedimento definitivo di accertamento i terreni che siano stati utilizzati per la realizzazione di opere pubbliche, di PEEP e di PIP."
15. La lettera b) del comma 1 dell'articolo 18 bis della legge regionale n. 12 del 1994 è sostituita dalla seguente:
"b) siano stati alienati prima dell'entrata in vigore della Legge 8 agosto 1985, n. 431, da parte dei comuni mediante atti posti in essere dai comuni stessi senza il rispetto della normativa di cui alla Legge 16 giugno 1927, n. 1766, o siano stati utilizzati dai comuni per la costruzione di opere permanenti di interesse pubblico o per la realizzazione di PEEP o di PIP;".

 

L’attività amministrativa della Regione autonoma della Sardegna ha avuto un contenuto impulso nel corso degli ultimi anni, in particolare sotto la spinta di un’indagine di controllo sulla relativa gestione (legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modifiche ed integrazioni) svolta dalla Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione autonoma della Sardegna.   La Corte dei conti isolana ha nettamente evidenziato, con le deliberazioni n. 6/2002 del 31 maggio 2002 e n. 9/2004 del 15 novembre 2004, una nutrita serie di carenze gestionali indicando alcune soluzioni per un’efficace gestione dell’importante materia[21].  Il Settore dell’Assessorato regionale dell’agricoltura preposto alla gestione delle competenze regionali in materia appare perennemente sotto dimensionato (pochi i funzionari ed i tecnici addetti), non risultano mai stati effettuati interventi di recupero di terreni abusivamente occupati[22], varie competenze (es. istruttorie sulle istanze comunali di disposizioni dei terreni rientranti nei demani civici, ecc.) sono state delegate agli Ispettorati provinciali dell’agricoltura, spesso privi di alcuna conoscenza della materia.     Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, sono stati emanati numerosi provvedimenti di accertamento dei diritti di uso civico in vari Comuni sardi[23] e sono stati approvati i relativi piani di valorizzazione delle terre civiche ed i regolamenti comunali.    Una realtà decisamente importante per la Sardegna (i terreni ad uso civico, inclusi o meno in provvedimenti di dichiarazione, assommano a più di 370.000 ettari, circa il 15 % del territorio regionale, spesso zone di rilevante interesse ambientale), ma tuttora non destinataria dell’adeguato interesse da parte dell’Amministrazione regionale e, conseguentemente, da parte dei singoli Comuni.   Senza contare che cattiva gestione o omissioni relative ai demani civici spesso ha comportato rilevanti problemi di ordine pubblico in vari centri dell’interno dell’Isola[24].

   

Attuale situazione dei demani civici.     In definitiva, è emersa, dall’attività di indagine di controllo sulla gestione svolta (2002-2004) dalla locale Sezione di controllo della Corte dei conti sopra citata, una realtà regionale dei demani civici di estrema importanza, che coinvolge tutte le quattro le “vecchie” province sarde e numerosi comuni, come di seguito sinteticamente riportato:

Ø      Provincia di Cagliari  Þ  circa 24.900 ettari di demani civici su una superficie provinciale di 679.828 ettari (3,66 %)[25] nei Comuni di Arbus, Armungia, Assemini, Barumini, Capoterra, Carbonia, Decimoputzu, Dolianova, Domusnovas, Fluminimaggiore, Genuri, Gesico, Gesturi, Gonnesa, Gonnosfanadiga, Guamaggiore, Guasila, Iglesias, Las Plassas, Mandas, Muravera, Musei, Narcao, Nuxis, Ortacesus, Pabillonis, Pula, Quartu Sant’Elena, Samassi, San Basilio, San Gavino Monreale, San Nicolò Gerrei, San Sperate, Santadi, San Vito, Sarroch, Selegas, Serramanna, Setzu, Siddi, Siliqua, Silius, Teulada, Tuili, Turri, Ussana, Uta, Villacidro, Villamassargia, Villanovafranca, Villaputzu;

Ø      Provincia di Nuoro  Þ  circa 105.000 ettari di demani civici su una superficie provinciale di 704.392 ettari (14,90 %) nei Comuni di Aritzo, Arzana, Baunei, Birori, Bitti, Bolotana, Bortigali, Bosa, Desulo, Dorgali, Dualchi, Flussio, Fonni, Galtellì, Genoni, Jerzu, Lanusei, Loceri, Loculi, Lula, Macomer, Magomadas, Modolo, Nurallao, Onifai, Orune, Osini, Posada, Sagama, Seui, Seulo, Silanus, Siniscola, Sorgono, Tertenia, Tiana, Tonara, Ulassai, Urzulei, Villagrande Strisaili, Villanovatulo;

Ø      Provincia di Oristano  Þ  circa 21.700 ettari di demani civici su una superficie provinciale di 262.595 ettari (8,26 %) nei Comuni di Ales, Ardauli, Baradili, Baressa, Bidonì, Cabras, Ghilarza, Marrubiu, Milis, Morgongiori, Narbolia, Nughedu Santa Vittoria, Oristano, Palmas Arborea, Pau, Riola Sardo, San Nicolò d’Arcidano, Santa Giusta, Scano di Montiferro, Siamanna, Siapiccia, Simaxis, Sini, Solarussa, Sorradile, Terralba, Uras, Usellus, Villaurbana, Zerfaliu;

Ø      Provincia di Sassari  Þ  circa 10.000 ettari di demani civici su una superficie provinciale di 751.991 ettari (1,32 %) nei Comuni di Aggius, Alghero, Anela, Ardara, Banari, Benetutti, Berchidda, Bonnannaro, Bono, Bonorva, Borutta, Bultei, Burgos, Calangianus, Cargeghe, Chiaramonti, Codrongianos, Esporlatu, Florinas, Ittiri, Laerru, La Maddalena, Martis, Muros, Nughedu San Nicolò, Nule, Osilo, Ossi, Ozieri, Padria, Pattada, Porto Torres, Pozzomaggiore, Putifigari, Santa Teresa di Gallura, Sassari, Sedini, Sennori, Siligo, Sorso, Tempio Pausania, Tissi, Torralba, Usini, Villanova Monteleone.

 

Allo stato i demani civici oggetto di specifici provvedimenti di accertamento commissariali o assessoriali si estendevano su circa 161.600 ettari su una superficie regionale di 2.398.806 ettari (6,73 %) in centossessantasette sui trecentoottantuno Comuni della Sardegna (43,83 %).    Tuttavia, secondo stime attendibili, devono essere oggetto di provvedimento dichiarativo almeno ulteriori 200.000 ettari circa: la percentuale di territorio regionale interessata da diritti di uso civico salirebbe, così, perlomeno al 15,07 %[26].

 
 

   estensione dei demani civici in rapporto al territorio

                        provinciale e regionale
 
provincia
superficie in ettari
usi civici in ettari
%
Cagliari
679.828
24.900
3,66
Nuoro
704.392
105.000
14,9
Oristano
262.595
21.700
8,26
Sassari
751.991
10.000
1,32
tot. Sardegna
2.398.806
161.600
6,73




 

usi civici in Sardegna – in ettari

superficie totale
usi civici accertati
usi civici da accertare
2.398.806
161.600
200.000




 




 

Nel corso del 2005 sono state portate a compimento dal competente Assessorato regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale (Servizio affari legali, controllo enti e usi civici) ulteriori operazioni di accertamento dei demani civici nei seguenti Comuni: Dorgali, Cuglieri, Carloforte, Buschi, Buddusò, Alà dei Sardi, Albagiara, Villaputzu, Villasimius, Villaspeciosa, Ossi, Oschiri, Quartucciu, Sadali, Paulilatino, Selargius, Sardara, Tortolì, Sant’Andrea Frius, Sanluri, Samugheo, Siamanna, Gairo, Portoscuso, Perdasdefogu, Villasalto, Monti, Musei, Nurri, Nurachi, Bauladu, Oliena, Oniferi, Girasole, Genico, Lula, Simaxis, Sindia, Solarussa.   Attualmente sono così almeno duecentosei su trecentottantuno i Comuni aventi demani civici in Sardegna (54,06 %), mentre recentissime stime si spingono ad indicare in addirittura nel 20 % del territorio regionale l’ammontare complessivo delle terre soggette ad uso civico (circa 480.000 ettari).

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FONTI NORMATIVE
 
 

normativa nazionale

 

-        legge 16/6/1927, n. 1766, normativa e riordino degli usi civici;

-        regio decreto 26/2/1928, n. 332, regolamento di esecuzione della legge sugli usi civici.

 
 

normativa regionale sarda

 

-        legge regionale 14/3/1994, n. 12, disposizioni in materia di usi civici;

-        legge regionale 18/4/1996, n. 18, norme in materia di “sclassificazione” di terreni dai demani civici;   

-                   legge regionale 29/4/2003, n. 3 (art. 19), disposizioni in materia di usi civici;

              -         legge regionale 11/5/2006, n. 4 (art. 27), disposizioni in materia di usi civici;

-                   legge regionale  12/6/2006, n. 9 (art. 36), disposizioni correttive in materia di usi civici.



[1]  La funzione della salvaguardia ambientale, insieme a quella tradizionale dell’esercizio dei diritti della collettività locali, è oggi aspetto fondamentale dei demani civici, come delineato chiaramente anche dalla giurisprudenza costituzionale: vds. sentenze nn. 345/1997 e 46/1995 ed ordinanze nn. 71/1999, 316/1998, 158/1998, 133/1993.    Vds. anche Cass. civ., S.U., 12 dicembre 1995, n. 12719; Cass. pen., Sez. III, 29 maggio 1992, n. 6537.

[2]  Vds. Enciclopedia del Diritto, voce “usi civici”, a cura di PETRONIO, pp. 930 e ss., 1992, e Codice dell’ambiente, voce “usi civici”, a cura di PROVENZALI, pp. 1383 e ss., 1999.

[3]   Vds. DE PAOLIS, Diritti di uso civico e ambiente, in Ambiente: consigli e pratica per l’impresa, IX, pp. 37 e ss., 1995.

[4]  Vds. ASTUTI, Aspetti e problemi del riordinamento degli  usi civici in Italia, in Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, II, pp. 1169 e ss., Napoli, 1984.

[5]   Vds. CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova, 1983; CERVATI, Aspetti della legislazione vigente circa usi civici e terre di uso civico, in Riv. trim. dir. pubbl., pp. 90 e ss., 1967.

[6]   Il Regnum Sardiniae et Corsicae venne creato da papa Bonifacio VIII il 4 aprile 1297 che lo diede, previa sottomissione feudale, al Re d’Aragona Giacomo II.    In realtà papa Bonifacio VIII non aveva alcun potere diretto sulla Sardegna e sulla Corsica, ma tale infeudazione si inquadrava nel sistema di alleanze papali in funzione da un lato di contenimento del potere dell’Imperatore del Sacro Romano Impero, dall’altro di favore nei confronti della casata degli Angioini, titolari della corona siciliana posta in pericolo proprio dai catalano-aragonesi.     I sovrani aragonesi, quindi, se volevano cingere anche sostanzialmente la corona sarda, dovevano conquistare l’Isola, operazione che durò quasi un secolo, dal 1323 al 1409.    La Corsica, di fatto, non venne mai conquistata.

[7]  Si tratta, in particolare, delle carte reali dell’1 ottobre 1768 e del 18 settembre 1799, del pregone (legge) del 2 agosto 1800 e del regio editto del 3 dicembre 1806.

[8]  Il Code Napoleon, matrice dei nuovi “codici civili” e del riconoscimento del pieno diritto di proprietà, è del 1806.

[9]   La Sardegna è stata l’ultima regione europea che ha visto l’abolizione del feudalesimo.

[10]   Diversi Stati pre-unitari (Granducato di Toscana, Repubblica Romana, Repubblica Cisalpina e poi Regno d’Italia) cercarono di liquidare i diritti di uso civico con numerosi atti normativi, altri, invece, cercarono di contemperare le varie esigenze tentando una razionalizzazione della materia (Regno delle Due Sicilie, Stato Pontificio, Regno Lombardo-Veneto).      Per una disamina delle legislazioni e delle vicende pre-unitarie vds. PETRONIO, Qualche spunto sulla questione demaniale in Italia prima della legge Zucconi, in Usi civici e proprietà collettive bel centenario della legge 26 giugno 1888 (Atti del convegno in onore di Giovanni Zucconi:1845-1894, Camerino, 16-18 giugno 1988), 1991; ACROSSO e RIZZI, Codice degli usi civici, Roma, 1956; PALERMO, Usi civici, in Noviss. dig. it., XX, pp. 213 e ss., 1975.

[11]   La cussorgia, anch’essa di origine feudale, non è un diritto di uso civico, non ha rilevanza pubblicistica, ma identifica una forma di godimento individuale ed esclusiva di un fondo chiuso avente titolo in un atto di natura concessoria.    L’istituto, pur essendo così risalente, interessa ancora ampie aree della Provincia di Cagliari (Comuni di Sìnnai, Maracalagonis e Burcei) per un’estensione di perlomeno 11.000 ettari.    In materia di cussorgia vds. ORNANO, Note in tema di cussorgie, in Riv. giur. sarda, I, pp. 138 e ss., 1993; CORONA, Cussorgie, in Studi economico-giuridici, Fac. Giurispr. Cagliari, LIII, pp. 71 e ss., 1990.  Analogamente non rientra fra gli usi civici il diritto di livello (o censo) determinato dall’accordo pattizio fra il proprietario terriero (detto livellante o concedente oppure direttario) ed il beneficiario (il livellario) ed avente ad oggetto il possesso ed il godimento del terreno verso il pagamento di un canone annuo, anche in natura, e migliorìe del fondo.  Il diritto di livello è ereditario, qualora il contratto (libellus, dal quale il nome dell’istituto) non sia stato risolto.  Pur essendo un relitto storico, rivela una realtà tuttora estesa nell’Iglesiente: ben 9.702 diritti di livello nei comuni di Iglesias, Carbonia, Tratalias, Teulada, Santadi, Giba, S. Anna Arresi, Piscinas e Masainas.   Tali diritti, di natura privatistica, in Sardegna sono sorti nel medioevo per impulso del Comune di Villa di Chiesa (oggi Iglesias) che così incentivava le ricerche minerarie e la coltivazione dei fondi, mantenendo tuttavia la proprietà dei terreni.

[12]   La convenzione per la concessione delle ferrovie sarde con relativo capitolato venne stipulata il 14 luglio 1862 fra i Ministri delle finanze, dei lavori pubblici, dell’agricoltura e dell’industria e commercio con Gaetano Semenza, rappresentante della Società inglese: la convenzione ed il capitolato vennero approvati con la legge 4 gennaio 1863, n. 1105.

[13]   Ancora nel 1868 e nel 1898 scoppiarono nel Nuorese vari tumulti al grido di “a su connottu !”, letteralmente “torniamo al conosciuto !”.    Larghi strati del ceto agro-pastorale, infatti, erano stati fortemente danneggiati dalla politica di privatizzazione delle terre pubbliche ad uso civico, per cui intendevano recuperare consuetudini e prassi un tempo riconosciute e vigenti.   Per le vicende della fine ‘800 e dei primi decenni del ‘900 vds. ACROSSO e RIZZI, op. cit., pp. 602 e ss.; BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna, Milano, pp. 61 e ss., 393 e ss., 1982; SOLMI, Ademprivia. Studi sulla proprietà fondiaria in Sardegna, in Studi storici sulla proprietà fondiaria nel Medio Evo, Roma, pp. 231 e ss., 1937.

[14]   Si tratta del regio decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751, del regio decreto-legge 28 agosto 1924, n. 1484 e del regio decreto-legge 16 maggio 1926, n. 895.

[15] Vds. in particolare sentt. Corte cost. n. 46/1995, n. 133/1993 e ord. Corte cost. n. 71/1999; sentt. Cass. civ., S.U., 12 dicembre 1995, n. 12719; Cass. civ., S.U., 28 dicembre 1994, n. 11225; Cass. civ., S.U., 9 novembre 1994, n. 9287; Cass. civ., S.U, 11 novembre 1992, n. 12151; Cass. civ., S.U., 24 aprile 1992, n. 4963; Cass. civ., Sez. II, 26 ottobre 1994, n. 8778.

[16]   Vds. Cass. civ., Sez. II, 22 novembre 1990, n. 11265; Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 1997, n. 318; Cons. Stato, Sez. II, 7 gennaio 1965, n. 1178; T.A.R. Puglia, Sez. Bari, 30 dicembre 1986, n. 1259.

[17]  Vds. ord. Corte cost. n. 391/1998; Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 1997, n. 318; Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 1983, n. 93; Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 1987, n. 291; Cass. civ., Sez. II, 27 settembre 1996, n. 8528; Cass. civ., Sez. III, 23 giugno 1993, n. 6940.         Un caso interessante si è verificato recentemente proprio in Sardegna ed ha visto il diniego da parte del Commissario per gli usi civici della richiesta di legittimazione delle vendite illegittime di ampi terreni ad uso civico sulla costa di Muravera (ove poi erano stati edificati, quindi abusivamente, complessi immobiliari) inoltrata dallo stesso Comune di Muravera e da parte di diversi privati acquirenti a non domino con l’intervento ad opponendum delle associazioni ecologiste Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico: si tratta dell’ordinanza commissariale n. 523 del 6 marzo 1996.

[18]  Vds. Cass. civ., 19 ottobre 1967, n. 2553.

[19]  I casi più eclatanti si sono verificati nelle aree costiere dei Comuni di Muravera e Gonnesa (CA), Narbolìa e Cabras (OR).    Per un’esauriente ricostruzione della vicenda vds. sent. Comm. usi civici Sardegna, 12 gennaio 1998, n. 118.    Le sentenze Corte cost. n. 511/1991 e n. 221/1992 hanno riconosciuto la legittimità costituzionale di provvedimenti legislativi regionali concernenti “sclassificazioni” (rectius “sdemanializzazioni”) di terreni dai demani civici quando, in virtù delle più disparate vicende, abbiano di fatto perso irrevocabilmente le loro caratteristiche e ne consegua un reale beneficio per la collettività interessata.

[20]  Divieto stabilito dagli artt. 11, comma 3°, lett. a, e 22, comma 6°, della legge n. 394/1991 e 21, comma 1°, lett. b, e 30, comma 1°, lett. d, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nonché dall’art. 61, comma 1°, lett. c, della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23.    Vds. anche sentt. Corte cost. nn. 20/2000, 389/1999, 35/1995, 366/1992, 1002/1988, 223/1984.    Per un contributo in materia di rapporti fra usi civici e parchi naturali vds. DELIPERI, Diritti di uso civico e parchi naturali: una convivenza possibile ed auspicabile, in Riv. giur. ambiente, Milano, pp. 811 e ss., 2000, nota di commento all’ordinanza del Commissario per gli usi civici della Sardegna n. 2 del 24 gennaio 2000 relativa alla conferma della sussistenza dei diritti di uso civico successivamente all’istituzione del parco nazionale del Gennargentu – Golfo di Orosei (D.P.R. 30 marzo 1998).

[22]   Ha rivelato migliori prospettive l’attività intrapresa dal Commissario per gli usi civici in accordo con il citato Ufficio regionale.    Sono state distinte, in pratica, due ipotesi: quella in cui l’occupatore non contesti la natura demaniale del fondo, in quanto detentore in base ad un titolo compatibile con tale natura ovvero sine titulo ma comunque senza contestazione della natura demaniale del fondo medesimo, e quella in cui l’occupatore contesti la natura demaniale del terreno, ritenendolo di sua proprietà ovvero ritenendo di poter vantare un titolo incompatibile con la natura demaniale.   Nel primo caso è stato richiesto ai comuni di provvedere direttamente al recupero dei terreni in via amministrativa, nel secondo caso, invece, essendo in discussione la medesima esistenza, natura o estensione dei diritti di uso civico, il recupero avverrà in via giudiziale, in quanto competenza giurisdizionale esclusiva del Commissario per gli usi civici ai sensi dell’art. 29, comma 2°, della legge n. 1766/1927 (vds. sentt. Corte cost. nn. 46/1995 e 133/1993, ord. Corte cost. n. 71/1999; Cass. civ., S. U., 12 dicembre 1995, n. 12719; Cass. civ., S. U., 28 dicembre 1994, n. 12225; Cass. civ., S. U., 9 novembre 1994, n. 9827; Cass. civ., S. U., 11 novembre 1992, n. 12151; Cass. civ., S. U., 24 aprile 1992, n. 4963; Cass. civ., Sez. II, 26 ottobre 1994, n. 8778).  E’ stato, quindi, avviato d’ufficio il recupero in via giurisdizionale di terreni appartenenti ai demani civici e detenuti abusivamente nelle circoscrizioni comunali di Villaputzu, Macomer, Narbolia, Villamassargia, Dorgali, Urzulei, Quartu S. Elena, Porto Torres, Villanova Monteleone, Carbonia, Iglesias, Ortacesus, Florinas, Usini, Sedini, Martis, Bortigali, Villagrande Strisaili, Onifai, Muravera e Baunei.          Tuttavia, i periodi non brevi ed infrequenti di mancanza del titolare dell’ufficio commissariale ha comportato forti riflessi negativi sulla relativa attività giurisdizionale di recupero dei terreni appartenenti ai demani civici abusivamente occupati.

[23]  La relativa attività, oltre i servizi di consulenza ed assistenza tecnico-amministrativa, riguarda un ampio complesso di operazioni finalizzate all’accertamento ed alla compilazione dell’inventario dei demani civici: le verifiche riguardano una molteplicità di archivi (Archivio di Stato, vecchio e nuovo catasto, archivi comunali, ecc.), i dati raccolti, di natura tecnica, amministrativa e storico-giuridica, devono essere interpretati, “bonificati”, uniformati, informatizzati e resi in forma grafica) viene svolta da Società esterne in base a specifici appalti di servizi.

[24]  “Riveste particolare interesse in merito alle problematiche delle occupazioni sine titulo dei demani civici la situazione che si vive da ormai numerosi anni a Lula (NU), centro barbaricino giunto anche alla ribalta nazionale ed internazionale a causa della vacanza amministrativa che si protrae dal lontano 1992, quando l’ultima amministrazione comunale regolarmente eletta fu costretta alle dimissioni da una serie di attentati.          Da allora le consultazioni elettorali amministrative non si sono più svolte a causa della mancanza di candidati ovvero non hanno visto raggiungere il quorum minimo degli elettori  partecipanti.    Dal 1992 il Comune di Lula è retto, quindi, da un commissario prefettizio.   La prossima consultazione elettorale è prevista per il 26 maggio 2002 e vede un solo candidato sindaco sostenuto da un’unica lista.      Da notizie acquisite dal Commissariato per gli usi civici per la Sardegna (che, a sua volta, si basano su accertamenti svolti dalle Forze di polizia) risulta evidente come la causa principale della grave situazione creatasi nel centro barbaricino sia determinata in particolare dal mancato recupero al demanio civico di centinaia di ettari di terreni ad uso civico occupati illegittimamente da alcune ben determinate persone: pur interessato formalmente dal Commissario per gli usi civici fin dal maggio 1997, l’Assessorato regionale all’agricoltura e riforma agro-pastorale non ha ritenuto opportuno provvedere in via sostitutiva al recupero dei suddetti terreni.   Nel medesimo anno veniva emanato il provvedimento di formale accertamento del demanio civico.       Soltanto nel luglio del 2000 il commissario prefettizio ha provveduto ad adottare provvedimenti per istituire un tariffario per il pascolo sulle terre civiche, con importi invero minimi (lire 3.000 annue per bovino, lire 2.000 annue per cavallo, lire 1.500 annue per vitello e per suino, lire 1.000 per asino, lire 500 per ovino e capra) per il periodo 1992-2000: si ignora, tuttavia, l’effettivo introito” (deliberazione Sez. controllo Corte dei conti per la Regione autonoma della Sardegna, 3331 maggio 2002, n. 6). 

[25]  Nella Provincia di Cagliari sono presenti anche circa 11.000 ettari di terreno interessati da diritti di cussorgia – vds. nota n. 12 – che farebbero salire al 5,28 % la percentuale di territorio provinciale interessata da diritti d’uso collettivi di qualsivoglia natura.

[26]  Comprese le aree gravate da diritti di cussorgia in Provincia di Cagliari la percentuale di territorio regionale interessata da diritti d’uso collettivi di qualsivoglia natura sale al 7,19 %, includendovi i soli terreni oggetto di provvedimento commissariale o assessoriale di dichiarazione, ed al 15,53 % considerando la stima delle aree ancora da dichiarare.