Corte costituzionale n. 38 del 4 aprile 2025
Ambiente in genere.Stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale
È costituzionalmente illegittima la norma del decreto-legge numero 2 del 2023 (il cosiddetto “decreto Priolo”), che ha stabilito la competenza del Tribunale di Roma per gli appelli contro i provvedimenti del giudice che abbiano negato l’autorizzazione a proseguire l’attività di stabilimenti o impianti sequestrati di interessi strategico nazionale.
SENTENZA N. 38
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 6 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione undicesima penale, sui ricorsi riuniti proposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e altri, con ordinanza del 5 novembre 2024, iscritta al n. 228 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti gli atti di costituzione di ISAB srl, Versalis spa, Sonatrach raffineria italiana srl, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2025 il Giudice relatore Francesco Viganò;
uditi gli avvocati Giovanni Grasso per ISAB srl, Giovanni Paolo Accinni e Stefano Grassi per Versalis spa, Teodora Marocco e Alessandro Gentiloni Silveri per Sonatrach raffineria italiana srl, e l’avvocato dello Stato Salvatore Faraci per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 27 febbraio 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 5 novembre 2024, il Tribunale ordinario di Roma, sezione undicesima penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, come inserito dall’art. 6 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17, denunciandone il contrasto con gli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione, «nella parte in cui […] prevede che siano impugnati dinnanzi a questo Tribunale – e non dinnanzi al Tribunale del capoluogo della provincia in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento oggetto di gravame, così come ordinariamente stabilito dall’art. 322-bis, comma 1-bis, c.p.p. – i provvedimenti con cui il giudice abbia escluso, revocato o negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività degli stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale oppure degli impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva sottoposti a sequestro preventivo nonostante, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, siano state adottate dal Governo “misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi”».
1.1.– Il rimettente espone:
– che il 12 maggio 2022 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Siracusa ha disposto, ai sensi dell’art. 321 del codice di procedura penale, il sequestro preventivo di un depuratore biologico consortile sito in Priolo Gargallo e gestito da Industria acqua siracusana (IAS) spa (e del 100 per cento delle quote di tale società), nell’ambito di un procedimento penale iscritto a carico di figure apicali di IAS spa e dei grandi utenti industriali del polo petrolchimico siracusano che convogliano nell’impianto di depurazione in questione i propri reflui industriali, tra cui le società ISAB srl, Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa (nonché a carico delle stesse società, ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300») e relativo a plurime ipotesi di reato, tra cui il delitto di disastro ambientale aggravato previsto dall’art. 452-quater del codice penale;
– che il 5 gennaio 2023 è stato emanato il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, il cui art. 6 ha inserito nell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. il comma 1-bis.1, ai termini del quale «[q]uando il sequestro [preventivo] ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario [...]. Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità. Le disposizioni di cui al primo […] e terzo periodo non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione. Il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso i provvedimenti emessi dal giudice ai sensi dei periodi precedenti, anche se negativi, sono trasmessi, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica»;
– che l’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, come convertito, ha altresì inserito nell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. il comma 1-bis.2, qui censurato, in forza del quale «[n]ei casi disciplinati dal comma 1-bis.1, il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma»;
– che il successivo d.P.C.m. 3 febbraio 2023, nel dichiarare di interesse strategico nazionale gli stabilimenti della società ISAB srl, ha riconosciuto l’impianto di depurazione consortile gestito da IAS spa sito in Priolo Gargallo (nonché un ulteriore impianto gestito da Priolo Servizi scpa e sito in Melilli) quale infrastruttura necessaria ad assicurarne la continuità produttiva, disponendo l’applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, come convertito, e demandando a un successivo decreto interministeriale la definizione delle misure di bilanciamento indicate nell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, norme att. cod. proc. pen.;
– che su questa base è stato adottato il decreto interministeriale 12 settembre 2023, con cui sono state definite le «misure attraverso le quali è realizzato, in relazione al complesso degli stabilimenti di proprietà della società ISAB S.r.l. […], il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione, e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente» (art. 1, comma 1) e le «misure di coordinamento in relazione agli interventi necessari per dare soluzione alle questioni ambientali inerenti gli impianti di depurazione consortile gestiti dalla […] I.A.S. S.p.A. […] sito in Priolo Gargallo e dalla Società Priolo Servizi S.C.p.A. sito in Melilli» (art. 1, comma 2);
– che, il 10 novembre 2023, l’amministratore giudiziario di IAS spa ha chiesto al GIP del Tribunale di Siracusa di indicare se, alla luce dell’entrata in vigore del d.interm. 12 settembre 2023, dovessero seguirsi le modalità di controllo e monitoraggio e rispettarsi i valori limite di emissione indicati in tale atto, oppure quelli prescritti dalla Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte III del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);
– che, investito di tale istanza, il GIP rimettente ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, norme att. cod. proc. pen. decise con la sentenza n. 105 del 2024, con cui questa Corte da un lato ha interpretato in modo costituzionalmente orientato l’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, precisando che le misure di bilanciamento debbono essere precedute da adeguata attività istruttoria e sorrette da una congrua motivazione, e che la loro effettiva osservanza deve essere adeguatamente verificata; e dall’altro ha dichiarato la disposizione censurata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevedeva che le misure in questione si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi;
– che in esito a tale sentenza il GIP, provvedendo sull’istanza dell’amministratore giudiziario, non ha autorizzato la prosecuzione dell’attività produttiva del depuratore condotto da IAS spa secondo le previsioni del d.interm. 12 settembre 2023, ritenendo «non ricorrenti le condizioni descritte dalla Corte costituzionale per ritenere operante una legittima procedura di bilanciamento degli interessi in gioco»;
– che tale decreto è stato impugnato, ai sensi dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, innanzi al Tribunale di Roma, odierno rimettente, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero delle imprese e del made in Italy, dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, nonché dai grandi utenti industriali del polo petrolchimico siracusano ISAB srl, Versalis spa, Sonatrach raffineria italiana srl e Sasol Italy spa;
– che, nel procedimento così radicatosi, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma hanno formulato eccezione di illegittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 25 e 77 Cost. – dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen., che individua come competente a conoscere dell’impugnazione avverso il provvedimento in questione il Tribunale di Roma.
Il rimettente, ritenuta la rilevanza delle questioni prospettate, giudica non manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale relativi agli artt. 3 e 25, primo comma, Cost.
1.2.– Il giudice a quo muove dal presupposto interpretativo che i provvedimenti relativi alla prosecuzione o meno dell’attività produttiva dell’impianto sequestrato fossero appellabili anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2. Quest’ultima disposizione avrebbe, pertanto, realizzato uno spostamento della competenza a conoscere dell’appello cautelare dal tribunale ordinariamente designato dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. (ossia il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato) al Tribunale di Roma.
Il rimettente richiama in proposito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui hanno natura amministrativa e non sono impugnabili i provvedimenti di gestione dei beni in sequestro, salvo che comportino una modifica del vincolo cautelare. Osserva quindi che, in presenza di un sequestro finalizzato a evitare l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato o la commissione di altri reati, la determinazione delle concrete modalità di gestione del bene sequestrato avrebbe «una oggettiva idoneità ad incidere sul vincolo reale, potendo depotenziarne e persino vanificarne l’efficacia in relazione al perseguimento delle finalità per le quali lo stesso è stato disposto» (sono richiamate Corte di cassazione, sezione terza penale, ordinanza 2 dicembre 2022-17 febbraio 2023, n. 6743 e sentenza 1° dicembre 2017-9 gennaio 2018, n. 261; sezione prima penale, sentenza 15 settembre-16 novembre 2015, n. 45562; sezione terza penale, sentenza 28 maggio-24 settembre 2014, n. 39181).
Rispetto in particolare al sequestro di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, la prosecuzione o meno dell’attività non potrebbe certo essere ritenuta una decisione di mera gestione dei beni sequestrati, avendo invece «incisive ricadute sulla stessa idoneità del sequestro a perseguire le finalità per cui è stato imposto»: la tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza dei lavoratori.
L’appellabilità dei provvedimenti sulla prosecuzione dell’attività produttiva sarebbe dunque già stata riconosciuta «dal vigente assetto normativo, nell’interpretazione che ne ha dato il diritto vivente» prima dell’introduzione dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, i cui tratti di novità risiederebbero solo nell’attribuzione della legittimazione a proporre appello anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, e nell’individuazione, quale giudice competente per il gravame, del Tribunale del riesame di Roma (in luogo del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento), allorché siano intervenute, ai sensi del quinto periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, le misure governative di bilanciamento.
1.3.– Il rimettente muove poi dall’ulteriore presupposto interpretativo, secondo cui l’appello cautelare delineato dal comma 1-bis.2 non potrebbe essere considerato come «un gravame a contenuto vincolato». In altre parole, il Tribunale di Roma non sarebbe tenuto in ogni caso ad annullare il provvedimento del GIP che neghi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva pur in presenza delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo; ma dovrebbe invece verificare che tali misure siano state adottate nel rispetto dei requisiti procedimentali delineati dalla sentenza n. 105 del 2024 di questa Corte.
Se così non fosse, non si spiegherebbe anzitutto perché i lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 6 del 2023 giustifichino la «centralizzazione» dei gravami di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.2, con l’esigenza di assicurare «uniformità di indirizzo» e «specializzazione» in una materia «complessa».
In base poi alla richiamata sentenza n. 105 del 2024, il principio per cui il giudice non può sostituire la propria autonoma valutazione in punto di bilanciamento degli interessi a quella compiuta dal Governo con l’adozione delle misure di cui al quinto periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, varrebbe nei soli limiti in cui la compressione delle prerogative dell’autorità giudiziaria, collegata all’adozione delle misure predette, abbia durata non superiore a trentasei mesi e avvenga «per effetto di prescrizioni adottate a valle di un procedimento che presenti le caratteristiche che la stessa Corte ha delineato». In difetto, le misure di bilanciamento non potrebbero «produrre la compressione costituzionalmente legittima del potere del Giudice di negare la prosecuzione dell’attività»; potere-dovere il cui corretto esercizio dovrebbe essere vagliato dal giudice dell’appello cautelare.
Tale conclusione sarebbe conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul controllo incidentale, da parte del giudice penale, della conformità del provvedimento amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore (sono citate Corte di cassazione, terza sezione penale, sentenze 29 febbraio-12 marzo 2024, n. 10247 e 17 maggio-22 giugno 2023, n. 27148).
1.4.– Tanto premesso, il giudice a quo ritiene che il censurato art. 104-bis, comma 1-bis.2, si ponga anzitutto in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost. Il particolare meccanismo di deroga alle ordinarie regole sulla competenza previsto dalla disposizione censurata – operante nelle ipotesi di procedimenti penali per reati commessi nell’ambito di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva – renderebbe non prevedibile, secondo un criterio generale fissato in anticipo, «quale sarà (se quello di Roma o quello del capoluogo della provincia in cui il reato è stato commesso) il Tribunale in concreto chiamato a pronunciarsi su determinate procedure incidentali di appello cautelare reale».
Lo spostamento di competenza verso il Tribunale di Roma sarebbe, infatti, ancorato alla scelta del Governo di adottare le misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo. Tale scelta potrebbe essere compiuta in qualsiasi momento del procedimento o del processo penale: dunque anche dopo che il giudice ordinariamente competente si sia pronunciato, in prima e in seconda istanza, sulla ricorrenza dei presupposti per l’adozione della misura cautelare e sulla prosecuzione dell’attività, eventualmente adottando le prescrizioni previste dal terzo periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, onde assicurare un bilanciamento tra gli interessi in gioco.
Lo spostamento di competenza dipenderebbe dunque da un atto discrezionale del Governo, sostanzialmente determinato dal maggiore o minore apprezzamento delle decisioni già adottate nella singola controversia dall’autorità giudiziaria territorialmente competente secondo le regole ordinarie. Più in particolare, potrebbe accadere che il giudice in primo grado abbia già dettato delle proprie prescrizioni funzionali alla prosecuzione dell’attività, ovvero che abbia negato tale autorizzazione, e che il tribunale territoriale abbia già vagliato tali provvedimenti in sede di appello cautelare ex art. 322-bis cod. proc. pen.; e che solo dopo avere preso contezza di tali decisioni il Governo si determini ad adottare misure di bilanciamento, che determinano lo spostamento della competenza di secondo grado in capo al Tribunale di Roma, limitatamente – peraltro – «alle sole ipotesi in cui il giudice locale abbia ritenuto di disattendere le misure governative e di escludere, revocare o negare l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di impresa».
Tale assetto si porrebbe in contrasto con l’art. 25, primo comma, Cost., il quale esige che «l’organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie» (è citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 1965); che lo spostamento di competenza da un giudice a un altro sia stabilito a priori, in base a criteri che razionalmente valutino gli interessi in gioco nel processo e siano sottratti a ogni apprezzamento discrezionale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 1 del 1965, n. 274 del 1974, n. 217 del 1993 e con l’ordinanza n. 508 del 1989); e che tale spostamento sia necessario per «assicurare il rispetto di altri principi costituzionali, come quello dell’indipendenza ed imparzialità, o […] dell’ordine e coerenza nella decisione di cause fra loro connesse» (è citata, ancora, la sentenza n. 1 del 1965).
Lo spostamento di competenza previsto dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2, non potrebbe essere ricondotto alla necessità di assicurare il rispetto dei principi di indipendenza e imparzialità, a meno di supporre che il provvedimento di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva emesso dal giudice territorialmente competente secondo le regole ordinarie possa essere «indebitamente condizionato dalla sua maggiore vicinanza geografica al locus commissi delicti»; nel qual caso, tuttavia, il medesimo problema si porrebbe ove l’appello cautelare riguardasse stabilimenti o impianti ubicati nella Provincia di Roma.
Né potrebbero evocarsi ragioni di «ordine e coerenza nella decisione di cause fra loro connesse», atteso che la disposizione censurata sortirebbe l’effetto opposto di frazionare la cognizione di una stessa vicenda giudiziaria tra «più giudici di pari grado» (il Tribunale di Roma e quello competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.), comportando il rischio di adozione di «provvedimenti tra loro contraddittori».
Non sarebbe infine pertinente il parallelismo – prospettato dalle difese degli appellanti – con l’art. 13 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), che prevede una deroga agli ordinari criteri di competenza territoriale, correlata all’ambito di efficacia territoriale del provvedimento amministrativo impugnato. In tale ipotesi, infatti, il tribunale amministrativo regionale competente sarebbe univocamente individuabile fin dall’emanazione dell’atto, laddove nel caso di specie lo spostamento della competenza territoriale potrebbe avvenire in qualsiasi fase del procedimento penale «in ragione di un’alternativa tra due giudici che è astrattamente prevista dalla legge, ma che risulta in concreto risolubile a posteriori» per effetto dell’adozione di misure di bilanciamento riferite a una specifica controversia già in corso; misure che potrebbero non essere conformi ai requisiti individuati nella sentenza n. 105 del 2024 di questa Corte e ciononostante determinare una deroga – a questo punto «di fatto arbitraria» – all’ordinaria competenza territoriale.
1.5.– Lo spostamento di competenza previsto dalla disposizione censurata sarebbe altresì intrinsecamente irragionevole e, dunque, contrario all’art. 3 Cost.
1.5.1.– Poiché tale spostamento riguarderebbe solo l’appello cautelare avverso il provvedimento del giudice procedente che inibisca la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti o impianti sequestrati, dopo l’adozione, da parte del Governo, delle misure di bilanciamento (e non, invece, l’appello cautelare contro la decisione che autorizzi la prosecuzione dell’attività medesima), il meccanismo delineato dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2, condurrebbe a «individuare competenze diverse per l’impugnazione di provvedimenti emessi dalla stessa autorità giudiziaria ed attinenti al medesimo thema decidendum per il solo fatto del diverso atteggiarsi del relativo dispositivo».
1.5.2.– Un simile concorso di competenze si verificherebbe anche nell’ipotesi in cui il giudice neghi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività (nonostante le misure di bilanciamento adottate dal Governo) in sede di esame di un’istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto. In questo caso, il provvedimento sarebbe impugnabile: per la parte in cui ha provveduto sull’istanza di revoca, modifica o rivalutazione, innanzi al tribunale ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.; per la parte in cui ha negato la prosecuzione dell’attività, innanzi al Tribunale di Roma.
Ciò comporterebbe, irragionevolmente, una «duplicazione di cognizione» e il rischio di adozione di provvedimenti contrastanti rispetto a temi «inevitabilmente connessi». Ad esempio, il tribunale ordinariamente competente potrebbe, in sede di appello cautelare, modificare il vincolo cautelare, con inevitabili riflessi sulla prosecuzione dell’attività produttiva, che però egli non potrebbe valutare; oppure ancora revocare il sequestro, così «“vanificando” – con irrazionalità nell’impiego delle già limitate risorse a servizio dell’attività giudiziaria» – l’attività processuale parallelamente svolta dal Tribunale di Roma in relazione all’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento sequestrato.
1.5.3.– Il sistema delineato dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2, produrrebbe effetti irrazionali anche ove presso il tribunale ordinariamente competente ai sensi dell’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. – cui è devoluta la cognizione delle impugnazioni avverso i provvedimenti del GIP che neghino l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva prima dell’adozione delle misure di bilanciamento – sia già pendente un procedimento avente tale oggetto nel momento in cui il Governo emani le predette misure. In questo caso, il GIP procedente potrebbe essere chiamato a esprimersi nuovamente, alla luce delle intervenute misure di bilanciamento, sull’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, e la relativa decisione di segno negativo sarebbe impugnabile innanzi al Tribunale di Roma, con il rischio dell’adozione di provvedimenti confliggenti.
1.5.4.– Il censurato art. 104-bis, comma 1-bis.2, produrrebbe dunque «un intreccio e persino una sovrapposizione di competenze» tra il tribunale ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. e il Tribunale di Roma. Ciò sarebbe foriero di «ricadute non coerenti» con l’obiettivo – asseritamente perseguito dal legislatore – di assicurare unitarietà di indirizzi applicativi e specializzazione del giudice competente a valutare la prosecuzione dell’attività produttiva nella materia de qua.
E invero tale obiettivo – comunque non agevole a realizzarsi, data la necessaria eterogeneità delle misure di bilanciamento, conformate alla specifica realtà produttiva di ciascuno stabilimento o impianto o infrastruttura oggetto di sequestro – non potrebbe essere perseguito mediante l’attribuzione al Tribunale di Roma della cognizione dell’appello cautelare sulle sole misure di diniego della prosecuzione dell’attività, poiché tale competenza concorrerebbe, comunque, con quella del tribunale individuato ai sensi dell’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen., cui spetterebbe la cognizione sui provvedimenti di autorizzazione alla prosecuzione dell’attività e su quelli relativi alle istanze di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro.
1.5.5.– Il meccanismo delineato dalla disposizione censurata, in definitiva, rischierebbe di condurre a decisioni contrastanti rispetto al medesimo thema decidendum; aggraverebbe ingiustificatamente il carico di lavoro del Tribunale di Roma; e disperderebbe il patrimonio conoscitivo del giudice ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. che si sia già pronunciato sulla prosecuzione dell’attività produttiva in sede di riesame o appello cautelare, così incidendo negativamente «sull’efficacia, effettività, incisività, tempestività dell’intervento giurisdizionale». Valori, questi, di rilievo costituzionale, il cui pregiudizio non concreterebbe un mero inconveniente pratico, assurgendo piuttosto a indice di irragionevolezza intrinseca della scelta operata dal legislatore, censurabile da parte di questa Corte al metro dell’art. 3 Cost.
L’irragionevolezza della scelta legislativa di attribuire al Tribunale di Roma la speciale competenza di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.2, risulterebbe, infine, ancora più marcata laddove si accedesse alla tesi prospettata dalle parti appellanti, secondo cui tale organo giurisdizionale avrebbe «un ruolo di fatto ‘notarile’», perché vincolato all’annullamento del provvedimento del GIP di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva dopo l’adozione delle misure di bilanciamento. Se così fosse, non si comprenderebbe il richiamo alla delicatezza e complessità della valutazione giudiziale, elevato dai lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 2 del 2023 a ragione giustificatrice per l’attribuzione della competenza sull’appello cautelare al Tribunale di Roma.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.
2.1.– L’inammissibilità deriverebbe anzitutto dall’erroneità della ricostruzione del quadro normativo di riferimento e dei presupposti interpretativi del rimettente.
2.1.1.– Errato sarebbe, anzitutto, il primo presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo.
I provvedimenti riguardanti la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti, impianti o infrastrutture sequestrati non sarebbero stati impugnabili prima dell’entrata in vigore del censurato art. 104-bis, comma 1-bis.2. La disposizione, dunque, non avrebbe realizzato alcuno “spostamento” di competenza, ma avrebbe introdotto una competenza del tutto nuova.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non potrebbero formare oggetto di appello cautelare, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., gli atti di natura sostanzialmente amministrativa, attinenti alle vicende e alla gestione ordinaria dei beni oggetto di sequestro (sono citate Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 18 dicembre 2014-6 maggio 2015, n. 18777, nonché le sentenze n. 45562 del 2015 e n. 39181 del 2014); e tale sarebbe il provvedimento di diniego alla prosecuzione dell’attività produttiva adottato dal GIP del Tribunale di Siracusa.
Le pronunce di legittimità citate in senso contrario dal giudice a quo sarebbero inconferenti (come l’ordinanza n. 6743 del 2023, relativa alla confisca e peraltro smentita da pronunce di segno contrario, tra cui: sezione sesta penale, sentenza 21-28 febbraio 2013, n. 9727; sezione quarta penale, sentenza 12 giugno-16 luglio 2007, n. 28123; sezione sesta penale, sentenza 15 gennaio-7 febbraio 2003, n. 6249), oppure non si discosterebbero – quanto alle sentenze n. 261 del 2018 e n. 45562 del 2015 – dall’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità circa l’appellabilità dei soli provvedimenti modificativi del vincolo cautelare.
2.1.2.– Errato sarebbe, altresì, il secondo presupposto interpretativo.
A fronte dell’adozione delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, non residuerebbe in capo al giudice alcuna discrezionalità in ordine all’autorizzazione o meno della prosecuzione dell’attività di stabilimenti dichiarati di interesse strategico nazionale, o di impianti o infrastrutture “serventi”, oggetto di sequestro, essendo egli tenuto, secondo la sentenza n. 105 del 2024, a rilasciare l’autorizzazione stessa.
Il giudice dell’appello cautelare ex art. 104-bis, comma 1-bis.2, lungi dallo svolgere un ruolo «meramente notarile», sarebbe chiamato a esercitare «una funzione di essenziale importanza, qual è quella di controllo della legittimità e della corretta applicazione, all’interno della cornice fissata dalla Corte costituzionale, di provvedimenti che sottendono la cura di interessi di fondamentale rilevanza per l’intera collettività nazionale».
2.1.3.– Le questioni sarebbero, infine, inammissibili perché basate su «una congerie di ipotesi processuali, meramente eventuali e future», essendo gli scenari di contrasto tra provvedimenti evocati dal rimettente estranei al giudizio a quo, oltre che concretamente non verificabili. La competenza del Tribunale di Roma riguarderebbe, infatti, solo l’appello cautelare avverso le decisioni del giudice procedente di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva, mentre per tutti gli altri aspetti relativi al sequestro e al procedimento penale in corso non sarebbe «ipotizzabile alcuna interferenza, da parte del Tribunale rimettente, sulle decisioni del Tribunale di Siracusa».
2.2.– Nel merito, le questioni sarebbero comunque manifestamente infondate.
2.2.1.– Richiamata diffusamente la giurisprudenza di questa Corte relativa all’art. 25, primo comma, Cost. (sono citate le sentenze n. 117 del 2012; n. 304 e n. 30 del 2011; n. 237 del 2007; n. 452 del 1997; n. 42 del 1996; n. 460 del 1994; n. 207 del 1987; n. 72 del 1976; n. 56 del 1967; n. 88 del 1962; e le ordinanze n. 417 e n. 112 del 2002; n. 257 del 1995), l’interveniente nega la sussistenza di un vulnus al principio del giudice naturale precostituito per legge.
Come riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 105 del 2024, il d.l. n. 2 del 2023 – il cui art. 6 ha introdotto nell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. i commi 1-bis.1 e 1-bis.2 – non costituirebbe una legge-provvedimento, ma avrebbe inteso regolare in via generale e astratta i «poteri di amministrazione spettanti al giudice del sequestro penale su stabilimenti (o parti di essi) dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del “decreto Ilva”, nonché sugli impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, con particolare riguardo al profilo cruciale dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività».
La competenza ad adottare i relativi provvedimenti «era, e rimane, in capo al (suo) giudice naturale (il Tribunale del riesame)» ed «è fissata con disciplina generale e astratta, e dunque applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi», sicché non sussisterebbe alcuna frizione con l’art. 25, primo comma, Cost. Né potrebbe ritenersi che la previsione d’una speciale competenza territoriale contravvenga al divieto d’istituzione di giudici straordinari o speciali (è richiamata la sentenza n. 227 del 1999).
La dichiarazione di interesse strategico nazionale ex art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito (cosiddetto “decreto Ilva”) non determinerebbe la competenza territoriale del Tribunale di Roma, ma costituirebbe semplicemente «il presupposto per l’operatività (successiva ed eventuale) di una norma codicistica attributiva di competenza che risulta già predisposta dal Legislatore ex ante, in termini generali ed astratti e nel pieno rispetto della riserva di Legge».
In definitiva, nessuna violazione dell’art. 25, primo comma, Cost. sarebbe ravvisabile, atteso che la garanzia della precostituzione del giudice è «circoscritta alle sole “regole” di individuazione del Giudice competente a decidere e non si estende “ai fatti”, presupposti che conducono all’applicazione di quei criteri».
2.2.2.– Insussistente sarebbe altresì la paventata violazione dell’art. 3 Cost., non essendo la disciplina censurata connotata da quella manifesta irragionevolezza che sola legittima il sindacato di questa Corte sulle scelte del legislatore in materia di conformazione degli istituti processuali, inclusa la fissazione dei criteri attributivi della competenza (sono richiamate le sentenze n. 117 del 2012, n. 52 del 2010, n. 237 del 2007 e n. 341 del 2006).
La relazione illustrativa e i dossier di accompagnamento della legge n. 17 del 2023 di conversione del d.l. n. 2 del 2023, espliciterebbero la ratio dell’attribuzione di competenza al Tribunale di Roma, evidenziando la «centralità [de]l bilanciamento tra i valori giuridici protetti dalle norme penali e l’interesse nazionale all’approvvigionamento dei beni e servizi prodotti dall’impresa oggetto di sequestro che riguardano tutto il territorio nazionale» e richiamando l’esigenza di «mantenere unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale, nonché maturare una specializzazione nella gestione di un profilo di intervento di certo delicato e complesso».
Non vi sarebbe dunque alcuna «contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata» (sentenze n. 195 e n. 125 del 2022, n. 6 del 2019, n. 86 del 2017, n. 245 del 2007 e n. 89 del 1996), poiché, in specie, sarebbero palesi «la razionalità dell’intervento normativo e la causa normativa che l’assiste».
3.– Si è costituita in giudizio ISAB srl, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate manifestamente infondate.
3.1.– Sarebbero anzitutto erronei i presupposti interpretativi da cui muove il giudice a quo.
3.1.1.– In primo luogo, le misure governative di bilanciamento non dovrebbero essere adottate con il medesimo tipo di istruttoria prevista per l’autorizzazione integrata ambientale (AIA). L’iter delineato dall’art. 104-bis, comma 1-bis.1, regolerebbe le fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 1 del “decreto Ilva”, nelle more dell’adozione del provvedimento ministeriale di riesame dell’AIA; sicché il procedimento preordinato all’adozione delle misure di bilanciamento sarebbe necessariamente diverso da quello previsto per il riesame dell’AIA dal d.lgs. n 152 del 2006.
3.1.2.– Né il giudice procedente, né quello dell’appello cautelare potrebbero esimersi dall’autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva, a fronte dell’adozione delle misure di bilanciamento, anche ove ritengano che queste ultime non siano state adottate nel rispetto dei requisiti procedimentali delineati dalla sentenza n. 105 del 2024 di questa Corte.
Tale sentenza avrebbe infatti chiarito come l’adozione delle misure di bilanciamento determini una compressione delle prerogative del giudice, tenuto ad autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva. A opinare diversamente, il giudice penale si arrogherebbe competenze proprie del giudice amministrativo, cui solo spetta di conoscere delle eventuali impugnazioni del provvedimento contenente tali misure.
3.2.– Nel merito, la questione relativa alla violazione dell’art. 25, primo comma, Cost. sarebbe manifestamente infondata.
L’individuazione del Tribunale di Roma come giudice competente a decidere sull’appello cautelare non discenderebbe dall’adozione delle misure di bilanciamento, né sarebbe rimessa a una scelta discrezionale del potere esecutivo, inserendosi piuttosto nel quadro della complessa e articolata disciplina prevista dai commi 1-bis.1 e 1-bis.2 dell’art. 104-bis, di cui la dichiarazione di interesse strategico nazionale costituirebbe mero presupposto. La designazione del giudice competente avverrebbe, dunque, a opera di una previsione di legge di carattere generale e astratto.
In base al tenore letterale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, che fa riferimento ai «casi disciplinati dal comma 1-bis.1», il radicamento della competenza a conoscere dell’appello cautelare presso il Tribunale di Roma abbraccerebbe sia l’ipotesi in cui il giudice procedente abbia negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva dopo l’adozione delle misure di bilanciamento di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1, sia il caso in cui egli abbia espresso tale diniego ai sensi del quarto periodo, ossia in assenza di misure di bilanciamento e in base a un giudizio di concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabili con alcuna prescrizione.
L’erroneità del presupposto interpretativo del rimettente – secondo cui sarebbe l’adozione delle misure di bilanciamento a determinare uno “spostamento di competenza” presso il Tribunale di Roma – priverebbe di consistenza le doglianze di asserita violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., non essendo in alcun modo rimessa al Governo la decisione sul radicamento della competenza presso tale Tribunale.
3.3.– Quanto alla denunciata lesione dell’art. 3 Cost., essa sarebbe parimenti manifestamente insussistente, essendo erronei i presupposti interpretativi da cui muove il rimettente.
In particolare:
– i provvedimenti sulla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento sequestrato non sarebbero stati impugnabili prima dell’introduzione del comma 1-bis.2 dell’art. 104-bis, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, di cui sarebbero espressione anche le pronunce n. 39181 del 2014 e n. 261 del 2018 citate dal rimettente;
– secondo la stessa sentenza n. 105 del 2024, non occorrerebbe alcuna autorizzazione giudiziale perché possa riprendere l’attività produttiva dello stabilimento sequestrato dopo l’adozione delle misure governative di bilanciamento.
Dall’erroneità dei presupposti interpretativi del rimettente discenderebbe la manifesta infondatezza dei denunciati vulnera all’art. 3 Cost.
3.3.1.– Non sussisterebbe alcuna irragionevole differenziazione nel radicamento di competenza (tra il Tribunale di Roma e quello ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.), a seconda del contenuto (negativo o positivo) della decisione sull’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva, per la dirimente ragione che il provvedimento autorizzatorio non sarebbe appellabile, in quanto afferente alla mera gestione del bene sequestrato.
Anche a voler ritenere l’impugnabilità del provvedimento di segno positivo, poi, la diversità di disciplina non sarebbe irragionevole: il radicamento della competenza presso il Tribunale di Roma in relazione al solo appello avverso il provvedimento negativo si giustificherebbe in quanto quest’ultimo è «suscettibile di porre in pericolo (o addirittura di ledere) l’interesse strategico nazionale che costituisce il fondamento della disciplina».
Il profilo in questione sarebbe comunque irrilevante nel giudizio a quo, in cui non si discute dell’autorizzazione, ma del diniego della prosecuzione dell’attività produttiva.
3.3.2.– L’aporia denunciata dal rimettente – secondo cui, ove l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività sia richiesta unitamente alla revoca del sequestro, il medesimo provvedimento che statuisca sulle due istanze sarebbe soggetto a due regimi di impugnazione – potrebbe essere «corretta attraverso un’interpretazione sistematica che privilegia la competenza del Tribunale di Roma, che viene così ritenuta dotata di vis attractiva».
3.3.3.– Sarebbe infine basata su un «falso presupposto» la terza criticità evidenziata dal giudice a quo (il quale ipotizza che le misure di bilanciamento intervengano quando sia già stato proposto, presso il tribunale competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. un appello cautelare avverso il diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività adottato ai sensi del quarto periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, e che quindi si verifichi la contemporanea pendenza di tale procedimento e di quello che si radichi innanzi al Tribunale di Roma in conseguenza dell’impugnazione del diniego di autorizzazione espresso dal giudice procedente pur a fronte delle misure di bilanciamento). Poiché, infatti, qualsiasi provvedimento di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, anche adottato ai sensi del quarto periodo dell’art. 104-bis, comma 1-bis.1, sarebbe impugnabile innanzi al solo Tribunale di Roma, non sussisterebbe alcuna sovrapposizione di competenze.
3.3.4.– In definitiva, la disciplina censurata non esibirebbe alcun profilo di irragionevolezza, tantomeno in quel grado manifesto che solo legittima il sindacato di questa Corte sulla conformazione degli istituti processuali, inclusa la fissazione dei criteri attributivi della competenza (sono citate le sentenze n. 117 del 2012 e n. 304 del 2011).
4.– Si è altresì costituita in giudizio Sonatrach raffineria italiana srl, che – premessa la propria legittimazione quale parte del giudizio costituzionale, in quanto indagata ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 nel procedimento a quo e appellante avverso il provvedimento del 31 luglio 2024 con cui il GIP del Tribunale di Siracusa ha negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva del depuratore di Priolo Gargallo – chiede la declaratoria di infondatezza delle questioni.
4.1.– Anche Sonatrach raffineria italiana srl contesta la correttezza dei presupposti interpretativi del rimettente, osservando che, in assenza della disposizione censurata, il provvedimento di diniego della prosecuzione dell’attività produttiva dell’impianto sequestrato non sarebbe stato appellabile, avendo natura sostanzialmente amministrativa (sono citate Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 4-29 marzo 2022, n. 11585 e sentenza n. 45562 del 2015).
Tale conclusione troverebbe conferma sia sul piano logico – non comprendendosi come mai il legislatore avrebbe sentito il bisogno di precisare, nell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, che i provvedimenti in questione sono impugnabili ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., se l’appellabilità fosse già stata prevista – sia nei lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 2 del 2023, che menzionano quali tratti qualificanti della nuova disciplina l’appellabilità dei provvedimenti di segno negativo e «inoltre» la legittimazione a impugnare della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy e del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, così comprovando come il comma 1-bis.2 persegua il duplice fine di ampliare la platea dei soggetti legittimati all’impugnazione e di assicurare l’impugnabilità di un provvedimento altrimenti non appellabile.
Sul piano sistematico, poi, il comma 1-bis.2 sarebbe collocato all’interno dell’art. 104-bis, la cui rubrica («Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e confisca. Tutela dei terzi nel giudizio») confermerebbe la natura amministrativa dei provvedimenti previsti da tale disposizione, non autonomamente impugnabili in difetto della previsione in scrutinio.
Infine, la natura amministrativa del provvedimento del GIP sarebbe stata riscontrata dalla sentenza n. 105 del 2024, laddove ha rilevato come il giudice rimettente si dolesse «essenzialmente, del venir meno – per effetto della disposizione censurata – di ogni potere discrezionale dell’autorità giudiziaria nella gestione dello stabilimento sottoposto a sequestro».
La tesi dell’appellabilità del provvedimento di diniego della prosecuzione dell’attività produttiva già prima dell’introduzione della disposizione censurata non sarebbe supportata dai precedenti citati dal giudice a quo e sarebbe anzi smentita da plurime pronunce, anche recenti, della Corte di cassazione (sono citate Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 19 giugno-18 luglio 2024, n. 29131; sezione sesta penale, sentenza 11 aprile-16 maggio 2024, n. 19593 e sezione seconda penale, sentenza 29 settembre-6 ottobre 2015, n. 40130).
4.2.– La disciplina censurata non lederebbe l’art. 3 Cost., sotto nessuno dei profili denunciati dal rimettente.
4.2.1.– Non sarebbe configurabile un concorso di competenza tra il Tribunale di Roma e quello ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen., a seconda che l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività sia negata o concessa; ciò in quanto il secondo provvedimento non sarebbe impugnabile da parte della procura della Repubblica (alla luce sia del tenore letterale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, sia dell’impossibilità, per il giudice, di impedire la prosecuzione dell’attività a fronte delle misure governative di bilanciamento).
4.2.2.– Nemmeno si verificherebbe il paventato «affastellamento di competenze concorrenti», nel caso in cui il diniego alla prosecuzione dell’attività produttiva venga espresso dal giudice procedente in sede di esame dell’istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro. La diversa natura delle statuizioni (l’una relativa a un profilo amministrativo/gestionale, l’altra concernente il vincolo cautelare) giustificherebbe infatti due «binari paralleli» di impugnazione, l’uno innanzi al Tribunale di Roma ex art. 104-bis, comma 1-bis.2, l’altro innanzi al giudice ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. Né ciò costituirebbe un elemento di incoerenza del sistema, essendo la possibilità che due giudici «prendano cognizione, in parallelo, di uno stesso provvedimento» espressamente prevista, ad esempio, dall’art. 579 cod. proc. pen. in relazione alla sentenza di primo grado che contenga statuizioni relative al risarcimento del danno e applichi misure di sicurezza personali, e ammessa dalla giurisprudenza di legittimità quanto all’impugnazione dei capi penali della sentenza e di quelli che applichino misure di sicurezza (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 29 settembre-30 novembre 2011, n. 44433; sezione prima penale, sentenza 22 giugno-13 luglio 2007, n. 28015).
L’eventualità che vengano presentate contestualmente un’istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva e un’istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro sarebbe, peraltro, del tutto residuale «proprio perché autorizzare l’attività costituisce un atto dovuto, che il giudice deve adottare anche d’ufficio, indipendentemente dalla presentazione di un’istanza».
4.2.3.– Ove poi il sequestro venisse revocato dal tribunale locale in pendenza dell’impugnazione del diniego di autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva innanzi al Tribunale di Roma, il rientro del bene nella disponibilità del titolare comporterebbe il venir meno della necessità di autorizzare il prosieguo dell’attività. Ipotesi, questa, del tutto analoga a quanto si verifica ogni qualvolta sia revocato un provvedimento cautelare in pendenza di appello o riesame del medesimo, e che non pone alcun dubbio di legittimità costituzionale, essendo anzi considerata fisiologica dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce del diverso obiettivo sotteso ai due procedimenti (è citata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 11 marzo-4 maggio 2004, n. 20674). Nel caso di specie sussisterebbe peraltro un interesse al conseguimento della pronuncia del Tribunale di Roma, attesa la «precipua finalità sottesa all’intervento di quest’ultimo, consistente nel porre rimedio alla patologica negazione dell’autorizzazione a proseguire l’attività nonostante l’adozione delle misure governative di bilanciamento».
4.2.4.– La disciplina censurata non sarebbe affatto incoerente rispetto all’obiettivo, enunciato nei lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 2 del 2023, di garantire l’unitarietà di indirizzi interpretativi e la specializzazione dell’organo giudicante.
E invero, le impugnazioni di tutte le decisioni di diniego della prosecuzione dell’attività produttiva sarebbero devolute, «in assenza di alcuna competenza concorrente sul punto di altro organo giudicante», al Tribunale di Roma; Tribunale che dovrebbe limitarsi a verificare l’esistenza e la legittimità formale del decreto che adotta le misure di bilanciamento, senza poter sindacare «l’adeguatezza delle misure […] ovvero del relativo iter procedimentale d’adozione».
L’«attribuzione centralizzata di competenza» al Tribunale di Roma sarebbe coerente con la natura delle misure di bilanciamento – che sono adottate dal Governo e coinvolgono interessi strategici nazionali – e funzionale alla verifica dell’effettiva attuazione di tali misure, che comporta l’annullamento delle decisioni dell’autorità giudiziaria «locale» di illegittimo diniego della prosecuzione dell’attività produttiva.
In quest’ottica, la complessità delle valutazioni demandate al Tribunale di Roma, tali da richiedere una «specializzazione», concernerebbe non già «[l’]an della prosecuzione dell’attività produttiva», ma il vaglio di provvedimenti che «male interpretando una normativa articolata e di rara applicazione, ne abbiano fatto malgoverno, negando un’autorizzazione, invece, obbligata».
L’«originaria ed eccezionale» competenza radicata presso il Tribunale di Roma sarebbe coerente con il carattere eccezionale dei provvedimenti governativi, fondati sulla necessità di garantire la prosecuzione dell’attività di impianti di interesse strategico nazionale; carattere che giustificherebbe «il controllo centrale (i.e., del Tribunale di Roma) su eventuali provvedimenti locali che, perdendo di vista il quadro normativo complessivo, neghino il carattere tranciante delle misure di bilanciamento governative».
Questa Corte avrebbe già considerato costituzionalmente legittima la deroga «all’ordinario principio di territorialità» della competenza giurisdizionale, ove motivata da esigenze di interesse generale (sentenze n. 182 e n. 159 del 2014), in specie certamente ravvisabili, atteso che «la sicurezza dell’approvvigionamento energetico della Nazione è determinante ai fini della stabilità finanziaria, occupazionale ed internazionale del Paese oltre che nei suoi rapporti con gli altri attori della comunità internazionale».
4.3.– Insussistente sarebbe, infine, la denunciata violazione dell’art. 25, primo comma, Cost.
La disciplina censurata non avrebbe determinato alcuno «spostamento di competenza», poiché la competenza del Tribunale di Roma ex art. 104-bis, comma 1-bis.2, sarebbe «nuova ed originaria non spettando, antecedentemente all’introduzione di tale comma, ad alcun altro giudice del gravame».
Le misure di bilanciamento di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis, così come la dichiarazione di interesse strategico nazionale, costituirebbero meri presupposti di fatto per l’attivazione di «un meccanismo di impugnazione per nulla discrezionale o arbitrario, ma stabilito a priori per legge».
Non sarebbe dunque violata la garanzia di cui all’art. 25, primo comma, Cost., che è rispettata ogni qualvolta l’organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie (sentenze n. 217 del 1993 e n. 269 del 1992). La nozione di giudice naturale, infatti, «non si cristallizza nella determinazione legislativa di una competenza generale, ma si forma anche di tutte quelle disposizioni, le quali derogano a tale competenza sulla base di criteri che razionalmente valutino i disparati interessi in gioco nel processo» (sentenza n. 42 del 1996).
5.– Si è infine costituita in giudizio Versalis spa, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.
5.1.– Anche Versalis spa contesta la correttezza dei presupposti interpretativi da cui muove il rimettente, che:
– non avrebbe tenuto conto delle peculiarità dell’impugnazione prevista dal comma 1-bis.2, volta a «garantire che il diniego giudiziale [dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva] non sia frutto di una diversa definizione da parte del giudice dei criteri e dei limiti del bilanciamento (si risolva cioè in un riesame dell’atto adottato dall’Amministrazione) e che il giudice non vada al di là di una eventuale verifica della legittimità del provvedimento governativo, in conformità a quanto indicato da questa Corte […] e cioè nei soli limiti della verifica dell’esistenza di un’adeguata istruttoria e di una congrua motivazione che ne sorregga e giustifichi l’adozione»;
– avrebbe errato nel ritenere appellabile, anche prima dell’introduzione del rimedio previsto dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2, il diniego di autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento sequestrato (Versalis spa svolge qui argomentazioni di carattere logico, testuale e sistematico sovrapponibili a quelle esposte da Sonatrach raffineria italiana srl nel proprio atto di costituzione); ciò in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (sono citate le sentenze n. 11585 del 2022, n. 45562 e n. 18777 del 2015 e n. 39181 del 2014, nonché Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 31 maggio-7 giugno 2005, n. 21334).
5.2.– Sarebbe insussistente l’allegata violazione dell’art. 3 Cost., avendo il giudice a quo prospettato una «concorrenza di diversi giudici potenzialmente competenti in relazione ai gravami avverso i provvedimenti emessi dalla stessa autorità giudiziaria ed aventi ad oggetto lo stesso thema decidendum», che però non potrebbe verificarsi perché fondata su un erroneo presupposto interpretativo.
5.2.1.– Confutato il presupposto in questione, sarebbe agevole verificare l’insussistenza, prima di tutto, dell’asserita differenziazione del giudice competente per l’appello, a seconda del contenuto (negativo o positivo) del provvedimento del GIP sulla prosecuzione dell’attività produttiva, posto che il provvedimento di segno positivo sarebbe inappellabile, avendo natura sostanzialmente amministrativa.
5.2.2.– Nemmeno sarebbe irragionevole che i provvedimenti che incidono effettivamente sul vincolo cautelare e quelli di diniego alla prosecuzione dell’attività produttiva siano impugnabili innanzi a giudici diversi (rispettivamente, il tribunale ordinariamente competente ex art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. e il Tribunale di Roma), atteso che i relativi giudizi riguarderebbero «profili giuridici tutt’affatto diversi», ossia in un caso «la sussistenza e il perimetro del vincolo cautelare», nell’altro i «profili ‘amministrativi’ oggetto del diniego». Si tratterebbe di «un sistema congegnato su due binari paralleli» che, in assenza della specifica previsione di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.2, avrebbe contemplato – quale unico rimedio esperibile avverso la decisione negativa del giudice attinente alla gestione del bene sequestrato – il promovimento dell’incidente di esecuzione (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 11 luglio-9 ottobre 2023, n. 40953; sezione terza penale, sentenza 23 novembre 2022-22 marzo 2023, n. 12021; sezione prima penale, ordinanza 24 novembre 2020-2 marzo 2021, n. 8283; sezione seconda penale, sentenza 3 luglio-4 novembre 2015, n. 44504; sezione sesta penale, sentenza 2-11 aprile 2014, n. 16170; sezione terza penale, ordinanza 23 marzo-7 luglio 2011, n. 26729). L’introduzione del censurato comma 1-bis.2 avrebbe anzi colmato una lacuna, consentendo alle imprese di rilievo nazionale e strategico di rivolgersi a un giudice terzo e imparziale.
5.2.3.– Ove il provvedimento di mancata autorizzazione alla prosecuzione dell’attività sia stato adottato contestualmente alla decisione sull’istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro, oggetto dell’impugnazione innanzi al Tribunale di Roma sarebbe unicamente il diniego dell’autorizzazione a proseguire nell’attività, ancorché adottato in occasione della decisione su una più ampia istanza tesa a modificare il perimetro del vincolo cautelare; profilo, quest’ultimo, su cui permarrebbe la competenza del tribunale di cui all’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. Non vi sarebbe dunque alcuna duplicazione di cognizione, non essendovi sovrapposizione dei temi oggetto di giudizio.
Sarebbe peraltro del tutto teorica l’ipotesi che venga presentata al giudice procedente un’istanza di revoca o modifica del decreto di sequestro preventivo, contenente in via subordinata un’istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell’attività. Ciò in quanto, in presenza delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, l’autorizzazione dovrebbe essere rilasciata dal giudice indipendentemente dalla presentazione di un’istanza di parte. In ogni caso, anche nello scenario prospettato dal rimettente, non sussisterebbe alcun profilo di irragionevolezza, né ove il tribunale del riesame ordinariamente competente accolga l’istanza di modifica del vincolo cautelare, ma non possa pronunciarsi sull’impugnazione del diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività (in quanto tale statuizione non avrebbe potuto essere adottata nemmeno in precedenza, visto che il diniego non avrebbe potuto essere oggetto di gravame, potendo al più essere contestato mediante incidente di esecuzione); né ove esso revochi il sequestro mentre sia pendente il giudizio ex art. 104-bis, comma 1-bis.2, innanzi al Tribunale del riesame di Roma (trattandosi di evenienza del tutto fisiologica, ogni qualvolta il provvedimento di sequestro sia revocato in pendenza del giudizio di riesame o di appello cautelare).
5.2.4.– La disposizione censurata sarebbe poi atta a garantire l’unitarietà di indirizzi e la specializzazione della magistratura giudicante, avendo essa “centralizzato” tutte le impugnazioni avverso i provvedimenti di diniego della prosecuzione dell’attività produttiva, radicandole presso il Tribunale di Roma.
Tale coerenza sussisterebbe anche ponendosi nella prospettiva del rimettente, secondo cui il Tribunale di Roma dovrebbe verificare che le misure governative di bilanciamento siano state adottate nel rispetto dei requisiti procedimentali delineati dalla sentenza n. 105 del 2024 di questa Corte. Proprio tale peculiare accertamento non potrebbe che rivestire una «connotazione fortemente specializzata» perché atto a verificare «non già il merito della specifica vicenda (ed il relativo bilanciamento di interessi), ma la sola correttezza dell’iter che ha preceduto l’adozione del provvedimento amministrativo».
L’attribuzione della competenza al Tribunale di Roma sarebbe altresì coerente con la natura di atto di alta amministrazione, promanante dalle Amministrazioni centrali dello Stato, del decreto interministeriale di individuazione delle misure di bilanciamento; con la circostanza che, come chiarito dalla sentenza n. 105 del 2024, sia preclusa al giudice ogni valutazione circa l’adeguatezza ed efficacia di tali misure, così da non porsi alcuna esigenza di «prossimità territoriale» del giudice rispetto alla realtà produttiva di volta in volta dichiarata di interesse strategico nazionale; e con l’eccezionalità delle circostanze (nel caso relativo al depuratore di Priolo Gargallo, il «carattere emergenziale assunto dalla crisi energetica») che giustificano l’intervento dell’Amministrazione centrale, intervento sulla cui legittimità sarebbe coerente svolgere un controllo accentrato (nei limiti indicati dalla sentenza n. 105 del 2024).
E invero, l’individuazione di «una sede accentrata per la valutazione di atti amministrativi o giurisdizionali, che incidono su interessi costituzionalmente rilevanti, in grado di coinvolgere l’intera collettività nazionale» sarebbe principio che già trova applicazione nel processo amministrativo, ove è prevista la competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sulle impugnazioni degli atti adottati dalle Amministrazioni dello Stato, in quanto finalizzati al soddisfacimento di interessi non meramente locali, previsione che è già stata giudicata conforme a Costituzione (sono citate la sentenze di questa Corte n. 182 del 2014 e n. 237 del 2007). Nel caso di specie, si tratterebbe di atti che realizzano un «difficile e delicato bilanciamento tra i valori costituzionali che vengono in gioco con riferimento alla tutela dell’ambiente e della salute, da un lato, e gli interessi collegati all’economia nazionale e alla continuità dell’attività produttiva, dall’altro, che incidono su molteplici settori strategici che trascendono la scala locale». E sarebbe irrazionale che atti amministrativi di tale rilievo venissero sottoposti al sindacato di «un organo legato ad una scala locale».
Deroghe alle regole sulla competenza potrebbero giustificarsi in ragione dell’esigenza di garantire uniformità degli indirizzi giurisprudenziali, a salvaguardia di interessi razionalmente degni di tutela (è citata la sentenza di questa Corte n. 189 del 1992); interessi certamente ravvisabili nel caso di specie, in cui occorre garantire la «sicurezza energetica» del Paese. Del resto, la competenza giurisdizionale non sarebbe ancorata al luogo di consumazione del reato (è citata la sentenza di questa Corte n. 42 del 1996), né alla maggiore o minore idoneità o qualificazione dell’uno o dell’altro giudice (sono citate, di questa Corte, la sentenza n. 460 del 1994 e l’ordinanza n. 257 del 1995), ma potrebbe essere individuata dal legislatore in coerenza con ragioni di interesse pubblico. La scelta discrezionale del legislatore non potrebbe, poi, essere sindacata per il fatto che la specializzazione non sia preesistente all’attribuzione delle competenze, perché tale specializzazione si svilupperebbe e rafforzerebbe proprio attraverso l’attribuzione di competenza.
5.3.– Non sarebbe ravvisabile alcuna lesione della garanzia di cui all’art. 25, primo comma, Cost.
Erroneamente il rimettente assume che la disposizione censurata realizzi uno «spostamento di competenza» per le sole impugnazioni dei provvedimenti che neghino l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento o impianto sequestrato, mentre resterebbero di competenza del giudice individuato dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. i provvedimenti che tale autorizzazione accordino. Il ragionamento sarebbe inficiato da un presupposto interpretativo scorretto, non essendo tale ultima tipologia di provvedimenti tout court impugnabile.
La non impugnabilità – in disparte l’ipotesi introdotta dall’art. 104-bis, comma 1-bis.2 – dei provvedimenti relativi alla prosecuzione dell’attività produttiva priverebbe di consistenza anche l’ulteriore doglianza del giudice a quo, laddove prefigura che l’autorità giudiziaria procedente abbia già dettato le proprie prescrizioni oppure negato l’autorizzazione alla prosecuzione, e lamenta che l’adozione, a questo punto, delle misure governative di bilanciamento determinerebbe uno «spostamento ‘in corsa’ della competenza […] rimesso nella singola controversia ad un’autorità pubblica diversa da quella legislativa». E invero, non essendo i provvedimenti sulla prosecuzione dell’attività produttiva in precedenza impugnabili in nessun caso, l’intervento legislativo censurato non avrebbe realizzato alcuno “spostamento di competenza”, ma, introducendo ex novo un mezzo di gravame prima non previsto, avrebbe creato una competenza «‘nuova’ ed ‘originaria’», stabilita non in dipendenza dell’adozione delle misure di bilanciamento, ma sul mero presupposto di fatto dell’intervenuta dichiarazione di interesse strategico nazionale, ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito, di uno stabilimento o di parte di esso, e in forza di una norma codicistica generale e astratta.
La disposizione censurata sarebbe, dunque, del tutto conforme all’indirizzo costante della giurisprudenza costituzionale, che ritiene rispettato il principio della precostituzione del giudice allorché l’organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie (sentenze n. 217 del 1993 e n. 269 del 1992), e considera la nozione di giudice naturale comprensiva sia della determinazione legislativa di una competenza generale, sia delle disposizioni che vi deroghino in base a criteri fondati sulla razionale valutazione degli interessi in gioco nel processo (sentenza n. 42 del 1996).
6.– In prossimità della pubblica udienza, Versalis spa ha depositato una memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza delle questioni e ribadendo le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione.
6.1.– Quanto alla prospettata violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., la società aggiunge che, in specie, la riserva di legge prevista dal parametro costituzionale è pienamente rispettata, poiché il comma 1-bis.2 dell’art. 104-bis è stato introdotto da una disposizione avente forza di legge (l’art. 6, comma 1, del d.l. n. 2 del 2023, come convertito) e individua la competenza territoriale del Tribunale di Roma «non […] con riferimento alla singola controversia relativa al sito di Priolo, ma come criterio generale attributivo della competenza e, come tale, applicabile a tutte le controversie cautelari ricadenti nel perimetro applicativo del comma 1-bis.2».
L’emanazione del d.P.C.m. che individua gli impianti di interesse strategico nazionale e la decisione di adottare le misure di bilanciamento sarebbero atti contestuali e collegati, ed entrambi costituirebbero «il mero presupposto per l’operatività (successiva ed eventuale) della norma che attribuisce la competenza, che risulta perciò predisposta dal legislatore ex ante, in termini generali ed astratti e nel pieno rispetto della riserva di legge». E invero, tale requisito sarebbe riferito alle sole regole di individuazione del giudice competente a decidere e non potrebbe abbracciare anche i fatti che conducano all’applicazione delle regole stesse (è citata la sentenza di questa Corte n. 227 del 1999).
6.2.– Il prospettato vulnus all’art. 3 Cost. sarebbe insussistente, evidente essendo la coerenza della disciplina censurata rispetto alla ratio dell’intervento normativo operato con il d.l. n. 2 del 2023, come convertito, consistente nell’«esigenza di garantire la tutela dell’interesse dello Stato alla continuità dell’attività produttiva». Le censure del rimettente si fonderebbero peraltro sull’evocazione di scenari processuali del tutto ipotetici e irrilevanti nel giudizio a quo, nonché su un’erronea ricostruzione dell’istituto dell’appello cautelare.
7.– All’udienza del 26 febbraio 2025, il difensore di ISAB srl, nell’illustrare le proprie difese, ha altresì eccepito l’inammissibilità delle censure di violazione dell’art. 3 Cost., in ragione del loro carattere ipotetico, nonché di quelle riferite all’art. 25, primo comma, Cost., in ragione dell’erroneità del presupposto interpretativo del rimettente.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Roma censura l’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che siano appellabili innanzi a sé – e non al tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento oggetto di gravame – i provvedimenti con cui il giudice abbia escluso, revocato o negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, sottoposti a sequestro preventivo, nonostante l’adozione delle misure governative di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, delle medesime norme di attuazione.
Rinviando integralmente alla ricostruzione di recente effettuata da questa Corte (sentenza n. 105 del 2024, punto 3 del Considerato in diritto) del contesto normativo nel quale si inseriscono tanto il comma 1-bis.2 censurato quanto il precedente comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. – commi, entrambi, introdotti dal d.l. n. 2 del 2023, come convertito –, nonché alla più specifica esegesi in quella sede compiuta del comma 1-bis.1 (punto 4.3. del Considerato in diritto), conviene qui soltanto rammentare che quest’ultima disposizione prevede, al quinto periodo, la possibilità per il Governo di adottare – rispetto a stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale ovvero a impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva sottoposti a sequestro penale – misure di «bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi». Il medesimo quinto periodo dispone che, una volta che il Governo abbia adottato tali misure, il giudice procedente «autorizza la prosecuzione dell’attività». Il successivo sesto periodo prevede poi che il provvedimento di cui ai periodi precedenti, «anche se negativ[o]», sia trasmesso entro quarantotto ore alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Il comma 1-bis.2, ora censurato, testualmente dispone: «[n]ei casi disciplinati dal comma 1-bis.1, il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma».
Il rimettente censura il solo secondo periodo di questa disposizione, ritenendo che lo «spostamento di competenza» dal tribunale del riesame territorialmente competente al Tribunale di Roma determinato da questa disposizione da essa determinato violi la garanzia del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma Cost., e risulti intrinsecamente irragionevole, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
2.– Sull’ammissibilità delle questioni va osservato quanto segue.
2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato e Versalis spa hanno eccepito l’inammissibilità delle questioni, in ragione dell’erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento e dell’erroneità dei presupposti interpretativi da cui muove il rimettente. Ciò essenzialmente sul rilievo che i provvedimenti (di segno negativo o positivo) riguardanti la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti, impianti o infrastrutture sequestrati non sarebbero stati impugnabili prima dell’entrata in vigore dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, che dunque non avrebbe realizzato alcuno “spostamento” di competenza, ma avrebbe introdotto una competenza in radice nuova.
Nella discussione in udienza anche ISAB srl ha eccepito l’inammissibilità delle questioni riferite all’art. 25, primo comma, Cost., per erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo.
Le eccezioni non sono fondate.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’analisi del quadro normativo pertinente rileva ai fini dell’ammissibilità delle questioni solo se carente e tale da inficiare la chiarezza dell’iter logico argomentativo (ex multis, sentenza n. 228 del 2023, punto 3.2.1. del Considerato in diritto e precedenti ivi citati).
Nel caso di specie, il giudice a quo si è ampiamente confrontato con il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, richiamando la giurisprudenza di legittimità che ritiene inammissibile l’appello avverso i provvedimenti di mera gestione dei beni in sequestro che non comportino una modifica del vincolo cautelare. Il rimettente ha tuttavia ritenuto che, in base a questa stessa giurisprudenza, ove il giudice procedente disponga il sequestro in funzione impeditiva dell’aggravamento delle conseguenze del reato o dell’agevolazione della commissione di altri reati, la determinazione delle concrete modalità di gestione del bene che ne è oggetto avrebbe «una oggettiva idoneità ad incidere sul vincolo reale, potendo depotenziarne e persino vanificarne l’efficacia in relazione al perseguimento delle finalità per le quali lo stesso è stato disposto». Sulla base di tale ricostruzione, ha quindi coerentemente argomentato le proprie censure in ordine alla violazione degli artt. 25, primo comma, e 3 Cost.
Ciò esclude ogni profilo di oscurità o illogicità tale da inficiare l’ammissibilità delle questioni. Se poi le premesse ermeneutiche da cui muove il rimettente siano corrette, è profilo che attiene al merito delle questioni (sentenza n. 36 del 2025, punto 4.3.1. del Considerato in diritto; sentenze n. 119 e n. 73 del 2023, in entrambe punto 5 del Considerato in diritto).
2.2.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, inoltre, le questioni relative alla violazione dell’art. 3 Cost. sarebbero del tutto ipotetiche, avendo il rimettente evocato una serie di scenari processuali non rilevanti nel giudizio a quo. A tale eccezione ha aderito ISAB srl nell’udienza pubblica.
Nemmeno questa eccezione è fondata.
La rilevanza delle questioni è determinata, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla necessità di fare applicazione della disposizione censurata nel giudizio a quo (ex multis, sentenza n. 116 del 2024, punto 3 del Considerato in diritto, e precedenti ivi citati).
Nel caso di specie, è indubitabile che il giudice a quo debba fare applicazione della disposizione censurata, che stabilisce la sua competenza a decidere, poiché «[l]a stessa instaurazione e successiva celebrazione del giudizio avanti a una determinata autorità giudiziaria, e non ad altra, costituisce momento integrante dell’“applicazione” della disciplina della competenza nel caso concreto» (sentenza n. 163 del 2024, punto 2.3.2. del Considerato in diritto; in senso analogo, sentenza n. 5 del 2025, punto 2 del Considerato in diritto). Tanto basta a ritenere rilevanti le questioni sollevate in riferimento all’art. 3 Cost.
La prospettazione, da parte del rimettente, di scenari processuali di sovrapposizione o contrasto tra decisioni giudiziarie – asseritamente suscettibili di verificarsi, ancorché concretamente non verificatisi nel giudizio a quo – è meramente funzionale a illustrare i profili di irragionevolezza intrinseca da cui sarebbe affetta la disposizione censurata. La verifica della plausibilità di tali scenari e la loro valutazione da parte di questa Corte attiene, dunque, al merito della questione, e non alla sua ammissibilità.
3.– Nel merito, il rimettente lamenta anzitutto la contrarietà della disposizione censurata al principio del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost.
L’art. 104-bis, comma 1-bis.2, non conterrebbe, infatti, alcun criterio generale capace di indicare ex ante se a pronunciarsi sull’appello cautelare avverso la decisione del giudice procedente che comunque abbia negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto sia competente il Tribunale di Roma ovvero quello del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Lo spostamento di competenza dall’ufficio ordinariamente designato in base all’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. al Tribunale di Roma sarebbe infatti ancorato all’adozione delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo: e cioè a un atto discrezionale del Governo, la cui adozione sarebbe – secondo il rimettente – sostanzialmente determinata dal maggiore o minore apprezzamento delle decisioni già adottate nella singola controversia dall’autorità giudiziaria territorialmente competente secondo le regole ordinarie, circa la prosecuzione o meno dell’attività produttiva di stabilimenti, impianti o infrastrutture sottoposti a sequestro.
La questione non è fondata, per le ragioni qui sintetizzate e, di seguito, più distesamente argomentate.
Come correttamente rilevato dal rimettente, la disposizione censurata determina uno spostamento della competenza a decidere sull’appello cautelare contro il provvedimento del giudice che abbia comunque negato l’autorizzazione a proseguire l’attività, necessariamente incidendo su procedimenti cautelari già in corso (infra, 3.1.).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, uno spostamento di competenza con effetto anche sui procedimenti in corso è compatibile con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge laddove tale spostamento sia (a) determinato da una disciplina legislativa di portata generale, (b) motivato da esigenze di rilievo costituzionale, e (c) ancorato a presupposti obiettivi stabiliti dalla legge stessa, così che il giudice che risulta competente possa dirsi anch’esso «precostituito per legge», e cioè sia chiaramente individuabile in base alle indicazioni fornite dalla legge (infra, 3.2.).
La disciplina censurata soddisfa tali condizioni, e non si pone pertanto in contrasto con la garanzia costituzionale evocata (infra, 3.3.).
3.1.– Il rimettente assume anzitutto che i provvedimenti sulla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento o impianto sequestrato sarebbero stati impugnabili anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen. In particolare, secondo la sua ricostruzione, essi sarebbero stati impugnabili mediante il rimedio dell’appello cautelare di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen. Poiché giudice competente a provvedere su tale appello è, ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 322-bis, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento oggetto di gravame, la disposizione censurata avrebbe determinato uno spostamento di tale competenza in favore del Tribunale di Roma: spostamento che il rimettente ritiene, per l’appunto, incompatibile con la garanzia di cui all’art. 25, primo comma, Cost.
Tale presupposto ermeneutico è, tuttavia, contestato tanto dall’Avvocatura generale dello Stato, quanto da tutte le parti costituite in giudizio, le quali ritengono, invece, che la disposizione censurata abbia introdotto un nuovo mezzo di gravame contro un provvedimento di natura sostanzialmente amministrativa che non sarebbe stato altrimenti impugnabile con il rimedio dell’appello cautelare di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen., e contro il quale sarebbe stato al più esperibile un mero incidente di esecuzione innanzi allo stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Questa Corte ritiene corretto il presupposto ermeneutico da cui muove il giudice rimettente.
3.1.1.– L’art. 322-bis cod. proc. pen. attribuisce al pubblico ministero, all’imputato e al suo difensore, nonché alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, la facoltà di proporre appello, tra l’altro, contro le «ordinanze in materia di sequestro preventivo», al di fuori dei casi di riesame previsti dal precedente art. 322. Dal momento che la richiesta di riesame ha ad oggetto il provvedimento genetico che instituisce il vincolo cautelare, il rimedio dell’appello risulta esperibile dal pubblico ministero contro l’ordinanza del giudice che abbia rigettato o accolto soltanto parzialmente la propria istanza di sequestro, nonché da tutti i soggetti indicati nell’art. 322-bis contro ogni altro provvedimento del giudice che abbia modificato il vincolo cautelare disposto con il provvedimento genetico, ovvero abbia rigettato istanze di revoca o modifica di quest’ultimo.
La giurisprudenza di legittimità esclude, peraltro, l’appellabilità dei provvedimenti (del pubblico ministero e dello stesso giudice) aventi ad oggetto l’esecuzione del sequestro, ovvero i provvedimenti con cui il giudice detti disposizioni relative alla mera gestione del bene sequestrato: provvedimenti, tutti, rispetto ai quali è possibile soltanto un incidente di esecuzione innanzi allo stesso giudice del sequestro (Corte di cassazione, sezione prima penale, ordinanza n. 8283 del 2021; sezione sesta penale, ordinanza 26 aprile-22 maggio 2018, n. 22843; sezione seconda penale, sentenza n. 44504 del 2015; sezione quinta penale, sentenza 31 ottobre 2014-10 marzo 2015, n. 10105; sezione sesta penale, sentenza n. 16170 del 2014; sezione terza penale, ordinanza n. 26729 del 2011).
Il nodo esegetico che occorre in questa sede sciogliere – in quanto preliminare alla soluzione della questione di legittimità costituzionale così come prospettata – è, dunque, se un provvedimento del giudice che comporti l’interruzione dell’attività produttiva di un’azienda sequestrata esorbiti dalla mera gestione e comporti una modifica del vincolo cautelare a suo tempo disposto, risultando così soggetto ad appello ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen.; ovvero costituisca mero atto esecutivo di gestione del bene sequestrato, come tale impugnabile soltanto con incidente di esecuzione.
3.1.2.– Tanto l’ordinanza di rimessione, quanto l’interveniente e le parti hanno invocato, a sostegno delle rispettive tesi, pronunce di legittimità che ora hanno ammesso, ora hanno negato, l’esperibilità dell’appello cautelare contro provvedimenti che hanno in vario modo interessato beni sottoposti a sequestro, traendo da tali provvedimenti argomenti a sostegno della rispettiva posizione.
L’ordinanza di rimessione ha sottolineato come la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto esperibile l’appello cautelare, ad esempio, avverso il rigetto della richiesta di autorizzazione a praticare trattamenti agronomici e fitosanitari su delle viti in sequestro allo scopo di preservarle dall’attacco di parassiti (Cass. n. 261 del 2018), ovvero contro il rigetto della richiesta di autorizzazione all’utilizzo di un’autovettura in sequestro (Cass. n. 45562 del 2015).
Per converso, l’Avvocatura generale dello Stato e le parti hanno citato precedenti in cui la Corte di cassazione ha ritenuto non esperibile l’appello avverso i provvedimenti di nomina o revoca del custode dei beni sequestrati (Cass. n. 18777 del 2015), o in relazione a profili di negligenza nella condotta dell’amministratore giudiziario (Cass. n. 39181 del 2014), o ancora avverso la revoca dell’autorizzazione all’utilizzo di macchinari industriali sequestrati (Cass. n. 40130 del 2015).
Nessuna delle pronunce menzionate costituisce, tuttavia, un precedente in termini in senso proprio, riferito alla specifica ipotesi – che qui rileva – di un provvedimento del giudice che imponga l’interruzione tout court dell’attività di uno stabilimento o di un impianto già sottoposto a sequestro.
3.1.3.– Ora, non pare dubbio a questa Corte che un provvedimento che escluda o revochi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di qualsiasi impresa i cui beni siano già assoggettati a sequestro non possa essere considerato quale mero atto, di natura sostanzialmente amministrativa, di gestione del bene sequestrato; ma incida piuttosto, in misura macroscopica, sull’intero fascio dei diritti limitati dal provvedimento genetico, così determinando una modificazione dello stesso vincolo cautelare.
Ciò vale, anzitutto, per l’imprenditore titolare dello stabilimento o dell’impianto sequestrato, i cui diritti – di evidente rilievo costituzionale ai sensi degli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU – sono immediatamente incisi dal provvedimento che impedisca la prosecuzione delle attività produttive. Un ordine siffatto produce necessariamente, nell’immediato, un pregiudizio patrimoniale all’imprenditore, incidendo profondamente sulla stessa consistenza economica del diritto interessato dal vincolo cautelare. Ove poi la sua vigenza fosse protratta nel tempo, l’ordine in questione potrebbe addirittura compromettere la stessa sopravvivenza dell’impresa, con inevitabili conseguenze pregiudizievoli per i lavoratori e i creditori.
Per altro verso, il provvedimento con il quale il giudice rigettasse l’eventuale richiesta del pubblico ministero di vietare la prosecuzione dell’attività produttiva, in presenza di evidenze che dimostrino la sua grave pericolosità per l’ambiente o la salute umana, rischierebbe di rendere inefficace il sequestro rispetto allo scopo di impedire che la prosecuzione dell’attività stessa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, determinando così ulteriori conseguenze pregiudizievoli per tali beni, anch’essi di evidente rilievo costituzionale.
Una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 322-bis cod. proc. pen. non può, dunque, non farsi carico della necessità di assicurare un rimedio giurisdizionale effettivo – avanti a un giudice diverso da quello che ha pronunciato la decisione contestata – contro provvedimenti che, in un senso o nell’altro, incidano così intensamente sullo stesso vincolo cautelare: nell’un caso determinando in via immediata gravi pregiudizi ai diritti delle persone titolari dell’impresa destinataria del sequestro (e in via mediata, a lavoratori e creditori); nell’altro caso frustrando, in ipotesi, la stessa idoneità del sequestro preventivo a conseguire gli scopi indicati nell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
Deve, pertanto, ritenersi che ogni provvedimento con cui il giudice disponga l’interruzione dell’attività di uno stabilimento o impianto sequestrato, ovvero disattenda una richiesta in tal senso del pubblico ministero, sia in via ordinaria impugnabile ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen. da tutti i soggetti ivi indicati.
3.1.4.– Conseguentemente, il rimedio previsto dalla disposizione censurata – lungi dal porsi come nuovo mezzo di impugnazione in precedenza non contemplato dall’ordinamento – costituisce lex specialis rispetto alla previsione generale di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen., derogando alla comune disciplina dell’appello cautelare – nella sola ipotesi di provvedimento di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività – sotto il duplice specifico profilo (a) della legittimazione di ulteriori soggetti istituzionali all’impugnazione (la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), e (b) dell’individuazione del giudice competente a conoscere dell’impugnazione nel Tribunale di Roma.
L’interpretazione che precede, d’altronde, trova conferma nella stessa relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 2 del 2023, ove si osserva che in base alla disposizione ora censurata il provvedimento del giudice che dispone l’interruzione dell’attività produttiva «può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice di procedura penale, in ampliamento rispetto al suo tenore ordinario [corsivo aggiunto]: sono legittimati all’impugnazione (oltre alle parti processuali, al soggetto al quale le cose sono state sequestrate e all’avente diritto alla restituzione) anche la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica». Lo stesso legislatore muove, dunque, dal presupposto dell’ordinaria ricorribilità in appello del provvedimento; sì che il senso della nuova disposizione è semplicemente quello di ampliare il novero dei legittimati all’impugnazione, oltre che – per quanto qui più direttamente rileva – di radicare la competenza a decidere sull’appello presso il Tribunale di Roma, anziché presso il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento, come previsto in via ordinaria dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.
L’applicazione della disposizione speciale appare, infine, condizionata all’effettiva adozione, da parte del Governo, delle misure di bilanciamento previste dal quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. La difesa di ISAB srl ha, invero, sostenuto che il riferimento del comma 1-bis.2 alla generalità dei «casi disciplinati dal comma 1-bis.1» dovrebbe indurre a ritenere che la disposizione speciale sia applicabile anche nell’ipotesi in cui il giudice del sequestro inibisca la prosecuzione dell’attività produttiva di un impianto o stabilimento dichiarato di interesse strategico nazionale ai sensi del quarto periodo del comma 1-bis.1: e dunque prima che il Governo abbia adottato proprie misure di bilanciamento, ai sensi del quinto periodo. La tesi è però smentita dal puntuale riferimento, compiuto dalla disposizione consurata, a quei (soli) provvedimenti di diniego della prosecuzione dell’attività emessi «nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale» [corsivo aggiunto]: espressione che richiama senza equivoci le «misure» di bilanciamento adottate dal Governo ai sensi, appunto, del quinto periodo del comma precedente.
Da tutto ciò deriva che: (a) prima dell’adozione, da parte del Governo, delle misure di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1, contro ogni provvedimento del giudice che comunque inibisca la prosecuzione dell’attività produttiva è esperibile l’appello cautelare ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., da parte di tutti i soggetti ivi indicati, avanti al tribunale territoriale; (b) dopo l’adozione di tali misure, il medesimo rimedio potrà invece essere esperito, anche da parte dei soggetti istituzionali indicati dal comma 1-bis.2, avanti il Tribunale di Roma.
3.1.5.– Trova, in definitiva, conferma il presupposto ermeneutico da cui muove il rimettente: la disposizione censurata stabilisce effettivamente uno «spostamento di competenza», rispetto ai provvedimenti di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva, dal tribunale territoriale al Tribunale di Roma, una volta che il Governo abbia adottato le misure di bilanciamento di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1.
La disposizione produce così un effetto destinato a incidere su procedimenti cautelari già in corso. Ciò non solo con riferimento allo specifico procedimento relativo al sequestro del depuratore di Priolo Gargallo, avviato più di un anno e mezzo prima dell’entrata in vigore della disciplina censurata, e che ne ha costituito l’occasio (sentenza n. 105 del 2024, punto 3.1. del Considerato in diritto); ma anche, più in generale, rispetto a ogni scenario in cui tale disciplina possa trovare applicazione.
Infatti, le misure di bilanciamento previste dal quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. si riferiscono a stabilimenti o impianti oggetto di provvedimenti di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria, e si inseriscono dunque necessariamente nell’ambito di procedimenti cautelari già avviati.
Uno spostamento di competenza può, anzi, verificarsi anche nella specifica ipotesi – sulla quale tra l’altro si sofferma l’ordinanza di rimessione – in cui sia già radicato un giudizio di appello contro un provvedimento del giudice concernente la prosecuzione o interruzione dell’attività produttiva innanzi al tribunale territoriale individuato dall’art. 322-bis, e nelle more di tale procedimento intervenga il decreto di bilanciamento adottato dal Governo. Una tale evenienza vincolerà, infatti, il giudice ad adottare un nuovo provvedimento ai sensi del quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen.: ciò che determinerà, a sua volta, lo spostamento della competenza a conoscere dell’impugnazione avverso tale provvedimento al Tribunale di Roma.
3.2.– La giurisprudenza di questa Corte ha spesso affrontato il quesito se una disciplina che determini uno spostamento di competenza con effetto anche sui procedimenti in corso sia compatibile con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost.
Come questa Corte osservò sin dalla sentenza n. 29 del 1958, con l’espressione «giudice precostituito per legge» si intende «il giudice istituito in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di determinate controversie». Tale principio, si aggiunse qualche anno più tardi, «tutela nel cittadino il diritto a una previa non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere, o, ancor più nettamente, il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi» (sentenza n. 88 del 1962, punto 4 del Considerato in diritto).
La costante giurisprudenza di questa Corte, peraltro, ha sempre ritenuto – a partire dalla sentenza n. 56 del 1967 – che la garanzia del giudice naturale precostituito per legge non sia necessariamente violata allorché una legge determini uno spostamento della competenza con effetto anche sui procedimenti in corso.
La violazione è stata esclusa, in particolare, in presenza di una serie di presupposti, necessari onde evitare ogni rischio di arbitrio nell’individuazione del nuovo giudice competente. Finalità, quest’ultima, che già la sentenza n. 56 del 1967 aveva ritenuto la ragion d’essere della garanzia del giudice naturale precostituito per legge, la quale mira non solo a tutelare il consociato contro la prospettiva di un giudice non imparziale, ma anche ad assicurare l’indipendenza del giudice investito della cognizione di una causa, ponendolo al riparo dalla possibilità che il legislatore o altri giudici lo privino arbitrariamente dei procedimenti già incardinati innanzi a sé.
3.2.1. – Anzitutto, è necessario che lo spostamento di competenza non sia disposto dalla legge in funzione della sua incidenza in una specifica controversia già insorta, ma avvenga in forza di una legge di portata generale, applicabile a una pluralità indefinita di casi futuri.
La menzionata sentenza n. 56 del 1967, in particolare, ritenne compatibile con l’art. 25, primo comma, Cost. una riforma legislativa delle circoscrizioni giudiziarie, immediatamente operativa anche con riferimento alla generalità dei processi in corso. Il precetto costituzionale in parola – si argomentò in quell’occasione – «tutela una esigenza fondamentalmente unitaria: quella, cioè, che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio. La illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito si verifica, perciò, tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali ovvero attraverso atti di altri soggetti, ai quali la legge attribuisca tale potere al di là dei limiti che la riserva impone. Il principio costituzionale viene rispettato, invece, quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice “naturale” – che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (punto 2 del Considerato in diritto).
Tale criterio è stato mantenuto fermo da questa Corte in tutta la giurisprudenza posteriore relativa, in particolare, alle riforme ordinamentali che hanno introdotto regole sulla competenza, con effetto anche sui processi in corso (ex multis, sentenze n. 237 del 2007, n. 268 e n. 207 del 1987; ordinanze n. 112 e n. 63 del 2002 e n. 152 del 2001).
3.2.2.– In secondo luogo, la giurisprudenza costituzionale ha spesso posto l’accento – in particolare laddove la disciplina censurata deroghi rispetto alle regole vigenti in via generale in materia di competenza – sulla necessità che lo spostamento di competenza sia previsto dalla legge in funzione di esigenze esse stesse di rilievo costituzionale. Tali esigenze sono state identificate, ad esempio, nella tutela dell’indipendenza e imparzialità del giudice (sentenze n. 109 e n. 50 del 1963, rispettivamente punti 2 e 3 del Considerato in diritto), nell’obiettivo di assicurare la coerenza dei giudicati e il migliore accertamento dei fatti nelle ipotesi di connessione tra procedimenti (sentenze n. 117 del 1972; n. 142 e n. 15 del 1970, entrambe punto 2 del Considerato in diritto; ordinanze n. 159 del 2000 e n. 508 del 1989), ovvero nell’opportunità di assicurare l’uniformità della giurisprudenza in relazione a determinate controversie (sentenza n. 117 del 2012, punto 4.1. del Considerato in diritto).
3.2.3.– Infine, è necessario che lo spostamento di competenza avvenga in presenza di presupposti delineati in maniera chiara e precisa dalla legge, sì da escludere margini di discrezionalità nell’individuazione del nuovo giudice competente (sentenze n. 168 del 1976, punto 3 del Considerato in diritto; n. 174 e n. 6 del 1975, entrambe punto 3 del Considerato in diritto; ordinanze n. 439 del 1998 e n. 508 del 1989) e da assicurare, in tal modo, che anche quest’ultimo giudice possa ritenersi «precostituito» per legge (sentenza n. 1 del 1965, punto 2 del Considerato in diritto).
Per contro, la garanzia in esame è violata da leggi, sia pure di portata generale, che attribuiscano a un organo giurisdizionale il potere di individuare con un proprio provvedimento discrezionale il giudice competente, in relazione a specifici procedimenti già incardinati (sentenze n. 82 del 1971, n. 117 del 1968, n. 110 del 1963 e n. 88 del 1962), o comunque di influire sulla composizione dell’organo giudicante in relazione, ancora, a specifiche controversie già insorte (sentenze n. 393 del 2002 e n. 83 del 1998).
3.3.– Questa Corte ritiene che la disciplina oggi censurata non si ponga in contrasto con le condizioni minime di compatibilità con l’art. 25, primo comma, Cost. desumibili dalla giurisprudenza costituzionale sin qui richiamata.
3.3.1.– Come poc’anzi sottolineato (supra, 3.1.5.), la disposizione censurata determina indubbiamente uno spostamento di competenza rispetto a procedimenti cautelari in corso.
Tale effetto discende, però, non già da una legge provvedimento che riguardi lo specifico procedimento cautelare concernente lo stabilimento oggetto del processo a quo – ciò che sarebbe senz’altro contrario alla garanzia costituzionale in esame –, ma da una «disciplina generale e astratta, e dunque potenzialmente applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi» (sentenza n. 105 del 2024, punto 3.2. del Considerato in diritto), in presenza del presupposto costituito dalla dichiarazione dell’interesse strategico nazionale – ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito – dello stabilimento o dell’impianto sottoposto a sequestro.
In particolare, il comma 1-bis.2 ora censurato ricollega all’adozione delle misure di bilanciamento disciplinate dal quinto periodo del comma precedente l’effetto di spostamento della competenza al Tribunale di Roma per il giudizio di appello cautelare contro il provvedimento che, a valle di tali misure, abbia comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto. L’adozione delle misure da parte del Governo, e il successivo provvedimento negativo dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, costituiscono dunque i presupposti indicati in via generale e astratta dalla legge, in presenza dei quali si verifica lo spostamento di competenza dal tribunale territoriale al Tribunale di Roma.
3.3.2.– Tale disciplina – che deroga a quella ordinariamente disegnata dall’art. 322-bis cod. proc. pen. – è stata giustificata dalla relazione illustrativa alla legge n. 17 del 2023, di conversione del d.l. n. 2 del 2023, con riferimento alla necessità di «mantenere unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale, nonché [di] maturare una specializzazione nella gestione di un profilo di intervento di certo delicato e complesso», in relazione alla peculiare situazione in cui il provvedimento di sequestro abbia ad oggetto stabilimenti o impianti di interesse strategico nazionale, o comunque ad essi serventi.
Come già rammentato (supra, 3.2.2.), l’obiettivo di assicurare l’uniformità della giurisprudenza – di indubbio rilievo costituzionale, in relazione al principio di certezza del diritto (sul cui rilievo costituzionale si vedano le sentenze n. 7 del 2025, punto 2.2.3 del Considerato in diritto, n. 146 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto, n. 147 del 2023, punti 4.4. e 4.5. del Considerato in diritto, n. 110 del 2023, punti 4.3.4. e seguenti del Considerato in diritto) e alla stessa tutela della parità di trattamento tra i consociati – è già stato ritenuto da questa Corte idoneo a giustificare deroghe, fissate in via generale dalla legge, alle regole generale sulla competenza (sentenza n. 117 del 2012, punto 4.1. del Considerato in diritto).
Con la disposizione in esame il legislatore ha inteso dunque assicurare uniformità di orientamenti interpretativi, da parte del giudice dell’appello cautelare, in una materia che coinvolge interessi strategici di portata nazionale, allorché il Governo si sia assunto direttamente il compito di effettuare il bilanciamento con i contrapposti interessi alla tutela dell’ambiente e della salute, precludendo così ogni rivalutazione da parte del giudice sul merito di tale bilanciamento e l’adozione di soluzioni diverse da quelle stabilite dal Governo (sentenza n. 105 del 2024, punto 4.3. del Considerato in diritto).
Vero è che la disciplina censurata introduce una deroga all’ordinario criterio dell’allocazione del processo penale presso il locus commissi delicti – criterio già definito “fisiologico” da questa Corte, in quanto rispondente «ad esigenze di indubbio rilievo», tra le quali quella di assicurare l’accertamento del reato nel luogo in cui la raccolta del materiale probatorio è più agevole e rapida, «anche in ottica servente al diritto di difesa dell’imputato» (sentenze n. 92 del 2018, punto 4 del Considerato in diritto, e, con specifico riferimento all’art. 25, primo comma, Cost., n. 168 del 2006, punto 4 del Considerato in diritto). Nondimeno, l’accentramento della competenza presso il Tribunale di Roma su controversie nelle quali sono direttamente coinvolti interessi strategici nazionali costituisce soluzione la cui logica riproduce – come sottolineato in particolare dalle difese di Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa – quella di varie altre discipline processuali già passate indenni al vaglio di conformità all’art. 25, primo comma, Cost. (in particolare, sentenza n. 237 del 2007, relativa all’attribuzione al TAR Lazio della competenza a conoscere delle ordinanze e dei provvedimenti del Commissario alla protezione civile nelle situazioni di emergenza; in senso analogo, in relazione a esigenze di tutela della collettività contro la criminalità di tipo mafioso, sentenze n. 182 e n. 159 del 2014).
La plausibilità di tale soluzione esime questa Corte dal verificare la sostenibilità, al metro dell’art. 25, primo comma, Cost., della possibile ratio ulteriore – suggerita e puntualmente confutata dal rimettente, ma non risultante dai lavori preparatori – secondo cui l’intenzione del legislatore sarebbe stata quella di assicurare l’imparzialità e l’indipendenza dei giudici dell’appello rispetto a possibili condizionamenti locali, determinati dalla «vicinanza geografica» del tribunale territoriale al locus commissi delicti.
3.3.3.– Il profilo più delicato concerne, semmai, la verifica della sufficiente precisione dei presupposti definiti dalla legge, in presenza dei quali si verifica lo spostamento di competenza: requisito cruciale, come si è rammentato, per evitare il rischio che tale spostamento possa essere fatto dipendere dalla decisione discrezionale di un altro organo giudiziario o, a fortiori, di un organo del potere esecutivo.
Dal punto di vista formale, per la verità, i presupposti dello spostamento di competenza sono chiaramente definiti dalla disposizione censurata: esso avviene, come poc’anzi evidenziato (supra, 3 e 3.2.), allorché (a) il Governo abbia adottato le misure di bilanciamento, e (b) il giudice abbia, cionondimeno, comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto.
Il rimettente assume, tuttavia, che tale meccanismo consenta di fatto al Governo di determinare discrezionalmente lo spostamento della competenza a conoscere dell’appello cautelare, in spregio alla logica di tutela dell’art. 25, primo comma, Cost., attraverso la decisione di adottare le misure di bilanciamento: decisione che potrebbe essere assunta, in concreto, di volta in volta in relazione al «maggiore o minore apprezzamento» delle decisioni in proposito già adottate dal giudice della cautela.
Questa Corte non è persuasa da tale argomento.
La decisione del Governo di adottare le misure di bilanciamento non è una decisione “sulla” competenza del giudice (come invece quella prefigurata dall’art. 30, secondo comma, del codice di procedura penale del 1930, che conferiva al procuratore della Repubblica, in presenza di certi presupposti, la facoltà di rimettere al pretore procedimenti penali di competenza del tribunale: sentenza n. 88 del 1962), ma è semplicemente una decisione dalla quale deriva, in via riflessa e meramente eventuale, un effetto sulla competenza del giudice dell’appello cautelare. Un effetto, più in particolare, che si verifica nella sola ipotesi in cui il giudice del sequestro abbia disatteso tali misure, disponendo comunque l’interruzione dell’attività.
Una volta dunque che il Governo abbia esercitato il proprio potere di dettare regole cogenti sulla prosecuzione dell’attività degli stabilimenti o impianti sequestrati, la nuova regola sulla competenza – chiaramente definita dalla disposizione censurata – è che ogni successiva controversia, derivante dall’eventuale decisione del giudice che disattenda le indicazioni governative (assumendone, evidentemente, l’illegittimità, ogni sindacato sul merito di tali indicazioni essendogli ormai precluso), rientri nella competenza di un nuovo giudice “precostituito per legge”, ossia il Tribunale di Roma. Senza che, a valle del decreto governativo che stabilisce le misure, residui alcun potere discrezionale in capo a chicchessia per l’individuazione del giudice competente a giudicare dell’appello cautelare.
3.4.– Da tutte le considerazioni sin qui svolte discende, in conclusione, l’infondatezza della censura formulata in riferimento all’art. 25, primo comma, Cost.
4.– Resta a questo punto da esaminare la censura formulata dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.
Al riguardo, conviene preliminarmente rammentare che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, nella configurazione degli istituti processuali il legislatore gode di ampia discrezionalità, censurabile soltanto laddove la disciplina palesi profili di manifesta irragionevolezza (ex multis, sentenze n. 189 e n. 83 del 2024, rispettivamente punto 9 e punto 5.5. del Considerato in diritto; n. 67 del 2023, punto 6 del Considerato in diritto).
Ritiene questa Corte, per le ragioni di seguito illustrate, che le incongruenze denunciate dal rimettente – lungi dal poter essere derubricate a inconvenienti eventuali di mero fatto nell’applicazione della disposizione censurata – siano effettivamente sintomatiche di una manifesta irragionevolezza della disciplina così come allo stato strutturata.
4.1.– Il giudice a quo ritiene, in sintesi, che la disposizione censurata – introducendo una competenza del Tribunale di Roma derogatoria rispetto alla ordinaria competenza del tribunale territoriale per la sola ipotesi in cui il giudice del sequestro abbia comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, dopo l’adozione da parte del Governo delle misure di bilanciamento – produca un «intreccio» e una «sovrapposizione di competenze» tra i due tribunali. Tale situazione sarebbe foriera di ricadute non coerenti con lo stesso obiettivo legislativo di assicurare unitarietà di indirizzi applicativi e specializzazione del giudice competente a valutare la prosecuzione dell’attività produttiva.
4.2.– Tanto l’Avvocatura generale dello Stato quanto le parti contestano tale assunto, essenzialmente sulla base dell’argomento che la disposizione censurata non avrebbe determinato alcuno spostamento di competenza per una parte soltanto del contenzioso successivo all’adozione delle misure di bilanciamento da parte del Governo, ma avrebbe semplicemente introdotto un nuovo rimedio – in precedenza non esistente – contro il provvedimento del giudice che, nonostante tali misure, abbia comunque disposto l’interruzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto.
Come poc’anzi distesamente argomentato (supra, 3.1.), tale argomento non può però essere condiviso. Contro il provvedimento di un giudice che escluda o revochi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di qualunque impresa destinataria del sequestro, o che all’opposto – disattendo la richiesta del pubblico ministero – autorizzi la prosecuzione dell’attività stessa, non può non ammettersi, in via generale, la possibilità di proporre appello ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., da parte di tutti i soggetti ivi indicati.
4.3.– Una tale situazione produce, strutturalmente, le incongruenze denunciate nell’ordinanza di rimessione, quanto meno sotto un duplice concorrente profilo.
4.3.1.– In primo luogo, la disposizione censurata attribuisce la competenza al Tribunale di Roma a conoscere dell’appello soltanto contro il provvedimento del giudice che, a valle dell’adozione delle misure di bilanciamento, abbia negato l’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, ma non contro l’eventuale provvedimento che tale autorizzazione abbia invece rilasciato, in ottemperanza alle indicazioni governative.
Contro quest’ultimo provvedimento resta però ammissibile un appello del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., sia pure per ragioni attinenti alla sola legittimità del decreto governativo di bilanciamento. In tale ipotesi, il testo della disposizione censurata – inequivocamente riferito ai soli casi in cui il giudice «abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto» – non consente di attrarre l’appello alla competenza del Tribunale di Roma; con la conseguenza che di esso dovrà continuare a conoscere il tribunale territoriale, ai sensi della lex generalis rappresentata dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.
La disposizione censurata giunge così al risultato – affatto singolare dal punto di vista sistematico – di stabilire la competenza dell’uno o dell’altro tribunale in sede di appello secundum eventum litis, ossia secondo il tenore della decisione adottata dal giudice che ha disposto il sequestro: la competenza si radicherà innanzi al tribunale territoriale, nel caso di decisione conforme al decreto di bilanciamento adottato dal Governo; innanzi al Tribunale di Roma, nel caso di decisione che, all’opposto, disattenda tale decreto.
Ciò determina un risultato del tutto distonico rispetto a quello, dichiaratamente perseguito dal legislatore, di «maturare unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale» e di «mantenere una specializzazione» dell’organo giudicante in tutte le decisioni che attengono alla prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti o impianti in relazione ai quali il Governo abbia dettato specifiche misure di bilanciamento.
Ne consegue l’evidente incongruità della disciplina rispetto alla sua finalità: ciò che a sua volta si traduce in un vizio di irrazionalità, intesa quale species dell’irragionevolezza intrinseca, della legge (sentenze n. 197 del 2023, punto 5.5.4. del Considerato in diritto, n. 186 del 2020, punto 4.1. del Considerato in diritto, e n. 166 del 2018, punto 7 del Considerato in diritto).
4.3.2.– In secondo luogo, lo spostamento di competenza per il solo giudizio di appello contro il provvedimento che comunque abbia negato la prosecuzione dell’attività dello stabilimento o impianto sequestrato “a valle” del decreto governativo di bilanciamento crea strutturalmente le condizioni per lo svolgimento parallelo di diversi procedimenti di appello, innanzi a diversi tribunali, contro i provvedimenti del giudice della cautela aventi a oggetto i medesimi beni.
Quest’eventualità appare specialmente problematica nell’ipotesi in cui il provvedimento che vieta la prosecuzione dell’attività nonostante le misure di bilanciamento sia stato adottato dal giudice a seguito di una istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto. In tal caso, è giocoforza concludere che il provvedimento sia impugnabile presso il Tribunale di Roma nella sola parte in cui vieta la prosecuzione dell’attività e presso il tribunale locale – da parte di tutti i soggetti indicati dall’art. 322-bis cod. proc. pen., compreso il pubblico ministero – per la parte residua. Il che crea inevitabilmente il rischio di decisioni contrastanti, e comunque non coordinate, aventi a oggetto i medesimi stabilimenti o impianti.
Evidentemente nella consapevolezza di questo rischio, ISAB srl suggerisce di interpretare la disposizione censurata nel senso che essa eserciterebbe una «vis attractiva» alla competenza del Tribunale di Roma rispetto a ogni appello proposto contro le decisioni del giudice comunque attinenti al vincolo cautelare. La tesi, tuttavia, non persuade, in assenza di qualsiasi appiglio nel testo della disposizione: la quale è – anzi – chiarissima nel confinare la propria operatività alle ipotesi di provvedimenti che, nonostante l’adozione delle misure di bilanciamento da parte del Governo, abbiano comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva.
Le difese di Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa obiettano, invece, che lo scenario di due procedimenti di appello paralleli contro i provvedimenti del giudice della cautela – l’uno avente a oggetto «il profilo amministrativo-gestionale» concernente la prosecuzione o interruzione dell’attività, l’altro concernente il vincolo cautelare in sé considerato – non darebbe luogo a inconvenienti significativi, stante il diverso oggetto dello scrutinio svolto dai due tribunali; né rappresenterebbe un’anomalia nel sistema, dal momento che altre disposizioni prefigurerebbero diversi strumenti di impugnazione contro differenti statuizioni contenute nel medesimo provvedimento giudiziario.
A tali argomenti va però obiettato che, come poc’anzi osservato (supra, 3.1.3.), i due profili non sono affatto agevolmente distinguibili: un provvedimento che disponga l’interruzione dell’attività produttiva di uno stabilimento o di un impianto sottoposto a sequestro incide in profondità sullo stesso vincolo cautelare, per ciò stesso modificandolo. Senza contare la possibilità che il provvedimento, anziché autorizzare in toto la prosecuzione dell’attività, la autorizzi soltanto parzialmente ovvero – come prospettato durante la discussione in udienza – con riferimento soltanto a taluni degli impianti o stabilimenti, e non ad altri. Ciò vale a marcare una chiara differenza dell’ipotesi ora all’esame rispetto a quella – menzionata da Sonatrach raffineria italiana srl nelle sue difese, e peraltro del tutto eccezionale nel sistema – in cui è ammessa impugnazione innanzi a diversi giudici contro le statuizioni relative alle misure di sicurezza personali e a quelle, affatto eterogenee, concernenti il risarcimento del danno.
In definitiva, la disposizione censurata consente che si svolgano giudizi di appello paralleli, innanzi a diversi tribunali, aventi a oggetto i medesimi stabilimenti o impianti di interesse strategico nazionale. Con conseguente pregiudizio non solo rispetto alla finalità, perseguita dal legislatore, di garantire l’uniformità degli indirizzi interpretativi in materia e la specializzazione dell’organo giudicante, ma anche rispetto all’esigenza di garantire, nell’immediato, decisioni tra loro coerenti rispetto al singolo procedimento cautelare avviato con il sequestro di un determinato impianto o stabilimento.
Il che integra, ad avviso di questa Corte, un ulteriore vizio di manifesta irragionevolezza della disciplina censurata.
4.4.– Da tutto ciò consegue l’illegittimità costituzionale del secondo periodo della disposizione censurata («Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.»), per violazione dell’art. 3 Cost.
Resta pertanto in vigore il primo periodo, non censurato in questa sede, che estende la legittimazione attiva a proporre appello cautelare ai soggetti istituzionali ivi menzionati, in presenza delle condizioni indicate dalla disposizione all’esame.
Rientra altresì nella discrezionalità del legislatore la possibilità di accentrare la competenza nel rispetto dei principi sin qui richiamati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, limitatamente alle parole «Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.»;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen., sollevata, in riferimento all’art. 25, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione undicesima penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2025