a cura di Antonella MASCIA
linee guida per meglio comprendere il collegamento esistente tra diritti dell’uomo, garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (la Convenzione) e ambiente
In questo spazio, dedicato alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), traccerò alcune linee guida per meglio comprendere il collegamento esistente tra diritti dell’uomo, garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (la Convenzione) e ambiente.
Innanzitutto è bene sottolineare che la Convenzione non prevede una protezione ambientale in senso proprio e non garantisce espressamente un diritto all’ambiente.
Nonostante ciò, la Convenzione offre in via indiretta un certo grado di protezione in materia ambientale, come è dimostrato dall’evoluzione giurisprudenziale della CEDU.
La giurisprudenza della CEDU ha individuato tematiche riguardanti l’ambiente suscettibili di ledere il diritto alla vita (articolo 2 della Convenzione), il diritto al rispetto della vita privata (articolo 8 della Convenzione), il diritto ad un processo equo e all’accesso a un tribunale (articolo 6 della Convenzione), il diritto di ricevere e di comunicare informazioni e idee (articolo 10 della Convenzione), il diritto ad un ricorso effettivo (articolo 13 della Convenzione) e il diritto al godimento pacifico dei propri beni (articolo 1 del Protocollo n. 1).
La giurisprudenza della CEDU ha dimostrato sempre più che i diritti dell’uomo e il diritto ambientale sono indissolubilmente connessi.
Passerò ora ad esaminare i principi elaborati dalla giurisprudenza della CEDU, facendo riferimento a casi specifici.
DIRITTO ALLA VITA E AMBIENTE
Il diritto alla vita è protetto dall’articolo 2 della Convenzione che testualmente dispone:
- Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.
- La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;
c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.
La CEDU, nella sentenza di Grande Camera Öneryildiz contro Turchia, del 30 novembre 2004 (ricorso n° 48939/999) (qui di seguito la “sentenza”) ha elaborato importanti principi.
In questo caso, la CEDU ha dichiarato che c’è stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione. Il caso di specie riguarda un’esplosione avvenuta in una discarica municipale dove trentanove persone, che avevano costruito illegalmente le loro abitazioni in prossimità, morirono. Tra queste, nove membri della famiglia del ricorrente. Nonostante una perizia tecnica avesse fatto presente il rischio di esplosione, l’autorità pubblica era rimasta inerte. La CEDU ha ritenuto che l’autorità era obbligata a prendere provvedimenti cautelari per proteggere le persone che vivevano attorno alla discarica, perché era a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo dell’esistenza di un rischio reale ed imminente. La CEDU ha inoltre rimproverato all’autorità di non aver adeguatamente informato gli abitanti dei rischi che correvano vivendo in prossimità della discarica. Anche il quadro normativo è stato giudicato insufficiente.
Le conclusioni a cui è pervenuta la CEDU in questa sentenza costituiscono la base dei principi enucleati qui di seguito e che riassumo brevemente.
a) L’articolo 2 della Convenzione non riguarda esclusivamente il caso di morte dovuto direttamente ad azioni di funzionari o agenti dello Stato, ma implica anche l’obbligo positivo per gli Stati di adottare tutte le misure necessarie per la protezione della vita delle persone che si trovino sotto la loro giurisdizione (paragrafo 71 della sentenza).
b) La CEDU ha ritenuto che l’obbligo positivo sussista in caso di attività pericolose come nel caso di sfruttamento di siti per lo stoccaggio dei rifiuti, sia che siano gestiti direttamente da autorità pubbliche che da imprese private (paragrafo 71 della sentenza). In generale, l’estensione degli obblighi dell’autorità pubblica dipende da fattori quali il grado di nocività delle attività pericolose e la capacità di prevedere il pericolo di vita (paragrafo 73 della sentenza).
c) In primis, la pubblica amministrazione è tenuta ad adottare le misure necessarie per impedire la violazione del diritto alla vita a causa dell’esercizio di attività pericolose. Ciò implica che la pubblica amministrazione ha il dovere di adottare un quadro legislativo e amministrativo che preveda (paragrafo 89 della sentenza):
- l’adozione di una normativa che preveda che la concessione di autorizzazioni, l’attuazione, lo sfruttamento, la sicurezza e il controllo riguardante tali attività pericolose, siano adottati tenendo presente il livello di rischio potenziale che potrebbe derivare alla vita umana (paragrafo 90 della sentenza);
- di porre un’attenzione particolare al diritto del pubblico ad essere informato su tali attività (paragrafo 90 della sentenza);
- predisporre delle procedure adeguate che permettano di identificare le mancanze sul piano tecnico nonché le colpe eventualmente addebitabili ai responsabili (paragrafo 90 della sentenza).
d) In secundis, quando la morte può essere stata causata in violazione del diritto alla vita, le autorità pubbliche competenti devono fornire una risposta adeguata. Devono assicurare che le garanzie legislative e amministrative siano correttamente applicate e che la lesione del diritto alla vita venga perseguita e sanzionata (paragrafo 91 della sentenza).
La risposta dello Stato include il dovere di aprire rapidamente un’indagine indipendente e imparziale. Tale inchiesta deve permettere di determinare le circostanze che hanno portato all’accadimento di un certo incidente e di identificare le mancanze del quadro normativo. Deve anche permettere di identificare i funzionari o gli organi statali coinvolti nell’accadimento delle circostanze in questione (paragrafo 94 della sentenza). Se la lesione al diritto alla vita non è stato un fatto intenzionale, può essere considerata adeguata una tutela garantita tramite procedure civili, amministrative o disciplinari (paragrafo 92 della sentenza).
La CEDU ha ritenuto tuttavia che l’articolo 2 può richiedere che le persone responsabili di aver messo in pericolo la vita umana siano sottoposte a procedimento penale qualora l’autorità pubblica abbia omesso di agire, nonostante fosse a conoscenza dell’esistenza di certi rischi suscettibili di comportare la morte (paragrafo 93 della sentenza).